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SE I COSTRUTTORI VENDONO A TERZI UN’AREA DESTINATA A PARCHEGGIO CONDOMINIALE

  • Redazione
  • 7 ottobre 2015

Nel caso in cui più acquirenti di singole unità immobiliari facenti parte dello stesso edificio agiscano congiuntamente per far valere il vincolo di destinazione delle porzioni di fabbricato da riservare a parcheggio a norma dell’art. 18 della legge 6-8-1967 n. 765, sono dedotti in giudizio i distinti diritti di ognuno, non collegati tra loro se non dall’identità del titolo (legale) da cui derivano, sicché si verte in una ipotesi di litisconsorzio tipicamente facoltativo, e non occorre quindi che al giudizio partecipino necessariamente tutti gli altri condòmini. È quanto riaffermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 13414 del 30 giugno 2015, di cui riportiamo un estratto.

——————-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. II civ., sent. 30.6.2015,

n. 13414

——————-

(omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Per ragioni di carattere logico-giuridico è opportuno esaminare anzitutto il terzo motivo di ricorso con il quale i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 41-sexies della L. 17- 8-1942 n. 1150 introdotto dalla L 6-8-1967 n. 765 e 26 ultimo comma della L. 17-3-1985 n. 47 in relazione agli artt. 1102 c.c. e 102 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che nella fattispecie sussisteva un litisconsorzio necessario tra tutti i condòmini in relazione alle domande proposte dagli esponenti. 

I ricorrenti assumono che la domanda da essi proposta nei confronti dei costruttori-venditori e degli acquirenti del locale magazzino-autorimessa al piano seminterrato con accesso da via …, aveva già come presupposto l’avvenuto trasferimento ai B. della proprietà dell’area che i costruttori medesimi avevano destinato permanentemente a parcheggio dei condòmini dell’edificio in forza degli atti d’obbligo con il Comune di Roma, in quanto quell’area era “parte del locale” di loro proprietà venduto ai B.-N.; la domanda era invece diretta a rivendicare il diritto reale d’uso dell’area medesima che, in contrasto con la destinazione pubblicistica che imponeva, con norma imperativa ed inderogabile, un vincolo permanente di destinazione a parcheggio a favore dei condòmini, non era stata messa a loro disposizione negli atti di compravendita degli appartamenti, ma era stata trasferita in piena ed esclusiva proprietà ai coniugi B.-N., facendo così venir meno la relazione funzionale tra lo spazio destinato a parcheggio e le unità immobiliari acquistate, e rendendo nulli “in parte qua” i contratti di trasferimento per contrasto con norma imperativa violata, in forza del principio sancito dall’art. 1419 secondo comma c.c., costituente diretta applicazione del principio di cui all’art. 1374 c.c.; orbene tale diritto d’uso, investendo il bene rivendicato nella sua interezza, poteva essere fatto valere da ciascuno dei condòmini nell’interesse generale del condominio ai sensi dell’art. 1102 c.c.; pertanto, non essendovi contrasto né sulla proprietà dell’area destinata a parcheggio, né sul diritto d’uso comune sull’area medesima, non sussisteva alcun obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condòmini dell’edificio. 

I ricorrenti ritengono infondato anche l’ulteriore motivo addotto dalla sentenza impugnata a sostegno del proprio convincimento, ovvero che i convenuti avevano rivendicato il diritto a farsi riconoscere un corrispettivo per l’uso dell’area da parte degli altri condòmini; invero detto corrispettivo sarà riconosciuto, come prestazione addizionale che trova titolo nella compravendita della propria unità immobiliare, da quei condòmini che utilizzeranno l’area, a prescindere dalla loro partecipazione al giudizio. 

Il motivo è fondato. 

La Corte territoriale, nel ritenere la sussistenza nella fattispecie di un litisconsorzio necessario tra tutti i condòmini del condominio di via … in Roma, non ha tenuto conto della effettiva natura della domanda introdotta nel giudizio dagli attuali ricorrenti, limitata al riconoscimento del loro diritto d’uso sull’area destinata a parcheggio, non avendo essi chiesto affatto l’accertamento di un loro diritto di comproprietà sull’area stessa, che invero viene pacificamente riconosciuta come oggetto di comproprietà da parte del B. e della N.; del resto la sentenza del giudizio di primo grado del Tribunale di Roma, in puntuale accoglimento della domanda attrice, aveva dichiarato la destinazione a parcheggio dell’area risultante dalle planimetrie allegate all’atto d’obbligo intervenuto tra i costruttori dell’edificio condominiale ed il Comune di Roma, omettendo qualsiasi statuizione sulla proprietà dell’area stessa, non oggetto di contestazione tra le parti. 

Alla luce di tale necessaria premessa di ordine processuale, occorre richiamare l’orientamento consolidato di questa Corte, in ordine al quale non si ravvisano ragioni per dissentire, secondo il quale, nel caso in cui più acquirenti di singole unità immobiliari facenti parte dello stesso edificio agiscano congiuntamente per far valere il vincolo di destinazione delle porzioni di fabbricato da riservare a parcheggio a norma dell’art. 18 della legge 6-8-1967 n. 765, sono dedotti in giudizio i distinti diritti di ognuno, non collegati tra loro se non dall’identità del titolo (legale) da cui derivano, sicché si verte in una ipotesi di litisconsorzio tipicamente facoltativo ai sensi dell’art. 103 c.p.c., e non occorre quindi che al giudizio partecipino necessariamente tutti gli altri condòmini (Cass. 30-10-2007 n. 22889; nello stesso senso Cass. 11-3-1995 n. 2858; Cass. 1-4-1999 n. 3121; Cass. 9-8-2001 n. 10999). 

Tali conclusioni non possono poi essere infirmate dal rilievo riguardante il corrispettivo dovuto a titolo di integrazione del prezzo di vendita della singola unità immobiliare per l’uso a parcheggio della suddetta area, posto che il relativo obbligo resta logicamente a carico soltanto di quei condòmini che hanno agito per il riconoscimento del diritto d’uso in questione. 

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 307 ultimo comma c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver accolto l’eccezione degli appellanti di estinzione del giudizio, nonostante detta eccezione fosse stata intempestiva ed anche irrituale. 

Sotto il primo profilo i ricorrenti assumono che le controparti, invece che sollevare detta eccezione nella prima difesa successiva all’evento estintivo, dopo il deposito in cancelleria in data 6-2-2001 dell’atto di integrazione del contraddittorio, quindi all’udienza del 5-4-2001, fissata dal giudice proprio per l’esame dell’avvenuto adempimento processuale, si erano limitati a chiedere rinvio per “verificare l’esattezza dell’integrazione del contraddittorio e per esame delle comparse dei chiamati in causa costituiti oggi”, nulla aggiungendo anche quando la causa, ritenuta matura per la decisione, era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. 

Inoltre detta eccezione, formulata nelle conclusioni precisate all’udienza del 27-4-2001 e poi reiterate all’udienza dell’8-7-2002 nei seguenti termini: “Dichiarare per quanto eventualmente di ragione agli effetti dell’art. 307 c.p.c. l’estinzione del processo …”, non era stata fatta valere in via pregiudiziale rispetto alle altre eccezioni, e quindi con forza assorbente riguardo a queste ultime; tale rilievo era confortato dall’esame dell’atto di appello, laddove l’eccezione di estinzione del giudizio era stata introdotta nel secondo motivo di gravame, posposta alla eccezione di prescrizione dedotta nel primo motivo; d’altra parte la statuizione della sentenza di primo grado, che aveva disatteso tale eccezione, non era stata oggetto di alcuna censura. 

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. anche in collegamento con l’art. 346 c.p.c., sostengono che la Corte territoriale, nel ritenere estinto il giudizio per effetto della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condòmini, si è pronunciata su di una questione ormai estranea al giudizio stesso, non avendo gli appellanti espresso alcuna censura alla sentenza del Tribunale che, revocando la sua precedente ordinanza, aveva statuito la non necessarietà di detta integrazione, non rinvenendosi nulla di specifico in tal senso nel secondo motivo di appello. 

Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 41-sexies della L. 17-8-1942 n. 1150 come introdotto dall’art. 18 della L. 6-8-1967 n. 765 e 26 ultimo comma della L. 17-3-1985 n. 47 in relazione all’art. 307 ultimo comma c.p.c., affermano che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, il diritto d’uso del parcheggio che sorge dal vincolo pubblicistico impresso dalle norme sopra menzionate, opera per legge soltanto a favore dei proprietari delle singole unità abitative, e non anche dei proprietari dei negozi. 

Inoltre i ricorrenti sostengono che la lettura del regolamento del condominio di via … dimostra chiaramente che tra le pertinenze del condominio stesso non rientra l’area vincolata a parcheggio, per il fatto che essa costituisce parte integrante di quel locale magazzino-autorimessa con accesso da apposita rampa ubicata al civico n. … indicato specificamente, nel verbale di deposito del regolamento negli atti del notaio G. precedente la vendita, quale unità immobiliare che compone, unitamente alle altre pure indicate, il fabbricato costruito da F.F. e V.F., e che, per ciò stesso, era di proprietà esclusiva di questi ultimi, e non apparteneva, neppure per presunzione, alla proprietà condominiale. 

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento del terzo motivo. 

In definitiva quindi la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame del merito della controversia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che provvederà anche alla pronuncia sulle spese del presente giudizio. 

P.Q.M. 

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. 

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