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CONDOMINIO E INFILTRAZIONI DALLA TERRAZZA A LIVELLO: EXCURSUS GIURIDICO SULLE RESPONSABILITÀ

  • Redazione
  • 18 marzo 2015

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano – presidente onorario A.C.A.P.] 


PREMESSA

A prima vista sembra essere in presenza di un accadimento di facile interpretazione. Così non è.

Spesso in condominio il proprietario dell’immobile sottostante lamenta infiltrazioni provenienti dalla soprastante  terrazza a livello che – come è noto – viene equiparata al lastrico solare qualora assuma anche funzione di copertura (Cass. civ., Sez. II, 27/07/2004, n. 15702; Cass. civ., Sez. II, 15/07/2003, n. 11029).  Di tale fattispecie si è occupata di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1674 del 29 gennaio 2015.  La lettura della stessa ha dato l’occasione per diverse considerazioni, esaminiamole una ad una:



1. In giudizio va citato il condominio

In primo luogo vi è da dire che il proprietario dell’appartamento sottostante, danneggiato dalle infiltrazioni, che intenda ottenere il risarcimento dei danni, ovvero l’ordine di esecuzione dei lavori necessari per eliminarne le cause, deve in ogni caso proporre la sua domanda nei confronti del condominio in persona dell’amministratore (Cass. civ., sez. II, sent. 15/07/2002, n. 10233). 

Inoltre, poiché il lastrico solare (equiparato alla terrazza a livello) svolge la funzione di copertura del fabbricato, anche se appartiene in proprietà superficiaria o è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condòmini, a provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condòmini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo; ed alle relative spese, nonché al risarcimento del danno, essi concorrono secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c. 

La relativa azione, pertanto, va proposta nei confronti del condominio, in persona dell’amministratore – quale rappresentante di tutti i condòmini obbligati – e non già del proprietario o titolare dell’uso esclusivo del lastrico, il quale può essere chiamato in giudizio a titolo personale soltanto ove frapponga impedimenti all’esecuzione dei lavori di manutenzione o ripristino ed al solo fine di sentirsi inibire comportamenti ostruzionistici od ordinare comportamenti di indispensabile cooperazione, non anche al fine di sentirsi dichiarare tenuto all’esecuzione diretta dei lavori medesimi (Cassazione civile, sez. II, sent. 22/03/2012, n. 4596). 


2. Il condomino danneggiato è terzo e condomino contemporaneamente

Il singolo proprietario che subisce un danno da un bene condominiale ex art. 1117 c.c.  si trova ad assumere la duplice veste di danneggiato dal bene condominiale e di soggetto che deve custodire e riparare lo stesso bene condominiale. In tale duplice veste egli ha da un lato l’obbligo di  partecipare sia alle spese di riparazione che a quelle di risarcimento del danno, e dall’altro di ottenere l’integrale risarcimento dei danni subiti dal proprio cespite immobiliare. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24406 del 21/11/2011.


3.  Nel caso di infiltrazioni il condominio ne risponde ex art. 2051 c.c.

Ciò posto, va aggiunto che la norma da applicare nel caso di specie è l’art. 2051 c.c. Infatti, ai fini dell’attribuzione della responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ., sono necessarie e sufficienti una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso nonché l’esistenza dell’effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l’obbligo di vigilarla e di mantenere il controllo onde evitare che produca danni a terzi. Ne consegue che il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. 

Nell’eventualità della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento (Cass. civ., Sez. III, sent. 10/03/2009, n. 5741). La richiamata responsabilità, quindi, si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, bensì sulla relazione intercorrente tra questi e la res in custodia, cui corrisponde un effettivo potere fisico al quale si connette il dovere di custodire la cosa stessa, inteso nel senso di vigilanza e mantenimento del controllo sulla stessa al fine di evitare che produca danni a terzi (Trib. Roma Sez. XIII Sent., 21/07/2009); ne consegue che per applicazione della disciplina stabilita dalla norma occorre che la cosa dalla quale è derivato il danno, sia, nel momento in cui l’evento si è verificato, nella custodia del soggetto chiamato a risponderne. La responsabilità ex art. 2051 c.c. è, infatti, basata sulla presunzione di colpa nei confronti di colui che ha il dovere di custodia sulla cosa, sia esso proprietario, usufruttuario, enfiteuta, conduttore, etc. e può riguardare anche i danni che dipendono dall’insorgere nella cosa in custodia di un agente dannoso (Trib. Cassino, 07/10/2008; cfr. anche Cass. n. 16231/2005; Trib. Monza Sez. IV, 07/04/2008). 


4. Nel caso di infiltrazioni vi è responsabilità solidale di tutti i condòmini

La premessa dell’argomentazione è da porsi nel dettato della ormai famosa sentenza n. 9148/08  con cui la Suprema Corte a Sezioni Unite ha affermato che in rapporto a obbligazioni assunte dall’amministratore in rappresentanza del condominio nei confronti di terzi, in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condòmini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà. Per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c..   Tale pronuncia delle SS.UU., emessa con riguardo ad un’obbligazione contrattuale che un condominio tramite il suo amministratore aveva assunto verso un terzo, ricollega dunque la solidarietà nelle obbligazioni divisibili ad una previsione legislativa che imponga l’esecuzione congiunta della prestazione.

Nel caso in esame va osservato che in materia di responsabilità per fatto illecito, l’espressa previsione della solidarietà passiva è contenuta nell’art. 2055,  primo comma c.c., in base al quale se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. A ciò va aggiunto che la stessa struttura della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 c.c. presuppone l’identificazione di uno o più soggetti cui sia imputabile la custodia. Il custode non può essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condòmini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condòmini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. (sui requisiti in generale della custodia ai fini dell’applicazione dell’art. 2051 c.c., cfr. Cass. S.U. n. 12019/91).

Ciò posto, l’applicabilità dell’art. 2055 c.c. (che opera un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota) ai danni da cosa condominiale in custodia trova una prima conferma, innanzi tutto, in altre  precedenti pronunce della Suprema  Corte, come Cass. n. 6665/09, che ha ritenuto il condomino danneggiato quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con conseguente inapplicabilità dell’art. 1227, primo comma c.c.); Cass. n. 4797/01, per l’ipotesi di danni da omessa manutenzione del terrazzo di copertura cagionati al condomino proprietario dell’unità immobiliare sottostante; Cass. n. 6405/90, secondo cui i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale sono, a norma dell’art. 1117 c.c. (salvo che risulti diversamente dal titolo), comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condòmini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c.. 

Per cui si può concludere con il ritenere che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1 comma c.c., individuati nei singoli condòmini i soggetti solidalmente responsabili.


5. Esclusione della responsabilità nel caso in cui il condominio sia il mero utilizzatore della cosa per espressa disposizione in tale senso prevista nel regolamento di condominio contrattuale o altra disposizione negoziale


I problemi che spesso si affacciano sono quelli che si verificano quando il condominio è mero utilizzatore del bene per essersi il  costruttore riservato la proprietà del lastrico solare, del cortile ovvero di quel bene cioè da cui le infiltrazioni provengono.

La  Corte di Cassazione, con una mirabile sentenza, ha chiarito i limiti della responsabilità per danni da omessa custodia nel caso in cui il condominio sia solo  un mero detentore per cui lo stesso obbligo di custodia sia rimasto in capo al proprietario e lo ha fatto con la sentenza n. 15096 del 17/06/2013.

La massima può così essere riassunta: “In tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere/dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. La disponibilità che della cosa ha l’utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questi della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all’utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione della corte territoriale che aveva affermato la responsabilità per i danni subiti dal terzo proprietario di un immobile sottostante un giardino, in capo al condominio che ne godeva in forza di un titolo negoziale, quest’ultimo ponendo a carico del condomino la sola manutenzione ordinaria dello spazio verde e lasciando la manutenzione straordinaria al proprietario costruttore).”

In pratica, il condominio contestava  sia di essere tenuto alla custodia del giardino ex art. 2051 c.c., sia che l’obbligo di manutenzione posto a suo carico dagli accordi negoziali con il soggetto proprietario comprendesse incondizionatamente “le riparazioni straordinarie”.

Sostiene pertanto che, stante il proprio obbligo limitato a mantenere la destinazione del bene oggetto di godimento, era la società proprietaria a dover vigilare sulla struttura della cosa e a dover impermeabilizzare i locali sottostanti, ponendo una guaina di protezione.

Rilevava inoltre, che tali protezioni non erano state previste a causa della diversa destinazione originaria dei locali interrati, abusivamente trasformati in appartamenti.

Chiedeva  pertanto che venisse affermato che era tenuto alle sole opere di ordinaria manutenzione e non anche alle riparazioni straordinarie, peraltro relative non al godimento del giardino ma delle parti sottostanti: piano di calpestio, guaina e solaio dei locali interrati.

In realtà, la sentenza impugnata in Cassazione si era limitata a fare applicazione dei principi giurisprudenziali già espressi dalla Suprema Corte, tra le altre, con le sentenze: Cass. 1477/99 e soprattutto Cass. 2861/95 secondo le quali nel caso in cui il cortile di un condominio funga da copertura di un locale interrato di un terzo, se la cattiva manutenzione del cortile provoca infiltrazioni d’acqua nel sottostante locale, l’obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte nel disposto dell’art. 2051 cod. civ.,  e non aveva considerato che i presupposti di fatto erano nella specie del tutto diversi.

Infatti,  diverso è il regime applicabile qualora il condominio si trovi nel godimento di un bene in forza di un titolo negoziale, fosse anche il regolamento di condominio. In tal caso occorre attribuire conseguentemente le responsabilità di eventuali danni subiti dal terzo proprietario dell’immobile sottostante. 

Ferma la responsabilità del proprietario dell’area soprastante, è necessario configurare la responsabilità di chi ha in uso il bene nei limiti degli obblighi che questi ha acquisito nei confronti del concedente. Per cui nel caso in esame la Corte accoglieva il ricorso perché il costruttore si era riservata la proprietà del giardino ed aveva lasciato al condominio solo “l’obbligo di mantenere a proprie spese tale destinazione”.

Al condominio era quindi espressamente sottratto il potere dovere di custodire la consistenza immobiliare, dovendo soltanto curare il mantenimento della destinazione a giardino. Quindi, il principio in base al quale  è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 cod. civ.,  presuppone l’effettivo potere sulla cosa che l’utilizzatore potrebbe non avere.  

Infatti, la disponibilità che della cosa ha l’utilizzatore non comporta necessariamente il trasferimento in capo a questo della custodia, che va quindi esclusa in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all’utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia. (Cass. 1948/03).

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