[A cura di: avv. Silvio Rezzonico – pres. Confappi]
Lo aveva annunciato da subito, il governatore Vasco Errani. E così è stato. L’Emilia Romagna non ha mai prorogato la durata della legge 6/2009 sul Piano Casa. Troppo poco appeal in Regione, questa la motivazione. Un insuccesso che a fine 2010, quando l’amministrazione ha annunciato di non voler rinnovare il provvedimento, è stato anche spiegato con l’inutilità di duplicare le norme. Vista la presenza di una disciplina precedente, che già consentiva demolizioni e ricostruzioni, con ampliamenti anche maggiori del 35% sulla base di accordi e assunzioni di responsabilità reciproca tra pubblico e privato. Nessuna recriminazione o passo indietro. A tutt’oggi permane l’assenza.
Tutta diversa la gestazione della Lombardia. Qui, la decisione di imporre uno stop al piano casa – giunto ormai alla seconda generazione – è molto più recente. E risale al dicembre del 2013. C’è un concreto motivo per cui la legge lombarda sul Piano casa (Lr 4 del 13 marzo 2012) si è estinta a San Silvestro. Di fatto esiste un altro testo che ha reso permanente la possibilità di ampliamenti e sostituzioni, dando però modo di decidere in chiave locale ai 1.547 Comuni, in seno a propri piani di governo del Territorio (Pgt). Ne mancano all’appello solo un centinaio, i più piccoli. Gli altri hanno adottato tutti i Pgt e normato (obbligatoriamente) anche l’opportunità di ingrandire e/o abbattere per riedificare, rendendola strutturale in dati contesti. Un processo che ha radici nella Lr 12/2005, la macro-legge di governo del territorio. Che la Giunta lombarda punta a riformare nel 2014, passando così a una pianificazione di seconda generazione. In virtù di questo processo, di conseguenza, non ha particolarmente attecchito la vigente Lr 4/2012: risulta un totale di 143 interventi, di cui la maggior parte (86) riferibili a interventi di recupero edilizio e funzionale a destinazione residenziale, più 28 interventi di sostituzione di edifici residenziali. Né successo maggiore è ascritto al precedente Piano casa (Lr 13/2009). Contrariamente ad altre aree, il testo lombardo d’altronde concedeva sì di ampliare, sebbene in modica quantità (5-10%), ma solo – condicio sine qua non – a fronte di migliorie energetiche. E quindi, è decaduto.
Quando il provvedimento del cosiddetto “Piano Casa” è stato varato, in pochi erano pronti a scommettere sul suo successo. Soprattutto gli amministratori locali si sono dimostrati estremamente sospettosi nell’accogliere l’idea dell’allora premier, Silvio Berlusconi, di concedere agli italiani, proprietari di una casa mono o bifamiliare, la possibilità di ingrandirsi, fruendo di premi volumetrici fino al 20% e in deroga alle previsioni del piano regolatore.
Eppure, quel modo per sfatare la crisi economica, per rilanciare l’edilizia e per consentire alle famiglie di realizzare quella “stanza in più” dove fare posto a figli o nipoti ormai cresciuti o a genitori anziani, magari non autosufficienti, in qualche modo ha funzionato. Perché, a distanza di cinque anni dall’intesa, tuttavia, le leggi regionali che attuano il cosiddetto “Piano casa” sono ancora operative su tutti i territori. Con la sola eccezione dell’Emilia Romagna (che arrivata alla scadenza della legge mai ha prorogato) e della Lombardia (che, dopo aver riformulato la propria legge, ha lasciato scadere la seconda versione, annunciando di voler rafforzare la possibilità per l’ampliamento già contenute nella legge di governo del territorio)
L’intesa fra lo Stato e le Regioni è stata raggiunta e siglata il 31 marzo del 2009. Successivamente l’accordo è stato tradotto in leggi, con provvedimenti regionali complessi, pensati quasi più per far fallire che per favorire le intenzioni del Governo. Leggi “a tempo determinato”, valide in genere un anno e mezzo, con meccanismi di difficile applicazione.
Ma nei mesi la situazione è cambiata. Nel turnover dei governi regionali le leggi sul Piano casa sono state modificate e hanno preso via via vigore. I testi più restrittivi sono stati ammorbiditi: talora abbassando le richieste sugli standard energetici da raggiungere per ottenere i premi di volumetria; talora ampliando la platea degli edifici ammessi a intervento; talora prevedendo misure anche per ingrandire immobili a uso non residenziale. A dicembre 2013, è arrivata compatta l’ultima ondata di proroghe.
Segno che le possibilità offerte ai cittadini sono state sfruttate. Forse non quanto era stato auspicato da Berlusconi, che nel presentare l’accordo aveva parlato di 60 miliardi di investimenti in arrivo in 12-18 mesi. Ma comunque abbastanza. Nell’ordine di alcune centinaia di migliaia di casi, anche se un numero esatto è praticamente impossibile da calcolare, visto che quasi nessuna Regione ha previsto una forma di mappatura e conteggio del numero degli interventi avviati.
Ora la sfida che si apre è di ordine diverso. Qualche Regione lo ha già fatto, qualcuno lo ha annunciato. Un po’ ovunque, però, avanza l’intenzione di provare a trasformare misure temporanee in provvedimenti a regime. Che siano inseriti nelle leggi di governo del territorio o in testi ad hoc.