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Federconsumatori: allarme per le bollette alle stelle

In tanti, da tutta Italia, si stanno rivolgendo agli sportelli di Federconsumatori per avere assistenza e verificare gli importi, in alcuni casi più che decuplicati, delle loro bollette di energia.

Un caso eclatante è quello di un cittadino modenese di 95 anni, che ha ricevuto dal fornitore una bolletta del gas di 3.116,62 euro per il bimestre novembre-dicembre 2023. Un aumento assolutamente spropositato, che è arrivato in maniera del tutto inaspettata: non aveva ricevuto, infatti, alcuna comunicazione e si è accorto della modifica tariffaria soltanto con l’arrivo della maxi-bolletta. Ora teme per la prossima, relativa ai consumi di gennaio-febbraio, che con tutta probabilità sarà ancora più alta.

Altri casi a Piacenza, con un utente che in cinque mesi si è visto recapitare ben 3 bollette dell’energia elettrica dall’importo complessivo di oltre 1.600 euro. Importi piuttosto esosi, soprattutto perché il cittadino interessato aveva chiesto una modifica del proprio contratto per ottenere tariffe più vantaggiose. Peccato che il gestore, senza fornire comunicazione alcuna, avesse respinto non solo la modifica contrattuale, ma anche il sollecito effettuato dall’utente, che quindi continuava a pagare con la vecchia “cara” tariffa. Ancora a Piacenza, la Congregazione delle Suore della Provvidenza per l’infanzia abbandonata ha ricevuto una bolletta del riscaldamento di oltre 13mila euro.

Gli aumenti vertiginosi non risparmiano nessuna area del Paese: ad esempio, si è rivolta agli sportelli di Federconsumatori una cittadina di Napoli, che si è ritrovata a pagare al suo fornitore ben 750 euro di costi fissi annui sull’energia elettrica e altrettanti 750 per il gas, in aggiunta alla fatturazione dei consumi.

Questo situazione, scrive Federconsumatori in una nota “è l’esempio di una strategia molto utilizzata dalle aziende, che puntano a far sottoscrivere, soprattutto telefonicamente, dei contratti a prezzo variabile (indicizzati in base al Pun per l’elettricità e al Psv per il gas), ma poi “ricaricano” in bolletta cifre improponibili sui costi fissi, che, per di più, non sono nemmeno indicati chiaramente in bolletta”.

“In generale – precisa Federconsumatori – è una situazione intollerabile, che non farà che peggiorare con l’abolizione del mercato tutelato anche nel settore elettrico, dal prossimo luglio, determinando così quel che appare un vero e proprio far west delle tariffe, mentre i cittadini sono lasciati in balia di abusi e aumenti incontrollati, spesso furbescamente perpetrati dalle troppe aziende che operano nel nostro mercato, alcune delle quali con pratiche corsare”.

Prosegue la nota: “Rivolgiamo un appello urgente al Governo, al Parlamento e ad Arera affinché intervengano subito per porre fine ai soprusi: è ora di finirla con la concezione di una regolamentazione del mercato che si pone come unico parametro il problema della concorrenza tra imprese, abbandonando il tema della tutela del consumatore. Non è accettabile che gli utenti vengano messi in crisi economica per gli smodati appetiti speculativi di aziende a cui viene lasciata mano libera. L’energia non è un bene di consumo voluttuario, ma un bene comune fondamentale, il cui accesso va garantito a tutti in condizioni sostenibili, perché attraverso di essa si realizzano diritti di cittadinanza. A questo servono gli strumenti e le autorità di regolazione di quello che è un mercato particolare soggetto a regolamentazione specifica, non a stabilire le forme di presidio dei profitti privati di operatori qualsiasi”.

Diverse strutture territoriali di Federconsumatori stanno avviando in questi giorni delle cause legali a tutela dei consumatori e, a livello nazionale, l’Associazione sta supportando diverse azioni inibitorie nei confronti di alcune aziende, alle quali si contestano modalità di comunicazione agli utenti delle variazioni dei prezzi, da esse unilateralmente praticate, che appaiono arbitrarie e che vanno impedite e sanzionate.

Il ricorso al giudice, in assenza di altri interventi normativi, sarà necessario per porre rimedio, ad esempio, alla pretesa di imporre al cliente la dimostrazione d’aver ricevuto dall’impresa fornitrice la comunicazione di variazione del contratto attraverso una corrispondenza ordinaria, neppure tracciabile, e di averne, inoltre, contestato i contenuti entro 10 giorni, per poter pretendere il rispetto delle condizioni contrattuali precedenti: una modalità “diabolica” che ha trovato, purtroppo e paradossalmente, proprio nell’Autorità di regolazione un permesso che non esitiamo a definire equivoco, aberrante e sicuramente ingiusto.

Comunicato stampa

“Cara Italia”, report sui rincari di beni e servizi

Facile.it e Consumerismo No Profit hanno pubblicato la nuova edizione del rapporto “Cara Italia”. Dalle bollette ai mutui, dalla telefonia all’ortofrutta, ecco come sono cambiate e come potrebbero cambiare le principali voci di spesa domestica e soprattutto, come accorgersi se stiamo spendendo troppo.

Luce e gas
Nel 2023 una famiglia tipo con un contratto di fornitura nel mercato tutelato ha speso tra luce e gas più di 2.100 euro, valore che scende fino a 1.930 euro per chi ha scelto una fornitura indicizzata nel mercato libero. Gli importi sono inferiori rispetto al 2022.
Per quanto riguarda le attese per il 2024, è una partita ancora tutta da vedere. Il nuovo anno è iniziato con il calo del prezzo delle materie prime, ma non è detto che questo si traduca in una diminuzione delle bollette. Anzi, a gennaio sulle bollette del gas sono tornati l’Iva all’aliquota ordinaria, gli oneri di sistema, è terminato il servizio di tutela per il gas, e solo questa voce ha comportato aggravi fino a 170 euro l’anno per chi non è passato al mercato libero.
Secondo le simulazioni di Facile.it, guardando alle migliori offerte a prezzo bloccato disponibili sul mercato, quest’anno la spesa per luce e gas potrebbe superare i 2.600 euro; o 2.300 euro se si opta per una tariffa indicizzata. Tradotto in percentuale, un possibile aumento tra il 20% e il 38%.
Come capire se si sta spendendo troppo? Tenendo in considerazione tutte le voci che gravano in bolletta, per una famiglia tipo che vuole optare per una tariffa indicizzata, le migliori offerte per l’energia elettrica disponibili oggi hanno un prezzo compreso tra 0,26 e 0,33 euro al kWh; per il gas tra 1,14 e 1,26 euro/smc.
Per chi invece vuole la certezza di una tariffa bloccata, le migliori offerte per l’energia elettrica hanno un prezzo compreso tra 0,32 e 0,36 euro al kWh; per il gas tra 1,29 e 1,44 euro al smc. Se attualmente paghiamo di più, il consiglio è di valutare l’offerta di altri fornitori.
Crescono gli importi recuperati a seguito dei reclami. Nota a margine: gli italiani sono sempre più attenti alle spese domestiche e questo è confermato anche dai dati ARERA analizzati da Consumerismo No profit, da cui emerge che nel primo semestre del 2023, grazie ad un aumento dell’uso dello strumento della conciliazione (+43%), gli importi recuperati dai clienti a seguito di una contestazione sono arrivati a circa 8 milioni di euro.

Mutui
Il 2023 è stato caratterizzato da un aumento dei tassi; secondo le simulazioni di Facile.it, la rata di un mutuo variabile medio sottoscritto a gennaio 2022 (126.000 euro in 25 anni, LTV 70%) alla fine dello scorso anno era salita di oltre il 60%.
Cosa aspettarsi per il 2024? Ancora una volta ci sono buone notizie; la prima è che, salvo imprevisti, la situazione sul fronte dei tassi variabili dovrebbe continuare a migliorare. Chi ha questo tipo di finanziamento potrebbe vedere le prime riduzioni già all’inizio dell’anno; analizzando le aspettative di mercato, Facile.it ha stimato che la rata del mutuo medio sopra indicato potrebbe diminuire di circa 10 euro nel secondo trimestre, arrivando entro fine anno ad un calo di quasi 100 euro (-13%).
Buone notizie anche per i tassi fissi; sul finire del 2023 gli indici sono tornati a scendere e questo ha rilanciato l’offerta dei mutui surroga da parte delle banche. Prendendo in esame il mutuo variabile sopra indicato, guardando alle migliori offerte di surroga presenti oggi sul mercato, il mutuatario potrebbe passare al tasso fisso riducendo la rata di oltre il 20%. Meglio approfittarne il prima possibile, perché non è detto che gli indici restino su questi livelli a lungo.
Quale mutuo scegliere oggi? Per chi vuole sottoscrivere oggi un finanziamento per l’acquisto della casa, il tasso fisso rappresenta un ottimo punto di partenza: considerando il mutuo standard, i migliori tassi (TAN) vanno da 3,10% a 3,30%, con una rata mensile intorno ai 615 euro. Se la vostra banca vi propone valori più alti, potrebbe avere una politica di tassi poco conveniente; meglio verificare l’offerta di altri istituti di credito, tenendo sempre in considerazione che la durata del finanziamento richiesto e il rapporto mutuo/valore immobile possono incidere notevolmente sulle condizioni
I variabili oggi costano più dei fissi e i migliori tassi (TAN) variano tra il 4,66% e il 4,90%, con una rata di partenza vicina ai 715 euro; scegliere questa opzione vorrebbe dire scommettere su un calo in futuro.

Prestiti
Anche il settore dei prestiti personali ha visto un lieve aumento dei tassi di interesse; secondo l’analisi di Facile.it, per un finanziamento standard da 10.000 euro in 5 anni, il tasso medio (TAN) offerto online a gennaio 2024 è arrivato all’8,51% (era 8,12% un anno fa), con una rata pari a 209 euro.
Cosa aspettarsi dal 2024? Difficile fare previsioni, ma di sicuro saranno determinanti le decisioni di politica monetaria della BCE. Se l’inflazione, e con essa i tassi della Banca Centrale Europea, dovessero tornare a scendere, non è da escludere che nel medio periodo anche le condizioni offerte dalle società di credito possano beneficiare del calo.
Come orientarsi nella scelta? Le società di credito possono applicare condizioni più o meno favorevoli in base al profilo del richiedente; migliore sarà la valutazione, più basso potrebbe essere il tasso. Se avete tutte le carte in regola e cercate un prestito, tenete a mente che per un finanziamento standard (10.000 euro in 5 anni) se si cerca bene è possibile trovare offerte con un TAN vicino al 6%. Occhio sempre anche al TAEG, che rappresenta il costo complessivo del prestito; in questo caso, un buon tasso di riferimento varia tra 8% e 10%.

Telefonia mobile e internet casa
Sul fronte della telefonia mobile e fissa, le tariffe per chi vuole cambiare operatore sono rimaste sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno e non ci si aspetta che scendano ulteriormente nel 2024. Bisogna però bene fare attenzione ai cosiddetti adeguamenti automatici all’inflazione, una clausola che alcuni operatori hanno introdotto di recente nelle condizioni contrattuali della telefonia mobile e che potrebbe prevedere rincari fino al 10% già nel 2024.
Come capire se si sta spendendo troppo? Secondo l’analisi di Facile.it, per una connessione internet casa con tecnologia fibra, considerando un arco temporale di 24 mesi, un buon canone si aggira, in media, intorno ai 26 euro al mese, valore che include anche i costi accessori (come, ad esempio, l’una tantum per l’attivazione). È possibile risparmiare un po’ se si opta per un unico fornitore mobile-fisso; in questo caso il canone mensile può scendere sotto i 23 euro. Attenzione a quando si confrontano le offerte; in alcuni casi la tariffa viene scontata per i primi mesi di contratto, per poi aumentare, e questo va tenuto in considerazione nel calcolo complessivo della bolletta, così come tutte le voci extra eventualmente richieste.
Per la telefonia mobile, invece, per una nuova SIM si spendono, in media, 7 euro al mese, con inclusi più di 120 GB, ma se si cerca bene e non serve un traffico dati così elevato è possibile trovare offerte che partono da 4 euro al mese (e 20 GB). Attenzione, quando si cambia operatore, al costo di attivazione della nuova SIM che, in alcuni casi, può arrivare anche a 10 euro.

Conti correnti
Come rilevato da Consumerismo No Profit guardando agli ultimi dati di Bankitalia, la spesa per la gestione di un conto corrente è aumentata del +31% in un arco di 5 anni, in contrasto con una sia pur inarrestabile inflazione del +11,6% nello stesso periodo.
Nel 2022, la spesa media annuale per il conto corrente è salita di 9,3 euro, raggiungendo un totale di 104 euro; nel 2017 la spesa di gestione di un conto si attestava a 79,4 euro. Ciò implica un aumento medio del 31% nei costi sostenuti dai correntisti nel corso di 5 anni, con una spesa complessiva cresciuta di 24,6 euro.
Le spese fisse sono passate da 52,8 euro nel 2017 a 72,8 euro nel 2022, registrando un incremento del 37,9%. Allo stesso modo, le spese variabili sono salite da una media di 26,6 euro cinque anni fa a 31 euro, segnando un aumento del 16,5%.
Questo incremento delle tariffe supera di gran lunga il tasso di inflazione registrato nello stesso periodo, che si ferma al +11,6%. L’orientamento migliore per risparmiare fino al 60% rispetto al conto e-banking tradizionale agganciato ad uno sportello fisico, sostiene ancora Consumerismo No Profit, è quello di aprire un conto on line o presso uno sportello postale.

Assicurazioni auto e moto
Il prezzo dell’Rc auto continua a crescere; secondo l’Osservatorio di Facile.it, a dicembre 2023 per assicurare un veicolo a quattro ruote occorrevano, in media, 618,55 euro, vale a dire il 35% in più rispetto allo scorso anno. Anche per le due ruote il prezzo medio dell’Rc è salito; a dicembre 2023 il valore medio quotato online era pari a 511,97 euro, in aumento del 37% su base annua.
Cosa aspettarsi per il 2024? All’orizzonte non ci sono segnali di un possibile rallentamento e, con grande probabilità, i prezzi rimarranno alti per tutto il 2024. Di certo, però, c’è che dal 23 dicembre è scattato l’obbligo di assicurare anche i veicoli fermi e custoditi in aree private.
Come capire se sto spendendo troppo? Il prezzo dell’Rc auto cambia per ciascun automobilista sulla base di alcune caratteristiche personali (la classe di merito, la sinistrosità, il modello di vettura, ecc.), territoriali (la città di residenza) e della polizza scelta, pertanto il premio medio può variare moltissimo tra le province d’Italia; a Udine è inferiore ai 400 euro, a Milano supera i 520 euro, a Roma i 650 euro e a Napoli i 1.000 euro.
Questi valori possono essere un punto di partenza per capire se spendiamo troppo, ma è bene farsi aiutare da un esperto.

Ortofrutta
Secondo le ultime rilevazioni elaborate da Consumerismo, tra dicembre 2023 e gennaio 2024 i prezzi all’ingrosso sui mercati dell’ortofrutta hanno subito variazioni sostanziali, principalmente a causa di fenomeni atmosferici tali da aver determinato una forte oscillazione di alcuni prodotti essenziali per le tavole degli italiani.
Al momento la spesa media a famiglia (con composizione di 4 persone) per frutta e verdura si attesta intorno a 130 euro mensili per un totale 1500 euro/anno circa. Un +14% rispetto allo stesso periodo rilevato lo scorso anno. La frutta incide per il 40% rispetto al totale sugli aumenti.
In base all’analisi di Consumerismo, aumenta la disponibilità di alcuni prodotti, e quindi la riduzione del prezzo, come ad esempio per le rape; le patate mantengono stabilità e un andamento positivo, con una forte richiesta per il prodotto del Fucino; i finocchi sono abbondanti sul mercato, offerti a prezzi convenienti. E ancora, i prezzi della cicoria ritornano alla normalità, mentre si osserva ancora un trend in aumento per i prezzi delle pere emiliane.
Il consiglio, considerato il rapporto qualità prezzi è quello di consumare: clementine, arance rosse, kiwi, mele, noci e mandarini. Mentre per gli ortaggi si consigliano cicoria, finocchi, cime di rapa, spinaci e carciofi.

Comunicato stampa

Polizza obbligatoria per i rischi catastrofali

L’Italia è il Paese europeo più vulnerabile alle catastrofi naturali, quali terremoti, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni, lo rivela uno studio condotto dal Disaster Risk Management Knowledge Centre (DRMKC) del Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea, che si basa su dati di Eurostat, World Bank, Corine, Università di Göteborg e UNESCO.

Con la sua nota esposizione dei territori e delle comunità alle calamità naturali, l’Italia affronta un bivio cruciale nella gestione dei rischi catastrofali. Nonostante un PIL che testimonia una forte impronta del settore assicurativo vita, il ramo danni rimane sorprendentemente sottosviluppato, sottolineando una scarsa penetrazione assicurativa. L’Italia sconta, insieme alla Grecia, il più alto divario di protezione e la più alta esposizione ai rischi, rispetto alla scarsa propensione assicurativa. Il nostro Paese è settimo nell’OCSE per i premi del ramo vita al 4,9% del Pil, ma solo venticinquesimo nel ramo danni con l’1,9% del PIL, contro una media di Francia al 4,6%, Germania al 3,9%, Spagna e UK al 2,9% . Il livello di gap di protezione più alto per specifici rischi si riscontra per i terremoti e le alluvioni (rispettivamente 98% e 97% dei sinistri non assicurati), seguiti da incendi e tempeste.
A livello mondiale, nel 2023 l’ammontare complessivo delle perdite causate da catastrofi naturali è stato di circa 250 miliardi di dollari, di cui solo 95 risarciti dalle assicurazioni. In Europa le perdite ammontano a 83 miliardi di dollari e solo 17 miliardi erano assicurati. In Italia, facendo il conto degli ultimi dieci anni, il valore delle perdite causate dai disastri naturali è pari a 35 miliardi di dollari.

Questa situazione ha portato nel nostro Paese alla necessità di un intervento normativo che è concretizzato nella Legge di Bilancio 2024, nella quale è stato introdotto l’obbligo per le imprese di assicurarsi contro eventi catastrofali entro il 31 dicembre 2024. La misura riguarda tutte le imprese con sede legale in Italia, nonché quelle estere con una stabile organizzazione nel paese, indipendentemente dalla forma giuridica sotto la quale operano. L’ambito di applicazione si estende ai danni a terreni e fabbricati, impianti e macchinari, nonché attrezzature industriali e commerciali.
Per le imprese che non rispettano tale obbligo sono previste sanzioni da 200 mila a 1 milione di euro, e l’esclusione da contributi, sovvenzioni o agevolazioni pubbliche. Mentre per le compagnie assicurative, che hanno il compito di offrire la stipula o il rinnovo di polizze catastrofali con un contratto assicurativo che deve avere premi proporzionali al rischio e può includere una franchigia fino al 15% del danno, in caso di mancato rispetto dell’obbligo di legge possono incorrere in multe da 100mila a mezzo milione di euro.

Questa normativa è di centrale importanza soprattutto per le microimprese (meno di 10 occupati) e le piccole e medie imprese (fino a 49 occupati): la loro sottoassicurazione contro i principali rischi naturali rischia di compromettere la stabilità e la resilienza di un tessuto imprenditoriale già messo alla prova da condizioni economiche variabili e da un contesto climatico in evoluzione.
Secondo i più recenti dati di ANIA sulle coperture catastrofali in Italia, solo il 3,4% delle ubicazioni riferite a microimprese sono coperte da assicurazioni contro le alluvioni e solo l’8,4% contro i terremoti. Percentuali che restano basse anche per le piccole imprese, assicurate al 28,2% contro le alluvioni e al 32,2% contro i terremoti . I dati migliorano nettamente fra le imprese medie, assicurate per circa due terzi, mentre la legge poco cambierebbe lo stato di cose per le grandi imprese, che già oggi risultano quasi interamente assicurate da questi rischi e hanno generalmente maggiori risorse economiche da dedicare a tale spesa.

Questa mancanza di copertura non solo espone le microimprese e le PMI a rischi finanziari ingenti in caso di calamità, ma riflette anche una diffusa sottovalutazione del rischio e una bassa propensione alla sottoscrizione di polizze. Le principali motivazioni della mancata assicurazione sono la percezione di premi elevati rispetto al danno atteso (56%), l’assenza di informazioni sui prodotti assicurativi (38%), la scarsa fiducia nelle compagnie (4%) e l’incapacità sostenere il costo del premio (2%).
Certamente l’obbligo di assicurazione contro gli eventi catastrofali rappresenta un passo importante verso la mitigazione del rischio e la promozione di una cultura di prevenzione. Tuttavia, per essere efficace, deve essere accompagnato da un impegno collettivo che coinvolga le imprese, le istituzioni e le compagnie assicurative in un dialogo costruttivo e in un percorso di educazione al rischio. È fondamentale che le PMI siano dotate degli strumenti e delle informazioni necessarie per navigare tra le opzioni assicurative disponibili, comprendendo appieno i benefici di una copertura adeguata in termini di sicurezza finanziaria e stabilità operativa.

Le compagnie assicurative giocano pertanto un ruolo fondamentale, rivedendo le proprie strategie di offerta, al fine di rispondere in modo efficace e flessibile alle nuove esigenze del mercato. Ciò comporta non solo l’adeguamento dei prodotti assicurativi esistenti, ma anche lo sviluppo di nuove soluzioni che incorporino una valutazione del rischio più accurata e meccanismi di premialità per le imprese che investono in prevenzione e sicurezza. Inoltre, le compagnie assicurative sono chiamate a svolgere un ruolo cruciale nell’educazione alla gestione rischio, offrendo consulenza e supporto alle PMI per una corretta valutazione dei rischi e la scelta della copertura più adeguata. Questo aspetto è fondamentale per superare le barriere di percezione sui costi e sulla complessità delle polizze, facilitando così una maggiore penetrazione assicurativa.

La resilienza e la sostenibilità delle imprese non possono però prescindere da una gestione strategica del rischio, che integri misure di prevenzione, coperture assicurative adeguate e strategie di adattamento ai cambiamenti climatici. In questo contesto, le PMI hanno bisogno di supporto per affrontare gli oneri finanziari dell’assicurazione e per adottare comportamenti virtuosi che possano ridurre la vulnerabilità agli eventi catastrofici.

Ecco perché è cruciale che questo processo sia accompagnato da politiche che favoriscano la collaborazione tra settore privato e pubblico, un’informazione capillare e accessibile sulle opzioni assicurative, e l’incoraggiamento verso investimenti in sicurezza e prevenzione. Le PMI, essendo la colonna vertebrale dell’economia italiana, non solo beneficeranno direttamente di una maggiore protezione finanziaria, ma contribuiranno anche a un sistema economico nazionale più robusto e resiliente. L’obiettivo finale è quello di minimizzare l’impatto economico e sociale degli eventi catastrofici, assicurando al contempo la continuità operativa delle imprese e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
In tale contesto, emerge la necessità di un cambio di paradigma che veda le imprese, in particolare le PMI, non più come semplici beneficiarie di protezione assicurativa, ma come attori proattivi nella gestione del rischio. Questo implica un maggiore impegno nell’identificazione e valutazione dei rischi specifici, nell’adozione di misure preventive e nel dialogo costante con gli intermediari e le compagnie assicurative per sviluppare soluzioni su misura che rispondano efficacemente alle esigenze di ogni singola impresa. La normativa recentemente introdotta rappresenta un punto di partenza significativo, sebbene il quadro complessivo possa evolvere con l’eventuale emanazione dei decreti attuativi. La situazione attuale, pur fornendo una base solida, anticipa che le disposizioni future non solo potrebbero modificare significativamente il panorama per gli operatori del settore, ma anche creare nuove sfide e opportunità per l’intero ecosistema imprenditoriale.

A cura di di Paolo Tanfoglio, CEO di Lokky

Anie, sicurezza antincendio: pubblicata la guida

Anie Sicurezza ha pubblicato la guida “Protezione elettronica antincendio”, giunta alla sua quinta edizione.
Si tratta di un volume elettronico, pratico e aggiornato, indispensabile per chi progetta sistemi antincendio.

È infatti pensato, studiato e realizzato per gli operatori del settore delle tecnologie per la sicurezza e la prevenzione degli incendi, per supportarli nella progettazione di sistemi a regola d’arte.

Questo strumento si rivolge a tutti i professionisti dell’ambito della sicurezza antincendio che vogliano saperne di più e accrescere il proprio know-how in tema di progettazione di soluzioni automatiche per la rivelazione degli incendi, con particolare riferimento alla conformità alle più recenti normative in fatto di sicurezza.

In particolare, nel volume vengono affrontati due aspetti fondamentali della sicurezza antincendio:
– la prevenzione, che assicura la sicurezza delle persone e la protezione dei beni,
– la rivelazione incendio, che aiuta a identificare in modo tempestivo la presenza di fumo o fiamme in un edificio, al fine di mettere in campo una risposta rapida per ridurre il più possibile i potenziali danni.

Tra i più importanti riferimenti normativi c’è la UNI 9795, relativa alla progettazione, all’installazione e alla gestione di sistemi fissi automatici di rivelazione e di segnalazione allarme d’incendio del 2021, che traccia le linee guida per assicurare la conformità di tali soluzioni a standard di sicurezza vigenti non solo in Italia.

Altre due normative fondamentali sono la UNI 11224, dedicata alla manutenzione dei sistemi di rivelazione incendi, che risale al 2019; e il Codice di prevenzione incendi (D.M. 3 agosto 2015), che offre un ampio sguardo sulle norme e sui regolamenti sulla prevenzione a livello nazionale.

La guida Protezione elettronica antincendio supporta il professionista nel districarsi nel complicato contesto normativo, che è sempre in aggiornamento, dal momento che per legge spetta all’operatore l’obbligo di accertare la conformità di apparecchi, impianti e prodotti.

Tutte le informazioni su come ottenere una copia del volume sul sito di Anie Sicurezza.

“Prima i piemontesi”: la nuova legge sulla casa

Equità sociale, premialità per chi ha scelto di fare del Piemonte la propria casa e, di conseguenza, nuovi criteri di punteggio per l’assegnazione della casa popolare.

Il Consiglio Regionale del Piemonte ha approvato la nuova legge regionale sulla Casa, frutto di anni di lavoro e di studio da parte dell’assessore regionale alle Politiche per la Casa, Chiara Caucino e dei suoi uffici.

La nuova legge è destinata a rivedere in maniera significativa i punteggi di assegnazione, partendo dal presupposto di creare nuovi strumenti di premialità, in particolare in due fattispecie. La prima per dare un riconoscimento ai cittadini aventi diritto alla casa popolare, di qualsiasi nazionalità d’origine, che risiedono in Piemonte da 15, 20 o 25 anni.

L’idea è quella di premiare chi in Piemonte risiede da anni, nella regione ha lavorato e pagato le tasse, contribuendo allo sviluppo socio-economico del territorio. La seconda premialità riguarda invece i nuclei famigliari mono genitoriali con figli minori a carico, che vedranno aumentare il proprio punteggio di assegnazione.

La nuova legge punta anche fortemente a mettere un punto fermo nel contrasto all’illegalità, compresi i «furbetti», coloro che si costruiscono una situazione reddituale tale da avere diritto alla casa popolare, ma che poi si scopre che posseggono beni «da ricchi». Per questa categoria ci sarà un sostanzioso giro di vite: l’assegnatario, per avere la casa, non potrà infatti più possedere beni mobili registrati come automobili, motoveicoli di grossa cilindrata, o caravan inquadrati nella categoria dei beni di lusso. Inoltre sono stati esclusi dall’applicazione della legge 3 del 2010 gli immobili che verranno destinati alle forze dell’ordine per garantire sicurezza nei contesti più disagiati.

La legge punta quindi a promuovere, con queste ed altre azioni, l’equità sociale, premiando allo stesso tempo le persone che qui hanno vissuto e che hanno fatto del Piemonte la propria «casa».

«Oltre a tutto ciò – spiega Caucino – abbiamo inserito nuovi principi orientati alla legalità come il divieto di assegnazione a favore di coloro che hanno occupato abusivamente uno stabile Atc nei 10 anni precedenti e, fermo restando la decadenza del diritto di assegnazione nel momento in cui l’assegnatario fosse soggetto a una condanna detentiva, con le nuove regole, per tutelare la famiglia del potenziale reo, il titolo passerà automaticamente al coniuge, ai figli oppure ai parenti conviventi».

Prosegue Caucino: «Abbiamo lavorato anni per raggiungere questo risultato, con l’unica finalità di agevolare sempre di più i fragili, coloro che versano in condizioni di maggior difficoltà. Sono certa che quello raggiunto sia un obiettivo importante ed ambizioso, orientato esclusivamente a criteri di giustizia e di equità. Un passo avanti importante per un Piemonte che, grazie a questa giunta, ha saputo, in questi anni, mantenere le sue promesse: non lasciare mai nessuno indietro o, peggio ancora, da solo».

Marco Traverso – Ufficio Comunicazione Assessore per le Politiche della casa

Mal’Aria di città 2024: i dati sull’inquinamento atmosferico nelle città italiane

La lotta allo smog nelle città italiane è ancora in salita secondo il nuovo report di Legambiente “Mal Aria di città 2024”, redatto nell’ambito della Clean Cities Campaign.

Infatti, nonostante una riduzione dei livelli di inquinanti atmosferici nel 2023, le città faticano ad accelerare il passo verso un miglioramento sostanziale della qualità dell’aria.

I loro livelli attuali sono stabili ormai da diversi anni, in linea con la normativa attuale, ma restano distanti dai limiti normativi che verranno approvati a breve dall’UE, previsti per il 2030 e soprattutto dai valori suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, evidenziando la necessità di un impegno deciso, non più rimandabile, per tutelare la salute delle persone.

Il report di Legambiente ha analizzato i dati del 2023 nei capoluoghi di provincia, sia per quanto riguarda i livelli delle polveri sottili (PM10, PM2.5) che del biossido di azoto (NO2).

In sintesi, 18 città sulle 98 monitorate, hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di PM10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo). Erano state 29 le città fuorilegge nel 2022 e 31 nel 2021.

In testa alla classifica delle città c’è Frosinone (con la centralina di Frosinone Scalo) con 70 giorni di sforamento, il doppio rispetto ai valori ammessi, seguita da Torino (Grassi) con 66, Treviso (strada S. Agnese) 63 e Mantova (via Ariosto), Padova (Arcella) e Venezia (via Beccaria) con 62. Anche le tre città venete, Rovigo (Centro), Verona (B.go Milano), e Vicenza (Ferrovieri), superano i 50 giorni, rispettivamente 55, 55 e 53.

Milano (Senato) registra 49 giorni, Asti (Baussano) 47, Cremona (P.zza Cadorna) 46, Lodi (V.le Vignati) 43, Brescia (Villaggio Sereno) e Monza (via Machiavelli) 40. Chiudono la lista Alessandria (D’Annunzio) con 39, Napoli (Ospedale Pellerini) e Ferrara (Isonzo) con 36.

I dati evidenziano un miglioramento rispetto all’anno precedente, principalmente attribuibile alle condizioni meteorologiche “favorevoli” che hanno caratterizzato il 2023, anziché a un effettivo successo delle azioni politiche intraprese per affrontare l’emergenza smog. Tuttavia, le città italiane, da Nord a Sud, presentano ancora considerevoli ritardi rispetto ai valori più stringenti proposti dalla revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria che entrerà in vigore dal 2030 (20 µg/mc per il PM10, 10 µg/mc per il PM2.5 e 20 µg/mc per l’NO2).

Se il 2030 fosse già qui, il 69% delle città risulterebbe fuorilegge per il PM10, con le situazioni più critiche a Padova, Verona e Vicenza con 32 µg/mc, seguite da Cremona e Venezia (31 µg/mc), e infine da Brescia, Cagliari, Mantova, Rovigo, Torino e Treviso (30 µg/mc). Situazione analoga anche per il PM2.5: saranno oltre i futuri limiti l’84% delle città, con i valori più alti registrati a Padova (24 µg/mc), Vicenza (23 µg/mc), Treviso e Cremona (21 µg/mc), Bergamo e Verona (20 µg/mc).

L’NO2 è l’unico inquinante in calo negli ultimi 5 anni, ma il 50% delle città resterebbe comunque fuori legge. Napoli (38 µg/mc), Milano (35 µg/mc), Torino (34 µg/mc), Catania e Palermo (33 µg/mc), Bergamo e Roma (32 µg/mc), Como (31 µg/mc), Andria, Firenze, Padova e Trento (29 µg/mc) sono le città con i livelli più alti.

“Ancora una volta l’obiettivo di avere un’aria pulita nei centri urbani italiani rimane un miraggio, come dimostra la fotografia scattata dal nostro rapporto Mal’Aria di città”, dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. “Le fonti sono note così come sono disponibili e conosciute le azioni e le misure di riduzione delle emissioni, ma continuiamo a registrare ancora forti e ingiustificati ritardi nel promuovere soluzioni trasversali. Serve quindi un cambiamento radicale, attuando misure strutturali ed integrate, capaci di impattare efficacemente sulle diverse fonti di smog, dal riscaldamento degli edifici, dall’industria all’agricoltura e la zootecnia fino alla mobilità, dove le misure di riduzione del traffico e dell’inquinamento possono ben conciliarsi con una maggiore sicurezza per pedoni e ciclisti, come dimostra l’importante intervento della città a 30km/h di Bologna voluto dal sindaco Matteo Lepore e dall’amministrazione comunale. Un intervento già realizzato in diverse città europee che chiediamo sia sempre più diffuso anche in quelle italiane”.

“I dati del 2023 ci dicono che il processo di riduzione delle concentrazioni è inesistente o comunque troppo lento” – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente. “Ad oggi, infatti, ben 35 città dovranno intensificare gli sforzi per ridurre le loro concentrazioni di PM10 entro il 2030, con una percentuale di riduzione compresa tra il 20% e il 37%, mentre per il PM2.5 il numero di città coinvolte sale a 51, con una riduzione necessaria tra il 20% e il 57%. Non migliore la situazione per quanto riguarda l’NO2, dove 24 città dovranno ridurre le emissioni tra il 20% e il 48%. Alla luce degli standard dell’OMS, che suggeriscono valori limite molto più stringenti dei valori di legge attuali e che rappresentano il vero obiettivo per salvaguardare la salute delle persone, la situazione diventa ancora più critica. Bisogna determinare una svolta a livello nazionale e territoriale per ridurre l’impatto sanitario sulla popolazione italiana, il costo ad esso associato, e il danno agli ambienti naturali”.

Le sorti della salute dei cittadini europei saranno determinate nel trilogo, l’ultima fase del processo di revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria, prevista entro febbraio 2024. Considerando che in Italia ci sono 47.000 decessi prematuri all’anno a causa del PM2.5, è cruciale – avverte Legambiente – che il Governo italiano non ostacoli ulteriormente questo percorso, evitando deroghe e clausole che possano giustificare ritardi nel raggiungimento degli obiettivi.

Le proposte di Legambiente

Per uscire dalla morsa dell’inquinamento – secondo il Cigno Verde – bisogna tenere conto delle diverse realtà territoriali e agire sulle diverse fonti di emissioni di inquinanti atmosferici in maniera sinergica. Solo così si potrà nel medio periodo tornare a respirare aria pulita nelle nostre città. Ecco, le direzioni da seguire:

Muoversi in libertà e sicurezza per le città

Servono investimenti massicci nel TPL, incentivi all’uso del trasporto pubblico, mobilità elettrica condivisa anche nelle periferie, implementare ZTL, LEZ (Low emission zone) e ZEZ (Zero emission Zone), elettrificazione anche dei veicoli merci digitalizzare i servizi pubblici, promuovere l’home working, ampliare reti ciclo-pedonali e ridisegnare lo spazio urbano, a misura di persona con limiti di velocità a “città 30”, rendendo al contempo la mobilità non solo più pulita, ma più sicura e realmente inclusiva.
Riscaldarsi bene e meglio. Bisogna vietare progressivamente le caldaie e generatori di calore a biomassa nei territori più inquinati; negli altri invece supportare l’installazione di tecnologie a emissioni “quasi zero”, con sistemi di filtrazione integrati o esterni, o soluzioni ibride.

Occuparsi anche delle campagne
In aree rurali con agricoltura e allevamento intensivo, le emissioni agricole possono superare quelle industriali o urbane. Occorre dunque vigliare sul rispetto dei regolamenti per lo spandimento e rapido interramento dei liquami, e promuovere investimenti agricoli verso pratiche che riducano le emissioni ammoniacali, come la copertura delle vasche di liquami e la creazione di sistemi di trattamento, soprattutto per la produzione di biometano.

Monitorare per la tutela della salute

È inoltre necessario cambiare anche la strategia di monitoraggio sinora impiegata, aumentando il numero di centraline di monitoraggio in modo da garantire una copertura di tutte le principali aree urbane del Paese. Con la prossima adozione di nuovi limiti più allineati con quelli dell’OMS, infatti, molte delle aree che ora sono in regola non lo saranno più e la verifica costante e puntuale della situazione sarà ancora una volta quanto mai necessaria. Oggi sono disponibili sensori a basso costo che si possono affiancare alle centraline tradizionali, rendendo il monitoraggio distribuito, capillare e scientificamente fondato secondo il paradigma delle smart cities.

Quest’anno, Legambiente lancia la campagna itinerante “Città2030: le città e la sfida del cambiamento” che si svolgerà dall’8 febbraio al 6 marzo. L’iniziativa, realizzata nell’ambito della Clean Cities Campaign, una coalizione europea di ONG e organizzazioni della società civile, di cui anche il cigno verde fa parte, farà tappa in 18 città italiane per promuovere una mobilità sostenibile e a zero emissioni e per chiedere città più vivibili e sicure.

L’iniziativa giungerà a Avellino (13/02), Reggio Calabria (14/02), Messina (14/02), Napoli (15/02), Lodi (19/02), Trieste (20/02), Pescara(21-22/02), Bologna (23/02), Padova(24/02), Perugia(24/02), Roma (26/02), Milano (27/02), Latina(28/02), Firenze (29/02-1/03), Torino(1-2/03), Catania (1-2/03), Lecce (3-5/03) e Genova (04-05/03).

Durante le tappe, saranno organizzati incontri con rappresentanti delle amministrazioni locali, esperti e cittadini per discutere delle sfide legate alla mobilità sostenibile nei vari contesti urbani, sia iniziative di piazza come flash mob, presidi, attività di bike to school.

Zero Emission, sharing mobility, TPL elettrico e Città30 saranno alcuni dei principali temi affrontati.

Nelle tappe di Avellino, Trieste e Genova, inoltre, i tre giovani vincitori del bando nazionale MOB (categoria “Proposte per il presente”), organizzato da Fondazione Unipolis, avranno modo di raccontare a cittadini e amministratori le loro idee progettuali per rendere la mobilità delle loro città più sostenibile e accessibile.

Grazie al progetto LIFE MODErn (NEC), Clean Cities sarà anche l’occasione per i volontari di Legambiente di accendere i riflettori sull’impatto che l’inquinamento atmosferico ha sugli ecosistemi e sulla biodiversità, oltre che sulla salute umana, con flash mob sia a Roma che a Milano.

Il racconto della campagna e la petizione
È possibile seguire tutte le tappe di Città30 sulle pagine Facebook, Instagram Legambiente Lab e Twitter GreenMobility. Legambiente lancia anche per quest’anno la petizione on line “Ci siamo rotti i polmoni. No allo smog!” con la quale chiede al Governo risposte urgenti nella lotta allo smog, a partire dagli interventi sulla mobilità e l’uso dello spazio pubblico e della strada.

*Note metodologiche: l’unità di misura con la quale vengono espresse le concentrazioni di NO2, PM2.5 e PM10 è microgrammi per metro cubo di aria (µg/mc). Per quanto riguarda il biossido d’azoto (NO2), le città capoluogo di provincia di cui è stata ricavata la media annuale sono 91; per il PM2,5 sono 87; per il PM10 (sia per le medie annuali che per gli sforamenti giornalieri) sono 98. La media annuale è stata calcolata come media delle medie annuali delle singole centraline di monitoraggio ufficiale delle Arpa classificate come urbane (fondo o traffico).

Comunicato stampa

Le sanzioni per il mancato pagamento della Tari 2023

A decidere le date per il pagamento della Tassa rifiuti è il Comune. La Tassa sui rifiuti può essere pagata in un’unica soluzione oppure con diverse rate, generalmente due acconti e un saldo, in base al regolamento del proprio Comune. Nel caso si verificasse, dunque, la mancata consegna dell’avviso di pagamento con i bollettini e le scadenze potrebbe essere determinata da un ritardo da parte del Comune. Per quanto riguarda le sanzioni e rischi per il cittadino che non paga la Tari, dipendono dal ritardo con cui viene regolarizzata la situazione.

Chi paga in ritardo la tassa sui rifiuti incorre infatti in una sanzione, il cui importo può essere ridotto grazie allo strumento del ravvedimento operoso.
Il ravvedimento operoso consente ai contribuenti di regolarizzare omissioni, errori o illeciti di tipo fiscale, in modo spontaneo, versando:
– il tributo non pagato;
– una sanzione stabilita in misura ridotta;
– gli interessi, calcolati sull’importo non pagato al tasso legale vigente.

L’importo della sanzione dipende dalla data in cui si procede con il pagamento di quanto dovuto per la Tari.
Di solito la sanzione è pari al 30% dell’imposta o della tassa dovuta (art. 13 del d.lgs. n. 471/1997). Con il decreto legislativo 158 del 2015 si è però provveduto a ridurre della metà le sanzioni nel caso in cui la regolarizzazione avvenga entro 90 giorni.

Le sanzioni sono così determinate:
– ritardi fino a 14 gg: sanzione del 15% ridotta a 1/15 per giorno;
– ritardi tra 15 e 90 gg: sanzione del 15% dell’imposta;
– ritardi superiori a 90 gg: sanzione ordinaria del 30%.

Alle sanzioni così determinate si applicano ulteriori sconti nel caso di ravvedimento operoso. Il ravvedimento operoso si ha quando il contribuente in maniera spontanea, quindi senza aver ricevuto solleciti, effettua il pagamento del dovuto. In questo caso la sanzione è:
– dello 0,1% dell’imposta per ogni giorno di ritardo più gli interessi giornalieri se il pagamento avviene entro 14 giorni dalla scadenza;
– 1,5% a cui si aggiungono interessi se il pagamento avviene tra il 15° giorno e il 30° giorno dalla scadenza;
– 1,67% a cui si aggiungono gli interessi se il pagamento avviene tra il 90° giorno e un anno;
– la sanzione deve essere pagata per intero nel caso in cui il pagamento avvenga oltre un anno.
Il tasso di interesse legale per il 2023 è stato fissato al 5%.

Nel caso in cui, invece, la Tari non venga pagata, le conseguenze sono più gravi rispetto alla semplice sanzione amministrativa.
Se l’importo complessivo di Tari non pagata supera i 30.000 euro si sfocia nel reato di evasione fiscale, per il quale si rischia la detenzione. Sotto i 30.000 euro invece rimane illecito tributario, punito comunque con sanzioni molto severe. Il Comune può infatti richiedere l’esecuzione forzata del debito, pertanto il Tribunale può disporre il pignoramento dei beni del debitore.

Vi è però anche il caso in cui il contribuente non paga la Tari perché non gli è arrivato il bollettino per effettuare il versamento. In questo caso il contribuente deve contattare il proprio Comune e chiedere informazioni circa il ritardo, in quanto chi non riceve il bollettino non può comunque considerarsi esente dal pagamento. Deve infatti pagare comunque quanto dovuto mediante modello F24 in banca o presso un ufficio postale.

La Tari è soggetta a prescrizione: se il Comune non invita il cittadino a pagare la tassa sull’immondizia entro cinque anni, non potrà più pretendere il pagamento degli importi evasi. La Corte di Cassazione con l’ordinanza 17234 del 15 giugno 2023 ha infatti ribadito che per il mancato pagamento della Tari si applica la prescrizione breve in 5 anni e non il termine ordinario di 10 anni previsto dall’art. 2946 del Codice civile.

Muffa nella casa in affitto

La muffa in casa è un fenomeno piuttosto comune e che dipende da numerosi fattori. Oltre al disagio e ai rischi per la salute, la muffa comporta inevitabilmente delle spese da sostenere per la sua rimozione e per l’adeguamento dell’immobile. Non si può stabilire a priori chi, tra inquilino e proprietario, debba pagare queste spese, in quanto dipende da una serie di circostanze. Inoltre, possono anche verificarsi delle conseguenze sul contratto d’affitto, nel caso in cui le parti non adempiano ai loro doveri.

Il Codice civile regolamenta i contratti d’affitto e i doveri delle parti. Non viene ovviamente trattato nel particolare il caso specifico della muffa, ma genericamente affronta il tema dei vizi dell’appartamento. In particolare, il proprietario di casa è tenuto a rimuovere i problemi di natura strutturale dell’edificio e quelli derivanti dalla mancanza di manutenzione straordinaria.

L’inquilino, in caso di inadempienza del locatore, può mettere in atto diverse soluzioni. Ma è comunque tenuto a custodire l’immobile in buono stato (in linea di massima il medesimo in cui lo ha ricevuto) e provvedere alla manutenzione straordinaria, avendo cura di comunicare al padrone di casa eventuali problemi in maniera tempestiva. Di conseguenza, anche il padrone di casa può tutelarsi se il conduttore non conserva adeguatamente l’immobile.

Questi principi sono fondamentali per capire chi paga per la muffa nella casa in affitto, che infatti dipende dalla sua origine, nonché dalla causa degli eventuali danni che ne sono scaturiti. Bisogna sottolineare che si fa riferimento sia ai vizi dell’immobile presenti alla conclusione del contratto, sia a quelli sopravvenuti.

A quanto si evince dal Codice civile, il proprietario è tenuto a pagare per la rimozione della muffa nella casa in affitto quando è dovuta a problemi strutturali dell’immobile (ad esempio dovuti alla cattiva manutenzione degli impianti) e deve anche risolvere le problematiche di origine.

Se il proprietario si attiva per risolvere i problemi non appena avvisato dall’inquilino non deve riconoscergli alcun risarcimento, così come non deve risarcire i danni causati dalla comunicazione tardiva dell’inquilino. Resta la facoltà del locatore di agire contro il condominio se i problemi derivano dalle parti comuni dell’edificio. L’inquilino ha diritto al risarcimento danni soltanto quando il proprietario non si adopera rapidamente per risolvere il problema, ad esempio per il danno alla salute.

Quando il proprietario di casa non si adopera per risolvere il problema della muffa pur essendone responsabile oppure vuole farlo ma non ottiene la delibera dell’assemblea condominiale (quando necessaria) l’inquilino può scegliere tra:
– La risoluzione del contratto d’affitto, lasciando quindi l’appartamento;
– la riduzione del canone d’affitto.

Se il locatore non acconsente a questi rimedi, diventa necessario agire in giudizio per vederne l’attuazione. È però fondamentale che l’affittuario non decida autonomamente di ridursi il canone: il mancato pagamento, infatti, potrebbe dar luogo allo sfratto.

Se, però, l’inquilino accetta un appartamento in affitto nella consapevolezza che questo sia affetto da un vizio, non può poi chiedere queste particolari tutele, salvo l’adeguamento del padrone di casa agli obblighi sulla manutenzione straordinaria. L’unica eccezione si ha quando il vizio è pericoloso per la salute, eccezione che spesso ben si addice al problema della muffa.

Vi è poi il caso in cui la muffa sia causata dalla cattiva conduzione dell’appartamento da parte del conduttore. Quest’ultimo è infatti tenuto alla manutenzione ordinaria dell’alloggio, ad esempio per quanto riguarda rivestimenti e infissi delle finestre, tinteggiatura delle pareti e impianto di riscaldamento e condizionamento.

Se è l’inquilino ad aver causato, seppur involontariamente, la muffa, deve risolvere il problema a sue spese. E deve anche risarcire il proprietario di casa se ha procurato danni permanenti all’immobile e al suo valore, circostanza non troppo comune per la muffa ma che può presentarsi nei casi più gravi e a lungo trascurati.

Canone Tv più leggero nel 2024

televisione anziani

La Legge di Bilancio 2024 ha ridotto da 90 a 70 euro l’anno l’importo del canone Rai, che anche quest’anno sarà addebitato nella bolletta della luce.

Con la risoluzione n. 1/E, pubblicata lo scorso 4 gennaio 2024, l’Agenzia delle Entrate ha comunicato gli importi dovuti per l’anno 2024 per chi sceglie il pagamento annuale, semestrale o trimestrale, ma anche per le altre casistiche che possono presentarsi.

Nulla è cambiato sotto il profilo pratico per i cittadini. L’addebito del canone continua infatti ad avvenire direttamente nella bolletta dell’energia elettrica, in dieci rate pari a 7 euro ciascuna. Tranne che per i pensionati che hanno scelto di addebitare il canone sulla pensione, che si vedranno semplicemente trattenere un importo inferiore dall’impresa elettrica o dall’ente previdenziale. Gli altri contribuenti già titolari di abbonamento Tv per i quali invece non è stato possibile l’inserimento nella fattura di fornitura elettrica, devono effettuare entro il 31 gennaio 2024 il versamento del canone dovuto per l’intera annualità, pari a 70 euro, tramite modello. Tra questi, ad esempio, anche i nuclei familiari in cui nessun componente è titolare di contratto di fornitura di energia elettrica sul quale sia possibile addebitare il canone Tv.

Per maggiori informazioni è disponibile l’area tematica del sito internet dell’Agenzia delle Entrate Aree tematiche – Canone TV – Agenzia delle Entrate (agenziaentrate.gov.it). per ricevere assistenza disponibile anche il numero verde 800.93.83.62.

La fine del mercato tutelato dell’energia

Il 10 gennaio 2024 ha sancito definitivamente la fine del mercato tutelato per quanto riguarda il gas, mentre si attende la data del 1 luglio 2024 per la cessazione definitiva del mercato tutelato dell’energia elettrica.

Si tratta dunque di un momento che si avvicina e che richiede una certa prontezza da parte dei consumatori, soprattutto per quanto riguarda le informazioni più importanti.

Fine del mercato tutelato

Dunque, il mercato a maggior tutela dell’energia chiuderà gradualmente i battenti a partire dal 10 aprile 2024. Questo vuol dire che le famiglie saranno obbligate a passare ad un operatore che agisce all’interno del mercato libero, dunque svincolato dai prezzi imposti dall’Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente.

Il processo di transizione è noto come “Servizio a Tutele Graduali”. Ovviamente conviene attivarsi sin da subito, in modo da passare al mercato libero prima della deadline indicata. In questo modo si potranno reperire il più rapidamente possibile le offerte luce e gas più convenienti per la propria situazione, sfruttando i comparatori di tariffe presenti sul mercato.

Ma cosa succede se l’utente decide di non eseguire volontariamente questo passaggio, restando dunque con il vecchio fornitore del mercato tutelato?

L’utente non sarà soggetto né a sanzioni né a problematiche come l’interruzione delle forniture. Il passaggio al mercato libero non prevede infatti il rischio di restare senza fornitori dall’oggi al domani. Gli utenti che non eseguiranno il passaggio verranno infatti automaticamente assegnati ad un fornitore del mercato libero.

Nello specifico, se si parla del mercato tutelato per le utenze gas, coloro che decideranno di non fare il passaggio autonomamente rimarranno con lo stesso fornitore, a cui però verrà assegnata un’offerta del mercato libero.

Per quanto riguarda invece gli utenti del mercato tutelato dell’energia elettrica che non faranno il passaggio entro il 1° aprile 2024, verranno assegnati ad un fornitore del mercato libero tramite un bando nazionale.

In entrambi i casi, le persone non decideranno l’offerta che verrà sottoscritta a loro nome. Per questo motivo è sempre consigliato scegliere autonomamente prima delle scadenze indicate.

I clienti vulnerabili

I Clienti Vulnerabili nell’ambito dell’energia elettrica e del gas sono individui o famiglie che, a causa di specifiche condizioni economiche, sociali o sanitarie, si trovano in una situazione di maggiore fragilità e hanno bisogno di protezione speciale per garantire loro l’accesso ai servizi energetici essenziali.

Per clienti di gas naturale e dell’energia elettrica, considerati vulnerabili e che sono attualmente serviti attraverso il Servizio di Maggior Tutela, il passaggio obbligatorio al mercato libero non inciderà sulla loro situazione. Rimarranno nel mercato tutelato.

Il passaggio dal mercato tutelato a quello libero

Nella fattispecie, bisogna semplicemente trovare un nuovo fornitore che operi all’interno del mercato libero, dove i prezzi vengono definiti secondo la logica della concorrenza, e dove non sussistono imposizioni da parte di Arera.

Selectra propone un comparatore online gratuito che offre la possibilità di mettere a confronto le proposte dei principali fornitori energetici presenti sul mercato. Una volta trovata l’opzione più adatta, l’utente dovrà semplicemente sottoscrivere il nuovo contratto.

Bisogna inoltre specificare che gli utenti non dovranno occuparsi di alcuna noia burocratica. Sarà infatti il nuovo fornitore a contattare il precedente, comunicandogli il passaggio. Naturalmente l’utente dovrà fornire alcune informazioni, come il codice POD o PDR, nome e cognome, codice fiscale e altri dati. Infine, il passaggio da un fornitore all’altro non prevede costi per gli utenti, ma è del tutto gratuito.

Fonte: Selectra.net