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CONDOMINIO: DISTANZA MINIMA DELL’ASCENSORE ESTERNO DA UN CORSO D’ACQUA

  • Redazione
  • 18 ottobre 2016

Nel valutare la distanza minima tollerabile di un ascensore esterno condominiale dall’alveo di un corso d’acqua, occorre valutare se il ruscello sia ancora affiorante o, piuttosto, combinato, come nella fattispecie. Ecco la singolare vicenda sulla quale la Corte di Cassazione si è espressa con la sentenza 19066 dello scorso 28 settembre, di cui riportiamo un estratto.

—————-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. Un. Civ., sent. 28.9.2016,

n. 19066

—————-

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il condominio … ha impugnato innanzi al TSAP (Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, ndr) la nota del 24 maggio 2012 con la quale la Provincia di Latina aveva comunicato il mancato accoglimento della istanza volta ad ottenere l’autorizzazione a collocare, sulla facciata dell’edificio condominiale, prospiciente il letto del torrente …, una struttura esterna contenente un ascensore per consentire a soggetti disabili o anziani di raggiungere i piani superiori; il TSAP ha respinto il ricorso rilevando la natura inderogabile dei limiti stabiliti dall’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 – per cui ogni edificio avrebbe dovuto distare non meno di 10 metri dall’alveo di qualunque corso d’acqua – stabilendo di conseguenza la irrilevanza: del fatto che il corso d’acqua fosse da tempo “tombinato”; della circostanza che la struttura contenente l’ascensore fosse a servizio di un edificio che, già di per sé, era posto a distanza inferiore a 10 metri dal fosso; della considerazione della subvalenza degli interessi tutelati dalla legge 104 del 1992 – nella parte in cui si tendeva alla eliminazione delle c.d. barriere architettoniche.

2. Il condominio ha fatto valere tre motivi di cassazione; (omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE

(omissis)

2. Con il primo motivo viene denunciata la violazione dei limiti applicativi dell’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 contestandosi l’esistenza di un consolidato orientamento interpretativo di legittimità – come invece affermato dal TSAP – in base al quale neppure la perdita dell’originaria funzione dell’alveo, farebbe venir meno il vincolo di inedificabilità al di sotto di dieci metri dal corso d’acqua o dal suo letto; viene contrapposta la decisione delle Sezioni Unite n. 12271 del 2004 nonché Cass. n. 807 del 1978 e 5644 del 1979).

3. Con il secondo motivo si fa valere l’esistenza di una motivazione erronea ed illogica, nonché una omessa valutazione del materiale istruttorio in cui sarebbe incorso il TSAP allorché aveva fatto rientrare nel divieto di cui al citato art 96 – che riguarda solo le costruzioni – anche un mero volume tecnico quale doveva ritenersi l’ascensore.

4. Con il terzo motivo – intestato “omessa istruttoria per omessa valutazione dell’ininfluenza dell’impianto rispetto all’opera di scolo” – si sollecita un esame delle risultanze della CTU dalle quali sarebbe emerso il posizionamento della base dell’ascensore ad un livello più basso rispetto al fondo del canale tombinato.

5. È fondato il primo motivo laddove parte ricorrente sollecita una rinnovata valutazione dei limiti applicativi dell’art 96 del TU sulle opere idrauliche, affermando la rilevanza decisiva da attribuire all’attualità della presenza di un flusso idrico scorrente nell’alveo – al fine di parametrare la distanza minima da mantenere dallo stesso – dovendosi , all’uopo, dar rilievo allo scopo per il quale il legislatore ha determinato la inedificabilità assoluta, prevista dalla norma; contesta altresì che si sia formato un contrario indirizzo interpretativo.

5.a. Va sul punto messo in rilievo che intanto può affermarsi il consolidarsi di una interpretazione giurisprudenziale – al fine di mantenere una ortodossa linea decisionale -, in quanto la fattispecie in esame sia sovrapponibile a quelle che avevano portato a siffatto orientamento: dalla lettura delle richiamate decisioni emerge invece che in esse non era stata esaminata la contemporanea ricorrenza di una riferita pluridecennale assenza del flusso idrico e della “tombinatura” dell’alveo: va allora data continuità argomentativa a Cass. S.U. n. 12271/2004 secondo la quale, solo l’attuale presenza di una massa d’acqua pubblica (o, aggiungasi, la verosimile ricostituzione della stessa per eventi naturali), rappresenta la condizione per affermarsi la perdurante operatività del divieto di costruire a meno di dieci metri dall’alveo.

5.a.1. Ricostruiti così i limiti applicativi dell’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 la causa va rinviata al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in diversa composizione, per nuovo esame, anche dei restanti motivi di ricorso, qui dichiarati assorbiti, nonché per la regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa l’impugnata decisione nei limiti del motivo accolto e rinvia innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche – in diversa composizione – anche per la ripartizione dell’onere delle spese del giudizio di legittimità.

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