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SPESE PER PARTI COMUNI ANTICIPATE DAL CONDOMINO: QUANDO È POSSIBILE RECUPERARLE?

  • Redazione
  • 26 aprile 2017

Il condomino che effettui di tasca propria spese inerenti le parti comuni ha diritto a un rimborso solo nel caso in cui i lavori avessero carattere d’urgenza e non fossero, dunque, procrastinabili a meno di mettere a rischio le parti comuni stesse. È il principio rimarcato dalla Cassazione con la sentenza 9177/2017, di cui riportiamo un estratto.

—————-

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. II civ., sent. 10.4.2017, 

n. 9177

—————-

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 20/3/2003 il Giudice di pace di Alghero rigettò l’opposizione avverso il decreto con il quale il medesimo aveva ingiunto a B.A. il pagamento della somma di lire 3.605.823 in favore della s.r.l. M.G.

Con sentenza depositata l’1/12/2011 il Tribunale di Alghero rigettò l’impugnazione proposta dal B.A.

Risulta utile precisare che il credito vantato dalla M.G. si riferiva al recupero pro quota di quanto speso dalla predetta società, gestore di un complesso alberghiero sito all’interno del vasto complesso condominiale, denominato “Condominio …”, per opere di manutenzione delle parti comuni, assumendo la società in parola essere stata costretta all’intervento, dato lo stato d’inerzia in cui versava il Condominio, stante che larga parte delle unità abitative erano state poste sotto sequestro, in quanto i proprietari avevano provveduto a mutarne illecitamente la destinazione d’uso, trasformandole da strutture recettive di natura turistica in seconde case.

Avverso la sentenza d’appello B.A. ricorre per cassazione e all’approssimarsi dell’udienza ha fatto pervenire memorie illustrative. La controparte non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 1134, cod. civ., nonché vizio motivazionale su un punto controverso e decisivo.

Secondo il B.A. non sussisteva il requisito dell’urgenza, che, a mente dell’art. 1134, cod. civ., giustifica l’intervento sostitutivo.

In particolare, le affermazioni della Corte locale, secondo la quale non constava la costituzione degli organi condominiali e, quindi, neppure alcuna attività imputabile al Condominio, con la conseguente radicale inerzia di quest’ultimo, non tenevano conto che a fronte della esistenza formale del assetto condominiale, di fatto il complesso immobiliare della E. aveva utilizzato praticamente in via esclusiva le parti comuni, nel mentre gli altri condòmini non potevano godere dei propri immobili. Sarebbe occorso, quindi, distinguere tra spese ricollegabili all’ordinario godimento delle parti comuni, da porre a carico esclusivo della M.G., unica ad avere usufruito delle stesse; e spese di conservazione, dirette a mantenere lo stato della cosa, evitando che si degradi.

Non ricorreva, poi, l’ipotesi prospettata. La legge, infatti, dispone, perché si possa far luogo alla ripetizione, che la spesa sia urgente, cioè tale da non potersi differire senza danno alle cose comuni; che non consenta, quindi, di avvertire l’amministratore, in quanto ricollegabile ad un evento improvviso ed imprevedibile. Urgenza che qui andava esclusa per le stesse affermazioni della controparte, che avevano fatto risalire la situazione di mancata manutenzione ad alcuni anni. In caso d’inerzia condominiale e comunque di paralisi, l’art. 1105, cod. civ., dispone che sia il giudice a far luogo ai provvedimenti del caso, non essendo consentito al singolo condomino far da sé.

Peraltro, conclude il ricorrente, al contrario dell’apodittica affermazione di cui in sentenza, vi era amministratore in carica e annualmente risultano essere state tenute le assemblee condominiali ed in ogni caso l’elenco degli interventi operati dalla M.G., plurimi e vasti, indicati in ricorso, facevano escludere che si trattasse d’isolati interventi per porre rimedio a situazioni indifferibili; si era trattato, in definitiva, di una gestione, largamente inutile, della cosa comune da parte di un soggetto terzo incaricato dalla M.G.

(omissis)

Il primo motivo è fondato.

Dispone l’articolo 1134, cod. civ., nella versione anteriore alla modifica operata dall’articolo 13 della legge 11 dicembre 2012, n. 220: «Il condomino che ha fatto spese per le cose comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spese urgenti». Dispone, altresì, l’ultimo comma dell’articolo 1105, cod. civ.: «Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore».

Dal coordinamento delle due disposizioni si ricava piuttosto agevolmente che l’intervento sostitutivo del singolo condomino è ammesso nei casi in cui, in presenza di un’esigenza che richiede un urgente intervento, non dilazionabile nel tempo, non appaia ragionevolmente prevedibile investire dell’attività l’amministratore, senza porre in concreto pericolo il bene condominiale. Per contro, ove il condominio versi in una situazione di stasi patologica, cioè in una inerzia operativa stabilizzata, non è consentito al singolo condomino sostituirsi, salvo i casi urgenti di cui s’è detto, agli organi condominiali in via generalizzata.

Che si tratti di un intervento sostitutivo eccezionale, imposto dalla necessità d’urgentemente provvedere, non è dubbio ove si passi in rassegna la giurisprudenza di questa Corte, la quale, in più occasioni, ha chiarito che un tale intervento è giustificato solo ove, per impedire un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune, le opere debbano essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condòmini (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 18759 del 23/9/2016).

Sinteticamente declinati come sopra i principi informatori della materia, va per contro riscontrato un insoddisfacente quadro valutativo della situazione fattuale disegnato dalla sentenza impugnata. Per un verso l’entità, l’estensione, la eterogeneità dei lavori effettuati costituiva indice univoco dello svolgimento di una vera e propria attività di gestione, piuttosto che di sporadici interventi, resi necessari dalla imprevedibilità ed urgenza. Per altro verso, chiarisce il ricorrente, che la corte locale era in possesso di documenti dai quali era, in ogni caso, dato cogliere che il condominio si era riunito in assemblea ed era gestito da un amministratore. Trattasi di asserto autosufficiente, in quanto corredato dall’indicazione puntuale del documento in parola (sentenza di legittimità, intervenuta a seguito di contestazione di delibera condominiale; giudizio nel quale il condominio si era regolarmente costituito attraverso amministratore).

L’accoglimento del predetto primo motivo rende superfluo il vaglio degli altri, i quali, pertanto, restano assorbiti.

La sentenza per quanto detto viene cassata e gli atti rimessi al giudice del rinvio, per nuovo esame alla luce dei principi di diritto sopra enunciati. Giudice che regolerà le spese anche di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri. Cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Sassari.

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