Nel mondo iperconnesso di oggi, dove ogni angolo può essere sorvegliato da una lente elettronica, il confine tra sicurezza e privacy si fa sempre più sottile. Con il provvedimento n. 137/2025, il Garante per la protezione dei dati personali interviene con forza per chiarire i limiti e le responsabilità nell’uso dei sistemi di videosorveglianza da parte di pubblici esercizi, aziende e amministrazioni.
La novità più visibile – e non è un gioco di parole – riguarda i cartelli informativi: non bastano più le classiche diciture generiche. Il Garante raccomanda l’adozione di icone “user-friendly”, intuitive e facilmente riconoscibili, che permettano a chiunque di comprendere immediatamente che sta per entrare in una zona sorvegliata. L’informazione deve essere chiara, accessibile e posizionata in modo da essere vista prima che l’interessato venga ripreso.
Il principio alla base è quello della trasparenza, cardine del Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR). La videosorveglianza, infatti, costituisce a tutti gli effetti un trattamento di dati personali, soprattutto quando le immagini sono nitide, archiviate o utilizzate per finalità ulteriori rispetto alla sicurezza. Ecco perché il posizionamento delle telecamere, la qualità delle riprese e la presenza di microfoni devono essere valutati con attenzione: una telecamera puntata su una strada pubblica o su una proprietà altrui può facilmente sconfinare nell’illegittimità.
Il provvedimento nasce anche da casi concreti. Come quello del minimarket romano dove, durante un controllo della Questura, è stata rilevata la presenza di sei telecamere perfettamente funzionanti ma prive di cartelli informativi. Il titolare non ha fornito alcuna documentazione difensiva e si è visto notificare l’avvio di un procedimento sanzionatorio per violazione degli articoli 5 e 13 del GDPR.
Il Garante ha inoltre inviato una lettera al presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, sollecitando un intervento concreto per contrastare l’uso improprio dei sistemi di sorveglianza nei negozi. L’obiettivo è duplice: tutelare la privacy dei cittadini e promuovere una cultura della legalità digitale. Troppe telecamere, infatti, vengono installate senza garanzie, con microfoni attivi o orientate verso aree non pertinenti, come spazi pubblici o dipendenti al lavoro.
Le linee guida europee (EDPB 3/2019) e la normativa nazionale impongono che ogni impianto sia giustificato da una finalità legittima, proporzionato e non invasivo. In caso contrario, il rischio non è solo quello di una sanzione, ma di minare la fiducia tra cittadini e operatori.
In sintesi, il messaggio del Garante è chiaro: la videosorveglianza non può essere una zona grigia. Serve trasparenza, responsabilità e rispetto dei diritti fondamentali. E tutto comincia da un cartello ben fatto.