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RISTORANTI DENTRO CASA? SÌ, MA SOLTANTO SE SONO REGOLAMENTATI

  • Redazione
  • 10 febbraio 2016

Torna di grande attualità, dal punto di vista immobiliare, ma anche fiscale nonché sul versante della concorrenza di settore, il tema dei cosiddetti ristoranti domestici, di cui Italia casa si era già occupata alcuni mesi fa. La X Commissione Attività produttive della Camera ha, infatti, svolto le audizioni informali di rappresentanti della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), Confesercenti e del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cnc), nell’ambito della discussione della risoluzione Senaldi n. 7-00824 dello scorso 21 ottobre 2015, sulle cosiddette attività di home restaurant. Ecco che cosa prevede il documento. 

“La X Commissione, premesso che:

* l’apertura di un ristorante nella propria abitazione ossia l’attività di home restaurant, che si caratterizza per la preparazione di pranzi e cene presso il proprio domicilio e per un numero limitato di persone trattati come ospiti personali, però paganti, si sta rapidamente diffondendo anche nel nostro Paese grazie alle piattaforme web;

* l’home restaurant, anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, presenta le caratteristiche tipiche di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, sia perché i prodotti vengono serviti in locali privati attrezzati aperti alla clientela, coincidenti con il domicilio del cuoco, sia perché la fornitura di tali prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo;

* con la risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015 il Ministero dello Sviluppo economico ha chiarito che questo tipo di attività è classificabile come “un’attività vera e propria di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande” e che pertanto “si applicano le disposizioni di cui all’articolo 64, comma 7, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e successive modificazioni e integrazioni”;

* l’home restaurant non può essere quindi considerata un’attività libera, e ai fini del suo esercizio è richiesto il possesso, come per tutte le altre attività afferenti al settore alimentare, dei requisiti di onorabilità nonché professionali e la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (Scia) o di richiesta di autorizzazione, qualora l’attività venga svolta in una zona tutelata; 

* al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, i comuni, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela (ad esempio centro storico), adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande che risultano subordinate a titolo autorizzatorio rilasciato dalla stessa amministrazione competente;

* esiste il rischio concreto che, a fronte di modalità diverse di fare ristorazione, dove da un lato ci sono imprese e lavoratori soggetti a norme e prescrizioni rigorose a tutela della qualità del servizio, della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei clienti e dall’altro attività potenzialmente scevre da vincoli e controlli, anche igienici e fiscali, ci sia una significativo vulnus alla concorrenza nel settore, con evidente penalizzazione delle imprese in regola;

* secondo il recente studio Cst per Fiepet Confesercenti, l’universo degli home restaurant, solo nel 2014, ha fatturato 7,2 milioni di euro in Italia, con ben 7 mila cuochi social attivi in Italia nel 2014 ed una tendenza prevista di ulteriore crescita per il 2015;

* stime di addetti al settore indicano che nel 2014 sono stati organizzati ben 37 mila eventi social eating andati a buon fine, con una partecipazione di circa 300 mila persone ed un incasso medio stimato, per singola serata, pari a 194 euro,

impegna il Governo

a confermare, nell’immediato, il citato orientamento interpretativo alle Camere di commercio e agli enti locali, se del caso, con un provvedimento amministrativo, al fine di assicurare uniformità interpretativa su tutto il territorio nazionale, nonché, in prospettiva, a promuovere un’iniziativa normativa per regolare puntualmente una nuova tipologia di attività che rischia altrimenti di configurarsi anomala sul piano della concorrenza, della fiscalità e della tutela della salute pubblica”.

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