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LA REVISIONE CATASTALE È VALIDA SE RIPORTA LA NORMA DI RIFERIMENTO

  • Redazione
  • 3 novembre 2016

[A cura di: Salvatore Servidio – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

Con sentenza 21176 del 19 ottobre 2016, mutando il precedente orientamento, la Corte di cassazione ha sostanzialmente stabilito che, in tema di accertamenti catastali, per assolvere l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, è sufficiente indicare il presupposto della rettifica, al fine di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella fase contenziosa.

Dati del processo

La vicenda riguarda una variazione di classamento di alcuni immobili di proprietà privata eseguita, su richiesta del Comune, dall’ex Agenzia del Territorio, ai sensi dell’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004, ubicati nelle microzone individuate nella planimetria allegata all’avviso di accertamento.

Nell’impugnare l’atto, gli interessati lamentavano carenza di motivazione della revisione del classamento e la necessità che, per una simile variazione, occorreva una stima con sopralluogo. I giudici di merito confermavano parzialmente la rettifica catastale, nei cui confronti i contribuenti ricorrevano in Cassazione, denunciando, tra l’altro, violazione delle norme e dei principi che regolano la motivazione degli atti in materia catastale, in relazione alla mancata spiegazione delle ragioni dell’attribuzione alle singole unità immobiliari da parte dell’Agenzia del Territorio di una classe superiore.

Revisione del classamento

Si premette che l’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004, riconosce ai Comuni – che rappresentano la “porzione” del territorio nazionale rilevante – la possibilità di richiedere all’Agenzia del Territorio (ora, delle Entrate) la revisione del classamento di quelle microzone dove il rapporto medio, tra valori di mercato e valori catastali, superi di almeno il 35% quello dell’insieme delle microzone.

Con tale disposizione – peraltro applicabile solo in presenza di comuni con almeno tre microzone – in attesa della revisione generale delle rendite catastali per allinearle, a parità di gettito, ai valori di mercato (come previsto dall’articolo 2, legge delega 23/2014), il legislatore si è premurato almeno di evitare le situazioni di palese ingiustizia all’interno dei singoli comuni, rideterminando le rendite (e i valori) catastali nel caso in cui il suddetto rapporto si discosti in una determinata microzona di una percentuale significativa rispetto alla media delle microzone del comune interessato.

Orientamento della giurisprudenza

Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (tra cui, cfr. Cassazione 9629/2012, 19820/2012, 16643/2013, 23247/2014 e 3156/2015), la motivazione dell’atto di revisione del classamento catastale non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’Agenzia del Territorio, ma deve specificare, a pena di nullità, sia le ragioni giuridiche sia i presupposti di fatto della modifica.

L’amministrazione finanziaria è tenuta, quindi, a precisare – dettagliatamente – se il mutamento è giustificato dal mancato aggiornamento catastale, dall’incongruenza del valore rispetto ai fabbricati similari (individuando detti edifici, il loro classamento e le caratteristiche che li rendono analoghi a quello in oggetto), dall’esecuzione di lavori particolari nell’immobile (da menzionare analiticamente) o, infine, da una risistemazione dei parametri della microzona di collocazione, da esplicitare in modo chiaro con l’indicazione del rapporto tra valore di mercato e valore catastale dell’area e delle altre comunali, così che emerga il significativo divario.

Il giudizio

La Corte suprema, respingendo il gravame, ha fornito un’interpretazione sulla motivazione degli atti che modifica, di fatto, l’orientamento sinora espresso, convalidando la sentenza del riesame perché provvista dei requisiti di congruità e sufficienza.

A tal fine, il Collegio, dopo aver dato atto delle incertezze giurisprudenziali in materia, oscillanti tra una più intensa e una minore rigidità delle scelte interpretative, ha affermato che il più equilibrato orientamento opzionato appare maggiormente idoneo a cogliere il senso della disciplina della revisione catastale prescritta dall’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004 (cfr. Cassazione, 21532/2013 e 17322/2014).

Nel merito della questione, la sezione tributaria ha precisato che, per assolvere l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, è sufficiente indicare il presupposto della rettifica, al fine di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella fase contenziosa.

Il classamento non è, infatti, un «atto di imposizione fiscale» e trova supporto motivazionale nell’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004; bastano, perciò, per la propria validità, l’indicazione della norma di riferimento sul cui presupposto viene operata la revisione.

Peraltro, proprio per l’assenza di variazioni edilizie, l’atto di classamento non richiede il previo sopralluogo dell’ufficio né è condizionato ad alcun contraddittorio endoprocedimentale.

È evidente che, nella successiva fase giudiziale, il contribuente potrà provare – in contraddittorio con l’ufficio – le caratteristiche dell’immobile e l’eventuale inidoneità del nuovo classamento, in relazione non all’idoneità della motivazione dell’atto, ma al merito della controversia (così Cassazione, 22313/2010, 11698/2011 e 21923/2012).

Infine, il giudice di legittimità evidenzia che la richiesta del Comune all’Agenzia del Territorio è un atto interno, i cui eventuali vizi attinenti la sua legittima provenienza possono essere fatti valere non dal contribuente, ma esclusivamente dall’ente (cfr. Cassazione, 17378/2014). 

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