Come puntualizzato dalla Cassazione con la sentenza 54531/2016, per la legge gli animali sono da considerare “cose”, e pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo, come accaduto nella fattispecie, in cui oggetto del contendere erano i rumori e gli odori molesti che provocavano in condominio.
——————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n.54531/2016
—————-
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Trieste, in accoglimento dell’appello del P.M. avverso l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo dei cani di B.L., disponeva il predetto sequestro.
(omissis)
2. Ricorre per cassazione il difensore di B.L., denunciando violazione di legge penale.
Il sequestro preventivo dei cani è legittimo solo in caso di loro maltrattamento; al contrario, gli animali di compagnia non possono essere considerati “cose pertinenti al reato”, in quanto esseri senzienti.
(omissis)
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che gli animali sono considerati “cose”, assimilabili – secondo i principi civilistici – alla res, anche ai fini della legge processuale, e, pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo (omissis).
La distinzione che la ricorrente propone – il sequestro preventivo dell’animale sarebbe possibile solo per tutelarlo contro i maltrattamenti e non in altri casi – non ha alcun fondamento normativo positivo. Al contrario, proprio la previsione dell’art. 544 sexies cod. pen. costituisce una conferma normativa recente che gli animali possono essere soggetti a confisca (nel caso contemplato dalla norma, obbligatoria) e, quindi, a sequestro preventivo.
La ricorrente, in realtà, pretende di desumere la non sequestrabilità degli animali da argomentazioni che non hanno niente a che vedere con la violazione di legge (unico motivo per cui è ammesso il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame in materia di sequestri, art. 325, comma 1, cod. proc. pen.).
I passaggi logici esposti nel ricorso sono i seguenti: a) i cani sono esseri senzienti delle cui esigenze in materia di benessere gli Stati dell’Unione Europea devono tenere conto e a cui non possono essere cagionate pene, sofferenze ed angosce non necessarie; b) l’allontanamento dei cani dal loro padrone crea sicuramente uno stato di sofferenza nell’animale; c) la ricorrente ama teneramente i cani e non li sottopone ad alcun maltrattamento.
A ben vedere, riconoscere i cani come “esseri senzienti” – qualunque portata si voglia attribuire a tale espressione – non muta affatto, in maniera vincolante sul legislatore nazionale e sul giudice, il loro regime giuridico, tenuto conto che, rispetto a determinate specie animali, l’uomo ha sempre riconosciuto una capacità, maggiore o minore, di comprendere e di relazionarsi con l’uomo stesso.
Non è un caso, quindi, che il Trattato di Lisbona e la Convenzione di Strasburgo evocati dalla ricorrente altro non facciano che vietare l’inflizione agli animali di sofferenze non necessarie: divieto cui aveva già provveduto il Codice Zanardelli e nei decenni rafforzato sotto vari aspetti (omissis).
Ma la “necessità” cui parametrare la liceità della condotta violenta nei confronti dell’animale “senziente” è quella dell’uomo, e non quella dell’animale; né è proponibile qualsivoglia equiparazione tra le esigenze lecite dell’uomo e quelle dell’animale, così da giungere addirittura a ritenere la condotta umana sproporzionata per essere l’interesse che la muove meno importante della garanzia di benessere dell’animale: gli uomini sono superiori agli animali, sono padroni degli animali e li utilizzano per le loro esigenze, sia pure tentando di evitare loro sofferenze superflue perché non collegate al soddisfacimento dell’interesse umano.
Questa Corte, quindi, ha affermato che la situazione di “necessità” che esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui, comprende non solo lo stato di necessità di cui all’art. 54 cod. pen., ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per prevenire od evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona, propria o altrui, o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile (omissis).
Ecco che la – comunque non dimostrata e niente affatto “pacifica e indiscutibile” – sofferenza dei cani derivante dall’allontanamento dal luogo dove vengono custoditi dalla ricorrente è priva di rilevanza rispetto alle esigenze umane che le norme penali di cui agli artt. 674 e 659 cod. pen. tutelano.
Il sequestro, per di più, produce la (non provata) minore sofferenza possibile per gli animali interessati, che non vengono né uccisi, né feriti o maltrattati, ma soltanto trasferiti in un diverso luogo di custodia.
Infine, anche il sentimento che la ricorrente prova verso i propri animali – un dato che ha una qualche rilevanza giuridica, tenuto conto che viene evocato dal Titolo IX bis del Codice penale – non impedisce la loro sequestrabilità: il legislatore, infatti, pur riconoscendolo, non ha ritenuto di trarne un divieto di sequestro al fine di evitare una sofferenza al padrone degli animali; cosicché – in un bilanciamento questa volta possibile, trattandosi tutti di interessi umani – tale sentimento non può che cedere rispetto a quelli tutelati dalle norme penali già menzionate.
Il sequestro preventivo dei cani è pertanto legittimo: si tratta di cose pertinenti ai reati contestati la cui disponibilità da parte dell’indagata può protrarre la loro consumazione.
(omissis)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.