La sicurezza è un diritto, ma non può trasformarsi in arbitrio. In molti condomìni italiani, la videosorveglianza è diventata uno strumento sempre più diffuso per tutelare spazi comuni e scoraggiare comportamenti illeciti. Tuttavia, quando le telecamere vengono installate senza autorizzazione, senza informativa e senza alcuna valutazione degli aspetti legati alla privacy, il confine tra tutela e violazione si fa sottile. E la questione, inevitabilmente, diventa condominiale.
Secondo la normativa vigente, la videosorveglianza in condominio può essere attivata solo previa delibera assembleare, adottata con le maggioranze previste dall’art. 1136 del Codice Civile. Inoltre, deve rispettare le disposizioni del Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR), che impone trasparenza, proporzionalità e finalità chiare. In assenza di questi requisiti, l’impianto è da considerarsi abusivo.
Eppure, accade sempre più spesso che singoli condòmini decidano di installare telecamere sulle parti comuni – ingressi, pianerottoli, cortili – senza alcuna autorizzazione. Lo fanno per “motivi di sicurezza”, ma ignorano che stanno violando diritti altrui. Le immagini raccolte possono riguardare altri residenti, visitatori, personale di servizio. E la loro diffusione, anche involontaria, può configurare una violazione della privacy.
In questo scenario, l’amministratore di condominio non può restare inerte. In quanto garante della legalità interna allo stabile, ha il dovere di intervenire. Non solo per tutelare i diritti dei condòmini, ma anche per evitare che il condominio venga coinvolto in sanzioni amministrative o contenziosi civili. La sua responsabilità non si limita alla gestione ordinaria: include anche la vigilanza sul rispetto delle norme.
L’intervento può avvenire in diverse forme. L’amministratore può diffidare il condòmino responsabile, chiedere la rimozione dell’impianto, convocare un’assemblea straordinaria per affrontare il tema. In casi più gravi, può segnalare l’abuso al Garante per la protezione dei dati personali o alle autorità competenti. La giurisprudenza, del resto, ha chiarito che l’installazione di telecamere sulle parti comuni senza consenso è illegittima e può dar luogo a richieste di risarcimento.
Il tema è delicato, perché tocca la sfera della sicurezza, ma anche quella della libertà individuale. E in condominio, dove la convivenza si regge su equilibri fragili, ogni scelta deve essere condivisa, ponderata, regolata. La videosorveglianza può essere un prezioso alleato, ma solo se adottata nel rispetto delle regole. Altrimenti, diventa un problema. E l’amministratore, in quanto custode di quegli equilibri, non può voltarsi dall’altra parte.