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CONDOMINIO: GLI ODORI MOLESTI DI CUCINA INTEGRANO UN REATO

  • Redazione
  • 5 maggio 2017

Pur essendo, nella fattispecie, prescritto, sono colpevoli del reato ex art. 674 c.p. i proprietari di un appartamento in condominio per aver provocato continue immissioni di fumi, odori e rumori molestando i vicini, i quali avevano dichiarato che quando gli imputati cucinavano, “oltre ai rumori molesti dell’estrattore, il loro appartamento si impregnava dell’odore di sugo e fritti, sembrando di avere la loro cucina in casa”. È quanto puntualizza la Corte di Cassazione con la sentenza 14467/2017, di cui riportiamo un estratto.

——————-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. III pen., sent. 24.3.2017,

n. 14467

——————

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Trieste con sentenza in data 1.4.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia in data 20.7.2011, appellata dagli odierni ricorrenti ed in via incidentale dal Procuratore generale della Repubblica di Trieste, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato loro ascritto, per essere il medesimo estinto per intervenuta prescrizione; ha confermato nel resto l’impugnata decisione; ha condannato gli appellanti alla refusione delle spese alla costituita parte civile. I coniugi V. sono stati chiamati a rispondere della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. perché, nella qualità di proprietari dell’appartamento al piano terra del fabbricato in (omissis) , provocavano continue immissioni di fumi, odori e rumori nel sovrastante appartamento del terzo piano di proprietà di P.V. e H.W., così molestandoli ed imbrattando l’alloggio da loro occupato, in (omissis).

2. Con un unico motivo di ricorso, gli imputati lamentano la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. in riferimento agli art. 674 e 1 c.p. nonché 25 Cost. Sostengono che l’art. 674 c.p. non è estensibile analogicamente alle emissioni di odori e che, secondo la dottrina maggioritaria, è necessario che le emissioni siano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che siano vietate dalla legge, mentre nella fattispecie si trattava di emissioni di odori di cucina che, per loro natura, non erano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che certamente non erano vietate dalla legge.

Precisano che la giurisprudenza di legittimità che si era occupata dell’art. 674 c.p. con riguardo agli odori si era riferita alle “molestie olfattive” derivanti da attività industriali e solo agli odori che avevano superato il cosiddetto limite della stretta tollerabilità, che comunque avrebbe dovuto essere accertato a mezzo perizia. Chiedono quindi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l’assoluzione dal reato di cui all’art. 674 c.p., perché il fatto non sussiste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

La Corte d’Appello di Trieste, con motivazione ampia ed accurata, ha escluso la possibilità di pronunciare l’assoluzione per insussistenza del fatto ed ha dichiarato invece la prescrizione, perché, non solo ha ritenuto correttamente sussunta la fattispecie concreta sotto la previsione dell’art. 674 c.p. che comprende anche le emissioni olfattive moleste come spiegato da questa Sezione con sentenza n. 45230/2014, ma ha anche valutato in modo congruo la prova dei fatti raggiunta in primo grado attraverso le testimonianze delle persone offese, definite come chiare, precise, logicamente strutturate, ribadite in sede dibattimentale senza alcuna contraddizione ed esposte senza inutili enfatizzazioni, marcature o sottolineature di qualche aspetto della vicenda oltre il necessario e l’essenziale. Il fatto che tra le parti vi fossero contrasti di vicinato non poteva di per sé solo infirmare la complessiva attendibilità delle persone offese, in particolare dallo H.W., che aveva dichiarato che quando gli imputati cucinavano, oltre ai rumori molesti dell’estrattore, “s’impregna l’appartamento dell’odore… del sugo, fritti eccetera, mi pareva di avere la cucina loro in casa mia”. In particolare, la Corte territoriale ha valorizzato come riscontro esterno alla denuncia, la deposizione del teste C.C., il quale chiamato ad ispezionare professionalmente, a spese delle persone offese, la canna fumaria, aveva accertato che presentava una fessurazione verticale, che, a suo dire, era “certamente” la causa della fuoriuscita di odori, vapori, e finanche dei rumori e residui di combustione.

La doglianza dei ricorrenti, quantunque ricondotta nel vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), a ben vedere si risolve in una censura meramente fattuale, del tutto disancorata dalle emergenze probatorie che risultano dal testo del provvedimento impugnato, e si fonda su deduzioni di carattere assertivo smentite dagli esiti dell’istruttoria dibattimentale riportati nella sentenza impugnata.

Come precisato dal precedente giurisprudenziale citato, la contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p. è configurabile anche nel caso di “molestie olfattive” a prescindere dal soggetto emittente (nella fattispecie la Cassazione si era occupata di odori da stalla; in motivazione numerosi riferimenti ai precedenti giurisprudenziali), con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, condizione nella specie sussistente, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c. (Sez. 3, n. 34896 del 14/07/2011), che comunque costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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