 
								Cucinare, pulire, fare la spesa, prendersi cura dei figli, degli anziani o di persone fragili: il lavoro domestico è una forza silenziosa che sostiene ogni giorno l’economia italiana. Eppure, chi lo svolge senza retribuzione continua a non godere di una tutela piena e strutturata. Il cosiddetto “bonus casalinghe”, spesso evocato nei titoli, non esiste come misura unica. Esistono invece strumenti frammentati che offrono un minimo di protezione a chi dedica la propria vita alla cura della casa e della famiglia.
Il principale è il Fondo di previdenza volontaria per casalinghe e casalinghi, istituito nel 1996 e gestito dall’INPS. Possono aderirvi le persone tra i 16 e i 65 anni che non hanno un lavoro retribuito né altre coperture previdenziali. Con versamenti annuali a partire da 309,84 euro, è possibile costruire una pensione di vecchiaia, accessibile già dai 57 anni se l’importo maturato supera una soglia minima, oppure dai 65 anni. Dopo almeno cinque anni di contributi, si può accedere anche alla pensione di inabilità. Tuttavia, non essendo previsto un trattamento minimo, l’importo può risultare molto basso se i versamenti sono sporadici.
Per chi non ha mai versato contributi, esiste l’assegno sociale, destinato agli over 67 in condizioni economiche svantaggiate. Nel 2025, l’assegno pieno spetta a chi non ha reddito personale e, se in coppia, a chi ha un reddito familiare inferiore a circa 7.000 euro annui. È una misura assistenziale, non legata al lavoro domestico, ma spesso rappresenta l’unico sostegno per chi ha dedicato la vita alla cura della casa.
Un’altra possibilità è l’Assegno di Inclusione, pensato per i nuclei familiari in difficoltà. Chi si occupa di minori, disabili o anziani può essere esonerato dagli obblighi di partecipazione ai percorsi di formazione o lavoro previsti dalla misura.
A livello locale, alcuni Comuni e Regioni offrono corsi di formazione e incentivi per il reinserimento lavorativo o l’avvio di attività autonome, rivolti a chi ha svolto per anni attività domestiche non retribuite.
Secondo l’Istat, oltre il 90% degli italiani tra i 20 e i 74 anni svolge quotidianamente attività domestiche o di cura non retribuite, per una media di oltre tre ore al giorno. Il valore economico stimato di questo lavoro supera i 700 miliardi di euro l’anno, pari a circa il 40% del PIL nazionale. Eppure, nonostante il suo impatto, il lavoro domestico resta privo di un riconoscimento normativo pieno.
La Corte Costituzionale, già nel 1995, lo aveva definito un’attività meritevole di tutela, richiamando l’articolo 35 della Costituzione. Ma a distanza di trent’anni, chi si dedica alla cura domestica può contare solo su un mosaico di misure, senza un vero “bonus” dedicato. Un vuoto che continua a pesare su milioni di persone, soprattutto donne, che ogni giorno sostengono il Paese senza tutele né retribuzione.