Un caffè al bar non si può prendere, anche se l’esercizio ha adottato tutte le più rigide misure di sicurezza anti-covid previste dalla normativa in materia e dalle Linee Guida ministeriali. Allo stesso modo, non si può andare, ad esempio, al cinema, a teatro o in palestra.
Misure rigide, ma condivisibili in un periodo di estrema emergenza sanitaria, e con l’imperativo di rallentare la curva dei contagi prima che il sistema ospedaliero collassi definitivamente, trascinando a fondo ogni altro comparto della vita del Paese.
Eppure, in questo drammatico contesto, a fare difetto non sono solo le risorse per contrastare l’espandersi dell’epidemia sul territorio nazionale. A latitare pare anche la coerenza.
Già, perché in un momento in cui la parola d’ordine è quella di impedire in ogni modo gli assembramenti, le assemblee di condominio in presenza non sono vietate: semplicemente sconsigliate. E questo a prescindere che la regione si trovi in zona rossa, arancione o gialla.
A chiarirlo – destando più di una perplessità in primis tra le associazioni dell’amministrazione condominiale – sono state le Faq pubblicate dal Governo sul proprio sito internet per fornire chiarimenti circa le misure previste dall’ultimo Dpcm: quello del 3 novembre 2020, che ha diviso l’Italia appunto in 3 aree a seconda del livello di emergenza, sancendo restrizioni calibrate per ciascuna di esse.
Divieti e limiti dai quali l’universo condominiale sembra – almeno sulla carta – esente.
Alla domanda “È consentito svolgere riunioni condominiali in presenza?”, l’Esecutivo fornisce, infatti, la seguente risposta:
“Sì. È fortemente consigliato svolgere la riunione dell’assemblea in modalità a distanza. Laddove ciò non sia possibile, per lo svolgimento in presenza occorre rispettare le disposizioni in materia di distanziamento sociale e uso dei dispositivi di protezione individuale”.
Ora, con le assemblee telematiche vincolate ad apposita previsione nel regolamento condominiale o, in alternativa, ad un’accettazione di tale modalità da parte della totalità dei condòmini di uno stabile, è chiaro che l’ipotesi di una riunione a distanza – si scusi il gioco di parole – è quantomai… remota.
Cosa è quindi probabile che accadrà nelle prossime settimane grazie (o a causa?) del nullaosta del Governo alle riunioni in presenza? Che migliaia di condòmini, tanto più con lo spettro di perdere il Superbonus (a tutt’oggi non ancora prorogato) metteranno in croce i rispettivi amministratori condominiali chiedendo la convocazione immediata di un’assemblea di persona.
E se il professionista si rifiuterà di farlo – adducendo magari rischi tangibili in termini sanitari o penali, e chiaramente anche l’incremento dei costi per predisporre le misure di sicurezza adeguate – i condòmini promotori dell’iniziativa, in presenza di determinati requisiti (qualora ad esempio siano almeno due e rappresentino almeno un sesto del valore dell’edificio) potranno perfino bypassarlo autoconvocandola.
A prescindere da quante volte tale ipotesi poi si concretizzerà; a prescindere dalle conseguenze che potrebbe eventualmente patire l’amministratore che si rifiuti di convocare l’assemblea; a prescindere da una conflittualità condominiale che rischia di acuirsi ulteriormente, il problema resta a monte: le rarissime volte in cui la politica si occupa della materia condominiale, fa quasi rimpiangere le tante volte in cui invece non lo fa.
Dimostrando, a dispetto degli input, delle richieste, delle istanze da parte delle associazioni di categoria, di conoscere davvero poco e male il mondo del condominio. E con esso, la realtà quotidiana dei 42 milioni di italiani che lo abitano, e delle decine di migliaia di professionisti che lo gestiscono.