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È DIFFAMAZIONE DEFINIRE L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO “SQUALO FAMELICO”

  • Redazione
  • 29 giugno 2017

Apostrofa “squalo famelico” e “aguzzino” l’amministratore di condominio che aveva azionato ai suoi danni un decreto ingiuntivo e poi si appella alla condanna per diffamazione, ma la Corte di Cassazione condanna il condomino, essendo la sua reazione sproporzionata all’ipotetico torto subito ad opera del professionista. Di seguito un estratto dell’ordinanza 31111 del 2017.

———-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. VII pen.,

ord. n. 31111/2017

————

RILEVATO IN FATTO 

– che con l’impugnata sentenza C.F. è stato condannato alla pena di giustizia per il delitto di diffamazione ai danni di R.D., amministratore del suo condominio; 

– che con atto depositato dal difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 599 comma 2° c.p., atteso che la condotta diffamatoria allo stesso contestata non era stata che una reazione legittima ad un’ingiustizia perpetrata nei suoi confronti dalla persona offesa, il quale aveva azionato contro il ricorrente un ricorso per decreto ingiuntivo per crediti condominiali che si fondava su una pretesa palesemente infondata.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

– che il ricorso va dichiarato inammissibile, atteso che alla luce delle espressioni pronunciate dal ricorrente, gravemente lesive della reputazione della persona offesa (squalo famelico, serpente senza sonagli, aguzzino, sorta di estorsore), anche ammettendo che tale espressioni costituissero la reazione ad un atto ingiusto perpetrato dall’amministratore del condominio – ma dalla ricostruzione del Giudice di Pace emerge peraltro che l’imputato non ha neppure presentato opposizione al ricorso per decreto ingiuntivo – in ogni caso, non sarebbe configurabile la fattispecie invocata dell’art. 599 c.p.; 

– che, infatti, la provocazione , pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia – come nel caso di specie – talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, n. 604 del 14/11/2013); 

– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro 2000.

P.Q.M. 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2000 euro in favore della cassa delle ammende. 

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