Che gli investimenti in efficienza energetica siano cresciuti negli ultimi anni, in Italia, ormai è cosa risaputa. A ulteriore conferma, i dati dell’Energy Efficiency Report, del Politecnico di Milano, calcolano in 5,5 miliardi di euro l’investimento in efficienza energetica del 2015, in crescita rispetto all’anno precedente di oltre il 10%. Nonostante i numeri incoraggianti, il grado di maturità del mercato italiano in questo settore è ancora basso se si considera che il ricorso agli operatori specializzati è limitato e circoscritto. Lo dimostra il fatto che le ESCo hanno raggiunto, sempre nel 2015, una quota di mercato di appena il 21,2% del totale, a favore degli interventi cosiddetti “self-made”, che sono stati decisamente preponderanti.
L’intervista che abbiamo realizzato ad Antonio Vrenna (nella foto), vicepresidente di Federesco (la federazione nazionale delle ESCo che riunisce e tutela le energy service company), ha lo scopo di approfondire il ruolo delle ESCo in Italia nel promuovere l’efficienza energetica, anche alla luce dei dati emersi dall’Energy Efficiency.
Vicepresidente Vrenna, che ruolo svolgono le ESCo nel raggiungimento dell’obiettivo 20-20-20? Qual è la “carta vincente” del modello delle ESCo?
Efficienza Energetica: un binomio che riassume in maniera calzante la più importante opportunità di risparmio, e conseguentemente profitto, per privati, aziende e investitori, nonché una reale opportunità lavorativa per le aziende che operano nel settore. Quello che però distingue il “fare, prospettare e realizzare Efficienza Energetica” per un edificio o un’impresa, è l’enorme competenza tecnica ed esperienza che bisogna mettere in campo: fattori necessari e imprescindibili che ogni azienda che intenda cimentarsi in questa nuova sfida deve necessariamente avere, anche vista la severa selettività di questo segmento di mercato.
Le ESCo certificate UNI CEI 11352, con anni di esperienza negli impianti tecnologici, con il loro dinamismo nell’evolversi su più fronti e con la loro preparazione e continua formazione, sono sicuramente le aziende più titolate nel favorire il raggiungimento dell’obiettivo 20-20-20, operando a 360° su aspetti anche molto diversi tra loro quali la diagnosi energetica, la progettazione, la gestione, l’installazione e il monitoraggio. Sono sicuramente queste le caratteristiche vincenti del modello ESCo.
In Italia il trend degli investimenti in efficienza energetica è in crescita. Dove sono meglio inserite le ESCo e in quale settore stentano ad affermarsi? Come mai?
Nonostante il trend sia in crescita, il livello di maturità del mercato italiano è ancora basso, probabilmente dovuto a una serie di concause quali: la difficoltà nell’ottenimento dei finanziamenti; la ridotta propensione degli investimenti in efficienza energetica nonostante tutti gli studi evidenzino un rapporto positivo tra costi e benefici; la difficoltà delle imprese nell’individuare gli operatori ESCo qualificati. Sicuramente dal 19 luglio 2014, ovvero dalla data di entrata in vigore dell’art. 12 del D.lgs. 102/2014, l’obbligo per le ESCo della Certificazione UNI CEI 11352-2014, necessaria per operare sul mercato e che definisce i criteri per “misurare” la garanzia del risultato, assicura maggior trasparenza e garanzie al cliente finale.
Cosa manca alla normativa italiana, dal vostro punto di vista, affinché il meccanismo delle ESCo si diffonda maggiormente?
Le norme ci sono ma il Governo non le applica. Ad esempio, cronico è il ritardo del Governo sui decreti attuativi del fondo rotativo di 70 milioni di euro all’anno, fino al 2020, per l’efficientamento energetico. L’obiettivo principale di questo strumento è quello di fornire maggiori garanzie sugli investimenti in efficienza energetica, dal momento che è stato pensato per coprire fino all’80% dei prestiti erogati dalle banche e, dunque, abbassare il rischio delle operazioni (così come previsto dall’art. 15 del D.lgs. n. 102 del 2014). Il fondo potrebbe costituire un volano importante per l’economia del settore, riuscendo a innescare investimenti di risorse private pari a 400 milioni di euro l’anno. Inoltre, l’ulteriore grandissimo ritardo di due anni rispetto alla riforma dei “certificati bianchi” non favorisce la pianificazione degli investimenti.
Da questo punto di vista, ritiene che il Piano Periferie lanciato da Renzi, rappresenterà uno slancio nuovo verso l’efficientamento energetico dei grandi condomini e, in generale, delle periferie italiane?
Naturalmente auspichiamo sia così. Ma sappiamo che tra il dire e il fare, spesso, c’è di mezzo un procedimento legislativo e burocratico molto complesso e lungo – equazioni, codici e comitati – che potrebbe frenare l’entrata in vigore dello stesso Piano Periferie.