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Radio alta e colpi ai muri: ci sta tutta la condanna per “atti persecutori”

  • Quotidiano Del Condominio
  • 11 settembre 2020

Condannata la condotta di un uomo il quale “con radio a tutto volume e perfino colpi sui muri” aveva reso la vita impossibile ai vicini di casa. Inutile la difesa in Cassazione dell’imputato, che aveva cercato di scagionarsi sostenendo che la moglie fosse affetta da ipoacusia e dunque costretta ad ascoltare musica a volume superiore al normale.

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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 25153/2020
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Fatto e diritto

Il difensore di V.B. ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe, emessa nei confronti del suo assistito dalla Corte di appello di Bologna: la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato riguarda reati di cui agli artt. 612-bis e 659 cod. pen..

La difesa lamenta violazione di legge e carenze motivazionali della sentenza impugnata, rappresentando che:

  • non sarebbe provata la ravvisabilità dell’illecito contravvenzionale, in quanto i presunti rumori cui l’imputato avrebbe dato causa non furono tali da cagionare disturbo all’intero condominio, ma solo agli occupanti di una o due unità adiacenti alla sua, peraltro già protagonisti di contenziosi in suo danno;
  • analogamente, non sarebbero dimostrati i contestati atti persecutori, visto che nel medesimo periodo lo stesso V.B. ed i familiari di costui ebbero a dolersi a causa di analoghe condotte da parte dei vicini, dovendosi perciò inquadrare gli episodi de quibus come espressivi di mera difficoltà nella convivenza condominiale (tanto più che l’accusa, nella fattispecie, risulterebbe fondata solo sulle dichiarazioni delle controparti, condannate in sede civile per vicende identiche e che non risultano essersi trovate in stato d’ansia, paura o timore, né aver mutato abitudini di vita);
  • rimane comunque indimostrato che a provocare i rumori in questione fu il V.B., atteso che egli non abitava da solo nell’appartamento che fu teatro degli episodi in rubrica (dividendolo con la propria moglie, affetta da documentata ipoacusia e dunque ragionevolmente costretta, ad esempio, ad ascoltare musica a volume più alto del normale).

Il ricorso appare inammissibile, per manifesta infondatezza e genericità dei motivi.

Le doglianze riproducono infatti ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e per costante giurisprudenza il difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011). Già in precedenza, e nello stesso senso, si era rilevato che «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Cass., Sez. VI, n. 20377 dell’11/03/2009).

La difesa, in particolare, ribadisce acriticamente gli assunti di cui sopra malgrado la Corte territoriale abbia già evidenziato che:

  • per la configurabilità del reato di cui all’art. 659 cod. pen., è sufficiente che vi sia disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in ambito ristretto (e, nel caso in esame, i rumori erano stati percepiti anche da testimoni che non dimoravano nel condominio in questione);
  • più di un vicino del V.B. riferì di essere stato costretto a mutare abitudini di vita (ad esempio, andando a dormire in stanze diverse della propria casa, onde allontanarsi dai rumori anzidetti) e/o di averne risentito in termini di stato ansioso, come documentato da certificazioni mediche;
  • la ipoacusia della moglie dell’imputato non venne mai addotta a giustificazione dei disturbi sonori, se non nel corso del dibattimento, tanto più che le emissioni non provenivano solo da radio od apparecchi di riproduzione, derivando al contempo da colpi inferti alle strutture murarie, anche in tempo di notte.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di euro 3.000, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti e del quadro di riferimento normativo conseguente alla novella di cui alla legge n. 103/2017.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Tags
  • condominio
  • convivenza condominiale
  • immissioni rumorose
  • rumori molesti
  • sentenza di cassazione
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