[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – Avvocato in Pisa]
Considerato che la natura del condominio non è stata definita dal legislatore, questo è stato definito dalla giurisprudenza e dalla dottrina come un ente di gestione. E, in realtà, il condominio presenta alcune analogie rilevanti sia con la comunione sia con gli enti collettivi. Con la prima ha in comune il diritto di comproprietà dei beni condominiali, con i secondi ha in comune gli organi deliberativo, l’assemblea, ed esecutivo, l’amministratore.
La rappresentanza dell’amministratore
La giurisprudenza lo ha sempre definito un ente di gestione, definizione non condivisa dalla dottrina, ma, dopo la riforma intervenuta con la legge 11 dicembre 2012 n. 220, le Sezioni Unite della Cassazione gli hanno riconosciuto la soggettività giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 16 settembre 2014, n. 19663).
Il contratto che s’instaura tra l’amministratore e i condòmini è stato definito dal legislatore, solo con la citata legge n. 220/2012, un mandato, seppure, devo ritenere, ancora sui generis. Infatti, quest’ultimo contratto è fondato sulla fiducia che il mandante nutre nei confronti del mandatario, mentre l’amministratore di condominio agisce e opera anche a favore di coloro che non lo hanno votato, perché assenti all’assemblea di nomina o subentrati nella proprietà ad altro condomino nel corso della gestione annuale, e, addirittura, di coloro che hanno votato contro la sua nomina a tale carica.
Il legislatore, oltre a stabilire l’obbligatorietà della nomina dell’amministratore qualora il condominio sia composto da oltre quattro condòmini, ne dispone i poteri di gestione e fornisce all’amministratore la rappresentanza del condominio stesso. La rappresentanza dell’amministratore è sostanziale e processuale e, dunque, può sia sottoscrivere i contratti nell’interesse del condominio, ad esempio quelli per la fornitura del gas da riscaldamento o per l’appalto della pulizia delle parti comuni dello stabile, sia stare in giudizio nelle cause che vedono coinvolto il condominio.
La rappresentanza processuale è sia attiva – allorché sia il condominio a promuovere un procedimento giudiziario – sia passiva, allorché questo sia radicato nei confronti del condominio. Considerato che il condominio agisce giudizialmente per la difesa dei diritti inerenti ai beni comuni mediante il suo amministratore, sussiste in capo a ciascun condomino il potere di agire per la tutela dei beni de quibus; infatti, vi è una legittimazione concorrente dei singoli condòmini per agire a tutela dei diritti comuni (Cass. civ., Sez. II, 4 settembre 2014, n. 18687).
L’amministratore può agire in giudizio autonomamente, se l’azione è coerente con i poteri al medesimo concessi dalla legge, anche se è, pur sempre, opportuna una preventiva autorizzazione dell’assemblea, per esempio, per far cessare le attività, vietate da una clausola contrattuale del regolamento, attuate da un condomino; per contro, se tale azione ecceda i suoi poteri, necessita sempre dell’autorizzazione assembleare, per esempio, per proporre una domanda petitoria per rivendicare la proprietà di un’area occupata dal proprietario del fondo vicino.
La delibera in cui si autorizza l’amministratore a radicare un giudizio deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentanti almeno la metà del valore dell’edificio ai sensi dell’art. 1136, IV comma, codice civile. La facoltà dell’amministratore, di rappresentare processualmente il condominio, non può essere limitata da alcuna delibera condominiale e neppure da una clausola di un regolamento di condominio, considerato che l’art. 1131 codice civile è una norma inderogabile per espresso disposto dell’art. 1138 codice civile. Considerato che la rappresentanza processuale dell’amministratore è inderogabile, il concorrente potere di ogni singolo condomino di intervenire in giudizio costituisce un mero intervento ad adiuvandum. Salvo espressa disposizione contraria, l’autorizzazione concessa dall’assemblea all’amministratore di adire le vie giudiziarie è valida per tutti i gradi del giudizio e anche nell’eventuale fase esecutiva.
La rappresentanza passiva dell’amministratore è, invece, illimitata e ciò per favorire i terzi che intendano citare il condominio, potendo questi notificare l’atto di citazione solo all’amministratore e non a tutti i condòmini indistintamente. Nell’ipotesi il condominio sia privo di amministratore, l’azione del terzo deve invece essere notificata a tutti i condòmini.
Qualora l’atto di citazione inerisca ad una materia che travalica i suoi poteri, l’amministratore deve convocare l’assemblea per farsi autorizzare a stare in giudizio, potendo, in caso contrario, essere revocato dal mandato ex art. 1131, ultimo comma, codice civile. Per contro, l’amministratore difetta di legittimazione attiva allorché la controversia giudiziaria inerisca ai diritti reali dei singoli condòmini o i loro rapporti contrattuali, quale la contestazione di un diritto di proprietà o la modifica delle clausole contrattuali del regolamento di condominio (Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 2008, n. 12850).
In sostanza, l’amministratore ha la rappresentanza attiva per radicare autonomamente, senza delibera assembleare, tutte le azioni che rientrano nel concetto di atti conservativi dei diritti concernenti i beni comuni, purché ricompresi nel perimetro dell’immobile costituito in condominio, ivi comprese le azioni cautelari (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4503). Il potere autonomo dell’amministratore, però, è limitato alla tutela della conservazione, giuridica e materiale, delle cose condominiali, e non si estende alle obbligazioni che, per contro, riguardano direttamente i condòmini; quindi l’amministratore è legittimato a promuovere l’azione nei confronti del costruttore per contestare i gravi difetti delle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1669 codice civile, essendo il condominio avente causa dell’appaltatore (Cass. civ., Sez. II, 1 agosto 2006, n. 17484), mentre non può radicare alcuna azione per far valere la garanzia per i vizi della cosa venduta ai sensi dell’art. 1490 codice civile, pur concernenti le parti comuni dello stabile, essendo legittimati personalmente i singoli condòmini, quali unici contraenti, acquirenti, del contratto di compravendita delle parti comuni in esame. Né rientra, nel potere dell’amministratore, neppure l’agire per conseguire il risarcimento dei danni patiti dai condòmini.
Viceversa, la legittimazione passiva dell’amministratore è illimitata (Cass. civ., Sez. II, 20 settembre 2012, n. 15838), anche se circoscritta ai soli beni condominiali, in contrapposizione agli interessi particolari dei singoli condòmini. Da quanto dedotto deriva che la legittimazione passiva dell’amministratore inerisce alle cause che riguardano sia i diritti reali sia i rapporti obbligatori del condominio, inteso questo anche nel senso che una o più parti o qualche impianto dell’edificio appartengano esclusivamente ad alcuni condòmini e non a tutti (Cass. civ., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363).
Per tutti i motivi sopra esposti, la legittimazione passiva, come quella attiva, permane in tutti i gradi del giudizio, consentendo all’amministratore di impugnare le sentenze sfavorevoli al condominio. Qualora l’amministratore sia citato in giudizio per una causa che esorbiti dai suoi poteri ex lege, ugualmente ha la rappresentanza passiva del condominio, ma, ut supra dedotto, deve informarne subito l’assemblea, affinché questa, ove lo ritenga opportuno, possa integrare i poteri de quibus, ai fini della regolare costituzione in giudizio del condominio. In entrambe le fattispecie analizzate, l’amministratore deve conferire al legale del condominio, sia che venga incaricato direttamente dal medesimo, sia che venga indicato dall’assemblea, una rituale procura alle liti che consenta al magistrato di comprenderne esattamente la provenienza; l’amministratore, infatti, deve dimostrare tale sua carica.
Qualora poi lo stesso non sia confermato e venga nominato un altro soggetto, il giudizio non s’interrompe, in quanto l’art. 299 codice procedura civile inerisce alle sole ipotesi di rappresentanza legale, mentre il rapporto che si instaura tra condomini e amministratore è fondato su base volontaria (Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25251).
Le azioni possessorie
Tra le azioni per le quali l’amministratore può stare in giudizio anche senza autorizzazione del condominio, vi sono quelle a tutela del possesso che consistono in: a) azione di reintegra ex art. 1168 codice civile; b) azione di manutenzione ex art. 1170 codice civile (Cass. civ., Sez. II, 15 maggio 2002, n. 7063). Il possesso è costituito dal potere di fatto esplicato su una cosa che si manifesta in un’attività corrispondente a quella attuata per l’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 codice civile); nel caso di violazione di un siffatto potere, indipendentemente dall’aspetto psicologico, quindi, dell’autore dello spoglio, è sufficiente provare l’avvenuta turbativa del possesso.
Costituisce turbativa del possesso anche l’attività del compossessore che comporti un’innovazione della cosa comune, tale da modificarne sensibilmente le modalità d’uso (Cass. civ., Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10624). Infatti, in un giudizio possessorio devono essere fornite soltanto le prove del possesso e della intervenuta sua turbativa (Cass. civ., Sez. II, 11 gennaio 2016, n. 233). Trattasi, quindi, esclusivamente della prova del fatto storico dell’esistenza del precitato potere sulla cosa, oggetto dello spoglio (Cass. civ., Sez. II, 20 maggio 2008, n. 12751). Infatti, l’accertamento della situazione di fatto è del tutto indipendente dalla sussistenza di un diritto reale sul bene, dovendo il denunciante provare solo il suo esercizio dello jus possessionis.
La prova del possesso deve, ovviamente, essere fornita dall’attore che agisce con l’azione di spoglio o con quella di manutenzione e questi può radicare l’azione soltanto per recuperare il bene oggetto di spoglio ovvero anche per conseguire coattivamente il risarcimento dei danni patiti. L’azione possessoria può essere esercitata entro un anno dall’intervenuta turbativa o dall’avvenuto spoglio ex art. 1168 codice civile e anche per questa fattispecie, sia dall’amministratore del condominio sia da ciascun condomino; il dies a quo, nel caso di una pluralità di atti di turbativa, decorre dal compimento del primo atto lesivo del possesso (Cass. civ., Sez. II, 10 marzo 2008, n. 6305).
Possono costituire violazione del possesso, ad esempio:
L’occupazione del parcheggio da parte di terzi, costituisce certamente uno dei più frequenti spogli delle parti comuni del condominio che consentono all’amministratore di esercitare l’azione di reintegrazione nel possesso, anche se il parcheggio dei condòmini avviene su un’area di proprietà extra condominiale, destinata, però, ad uso del condominio con un vincolo urbanistico ad hoc (Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2007, n. 16631).