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La marcatura CE contraddistingue prodotti sicuri e in linea con gli standard europei

  • Redazione
  • 26 novembre 2024

La marcatura CE garantisce che i prodotti acquistati siano sicuri e che seguano gli standard imposti dalle direttive di prodotto della UE.
Non è semplice muoversi nella selva delle numerose “direttive di prodotto” promulgate dalla UE. La regola di base da tenere in mente è questa: esiste almeno una direttiva, norma o regolamento per ogni categoria di prodotto circolante in EU e se all’interno di una direttiva si esclude un prodotto specifico, è perché c’é una direttiva o norma più specifica che ne parla.
Ad esempio la DIR. 42/06 CE, “Nuova Direttiva Macchine”, esclude dal campo di applicazione gli ascensori perché esiste già la specifica Direttiva Ascensori. O ancora, la Direttiva Macchine esclude dal campo di applicazione i mezzi che vanno a più di 15 km/h perché si dovrà fare riferimento ad una o altre norme specifiche e nazionali (ad es. il Codice della Strada, l’omologazione degli autoveicoli, etc.).
Per districarsi in questa selva esiste comunque un sito dell’Unione Europea che ospita la mappa aggiornata di tutte le direttive di prodotto.
Il sito si trova al seguente link: https://single-market-economy.ec.europa.eu/single-market/european-standards/harmonised-standards_en?prefLang=it&etrans=it. È comunque possibile accedervi tramite browser ricercando “harmonised standards”.
Quando un produttore, o chi immette un prodotto sul mercato, deve scegliere la direttiva di riferimento per il suo prodotto pensa innanzitutto alla destinazione d’uso, quindi essenzialmente:
• a cosa serve quel prodotto;
• a chi serve quel prodotto;
• in che contesto serve quel prodotto.
In base a queste informazioni, si seleziona la direttiva o le direttive di riferimento perché si potrebbe dover fare riferimento a più di una direttiva.
Ad essere precisi, quando si appone il marchio CE, si sta dichiarando che sono rispettate tutte le direttive che possibilmente si applicano al prodotto in questione.
È vero che nella dichiarazione di conformità si deve indicare quali direttive si stanno applicando. Ma è anche vero che, a fronte di una potenziale contestazione, ad esempio sul fatto che anche un’altra direttiva sarebbe applicabile, si deve poter dimostrare che essa non lo è.

LE DIRETTIVE PIÙ RILEVANTI

Vediamo ora alcune delle direttive prodotto che possono tornare più utili. Naturalmente non si tratta di un elenco esaustivo, farò solo degli esempi.

Sostanze chimiche (REACH)
Il REG (CE) n. 1907/2006 detto “REACH”, acronimo di Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of Chemicals), è un regolamento europeo entrato in vigore nel 2008.
Questa norma dice che tutte le sostanze chimiche importate o fabbricate in una quantità superiore a una tonnellata all’anno devono essere registrate all’ECHA, un’agenzia europea che sta ad Helsinki nella quale si studia l’uso di quella sostanza lungo tutta la filiera.
In pratica all’ECHA si fa la valutazione del rischio per informare tutta la filiera dei pericoli legati a quella sostanza.
Lo scopo finale sarebbe quello di togliere le sostanze più pericolose dal mercato e pian piano sostituirle con sostanze meno nocive.

Prodotti da costruzione (CPD/CPR)
Prodotti da costruzione, il riferimento qui è il REG EU (Regolamento Europeo) 305/2011.
Già dai primi articoli si può notare quale sia la fattispecie di prodotti cui il Regolamento si applica.
L’articolo 1 (Capo I) ad esempio recita: “Il presente regolamento fissa le condizioni per l’immissione o la messa a disposizione sul mercato di prodotti da costruzione stabilendo disposizioni armonizzate per la descrizione della prestazione di tali prodotti in relazione alle loro caratteristiche essenziali e per l’uso della marcatura CE sui prodotti in questione”.
Poi si passa alle definizioni.
Prodotto da costruzione: Qualsiasi prodotto o kit fabbricato e immesso sul mercato per essere incorporato in modo permanente (quindi per sempre) in opere di costruzione o in parti di esse e la cui prestazione incide sulla prestazione delle opere di costruzione rispetto ai requisiti di base delle opere stesse.
Per cui la direttiva si applica, ad esempio, ai tasselli nel muro o alle maniglie. Maniglie come quelle che metto sopra la vasca da bagno per sollevarmi, ma anche come le guide che stanno ai lati dove si appoggia il carroponte, anche le incastellature metalliche su cui si appoggiano le macchine. Quelli sono prodotti da costruzione, quegli oggetti devono rientrare in questo regolamento.
Un esempio pratico: una scaffalatura messa in mezzo a un magazzino non è incorporata in modo permanente in un’opera di costruzione. Quindi la domanda da farsi è: “questo prodotto deve essere incorporato in modo permanente all’interno della costruzione?”. Se la risposta è negativa, il prodotto in oggetto è escluso dalla direttiva.

Sicurezza generale dei prodotti
In Italia l’insieme di provvedimenti per la sicurezza generale dei prodotti è recepito dal “Codice del Consumo” (emanato con il D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) che spiega a grandi linee come un prodotto può essere considerato sicuro. Questo codice annovera qualsiasi prodotto destinato ai consumatori e che permette inoltre di comprendere tutti gli oggetti distribuiti nell’Unione Europea (gratuitamente o a pagamento) che non rispondono a una direttiva specifica.

Dispositivi di Protezione Individuali (DPI)
Dopo la pandemia da COVID-19 il termine “DPI” è entrato nel lessico comune, in riferimento alle mascherine protettive, anche se in spesso la definizione “protezione individuale” non è correttamente applicabile.
Nello specifico, se una mascherina protegge gli altri dalla mia possibile trasmissione è in effetti un DPC, ossia un dispositivo di protezione collettiva. Ma tralasciamo questi tecnicismi.
Andiamo piuttosto a leggere il campo di applicazione, perché è lì che si evince cosa potrebbe rientrare nella direttiva.
Infatti qui troviamo la definizione di DPI e, inoltre, un elenco di DPI a cui non si applica il regolamento, poiché fanno riferimento ad altre direttive più specifiche.
Definizione di DPI:
• a) dispositivi progettati e fabbricati per essere indossati o tenuti da una persona per proteggersi da uno o più rischi per la sua salute o sicurezza;
• b) componenti intercambiabili dei dispositivi di cui alla lettera a), essenziali per la loro funzione protettiva;
• c) sistemi di collegamento per i dispositivi di cui alla lettera a) che non sono tenuti o indossati da una persona, che sono progettati per collegare tali dispositivi a un dispositivo esterno o a un punto di ancoraggio sicuro, che non sono progettati per essere collegati in modo fisso e che non richiedono fissaggio prima dell’uso;
Da qui si capisce cos’è un salva-vita, un salva-salute. I guanti da lavoro sono un DPI, i guanti per proteggersi dal freddo no. Andando avanti ancora: capisco che il DPI cambia categoria a seconda del rischio da cui proteggono, dunque se il DPI che produco rientra in categoria 1 (rischio basso) basterà un’autocertificazione, se vado in categoria 3 (rischio alto) ci vuole un ente certificato. Le mascherine, ad esempio, devono avere una certificazione validata da un ente apposito che controfirma e mette di fianco al CE il suo codice identificativo.

Compatibilità Elettromagnetica
Rientra in questa direttiva tutto ciò che emette o assorbe onde elettromagnetiche. Perché un oggetto che assorbe le onde elettromagnetiche potrebbe partire da solo.
Quindi se ho un oggetto – un motorino ad esempio – che si accende perché assorbe onde elettromagnetiche, assorbe dei comandi dall’esterno oppure emette onde, rientra in questa direttiva. Se un dispositivo elettrico o elettronico emette onde che non dovrebbe emettere, può essere un problema serio. In ospedale ad esempio il mio oggetto potrebbe interferire con i test di risonanza magnetica. Naturalmente questo non deve succedere e il costruttore deve garantire che l’oggetto non si accenda da solo, che non rovini quello che c’è fuori o che non accenda altro al di fuori o, ad esempio, che non interferisce con un pacemaker o un apparecchio elettromedicale vitale. Per evitare che questo accada vengono eseguiti dei test di assorbimento di emissione in camera “anecoica”.
Quasi tutti i prodotti che hanno tensione elettrica normalmente rispondono anche al regolamento sulla compatibilità elettromagnetica.

Apparecchiature per atmosfere esplosive (ATEX)
Eccoci alla direttiva ATEX, quella per le atmosfere esplosive.
Si applica l’ATEX quando si è in presenza di gas o polveri in una data percentuale che circolano in una certa atmosfera dove esiste la possibilità di trovare una fonte d’innesco che può generare una scintilla, infiammare l’atmosfera e creare un’esplosione.
L’ATEX contiene due direttive: una sui luoghi e una sui prodotti.
• 1) La certificazione ATEX dei luoghi distingue le zone in tre livelli in base alla pericolosità:
– 20/0 zona a rischio alto;
– 21/1 zona a rischio medio;
– 22/2 zona a rischio basso.
Ma se fosse necessario usare un prodotto in un luogo classificato a rischio esplosione allora sarà necessario usare prodotti che non generino esplosione. Ad esempio uno smartphone non sarà idoneo e dovrò usare un cellulare certificato ATEX.
• 2) La certificazione ATEX per i prodotti distingue anche in questo caso i prodotti in tre livelli in base alla pericolosità:
– Per la zona più pericolosa (zona 0/20) devo avere un prodotto ATEX di categoria 1 – dove un ente notificato ha validato la certificazione mettendoci quattro cifre sulla targhetta e dicendo anche che tipo di sostanze o polveri ci sono nell’atmosfera;
– La zona 1/21 è meno pericolosa ma non è sicura, c’è sempre una probabilità che si creino atmosfere esplosive. Il prodotto usato lì deve essere di categoria 2. Qui basta un’autocertificazione, ma il fascicolo tecnico viene depositato presso un ente notificato così che, nel caso vada qualcosa storto, lo vanno a prendere e leggere;
– La Zona 2/22 è quella meno pericolosa, dove è scarsamente probabile che accada un’esplosione (ma non impossibile). Qui si mettono prodotti ATEX di categoria 3 che richiedono solo un’autocertificazione.
Quindi io potrei avere un prodotto che non è compreso nella Direttiva Macchine ma rientra nella Direttiva ATEX, perché deve essere compatibile con una certa zona: ad esempio un filtro potrebbe essere ATEX e non essere una macchina. Oppure, al contrario, potrei avere un prodotto che è sia conforme alla Direttiva Macchine, sia alla Direttiva ATEX e anche alla Direttiva Compatibilità Elettromagnetica.

Prodotti a Bassa Tensione (LVD)
Il regolamento sui prodotti a bassa tensione copre tutti quei prodotti che hanno una tensione superiore ai 50-75 V.
Questa è una direttiva molto semplice, ma che troviamo applicata in tutte le nostre case.
Obiettivi e campo di applicazione: “L’obiettivo della presente direttiva è garantire che il materiale elettrico offra un elevato livello di protezione per la salute e la sicurezza delle persone, degli animali domestici e dei beni, assicurando nel contempo il funzionamento del mercato interno”.
In questa direttiva è la prima volta che si trovano citati anche gli animali domestici e i beni, poiché l’energia elettrica può generare gli incendi.
“La presente direttiva si applica al materiale elettrico destinato ad essere adoperato a una tensione nominale compresa fra 50 e 1000 V in corrente alternata e fra 75 e 1500 V in corrente continua, ad eccezione dell’allegato II”.
NOTA: per “bassa tensione” non si intende quella che comunemente viene così chiamata dai “consumatori”, bensì quella che a livello di normative elettrotecniche ha un voltaggio tra i 50 V e i 1000 V in corrente alternata e tra 75 e 1500 V in corrente continua.
Se il rischio prevalente del macchinario in questione è quello meccanico, l’oggetto sarà sottoposto alla Direttiva Macchine che, a sua volta, comprenderà anche la Direttiva bassa tensione.

Equipaggiamento radio (RED)
La direttiva RED si applica a tutti quei prodotti che emettono onde radio.
Questa direttiva è più specifica della compatibilità elettromagnetica, quindi la comprende e la sostituisce. Un dispositivo Bluetooth o Wi-Fi etc. dovranno quindi essere conformi alla direttiva RED. La direttiva RED funziona con delle norme di tipo C (norme tecniche) specifiche del prodotto. Se vengono rispettate ho la “presunzione di conformità” del prodotto e posso fare un’autocertificazione. Se invece non esiste una norma di tipo C di riferimento, sarà necessario chiamare un ente notificato che validi la certificazione attestando che il prodotto è sicuro.
Incorporando un componente classificato come “RED” nel mio “prodotto”, si deve certificare la conformità dell’intero prodotto anche secondo la direttiva RED: è necessario quindi verificare innanzitutto che il componente rispetti la norma di tipo C e, secondariamente, che anche l’insieme rispetti la norma di tipo C.
Per verificare che il mio prodotto rispetti le norme di tipo C e quindi stilare l’autocertificazione devo ricorrere a un test di laboratorio. Quindi di fatto è possibile fare il test in laboratorio e poi l’autocertificazione o, in alternativa, se passare il tutto tramite un ente accreditato che rilascia la certificazione.

Direttive sui dispositivi medici
Si può generalmente dire che i dispositivi medici vengono distinti in tre tipologie, a cui corrispondono tre diverse direttive:
• 1) Dispositivi medici attivi impiantabili;
• 2) Dispositivi medici di diagnostica in vitro;
• 3) Dispositivo medico “generico”.
N.B. Il 26/05/2021 è entrato in vigore il nuovo regolamento per i dispositivi medici, che doveva entrare in vigore a maggio 2020 ma è stato procrastinato per via della pandemia Covid.
Un “dispositivo medico” è qualsiasi oggetto o prodotto che sia destinato alla cura delle persone. Ci sono però numerosi prodotti destinati alla cura delle persone che non rispettano la direttiva sui dispositivi medici poiché ritenuta “troppo severa”.
N.B. non entreremo in questo tipo di valutazione poiché richiederebbe un approfondimento tecnico che esula dalle intenzioni dell’articolo.
Per fare però un esempio chiarificatore della fattispecie: il termometro a infrarossi con cui veniva misurata la temperatura all’ingresso dei locali o dei negozi durante la pandemia, è un dispositivo medico. Poiché esegue una “diagnosi” (cioè dice se abbiamo la febbre o no), deve avere l’approvazione dell’ente notificato (nel qual caso a fianco del marchio “CE” sono riportate quattro cifre che identificano univocamente l’ente notifi-cato che ha certificato lo strumento di misura).
In realtà, però, in commercio si trovano un gran numero di termometri che vengono venduti senza le quattro cifre a fianco del marchio “CE” e che quindi, di fatto, non sono dispositivi medici anche se l’uso che ne viene fatto è quello di un dispositivo medico.
È possibile metterli in commercio perché i produttori puntualizzano, sul libretto di uso e manutenzione, che sono strumenti atti a misurare la temperatura degli oggetti, tipo l’acqua, le caldaie, le tubature dentro i muri, etc. e in tal modo posizionano il prodotto al di fuori del “perimetro normativo” dei prodotti medicali.

Direttive sugli strumenti di misurazione
Esistono poi due direttive sulle bilance: una per le bilance automatiche e una per quelle non automatiche.
Per comprendere il senso di tali normative bisogna considerare quanto la corretta taratura di una bilancia e, di conseguenza, la sua affidabilità, possa generare il rischio di truffe nel commercio. Tra questi strumenti di misurazione sono compresi anche, ad esempio, i misuratori applicati agli erogatori del carburante
È facile intuire come il commerciante disonesto, se libero di agire sulla taratura dello strumento di misura specifico, potrebbe alterare l’esito della pesata e alterare le quantità effettivamente vendute a suo vantaggio. Non che questo non sia possibile in assoluto, ma per farlo è necessario forzare dei sistemi di controllo sempre più sofisticati la cui manomissione costituisce, come minimo, un reato di truffa. Questo è uno dei motivi per cui c’è particolare attenzione sulle bilance.
Una bilancia automatica può essere, ad esempio, integrata nell’incubatrice del reparto neonatale in un ospedale. Quindi, in questo caso, dovrebbe sottostare anche alla normativa sui dispositivi medici.
È questo un ulteriore esempio di come le norme/direttive si intersechino in un certo tipo di prodotti.

Direttiva Macchine (MD)
Nella Direttiva Macchine Dir. 42/2006 CE si parla di “analisi dei rischi della macchina”.
La valutazione del rischio di una macchina è il processo mediante il quale vengono identificati i pericoli presenti durante l’intera vita di quella macchina, effettuati al fine di ridurre i potenziali rischi che possano essere presenti sul posto di lavoro e mantenere quindi un ambiente di lavoro sicuro.
L’obiettivo della valutazione del rischio nella direttiva macchine è quello di determinare se le misure di sicurezza adottate siano sufficienti per conseguire un’adeguata riduzione del rischio.
Data la complessità e vastità dell’argomento, questa direttiva sarà oggetto di una trattazione a parte in un articolo specificamente dedicato.

Riassumendo
Quando un produttore appone la marcatura CE su un prodotto ed emette la relativa (e obbligatoria) dichiarazione di conformità, sta assicurando che i suoi prodotti rispettano tutte le norme di sicurezza UE applicabili a quel determinato prodotto.
Queste norme sono contenute nello specifico all’interno delle varie direttive e regolamenti, disponibili anche sul sito dell’Unione Europea.
A un certo prodotto potrebbe applicarsi solo una direttiva o potrebbero applicarsene diverse. Un indizio importante lo si trova proprio all’interno delle norme, andando a vedere il “campo di applicazione”. Di solito se un prodotto è escluso vuol dire che rientra in una norma ancora più specifica.
Ogni norma tecnica ha dei suoi standard, può ad esempio prevedere una serie di test e di calcoli particolari per la valutazione del rischio.
Tutta la documentazione così prodotta va inserita all’interno di un “fascicolo tecnico” e andrà poi conservata per un certo periodo di tempo indicato nella direttiva stessa.

A cura di: Francesco Orsini – Esperto nel settore Sicurezza – B-SAFE

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