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CONDOMINIO: CHI PAGA PER LE INFILTRAZIONI D’ACQUA DA UN ALLOGGIO A QUELLO SOTTOSTANTE?

  • Redazione
  • 28 agosto 2015

In un condominio, i danni causati dalle infiltrazioni d’acqua da un appartamento a quello sottostante, vanno interamente rimborsati dai proprietari dell’alloggio da cui proviene la perdita, indipendentemente dal fatto che nell’appartamento di sotto vi siano altre macchie d’umidità generate da difetti di isolamento del condominio stesso. È quanto ha disposto la Corte di Cassazione con la sentenza 12920 del 23 giugno, di cui riportiamo un estratto.

——————-

CORTE CASSAZIONE,

sez. III civ., sent. 23 giugno 2015,

n. 12920

——————-

I FATTI 

I coniugi G.S. e B.C., avvocati, proponevano appello dinanzi alla Corte d’Appello di Catania avverso la sentenza del Tribunale di Catania che li aveva condannati al risarcimento del danno da infiltrazione di acqua provocato all’appartamento sottostante degli attori M.R. e M. nella misura di euro 1900, 00 circa oltre interessi sulla somma devalutata al 2001 e aveva rigettato là loro domanda riconvenzionale volta al ripristino da parte dei M. di una parete della facciata esterna. 

La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo che i danni nell’appartamento M. fossero derivanti causalmente dalle perdite idrauliche dall’appartamento dei G./B.. Quanto alla pretesa eliminazione della parete esterna da parte dei M., la corte territoriale riteneva trattarsi di creazione di una nuova finestra, legittima a norma dell’art. 1122 c.c.. 

Propongono ricorso per cassazione G.S. e B.C., articolato in quattro motivi. 

M.R. e M., regolarmente intimati, non hanno svolto attività difensiva. 

RAGIONI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo i coniugi G. e B. deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., 1° comma in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., lamentando che i controricorrenti, originari attori, nessuna prova abbiano fornito nel giudizio di merito in ordine alla causa dei danni lamentati ed al nesso di causalità esistente tra i danni e la condotta di essi ricorrenti, limitandosi a chiedere una consulenza tecnica d’ufficio che non è un mezzo di prova né può sostituirsi ad essa. 

Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa fatti decisivi della controversia in relazione all’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Lamentano la contraddittorietà e lacunosità della motivazione della sentenza di appello che da un lato ha ritenuto di non discostarsi dagli esiti cui era pervenuto il giudice di primo grado, e dall’altro lo ha fatto recependo e riportando le indicazioni fornite dalla consulenza redatta in appello, discordanti con quelle della consulenza di primo grado, in quanto solo in appello è emerso, come affermato dai coniugi G. e B. fin dall’inizio, che vi fosse una lesione nella colonna portante condominiale e che lo scarico dei G./B. non era stato sostituito. 

I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e vanno rigettati. In ordine al primo deve dirsi che, avendo i M., proprietari dell’appartamento sottostante, denunciato e documentato la presenza di infiltrazioni sul soffitto di alcune stanze del loro appartamento, sottostante a quello degli odierni ricorrenti, addebitandone la responsabilità ai proprietari dell’appartamento di sopra, legittimamente è stata disposta una consulenza tecnica percipiente che analizzasse e quantificasse i danni interni ed individuasse se effettivamente le infiltrazioni provenissero dall’appartamento sovrastante. I rilievi relativi al vizio di motivazione si riducono in realtà ad una contrapposizione tra la ricostruzione dei fatti cui è pervenuta la Corte d’Appello e la ricostruzione cui i ricorrenti tendono a pervenire, nel tentativo di indurre questa corte ad una nuova valutazione delle risultanze di fatto, che esula dalla sua competenza. 

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto larga parte dei danni effettivamente subiti dai M. sarebbero dovuti a responsabilità del condominio, perché provenienti dalla umidità a carico del muro perimetrale. Lamentano che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto di ciò, condannando essi ricorrenti a risarcire ai M. l’intero danno subito pur in mancanza di alcun vincolo di interdipendenza tra la condotta dei ricorrenti e quella del condominio. La Corte d’Appello, valorizzando gli approfondimenti fatti in secondo grado dal consulente tecnico delle indagini già eseguite in primo grado, ha accertato che i danni a carico della lavanderia, del bagno e di due pareti del salone dei M. derivano da infiltrazioni provenienti dal sovrastante appartamento dei G./B. .Ha poi confermato la condanna degli odierni ricorrenti all’integrale risarcimento del danno. Nel far ciò la corte territoriale ha recepito in pieno la quantificazione del danno effettuata in primo grado, ove il Tribunale aveva dettagliatamente chiarito che, per eliminare completamente i danni a carico di alcune pareti del salone era necessario rimuovere tutta la vecchia carta da parati ed applicarne una nuova di qualità similare, nonché ritinteggiare il soffitto (ed aveva anche ridotto in via equitativa l’importo necessario per l’intervento sull’intero salone in considerazione dell’accertata vetustà della carta da parati stessa). La Corte d’Appello ha fondato tale soluzione sul principio di solidarietà, affermando la sussistenza dell’unicità del fatto dannoso (infiltrazioni a carico dell’appartamento M.), salvo il diritto di rivalsa. La soluzione adottata, che prevede la condanna dei ricorrenti a risarcire l’intero danno patito dai M., è corretta. Essa va pertanto tenuta ferma, intervenendo però a correggere la motivazione. Il principio di solidarietà passiva a carico dei danneggianti, ex art. 2055 c.c., si applica infatti quando vi è l’unicità del fatto dannoso, ovvero quando le condotte attive o omissive di più soggetti concorrono, ciascuna con un suo apporto causale, a provocare un unico danno. Più volte questa Corte ha affermato una tale interpretazione del principio di solidarietà passiva, anche all’interno del rapporti condominiali. Vale a tale proposito richiamare il principio di diritto espresso da Cass. n. 6665 del 2009: “Il condominio, sebbene privo di soggettività giuridica, è un autonomo centro di imputazione di interessi che non si identifica con i singoli condòmini. Da ciò consegue che in tema di responsabilità extracontrattuale, se il danno subito da un condomino sia causalmente imputabile al concorso del condominio e di un terzo, al condomino che abbia agito chiedendo l’integrale risarcimento dei danni solo nei confronti del terzo, il risarcimento non può essere diminuito in ragione del concorrente apporto casuale colposo imputabile al condominio, applicandosi in tal caso non l’art. 1227, primo comma, cod. civ., ma l’art. 2055, primo comma, cod. civ., che prevede la responsabilità solidale degli autori del danno”. Nel caso di specie è stato accertato che oltre ai danni recati dalle infiltrazioni provenienti dall’appartamento dei ricorrenti e diffuse in varie stanze dell’appartamento posto al piano di sotto e su diverse pareti del salone, che è l’ambiente più ampio, esiste un’altra macchia di umidità, su una delle pareti del salone, che non proviene dall’appartamento dei ricorrenti (e che non è stato neppure accertato quando si sia verificata né è chiaramente detto da chi sia stata provocata) e la cui esistenza non è, come rilevato dai ricorrenti, legata da alcun nesso di interdipendenza con le infiltrazioni provocate dai ricorrenti. Quindi, l’obbligazione dei ricorrenti di risarcire l’intero danno subito dai M. non si fonda in questo caso sull’applicazione del principio di solidarietà che non sarebbe in questo caso giustificata, mancando l’unicità del fatto dannoso, ovvero l’interdipendenza tra le concause. Essa si fonda, piuttosto, sul diritto dei danneggiati ad ottenere il ristoro integrale del danno subito. Poiché il danno consiste in macchie diffuse sulle pareti e sul soffitto di alcuni ambienti, il ristoro integrale, nel caso di specie, deve necessariamente consistere in un intervento ripristinatorio che abbia per oggetto tutte le stanze oggetto di infiltrazioni e per l’intero, non potendo essere idoneo ad eliminare integralmente il danno da infiltrazioni un intervento che non preveda l’integrale rifacimento delle finiture di rivestimento di tutte le pareti e dei soffitti degli ambienti danneggiati, ma tocchi solo alcune delle pareti delle stanze danneggiate. Soltanto nel caso in cui esistesse una situazione di degrado a carico della parete che non risente delle infiltrazioni provenienti dall’appartamento G./B. tale da rendere necessario un intervento di ripristino diverso e più oneroso di quello necessario ad eliminare i danni provocati dai G. /B. (es. rifacimento integrale dell’intonaco, consolidamento della parete) – ma tanto non è stato neppure ipotizzato dai ricorrenti – esso non potrebbe essere posto a carico della parte danneggiarne che non vi ha dato causa perché andrebbe al di là del ripristino da essa dovuto. Può quindi affermarsi che il proprietario di un immobile, il quale domandi il risarcimento dei danni ad esso cagionati in conseguenza delle infiltrazioni provenienti da un appartamento sovrastante, essendo state danneggiate talune parti che, per esigenze di uniformità, richiedano un più esteso intervento ripristinatorio delle condizioni di normale abitabilità del bene rispetto ai singoli punti danneggiati, ha diritto di conseguire il rimborso dell’intera somma occorrente per tale lavoro, trattandosi di esborso necessario per la totale eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, che non può essere addossato al danneggiato stesso (v. per l’espressione di analogo principio, in relazione a danni provocati da lavori di ristrutturazione a carico di un appartamento sottostante, Cass. n. 259 del 2013). 

Infine, con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1122 c.c. ex art. 360 n. 3 sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe eluso la questione, da loro posta nella domanda riconvenzionale, se l’apertura di un varco privo di infisso – e non di una finestra – nel muro esterno si ponga o meno in contrasto con la funzione di delimitazione che svolgono i muri perimetrali. Il motivo è inammissibile così come proposto. Infatti, la Corte d’Appello, con accertamento in fatto non in questa sede censurato sotto l’unico possibile profilo della adeguatezza della motivazione, ha affermato che i M. hanno aperto si aperto un varco su una parete esterna, ma per collocarvi una finestra quindi non si può ulteriormente discutere in questa sede del fatto che in realtà si trattasse dell’apertura di un varco rimasto aperto. La diversa censura dei ricorrenti doveva essere veicolata o a norma dell’art. 360 n. 5, quale vizio motivazionale, ovvero, se ne fossero ricorsi gli estremi, a norma dell’art. 395 n. 4 c.p.c.. Il ricorso va complessivamente rigettato. Nulla sulle spese, in difetto di costituzione degli intimati. 

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso.

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