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Liti in condominio: è reato sporcare il bucato della vicina con la pipì

  • Quotidiano Del Condominio
  • 2 luglio 2020

La Cassazione ha respinto il ricorso di una donna, condannata per il reato di getto pericoloso di cose previsto dall’art. 674 c.p. per aver lanciato urina e sostanze chimiche sul bucato della vicina di casa, del piano sottostante, al fine di recare disturbo con i vapori di questi liquidi. Contrariamente a quanto sostenuto dall’imputata, il racconto della persona offesa è risultato assolutamente attendibile, confermato dai testimoni e dalla produzione di un certificato che attestava “una crisi neuro-distonica, ricollegabile alle esalazioni di sostanze chimiche gettate sul balcone”.

 

—————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n. 6608/202
—————-

Ritenuto in fatto

1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Enna condannava C.B. alla pena di 150 euro di ammenda, condizionalmente sospesa, per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 674 cod. pen., a lei contestato per avere gettato sul piano sottostante del medesimo stabile dove è situata la sua abitazione, sostanze organiche, quali urina, ovvero sostanze di natura chimica atte a imbrattare la biancheria stesa sul ballatoio della coinquilina P.S., ovvero a recare molestia alla predetta mediante i vapori nocivi sprigionati dalle medesime sostanze. (omissis).

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, e 546 cod. proc. pen. e 609-bis, 609-ter n. 1, 609-quarter e 133 cod. pen. Ad avviso della ricorrente, il Tribunale avrebbe dato credito unicamente alla versione della persona offesa, senza tener conto di rapporti conflittuali tra le parti, e in assenza di riscontri esterni, tali non essendo né le dichiarazioni dei testi T., all’epoca dei fatti legato sentimentalmente alla parte civile, e C., la quale era un’assidua frequentatrice della casa della P.S., né dal certificato medico dell’01/07/2013.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) con riguardo agli artt. 530, comma 2, e 533 cod. proc. pen. Ad avviso della ricorrente, il Tribunale avrebbe pronunciato sentenza di condanna, senza applicare il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

(omissis)

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. I prime due motivi, esaminabili congiuntamente stante la stretta relazione della questioni dedotte, sono manifestamente infondati perché, il primo (al di là dell’erronea indicazione delle norme di legge che si assumono violate: artt.609-bis, 609-ter n. 1, 609-quarter e 133 cod. pen., evidentemente frutto di un lapsus calami) è articolato in fatto, mentre il secondo è generico.

2.1. Come affermato da questa Corte nel suo più autorevole consesso, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012).

2.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha correttamente applicato il principio ora ricordato, in quanto, pacifica la conflittualità tra l’imputata e la persona offesa, ha tratto precisi elementi di riscontro al narrato di quest’ultima dalle dichiarazioni dei testi C. e T., i quali hanno entrambi riferito di avere visto la C.B. gettare liquami sul balcone della P.S., nonché dal certificato medico del 01/07/2013, che attesta una crisi neuro distonica, ricollegabile alle riferite esalazioni di sostanze chimiche gettate sul balcone.

(omissis)

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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  • condominio
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  • sentenze di cassazione
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