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Se i condòmini devono sopportare l’occupazione di un’area comune

  • Quotidiano Del Condominio
  • 16 agosto 2018

Al vaglio della Cassazione, il ricorso contro la nuova condanna a carico di un uomo che aveva costretto gli altri condòmini a tollerare l’occupazione illecita di un’area condominiale. Ecco come si sono espressi gli Ermellini con l’ordinanza 34064/2018.

————-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. VII pen., ord. n. 34064/2018

————-

FATTO E DIRITTO

  1. Con sentenza del 3.4.2017, la Corte di Appello di Bari, in parziale riforma di quella del Tribunale di Foggia (che aveva riconosciuto G.I. responsabile del delitto di cui agli artt. 633 e 639 bis cod. pen. e, pertanto, lo aveva condannato alla pena di mesi 10 di reclusione considerata la contestata recidiva), ritenute in favore dell’imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla pure ritenuta recidiva, aveva ridotto la pena determinandola nella misura di mesi 6 di reclusione.
  2. Ricorre per Cassazione, tramite il difensore, G.I. lamentando:

2.1. violazione di legge con riguardo alla mancata applicazione del “ne bis in idem”: rileva di essere stato già condannato alla pena di anni 12 e mesi 2 di reclusione per il medesimo fatto con sentenza del Tribunale di Foggia del 6.7.2015; nella occasione, infatti, egli era stato tratto a giudizio e condannato per il reato di cui all’art. 610 cod. pen. proprio per aver costretto gli altri condòmini a tollerare l’occupazione dell’area condominiale di cui si discute in questa sede;

2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla disciplina del reato continuato: osserva che, laddove non fosse ravvisata la identità del fatto, certamente tra i due reati non potrebbe essere negata l’esistenza del vincolo della continuazione, producendo inoltre l’ordine di carcerazione da cui risulta che la sentenza del Tribunale di Foggia, parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Bari, è ormai definitiva;

2.3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato: rileva di aver prodotto, nelle fasi di merito, una autorizzazione degli altri condòmini ad occupare la sala condominiale, circostanza tale da elidere ogni profilo di illiceità penale della condotta descritta nella imputazione;

2.4. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla esistenza dell’esimente dello stato di necessità nel caso di specie comprovata dagli atti processuali e che, in ogni caso, avrebbe importato la assoluzione del prevenuto anche in caso di dubbio;

(omissis)

  1. Il ricorso è inammissibile.

Tutti i motivi di censura qui articolati riproducono e ripropongono infatti gli argomenti già prospettati nell’atto di appello ed ai quali la Corte d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera né specificatamente censura; di qui, e già per questa ragione, l’inammissibilità del ricorso perché generico (omissis).

3.1. In particolare, poi, va rilevato che la Corte di Appello ha vagliato il motivo concernente il “bis in idem” conformandosi correttamente al principio, ribadito da questa Corte anche alla luce dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 21.7.2016, secondo cui, in ogni caso, la preclusione connessa al principio del “ne bis in idem” opera ove il reato già giudicato si ponga in concorso formale con quello oggetto del secondo giudizio nel solo caso in cui sussista l’identità del fatto storico, inteso sulla base della triade condotta-nesso causale-evento (omissis); i giudici di merito, infatti, hanno giustamente osservato che nel caso che ci occupa si è in presenza di una condotta (quella di violenza privata) materialmente diversa e da un evento in senso giuridico diverso da quelli oggetto del reato di cui al presente giudizio.

3.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente, in subordine rispetto al primo motivo, lamenta il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il delitto di violenza privata e quello di invasione di edifici; è sufficiente, infatti, qui rilevare che la richiesta non era stata formulata con l’atto di appello e, pertanto, non può avere cittadinanza in questa sede dovendosi soltanto aggiungere che, in ogni caso, la mancata produzione della sentenza avrebbe reso comunque inammissibile la richiesta (omissis).

3.3-4. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono meramente reiterativi di censure già articolate con l’atto di appello ed alle quali la Corte, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, ha fornito una risposta con la quale, si è già accennato, il ricorrente omette di confrontarsi.

(omissis)

  1. L’inammissibilità del ricorso comporta, poi, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di tremila Euro alla Cassa delle Ammende.

 

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  • giurisprudenza in condominio
  • occupazione abusiva
  • violenza
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