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PARCHEGGIO CONDOMINIALE: È NULLA LA CLAUSOLA CHE LO RISERVA AL COSTRUTTORE

  • Redazione
  • 3 novembre 2015

Una disputa relativa all’assegnazione dei posti auto condominiali, che la società costruttrice dell’immobile aveva cercato di riservare per sé mediante un’apposita clausola inserita nei singoli atti di compravendita degli appartamenti. Ecco come si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza 20489 del 13 ottobre 2015, di cui riportiamo un estratto.

—————–

CORTE DI CASSAZIONE

sez. II civ., sent. 13.10.2015,

n. 20489

—————–

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

l) Con sentenza del 2004, il tribunale di Roma, in accoglimento della domanda formulata da numerosi condòmini di edifici siti in Roma via … contro la spa S. (divenuta poi S. sas) ha dichiarato la nullità di una clausola apposta sui singoli atti di compravendita degli appartamenti. 

Il tribunale, oltre a ritenere illegittima la clausola con cui la società costruttrice si era riservata la proprietà e l’uso dell’area destinata a parcheggio, ha dichiarato la nullità della vendita della nuda proprietà dell’area a N. spa. 

Ha stabilito il corrispettivo del diritto reale d’uso dell’area. 

La Corte di appello di Roma con sentenza 4 febbraio 2010 ha confermato l’importo del corrispettivo; in parziale riforma della sentenza di primo grado ha condannato la S. a eseguire a sua cura e spese i lavori di adeguamento parcheggio dell’area con i relativi accessi per i posti auto degli attori. 

Ha dichiarato legittima la vendita della nuda proprietà, salvo il rispetto del vincolo pubblicistico di destinazione. 

Ha condannato S. al pagamento delle spese di lite. 

Il tempestivo ricorso di quest’ultima, notificato il 17 novembre 2010, è stato resistito da 34 appellati, con controricorso illustrato da memoria. 

N. spa è rimasta intimata. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

2) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 114, 115 c.2, 132 c.p.c. e 1226 c.c.. 

Esso si riferisce al prezzo dell’area da adibire a parcheggio, che è stato definito dal giudice di primo grado, per ogni posto macchina, nel 5% del costo di un singolo appartamento, valutazione confermata dalla Corte di appello. 

Parte ricorrente, premesso che il ricorso al criterio equitativo indicato dal tribunale non poteva essere quello di cui all’art. 114 c.p.c., in mancanza di richiesta delle parti, deduce che è stato usato il disposto dell’art. 1226 c.c..

Lamenta che tale criterio non poteva essere utilizzato; che è stato fatto ricorso indebito al criterio del notorio; che il giudice, mancando di specifiche conoscenze nel settore immobiliare, avrebbe dovuto far ricorso ad una consulenza tecnica. 

La censura è infondata. 

La Corte di appello, senza indicare di far ricorso a criteri equitativi ha preso in esame il valore del posto macchina indicato dal tribunale e lo ha ritenuto congruo. 

Ha considerato il prezzo di mercato di 20.000 euro indicato dall’appellante per l’epoca del gravame e ha ritenuto che bene aveva fatto il primo giudice ad ancorarsi ad un valore di mercato oggettivo, quale fornito da una percentuale del prezzo pattuito per ogni singolo appartamento, previa successiva rivalutazione. 

Vi è stata quindi risposta logica e insindacabile, trattandosi di apprezzamento di merito nel quale la Corte di legittimità non può sostituirsi. 

Sarebbe possibile censurarlo, se fossero state dedotte circostanze decisive, idonee a dimostrare in concreto la erroneità del risultato esposto dal giudice di appello. 

Nulla di tutto ciò si legge in ricorso e anche l’invocazione di una consulenza è del tutto astratta e rituale. 

Parte ricorrente avrebbe potuto, nel corso dell’intero giudizio di merito, dimostrare che il prezzo corrente dei posti macchina di cui le spettava il controvalore era maggiore di quello poi fissato dal primo giudice, documentando o almeno allegando gli elementi consueti in questi casi: rogiti di vendita di beni analoghi, risultanze pubblicitarie del mercato immobiliare, perizie degli Uffici tecnici erariali, sentenze tributarie relative al valore dei beni. 

L’operato della Corte d’appello è quindi immeritevole di critica. 

3) Il secondo motivo lamenta che sia stato omesso nella parte dispositiva della sentenza ogni riferimento alla circostanza che sussiste il diritto di S. a riscuotere la somma che i singoli proprietari degli appartamenti devono versare quale corrispettivo del diritto reale d’uso dei posti macchina. 

La doglianza è inammissibile per due ragioni. 

La prima è la carenza di interesse, giacché nella parte motiva della sentenza si dà atto dell’obbligo di effettuare il trasferimento “previo versamento del relativo prezzo”. 

La stessa parte resistente ha dato atto (in controricorso, pag. 9) che il contenuto recettivo della sentenza de qua è ricavabile anche dalla parte motiva. 

3.1) La seconda ragione attiene alla formulazione del quesito di diritto, del tutto astratta e tautologica. Per quanto si tratti di argomento aggiuntivo, va rilevata la inammissibilità ex art. 366 c.p.c. (si vedano per utili riferimenti, Cass. SU 20603/07; Cass. 7197/09; 80/11; SU 21672/13; 

Cass. 10758/13). 

4) Il terzo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per ultrapetizione e lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. 

Anche in questo caso si deve rilevare l’assoluta genericità del quesito di diritto, che rende inammissibile il motivo in virtù della norma dianzi citata, ancora applicabile nella specie (Cass. 26364/09). 

Il motivo è inammissibile e comunque infondato, anche per altra ragione, prontamente rilevata in controricorso: non corrisponde alla situazione processuale denunciata. 

Espone che il tribunale aveva riconosciuto il diritto della società di scegliere se eseguire i lavori di adattamento dell’area a sua cura e spese o consegnare l’area parcheggio nello stato di fatto, subendo l’onere delle spese effettuate dagli attori per l’adattamento. 

Lamenta che la Corte di appello avrebbe fatto venir meno questa facoltà di scelta senza che vi fosse stata istanza alcuna in tal senso. 

La doglianza tace però la circostanza che in atto di appello S. aveva lamentato con successo che solo alcuni degli acquirenti degli appartamenti avevano diritto al posto macchina, in quanto attori, facendo rilevare che l’area corrispondente non rivendicata doveva restare nella sua disponibilità e che per conseguenza era erronea la sentenza in ordine ai lavori da eseguire (appello pag. 8). Si era soffermata sull’entità dei lavori e in conclusioni aveva chiesto che il rilascio dell’area fosse disposto, circoscritto agli aventi diritto, “previ lavori eventualmente necessari”. 

Era dunque in facoltà del giudice di appello riesaminare la domanda relativa ai posti macchina alla luce della doglianza e pronunciarsi, almeno per la parte essenziale, sulle modalità esecutive (i lavori) che sono l’oggetto del terzo motivo di ricorso nel modo ritenuto più conveniente in relazione all’importante ridimensionamento della pronuncia di condanna che è stato sancito in accoglimento del motivo di appello. 

5) È da rigettare anche l’ultimo motivo di ricorso, relativo alla liquidazione delle spese. 

La S. lamenta che non sia stata disposta la compensazione delle spese, sebbene vi fosse stato “il riconoscimento di parte del gravame”. 

La censura è manifestamente infondata, perché la reciproca soccombenza non impone al giudice di merito la compensazione, ma solo la consente, avuto riguardo all’esito complessivo del giudizio. 

Nella specie la Corte di appello ha ritenuto soccombente maggiormente la S., perché l’ha condannata senz’altro a sostenere l’onere delle spese. 

Considerato l’esito complessivo della lite, al quale soltanto doveva aver riguardo (Cass.6522/14), che ha visto il riconoscimento del diritto al posto macchina e il rigetto delle doglianze di S. relative al controvalore, la decisione è incensurabile in relazione ai principi normativi vigenti. 

Al giudice dell’esecuzione spettano le questioni relative all’interpretazione dell’eventuale riparto tra i vincitori della pronuncia di condanna sulle spese, questione non posta nel quesito. 

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. 

PQM 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 8.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso delle spese generali. 

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