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Tacco 12, gioie e dolori: il disturbo acustico da calpestio

  • Quotidiano Del Condominio
  • 9 ottobre 2018

[A cura di: ing. Fabrizio Mario Vinardi – Segretario Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino]

Il tacco, si sa, regala qualche centimetro di altezza e slancia, ma soprattutto dona una straordinaria sensualità ed eleganza all’incedere femminile. La scienza biomeccanica potrebbe spiegarci che è tutto merito della (innaturale) rotazione che viene imposta al bacino, che costringe il petto ad andare avanti e la vita ad andare indietro, rendendo davvero “sinuosa” la camminata.

Gli esperti di acustica in edilizia, invece, potrebbero spiegarci che il ticchettio prodotto dai tacchi ha messo a dura prova tanti e tanti solai e fatto litigare tanti e tanti vicini, ma non nel caso qui trattato: vediamo insieme il perché.

La normativa di settore

Anzitutto, occorre considerare la normativa di settore: in Italia siamo ancorati ad una normativa risalente ad oltre 20 anni or sono: il famoso Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o, in breve, DPCM, emanato il 05/12/1997 quale decreto attuativo delle “Legge quadro sull’inquinamento acustico” 26 ottobre 1995, n. 447. Nel frattempo, sono state emanate varie norme UNI (ricordiamo la UNI EN ISO 12354:2017) e prassi, ma non si tratta di indicazioni cogenti, bensì di norme che “fotografano” lo stato dell’arte e, quindi, fanno fede unicamente quale buona tecnica.

Il DPCM citato, notoriamente, contiene alcuni errori tecnici, che il Legislatore in oltre 20 anni non ha mai ritenuto di sanare; eppure è la norma in base alla quale tutt’oggi vengono verificati i requisiti acustici passivi degli edifici. In particolare, ogni edificio deve rispettare un certo livello minimo di isolamento acustico dai rumori esterni all’unità immobiliare, dai rumori generati dagli impianti a funzionamento continuo e discontinuo (dallo scarico di acqua nelle tubazioni agli impianti ascensore), nonché dai rumori di calpestio.

È ben vero che un mio caro amico, se non fosse stato per un solaio mal costruito dal punto di vista acustico e conseguente bisticcio con la vicina del piano di sopra, non avrebbe conosciuto la attuale moglie, ma questa è un’altra storia…

Liti in condominio

Il caso che vogliamo analizzare in questo articolo, al contrario di quello appena rappresentato, è sfociato in una causa giudiziaria per immissione di rumore, con richiesta al “disturbante”, da parte degli utilizzatori dell’appartamento “disturbato”, di inibire la creazione di rumore, oltre al ristoro dei danni patiti, quantificati da un medico legale per anni di terapie con psicofarmaci, irritabilità, cambi d’umore, ecc.

La cosa curiosa è che i vicini erano quelli di sempre; è vero che i figli erano un po’ cresciuti ed invitavano più spesso gli amici a casa, ma che cosa poteva aver provocato un così repentino aggravarsi delle immissioni acustiche?

Come sempre, le cause erano molteplici e quando il CTU nominato dal Tribunale si recò negli appartamenti per il primo dei due sopralluoghi, trovò che l’alloggio “disturbante”, abitato da una coppia di mezz’età con due figli adolescenti, si sviluppava su due livelli, ma la originaria scala a chiocciola era stata recentemente sostituita da una nuova scala a singola rampa, con i gradini ancorati direttamente alla parete divisoria dei due alloggi (senza interposizione di materiali antivibranti in grado di disaccoppiare il manufatto dalla muratura); inoltre, la ragazza adolescente con l’età aveva sviluppato la passione per i tacchi a spillo e si “esercitava” in camera propria (che era sovrapposta all’abitazione dei vicini, più avanti negli anni e senza figli) per imparare a camminare in modo disinvolto.

Le prove tecniche

Le prove fonometriche e vibrazionali eseguite hanno rivelato che non era il rumore da calpestio la immissione percepita (soggettivamente) come realmente disturbante, e questo a prescindere dai limiti imposti dal DPCM, bensì il percorrere la scala interna in discesa. Infatti, la discesa, salvo che non fosse eseguita con molta attenzione, creava una vibrazione che si trasmetteva attraverso la parete divisoria (lunga una decina di metri) e si ripercuoteva nell’appartamento vicino, con una immissione variabile da 43 a 55 dB(A) a seconda dell’attenzione con cui la scala veniva percorsa (da notare che 55 dB(A) è, in assoluto, un valore di intensità di rumore modesto, prossimo a quello che si crea nel lavoro d’ufficio).

Il vero problema consisteva nel fatto che la specifica zona fosse silenziosissima: il rumore di fondo misurato ha fornito un LAeq = 33,9 dB(A), con un percentile del 95% pari a 30,7 dB(A) ossia per il 95% del tempo di misura si è rilevato un valore di 30,7 dB(A), che in Letteratura è indicato come “ambiente silenzioso: rumore di fondo di una camera tranquilla di giorno a finestre chiuse”.

Risulta chiaro comprendere che il differenziale tra circa 31 e 55 dB(A) è elevatissimo, anche se va detto che la immissione dovuta alla salita/discesa della originaria scala a chiocciola non era più misurabile, ma certamente forniva un contributo di disturbo e quindi rendeva sicuramente inferiore il valore differenziale appena indicato.

Dal punto di vista tecnico, CTU e CTP hanno condiviso un protocollo d’intesa circa i lavori da eseguire, che, fondamentalmente, prevedeva di sostituire la scala presente con altro manufatto avente struttura autoportante in grado di scaricare il proprio peso e le sollecitazioni dinamiche della salita/discesa su idonei supporti antivibranti, identificando anche un potenziale fornitore, con risultato da valutare all’esito della realizzazione, tramite nuove prove fonometriche.

Quali conclusioni

In conclusione, si vogliono rimarcare tre punti importanti:

  • anzitutto, il fatto che l’intera vicenda era scaturita da una mancata progettazione acustica dell’intervento di sostituzione della scala, avvenuto all’interno di una ristrutturazione leggera dell’immobile;
  • secondariamente, che l’approccio conciliativo permette di risolvere con facilità (e minori costi) queste tipologie di controversie, in quanto la procedura giudiziaria è spesso evitabile;
  • infine, il fatto – ignorato dalla maggior parte dei non tecnici – che il dB o decibel (l’unità di misura utilizzata per i livelli di rumore) segue una scala logaritmica, per cui un incremento di 3 decibel corrisponde a un raddoppio dell’intensità di rumore; pertanto, da questo momento è bene evitare frasi del tipo “ma come, si lamentano per 1 solo dB in più”, perché tecnicamente errate: quel singolo decibel in più comporta un aumento di disturbo dell’ordine del 25%!
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  • Fabrizio Mario Vinardi
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