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Condominio: la differenza tra le delibere nulle e quelle annullabili

  • Quotidiano Del Condominio
  • 27 aprile 2017

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano] La differenza tra nullità ed annullabilità di una deliberazione condominiale riveste una importanza fondamentale in relazione all’impugnativa della delibera assembleare. La comprensione delle differenze tra queste due categorie giuridiche, rapportate alle peculiarità della disciplina del condominio, comporterebbe – da un lato – uno snellimento del contenzioso, che sarebbe così epurato da impugnazioni evidentemente tardive e – dall’altro – l’eliminazione del metodo casistico con cui, talvolta, i giudici di merito affrontano e risolvono le singole controversie, con una conseguente uniformità di giudizi per fattispecie che divergono soltanto per aspetti secondari. Tale uniformità di giudizi, assicurerebbe, poi, l’applicazione del principio della certezza del diritto e di eguaglianza di regolamento, rispetto a posizioni uguali.

Quali differenze

Preliminarmente, occorre precisare che a seguito della riforma del 2012, i casi di annullabilità sono espressamente previsti dal codice civile, che all’articolo 1137 sancisce: “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria”.
Le azioni con cui si vantano le nullità, invece, sono elaborazioni della dottrina che fa riferimento ai vizi generali del negozio giuridico: mancanza della volontà, contrarietà a norme imperative, mancanza o impossibilità dell’oggetto ecc.
Incominciamo la nostra analisi dalle prime due decisioni della Corte di Cassazione: la n. 31/2000 e 1292/2000 con cui si ebbe a chiarire il discrimine tra annullabilità e nullità delle delibere. Con esse veniva per la prima volta stabilito che i casi di nullità possono essere ricondotti alla impossibilità ed alla illiceità dell’oggetto, mentre per tutti gli altri, si è in presenza di ipotesi di mera annullabilità.
Ciò si è affermato, mutando profondamente l’indirizzo fino ad allora seguito dalla Suprema Corte, in quanto si è fortemente ridimensionato il campo di azione della nullità, con corrispondente allargamento della nozione di annullabilità alle ipotesi residuali. Tale spostamento del discrimine tra le due categorie ha il pregio di limitare le impugnazioni di delibere assembleari, anche lontane nel tempo ed in definitiva di cristallizzare situazioni che, se pur nate a seguito di un procedimento viziato, non siano state impugnate tempestivamente.
In ciò, infatti, risiede l’aspetto pregnante della distinzione tra nullità ed annullabilità, nella prospettiva dell’esame delle liti condominiali, in quanto nel primo caso l’impugnativa può essere proposta senza limiti di tempo mentre nel secondo entro trenta giorni dall’assemblea, se il condomino che vi abbia partecipato sia stato contrario o si sia astenuto, o dalla comunicazione del verbale, se il condomino non vi abbia partecipato.
Parimenti importante risulta il dato che, in caso di nullità, l’impugnativa può proporla chiunque dei condòmini mentre nell’altro caso, soltanto colui che sia stato pregiudicato dalla deliberazione.

La comunione

Con il novello indirizzo giurisprudenziale, ci si è uniformati al regime, codicisticamente previsto, per le società di capitali, attraverso un procedimento logico e giuridico che passa per la armonizzazione delle norme sul condominio con quelle previste per la comunione in generale.
In buona sostanza, si ritiene che se in tema di comunione, l’articolo 1105, terzo comma c.c. prevede che, per la validità delle deliberazioni, tutti i partecipanti devono essere stati preventivamente informati dell’oggetto della delibera e l’articolo 1109 c.c. contempla, nel caso in cui non sia stata osservata la disposizione del terzo comma dell’articolo 1105 cit., il potere di ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente di impugnare le deliberazioni nel termine di decadenza di trenta giorni, la statuizione del termine di decadenza esclude che, in tema di comunione, il difetto di informazione configuri una causa di nullità. Conseguentemente, nel ragionamento seguito dalla Suprema Corte, sarebbe ragionevole dubitare che l’articolo 1136, sesto comma c.c., in tema di condominio, disciplinando la stessa fattispecie e usando la stessa formula, alla mancata convocazione di un condomino abbia ricollegato conseguenze diverse e ben più gravi.
Articolando, poi, un collegamento con il regime previsto per il negozio giuridico e, meglio ancora, per le società di capitali, in virtù del quale l’articolo 2379 c.c. delimita la nozione di nullità delle deliberazioni delle società per azioni alle sole ipotesi di impossibilità ed illiceità dell’oggetto, lo applica alla disciplina del condominio.
È nulla, quindi, la delibera quando è assente o è del tutto carente un elemento costitutivo, secondo la configurazione richiesta dalla legge, per cui essa si considera inidonea a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il diritto ricollega al tipo legale, in conformità con la funzione economico-sociale sua caratteristica; per contro è annullabile la delibera in presenza di deficienze considerate meno gravi, secondo la valutazione degli interessi da tutelare fatta dalla legge.
Annullabile, quindi, è l’atto in cui un elemento essenziale sia viziato: l’atto che, pur non mancando degli elementi essenziali del tipo e dando vita precaria alla nuova situazione giuridica che il diritto ricollega al tipo legale, può essere rimosso.
Conseguentemente, in materia di condominio degli edifici non sono ammissibili cause di nullità diverse dalla impossibilità giuridica e dalla illiceità dell’oggetto, intendendosi per impossibilità giuridica la inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dall’assemblea che delibera a maggioranza ovvero a ricevere quel determinato assetto stabilito in concreto, e per illiceità dell’oggetto la violazione delle norme imperative, alle quali l’assemblea non può derogare, ovvero la lesione diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.

Così la Cassazione

Per rimanere al caso trattato dalla innovativa pronuncia della Corte di Cassazione n. 31/2000, quindi, in caso di mancata convocazione di un condomino all’assemblea condominiale, in quanto non rientrante nei casi di nullità individuati, della impossibilità giuridica e dell’illiceità dell’oggetto, si verte in ipotesi di annullabilità della deliberazione e, come tale, il termine di decadenza per la sua impugnazione è di trenta giorni dalla assemblea o dalla comunicazione e soltanto da parte del soggetto leso e non più da parte di tutti i condòmini.
Il principio è confermato da una successiva decisione (Cass. n. 13013/2000), secondo cui le delibere condominiali, analogamente a quelle societarie, sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono invece annullabili, nei termini previsti dall’articolo 1137 c.c., le altre delibere “contrarie alla legge o al regolamento di condominio”, tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate maggioranze per formare la volontà dell’organo collegiale, in relazione all’oggetto della delibera da approvare .
Il mutamento di rotta è di tutta evidenza, se solo si pone lo sguardo all’ampia giurisprudenza precedente che faceva conseguire alla mancanza della convocazione l’inevitabile nullità assoluta della delibera, che poteva esser fatta valere da qualsiasi condomino anche presente in assemblea . Il nuovo orientamento pare in linea con l’esigenza, da perseguire, di certezza dei rapporti e con la conseguente intollerabilità di situazioni che, ormai consolidatesi nel tempo, possano essere rimesse in discussione senza che alcun fondamentale diritto sia stato violato.
Considerato l’ambito di applicazione delle norme condominiali ed il forte restringimento delle ipotesi di nullità, in previsione della riforma della normativa si potrebbe ipotizzare l’allungamento del termine previsto dall’articolo 1137 c.c. a sessanta giorni, decorrenti dall’assemblea – per i presenti dissenzienti – e dalla comunicazione, per gli assenti.

Vizi procedimentali

L’ultima considerazione da fare è quella relativa ai vizi procedimentali, che se non impugnati nei trenta giorni, non potranno più costituire, come lo erano stati per il passato, un’occasione, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo con il quale si chiedeva il pagamento degli oneri condominiali, per paralizzare con una nullità l’azione di recupero, fondando sul vizio della delibera posta a fondamento stesso della spesa effettuata, che veniva, ad es. per mancata convocazione dello stesso condomino che poi si oppone, ad essere artatamente sfruttata per interessi egoistici.
Questo nuovo indirizzo della Suprema Corte in materia di nullità e annullabilità delle delibere condominiali è stato confermato con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 4806/2005 (ed è tuttora valido vedi Cass. del 24/07/2012, n. 12930; Trib. Milano 26,02,2016 n. 2606; Ord. 05.10.2016 n. 19965). Essa costituisce un vero e proprio trattato sulla questione nullità-annullabilità delle delibere condominiali. Il motivo di detta decisione consiste nel fatto che il nuovo indirizzo giurisprudenziale (dal 2000 in poi) ogni tanto veniva disatteso da sentenze isolate della stessa Corte di Cassazione, da ciò la necessità di una sentenza resa a Sezioni Unite.
In particolare, tale sentenza ha evidenziato che i vizi dell’oggetto come causa di nullità sono ricollegati ai confini posti in materia di condominio al metodo collegiale ed al principio di maggioranza. Secondo la Corte “tanto l’impossibilità giuridica, quanto l’illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, considerato che la prima consiste nell’inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in concreto e che la seconda si identifica con la violazione delle norme imperative, cui l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione di diritti individuali.

Le delibere nulle

Per tali motivi il dettato di cui all’articolo 1137 c.c. va interpretato nel senso che, per deliberazioni contrarie alla legge, si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’articolo 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni di cui agli articoli 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.). Inoltre, le cause di nullità, afferente all’oggetto, raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla sostanza degli atti, alle quali l’ordinamento riconosce rilevanza e costituendo vizi gravi non sono soggette a termine di impugnazione.
Sono tali quelle:

  1. che sono state prese fuori dei poteri dell’assemblea;
  2. ovvero per le deliberazioni con oggetto impossibile, illecito o indeterminato.
  3. Sono inoltre inefficaci, e come tali attaccabili in ogni tempo, dai soli condòmini che ne risentono pregiudizio e non vi hanno aderito (nullità relativa), le deliberazioni che violano o ledono i diritti di alcuni o anche di un solo condomino sulle cose o sui servizi comuni o ne rendano difficile l’esercizio o lo disturbino sensibilmente.

La dottrina individua, altresì, ulteriori casi di nullità della delibera, quali:

  • l’eccesso di potere, allorquando la delibera stessa, ancorché non nulla, né inefficace, sia gravemente pregiudizievole alle cose o ai servizi comuni. L’annullabilità in sede giudiziaria di una delibera dell’assemblea dei condòmini per ragioni di merito, attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio, è configurabile soltanto nel caso di decisione viziata da eccesso di potere che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune (articolo 1109 c.c.). Il riscontro esercitato dall’autorità giudiziaria sotto l’anzidetto profilo non può mai riguardare il contenuto di convenienza ed opportunità della delibera, in quanto il giudice deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato di un legittimo esercizio dei poteri discrezionali della assemblea .
    L’eccesso di potere è ravvisabile quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso il giudice non controlla l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’assemblea.
  • L’incompetenza, quando l’assemblea non ha il potere di decidere (si pensi ad una decisione per lavori alla facciata presa in sede di supercondominio quando invece essa spetta alle assemblee dei singoli fabbricati) .
    Il condomino il quale abbia partecipato all’assemblea, anche se abbia espresso voto conforme alla deliberazione che si assume nulla, è legittimato a far valere la nullità solo che alleghi e dimostri di avervi interesse; cioè dimostri che la deliberazione, se non annullata, gli arrechi un qualche apprezzabile pregiudizio: da una parte, infatti, il principio di cui all’articolo 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse non risulta derogato dalle norme in tema di comunione o di condominio; dall’altra, la regola per la quale chi ha dato causa ad una nullità non può farla valere (articolo 157 c.p.c.) è propria della materia processuale, ma è estranea alla materia sostanziale, dove l’azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione di un atto nullo.
    Il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla formazione di detta delibera, può quindi impugnarla salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale obbligazione. Come è, appunto, affetta da nullità e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’articolo 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condominio che ponga a suo totale carico le spese del legale del condominio per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una sentenza che ne sancisca la soccombenza.

Una classificazione

Per cui volendo operare una classificazione, sono da considerare annullabili le delibere che decidono in violazione di:

  • regole sul procedimento di convocazione dell’assemblea;
  • regole sulla costituzione dell’assemblea;
  • regole sulla concreta ripartizione dei contributi condominiali;
  • norme sul funzionamento dell’assemblea (deleghe);
  • mancato raggiungimento dei quorum previsti per legge.

Sono invece da considerarsi radicalmente nulle le delibere:

  • contrarie a norme di ordine pubblico (penali, amministrative, fiscali);
  • prese al di fuori delle competenze dell’assemblea (es. al di fuori dell’oggetto parti comuni);
  • che ledano il diritto di uno o più condòmini (nullità relativa);
  • viziate da carenza di potere (quando quella composizione assembleare non è quella competente a deliberare, ad esempio: la delibera del supercondominio composto da più fabbricati che approva i lavori di rifacimento delle facciate; oppure la delibera di approvazione della pitturazione della scala A di un condominio composto da più scale, approvata in sede di assemblea generale di tutti i condomini del fabbricato).
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