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AFFITTARE ALLOGGIO A PROSTITUTA: SE IL CANONE È DI MERCATO, NON C’È FAVOREGGIAMENTO

  • Redazione
  • 29 ottobre 2015

Non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione a carico di chi concede in locazione a prezzo di mercato un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà la prostituzione. È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 39181 del 28 settembre, di cui riportiamo una sintesi.

—————-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. III pen., sent. 28.9.2015, 

n. 39181

—————-

(omissis)

CONSIDERATO IN DIRITTO

(omissis)

2. È invece fondato il primo motivo. 

2.1. Secondo l’orientamento interpretativo da tempo affermato e prevalente, non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi conceda in locazione, a prezzo di mercato (mentre qualora il canone sia superiore potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione. È vero che a volte si richiamano in senso contrario sez. III, 23.5.2007, n. 35373, Galindo Ortiz, (secondo cui costituisce favoreggiamento della prostituzione il mettere a disposizione di una prostituta, anche a titolo di locazione, un appartamento, in quanto ciò costituisce attività idonea a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio della prostituzione stessa) nonché sez. III, 13.4.2000, n. 8345, Donati. In realtà, però, a parte il non condivisibile principio affermato, la sentenza Galindo Ortiz, nella motivazione, richiede pur sempre che, per aversi favoreggiamento, vi siano prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione a prezzo di mercato. La sentenza Donati, poi, sostiene proprio l’orientamento qui ribadito e rileva giustamente che è vero che il legislatore incrimina chiunque favorisca “in qualsiasi modo” la prostituzione altrui, e che la giurisprudenza corrente ritiene irrilevante per l’integrazione del reato il movente che determina la condotta, anche se è significativo sottolineare che in genere queste sentenze affermano l’irrilevanza del motivo per escludere specificamente la necessità del fine di lucro o del fine di servire l’altrui libidine. Ma è pur sempre necessario che la condotta materiale concreti oggettivamente un aiuto all’esercizio del meretricio in quanto tale. Se invece l’aiuto è prestato solo alla prostituta in quanto persona, non può configurarsi il reato di favoreggiamento, se non a costo di conseguenze aberranti non solo sul piano dell’etica e del senso comune ma anche in rapporto alla ratio e alla intentio legis. 

A ben vedere, è proprio per evitare queste aberrazioni che una giurisprudenza ormai affermata ha escluso il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione un appartamento a una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione (cfr. omissis). Infatti, se la locazione non è concessa allo scopo specifico di esercitare nell’immobile locato una casa di prostituzione (nel qual caso ricorrerebbe l’ipotesi di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 2), la condotta del locatore non configura propriamente un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, ma semplicemente la stipulazione di un contratto attraverso cui è consentito a quest’ultima di realizzare il suo diritto all’abitazione. Insomma l’aiuto (o più esattamente il negozio giuridico) riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non la sua attività di prostituta. È vero che indirettamente ne è agevolata anche la prostituzione; ma questo rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell’agente ed evento di favoreggiamento della prostituzione. 

In verità – com’è noto – secondo la L. n. 75 del 1958 la prostituzione per se stessa non è prevista come reato, mentre è penalmente sanzionata ogni attività che induca, favorisca o sfrutti la prostituzione altrui, giacché il legislatore è mosso dallo scopo evidente di evitare che il mercimonio del sesso (penalmente irrilevante, ma socialmente riprovevole) sia comunque incentivato o agevolato da interessi o da comportamenti di terzi. 

Orbene, anche quando il reato previsto è a forma libera (come il favoreggiamento e lo sfruttamento, che possono essere commessi “in qualsiasi modo”), la condotta dell’agente deve essere legata all’evento da un nesso causale penalmente rilevante. Poiché l’evento del reato non è la prostituzione, bensì – nella fattispecie de qua – l’aiuto alla prostituzione, ciò significa che esula il reato ove la condotta dell’agente non abbia cagionato un effettivo ausilio per il meretricio, nel senso che questo sarebbe stato esercitato ugualmente in condizioni sostanzialmente equivalenti. È alla luce di questi principi che appare corretta e condivisibile anche quella giurisprudenza secondo cui chi fa il cameriere al servizio di una donna che si prostituisce non incorre nel reato di favoreggiamento se la sua opera non oltrepassa i limiti delle mansioni tipiche del collaboratore domestico: sicché aprire la porta e colloquiare con le persone in attesa, pur con la piena consapevolezza delle ragioni della visita di costoro, non costituiscono fatti specifici di interposizione personale, idonei a facilitare l’esercizio della prostituzione (Cass. sez. III, n. 2296 del 23.2.1999); mentre incaricarsi delle iscrizioni pubblicitarie, anche da parte di una collaboratrice domestica, integra il favoreggiamento (Cass. sez. III, n. 6280 del 6.7.1983). 

Deve allora essere qui confermato il principio che non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione a prezzo di mercato un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà la prostituzione. Appare pertanto errata la contraria affermazione contenuta nella sentenza impugnata a pag. 13 secondo cui “… non è necessario per la consumazione del reato di favoreggiamento della prostituzione contestato che essi” – (cioè gli appartamenti, ndr) – “fossero adibiti in via esclusiva alla prostituzione, potendo costituire anche l’abitazione di chi vi svolgeva quell’attività”. Nella specie, non è stato nemmeno prospettato che l’imputato abbia in concreto fornito prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in godimento degli appartamenti a persone che esercitavano la prostituzione e della riscossione dei canoni. 

2.2. Anche sul reato di sfruttamento la motivazione della sentenza mostra seri profili di criticità. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini della sussistenza del delitto di sfruttamento della prostituzione, è indispensabile che lo sfruttatore tragga qualche utilità, anche se non necessariamente economica, dall’attività sessuale della prostituta, e tale condizione deve essere oggetto di rigorosa dimostrazione sotto il profilo probatorio (omissis). Si è ritenuto in particolare che la locazione ad una prostituta di un appartamento anche per svolgervi l’attività potrebbe integrare il reato di sfruttamento della prostituzione qualora vi sia la prova che il locatore, attraverso la riscossione di un canone sicuramente esagerato e sproporzionato rispetto a quelli di mercato, tragga un ingiusto vantaggio economico dalla prostituzione altrui (v. sez. III, Sentenza n. 33160 del 2013). Nella specie, questa sproporzione ed esagerazione non risultano dimostrate in alcun modo. I giudici di merito avrebbero dovuto infatti accertare, per giustificare la conclusione a cui sono pervenuti, innanzitutto quali fossero i canoni di mercato degli appartamenti locati alle prostitute (e sottoposti a sequestro) e quali fossero quelli effettivamente corrisposti al locatore, e solo in caso di maggiorazione di questi ultimi rispetto agli altri, avrebbero potuto ritenere provata l’utilità economica dalla attività di meretricio. 

La violazione della normativa sulla registrazione dei contratti rileva solo ai fini tributari ma non è sintomo di una utilità economica connessa alla attività di prostituzione. Le evidenziate falle motivazionali, che denotano la mancata considerazione dei principi di diritto esposti, rendono necessario l’annullamento con rinvio per un nuovo esame della vicenda, restando così logicamente assorbite le ultime due censure proposte (relative alla confisca degli appartamenti e al trattamento sanzionatorio). 

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

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