Lo scorso 19 giugno la Commissione europea ha aperto la procedura per deficit eccessivo per sette Paesi, tra i quali L’Italia.
Si tratta di un provvedimento che era atteso, soprattutto alla luce dei dati relativi al rapporto tra deficit e Pil dell’anno 2023, dati sui quali hanno inciso notevolmente le spese relative al Superbonus e ai diversi bonus edilizi.
Secondo i dati del rapporto della Banca d’Italia, aggiornato a giugno 2024, il Superbonus e il Bonus Facciate hanno comportato spese per oltre 170 miliardi di euro nel periodo 2021-2023, per circa il 3 per cento del valore del Pil.
I dati inseriti nell’ultimo Documento di Economia e Finanza, dello scorso aprile, hanno registrato un deficit del 2023 al 7,4 per cento. Nel documento il Governo ha sottolineato che l’effetto é legato al Superbonus, che ha fatto “gonfiare il deficit”.
A fronte di questi dati, l’analisi della Banca d’Italia conferma che le agevolazioni nell’edilizia hanno rappresentato, nel periodo della pandemia, un volano per l’economia, trainando la ripresa economica. Ma circa un quarto della spesa, ovvero 45 miliari di euro, sarebbe stata effettuata anche senza gli incentivi previsti. Inoltre, il moltiplicatore fiscale di tale investimento è stato inferiore a uno, dunque i benefici per il complesso dell’economia in termini di valore aggiunto risultano più bassi rispetto ai costi sostenuti.
Alla luce di questi dati, come conferma uno studio della CGIA di Mestre, il Superbonus con le connesse agevolazioni edilizie non ha raggiunto gli obiettivi e, anzi, ha generato un costo spaventoso per le finanze dello Stato.
Un problema, quello della voragine finanziaria che si è aperta nelle casse statali, che rimarrà di grande attualità per i prossimi anni e che è destinata ad influenzare notevolmente le prossime decisioni relative alle agevolazioni allo studio per l’applicazione della Direttiva Ue Case Green.
Secondo quanto previsto dalla Direttiva, l’Italia – come ogni Paese membro dell’Unione Europea – dovrà raggiungere nel settore abitativo l’obiettivo zero emissioni entro il 2050. Entro il 2030 il nostro Paese dovrà ridurre il suo consumo energetico medio del 16%; entro il 2035 tra il 20% e il 22%.
Per raggiungere questi traguardi, è essenziale che i Paesi membri garantiscano che almeno il 55% della riduzione del consumo di energia primaria sia ottenuto attraverso il rinnovo degli edifici più energivori, che, secondo i criteri definiti dalla EPBD, rappresentano il 43% degli immobili meno efficienti, una priorità nella nostra lotta per la sostenibilità ambientale.
Secondo i dati dell’Istat, in Italia si contano circa 12 milioni di edifici residenziali. Pertanto, risulterà prioritario intervenire sui circa 5 milioni di edifici con le prestazioni più scadenti, ognuno dei quali può essere costituito da una o più unità immobiliari.
Secondo la direttiva “case green“, l’efficientamento energetico degli edifici non si baserà più sull’attuale classificazione contenuta nelle certificazioni energetiche ma su obiettivi medi di riduzione dei consumi, che andranno a interessare quote differenti dello stock in relazione alle peculiarità immobiliari di ogni Paese.
Ma quanto costerà allo Stato e alle famiglie applicare la nuova direttiva “case green” e mettere “a norma” il patrimonio edilizio italiano?
Il primo dato, relativo all’intera aera Ue, lo fornisce la Commissione europea: entro il 2030 saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti annui per la svolta energetica nel settore immobiliare.
Le stime di uno studio del Politecnico di Milano
Secondo l’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, che lo scorso 19 giugno ha presentato l’Efficiency Energy Report 2024, serviranno almeno 180 miliardi di euro all’Italia per riuscire a recepire la Direttiva EPBD.
Una cifra che equivale a quanto è stato speso nell’ultimo triennio tra superbonus, ecobonus e bonus casa.
Le stime elaborate calcolano che attualmente risultano da efficientare almeno il 43% degli immobili in classe G, che rappresentano circa il 40% del parco immobiliare italiano.
Questo intervento costerebbe tra i 90 e i 103 miliardi di euro. Ad essi andrebbero aggiunti altri 80 miliardi per coprire il restante 45% e intervenire sugli edifici delle altre classi energetiche.
L’indagine ha preso come riferimento sei casi studio abitativi: un appartamento in condominio di dieci unità e villetta monofamiliare al Nord, Centro e Sud.
Per ciascuna delle sei tipologie sono stati ipotizzati tre scenari di riduzione dei consumi:
• il cambio della caldaia, con costi ridotti (26-30 mila euro per un condominio, 3,5mila euro per una villetta), ma che riesce a malapena a raggiungere il 20% di riduzione richiesto.
• le altre due opzioni permettono di raggiungere una riduzione del 70%. Tuttavia ciò comporta interventi sul cappotto, installazione di pompa di calore e impianto fotovoltaico. In questo caso i costi lievitano a circa 55-60 mila euro per una villetta e intorno ai 400mila per un condominio.
Gli interventi più consigliati all’interno degli APE sono:
• la coibentazione di tetti e pareti è di gran lunga la più diffusa (65,1%);
• la sostituzione delle finestre (14,5%);
• gli interventi sugli impianti di riscaldamento (11,8%).
I primi edifici da ristrutturare
Attualmente solo una piccola percentuale delle abitazioni dispone di una valutazione energetica, poiché la legge richiede la sua elaborazione solo in determinati casi (come la vendita, la nuova locazione, la ristrutturazione integrale, la nuova costruzione, ecc.) e stabilisce una scadenza di 10 anni.
Il database dell’ENEA contiene oltre 5 milioni di APE (Attestati di Prestazione Energetica) relativi alle singole unità immobiliari.
Il 51,8% dei certificati ricade nelle categorie energetiche più basse, vale a dire F e G. È probabile che la direttiva EPBD “colpirà” prioritariamente queste due fasce di edifici.
Le certificazioni rilasciate nel 2022 in occasione del trasferimento di un immobile collocano il 63,6% delle case nelle classi F e G. Questa percentuale scende appena al 58,1% in occasione delle nuove locazioni.
Ritornando ai dati Istat, 3,1 milioni di edifici residenziali sono stati costruiti prima del 1945, di cui addirittura 1,8 milioni prima del 1918. Secondo i dati dell’Enea, gli edifici costruiti prima del 1945 sono quelli che nel 2022 hanno ottenuto i punteggi peggiori, con il 67% classificato nelle classi F e G.
È presumibile che, attualmente, nelle tre classi più energivore E, F, e G ricada poco meno del 70% del patrimonio residenziale nazionale.
Deloitte: 800 miliardi per la riqualificazione del parco immobiliare
L’obsolescenza degli edifici è considerata una delle principali cause di inefficienza energetica degli immobili ed è il motivo che ha spinto la Commissione europea a promuovere la revisione della direttiva Epbd (Energy performance of buildings directive).
Secondo l’elaborazione di Deloitte da dati Istat, l’Italia è strutturalmente molto indietro rispetto agli altri Paesi europei. Se si analizza la percentuale di immobili di classe energetica F e G, infatti, si vede che in Italia gli edifici appartenenti a questa categoria sono oltre il 60%, mentre in Germania arrivano al 45%, in Spagna al 25% e in Francia appena al 21%.
Oltre l’83% degli edifici residenziali risulta costruito prima del 1990 – un dato leggermente più alto della media Ue (76%) – e più della metà (57%) è risalente a prima degli anni ‘70.
In base a questi dati, si stima che per riqualificare il patrimonio immobiliare degli edifici potrebbero essere necessari investimenti dagli 800 ai mille miliardi di euro.
Scenari immobiliari: ogni famiglia dovrà spendere fino a 55mila euro
Un calcolo effettuato dall’Istituto indipendente di studi e ricerche Scenari Immobiliari e basato sui costi unitari di riqualificazione energetica, le caratteristiche fisiche e l’avanzamento di classe, porta alla stima di un investimento complessivo compreso tra 1.100 e 1.750 miliardi di euro per l’intero patrimonio edilizio italiano. La parte residenziale va da 550 a mille miliardi. Il tutto da realizzare in dieci anni. L’impatto finanziario sulle famiglie – che dipende ovviamente dalle specifiche caratteristiche degli immobili – è stimato tra 20.000 e 55.000 euro circa.
Il calcolo è stato effettuato con l’obiettivo del salto di una o tre classi energetiche armonizzate, in modo da rispondere alle indicazioni della Direttiva con il fine di avere in ogni classe energetica la stessa quota percentuale di immobili. Tale stima non prende in considerazione la neutralità energetica (NZEB), ma solo il miglioramento energetico per il 2030 fornito dalle indicazioni dell’Europa.
Raggiungere il miglioramento di almeno due classi energetiche comporta interventi esterni come la coibentazione dell’edificio e la sostituzione della caldaia, con la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. Allo stesso tempo, interventi come la sostituzione di infissi e finestre e la potenziale sostituzione degli impianti a gas con soluzioni meno inquinanti sono necessari per gli immobili classificati nelle categorie energetiche inferiori.
Codacons: costi compresi tra i 35mila e i 60mila euro per ogni abitazione
Secondo il Codacons l’applicazione della Direttiva Ue Case Green potrebbe comportare per i proprietari una spesa compresa tra i 35.000 e i 60.000 euro per abitazione.
Il Codacons avverte inoltre che l’implementazione di queste misure potrebbe avere conseguenze significative sul mercato immobiliare, con una potenziale svalutazione degli immobili non sottoposti a riqualificazione fino al 40% nel medio termine.
Questo mette in evidenza la necessità di bilanciare gli obiettivi ambientali con le reali capacità finanziarie dei proprietari immobiliari.