Il regolamento di condominio e la tutela del decoro architettonico
[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci] Il condominio è un ente di gestione che si costituisce senza alcuna formalità immediatamente dopo la costruzione dell’edificio e la vendita, anche di uno solo, degli appartamenti di proprietà esclusiva.
Una volta costituito il condominio, l’assemblea del medesimo può adottare qualsiasi delibera inerente alla gestione condominiale, compresa la redazione del regolamento condominiale. Le prescrizioni del regolamento di condominio, relative all’uso e al godimento della cose comuni, vincolano tutti i residenti nel condominio e devono, quindi, essere osservate non solo da tutti i condòmini e usufruttuari, ma anche da coloro che utilizzano, a qualsiasi titolo, le singole proprietà esclusive, quali i conduttori e i comodatari dei singoli appartamenti costituenti l’edificio, indipendentemente dalla loro natura e qualifica giuridica, ad esempio, uno Stato straniero o un locatario in leasing.
Il regolamento condominiale, che può essere poi contrattuale o assembleare, è obbligatorio nel caso nel condominio sussista un numero di condòmini superiore a dieci.
REGOLAMENTI
Il regolamento condominiale contrattuale è sia quello predisposto dall’unico costruttore o proprietario dell’edificio e accettato dagli acquirenti delle singole unità immobiliari con la stipulazione del loro atto di acquisto notarile (così detto di origine contrattuale) sia quello approvato con il voto unanime di tutti i partecipanti al condominio (così detto di natura contrattuale). Questo tipo di regolamento contiene sia norme regolamentari sia norme propriamente contrattuali.
Hanno natura contrattuale le disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi e degli obblighi di ciascun condomino, mentre hanno natura tipicamente regolamentare le norme riguardanti le modalità d’uso delle cose comuni e in genere l’organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali. Queste ultime possono essere derogate dall’assemblea seppure a maggioranza qualificata, ad esempio sopprimendo il servizio di portierato. A tale proposito è importante sottolineare che devono essere considerate clausole contrattuali anche quelle riguardanti l’uso delle cose comuni, quando dalla loro eventuale modifica possa derivare un pregiudizio ai diritti che ciascun condomino ha sulla cosa comune.
Le clausole contrattuali possono essere modificate soltanto con l’approvazione all’unanimità di tutti i condòmini rappresentanti, quindi, l’intero valore millesimale e, in particolare, con un voto assembleare manifesto in forma scritta.
Le norme regolamentari, invece, a differenza di quelle contrattuali, sono suscettibili di variazione con una delibera adottata dalla maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1136 c.c., vale a dire con una maggioranza di cinquecento millesimi e la maggioranza degli intervenuti all’assemblea.
In sostanza il regolamento contrattuale, predisposto dall’originario unico proprietario dello stabile, costituisce un contratto e assume forza vincolante in quanto accettato dai singoli acquirenti dei diversi appartamenti dello stabile mediante un atto specifico di adesione consensuale contenuto nel rogito di acquisto della loro unità immobiliare. Il regolamento, però, deve essere già stato redatto dal costruttore e non è assolutamente sufficiente il mero richiamo, nel rogito, ad un regolamento ancora da predisporsi.
Il regolamento di condominio comunque, anche se di natura contrattuale, non può derogare alle norme, anche dello stesso Codice civile, dichiarate inderogabili, nonché violare i diritti soggettivi e di proprietà, anche di un solo condomino, purché le relative clausole non siano state accettate all’unanimità da tutti i partecipanti al condominio.
IL DECORO
L’art. 1138 c.c. ha previsto altresì che il regolamento contenga le norme per la tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale. Premesso che il decoro architettonico dell’edificio costituisce un bene comune a tutti i partecipanti al condominio, strettamente inerente a quelle parti del fabbricato che più servono a caratterizzarlo, anche nelle sue forme esteriori, al punto da costituire un autonomo vincolo all’utilizzazione individuale delle singole parti condominiali o della stessa sua proprietà, ai sensi dell’art. 1102 c.c e del novellato art. 1122 c.c., è evidente quale importanza rivestano, ai fini della composizione finale dell’assetto dell’edificio, sia la particolare conformazione di finestre e balconi, sia la specifica struttura di decorazioni, cimase, stucchi e quant’altro abbia utilizzato il costruttore. Infatti anche la conformazione e la struttura estetica dei manufatti concorrono, in buona misura, ad integrare quell’inalienabile bene comune che è il decoro architettonico del condominio.
Di conseguenza, per esempio, se proprietario esclusivo di una finestra o di un balcone può definirsi il condomino al cui appartamento si riferiscono, non altrettanto pacificamente lo stesso condomino può dirsi utilizzatore esclusivo delle strutture esterne della finestra o del balcone, che restano, nel loro aspetto esteriore e, quindi, nella loro struttura anche muraria e decorativa, vincolate alla destinazione comune dettata dal decoro architettonico dell’edificio. Pertanto, al singolo, proprietario deve essere negato il diritto di alterare, in qualsiasi modo, l’aspetto esteriore delle facciate di prospetto dell’edificio, in quanto ciò verrebbe a costituire violazione del disposto di cui all’art. 1102 c.c. concernente i limiti d’uso di una parte comune.
Il decoro architettonico non è, comunque, un concetto definibile in senso assoluto, ma va adottato alla singola fattispecie e verificato di volta in volta rispetto alle concrete situazioni che si possono manifestare: ciò che, infatti, può costituire alterazione del decoro architettonico in un edificio di carattere storico-artistico, non è più tale in un edificio fatiscente e privo di qualsiasi pregio.
Unitamente alla natura e al valore, anche economico, del concetto di decoro architettonico del fabbricato condominiale, che risulterebbe pregiudicato da opere compiute a detrimento del decoro stesso, affiora il concetto di “danno”, inteso come pregiudizio che gli altri partecipanti risentirebbero per effetto, soprattutto, della violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c. da parte del singolo condomino che si sia reso autore di alterazioni vietate; pregiudizio, del resto, potenzialmente presente, per il semplice fatto della contestuale diminuzione delle facoltà d’uso degli altri partecipanti al condominio in qualunque ipotesi di uso illegittimo delle parti comuni.
Per tale motivo è l’assemblea di condominio che deve disciplinare l’uso del bene comune al fine di salvaguardare il decoro architettonico del condominio e, in caso di sua violazione, è legittimo procedere ad un ricorso ex art. 703 c.p.c. per turbativa del possesso del decoro architettonico del condominio a seguito, ad esempio, di un mutamento della struttura di una sua facciata.
Da quanto sopra dedotto emerge come il decoro architettonico del condominio sia costituito dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che imprimano alle varie parti dell’edificio, nonché all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata e armonica fisionomia. Il decoro architettonico deve essere tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che, eventualmente, un singolo volesse apportare ad una parte del fabbricato condominiale. La valutazione dell’estetica dell’edificio, dunque, è una circostanza di mero fatto, effettuata normalmente da un architetto, sulla cui perizia si fonda sia il giudizio di primo grado, sia quello d’appello; non trattandosi quindi di violazione di norme di diritto, quest’ultima decisione sfugge al sindacato di legittimità della Corte di Cassazione, se congruamente motivata.
Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, che stabilito che il regolamento di condominio può legittimamente stabilire limiti più rigorosi al contenuto del decoro architettonico previsto dall’art. 1120 c.c. sino ad imporre la conservazione degli elementi di simmetria dell’edificio esistenti al momento della sua costruzione.( Cass. Civ sez. II, 18 maggio 2016).