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Infiltrazioni: è il danneggiato a dover provare che l’acqua proviene da parti comuni

  • Quotidiano Del Condominio
  • 19 novembre 2020

In caso di infiltrazioni, è chi patisce il danno a dover dimostrare che esso scaturisca dalle parti comuni e da responsabilità del condominio quale custode della cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione della sua responsabilità, mediante la dimostrazione del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 25018 del 9 novembre 2020, di cui riportiamo un estratto.

————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 9.11.2020,
n. 25018
————–

Fatti di causa

La Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello del C.L. s.n.c. avverso la sentenza del tribunale di Alessandria, con cui era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da infiltrazioni di acqua e di umido proveniente dalle parti comuni del Condominio ….

Secondo il giudice distrettuale, l’impugnazione non aveva una ragionevole probabilità di accoglimento ai sensi dell’art. 348 ter c.pc., poiché, discutendosi dei danni da infiltrazioni di umido provocate dalle parti condominiali, non vi era prova del nesso causale.

Difatti, nelle stesse allegazioni di parte attrice, l’origine del danno era stata ricondotta a fattori eziologici diversi, mentre neppure la prova testimoniale e l’accertamento tecnico svolto in corso di causa avevano consentito di individuare la provenienza delle infiltrazioni dalle parti condominiali.

Avverso la sentenza di primo grado e avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. il C.L. s.n.c. propone ricorso in unico motivo, illustrato con memoria.

La UnipolSai Assicurazioni s.p.a e il Condominio … resistono con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale il Condominio ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Ragioni della decisione

  1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., lamentando che la sentenza abbia ritenuto indimostrato il nesso causale e la provenienza del danno dalle parti comuni dell’edificio, confondendo la prova del nesso eziologico tra la cosa in custodia e il pregiudizio lamentato, con la necessità di individuare specificamente anche la causa del danno stesso, la cui prova competeva al Condominio.

Secondo il ricorrente, la prova del nesso causale era stata comunque raggiunta, poiché il c.t.u. aveva elaborato una pluralità di ipotesi, ognuna delle quali comprovava la responsabilità del condominio (provenienza delle infiltrazioni dal sottosuolo comune, dalle pareti condominiali o provocate da un innalzamento della falda acquifera).

  1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1 c.p.c., avendo la sentenza definito le questioni in diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che le deduzioni formulate in ricorso consentano di mutare orientamento.

L’art. 2051 c.c., nell’affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa, operando sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso (Cass. 2477/2018).

Non assume rilievo, a tal fine, la condotta del custode e l’osservanza degli obblighi di vigilanza: tale responsabilità è quindi esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento (Cass. 15383/2006; Cass. 2563/2007).

Il criterio di imputazione della responsabilità ha – dunque – carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione – da parte dell’attore – del nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria (Cass. 27724/2018); Cass. 12027/2017; Cass. 7125/2013).

In tale ambito, il rapporto di custodia opera come criterio di identificazione del responsabile, presupponendo che – però – il pregiudizio risarcibile sia comunque riconducibile al bene.

Come precisato da questa Corte, il criterio di imputazione collegato al rapporto di custodia reagisce sul rapporto di causalità, nel senso che “un rapporto causale concepito allo stato puro tende all’infinito. La responsabilità oggettiva non può essere pura assenza o irrilevanza dei criteri soggettivi di imputazione, bensì sostituzione di questi con altri di natura oggettiva, i quali svolgono nei confronti del rapporto di causalità, la medesima funzione che da sempre è propria dei criteri soggettivi di imputazione nei fatti illeciti. Tale criterio di imputazione nelle specifiche fattispecie di responsabilità oggettive è fissato dal legislatore con una qualificazione del soggetto, su cui viene fatto ricadere il costo del danno” (così, testualmente, Cass. 15383/2006).

Non è dato, quindi, isolare, nell’ambito dell’accertamento del nesso causale riguardo alla fattispecie regolata dall’art. 2051 c.c., la prova del rapporto tra il bene in custodia ed il pregiudizio lamentato, dalla prova del nesso eziologico in senso proprio, essendo entrambi pertinenti alla derivazione del danno dalla cosa in custodia, la cui prova grava integralmente sul danneggiato, come correttamente stabilito dal giudice dell’appello.

In definitiva, la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa.

Detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente un impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (tra molte: Cass. 15761/2016).

Le ulteriori deduzioni del ricorrente circa il positivo accertamento, ad opera del c.t.u., della derivazione delle infiltrazioni dalle parti comuni dell’edificio appaiono inammissibili, poiché l’accertamento del nesso di causalità e della colpa di un soggetto nella produzione di un evento dannoso si risolve in un giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato in sede di legittimità se, come nella specie, correttamente motivato (Cass. 3939/1996; Cass. 6974/2000).

Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

(omissis)

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate in 200 per esborsi ed euro 4000 per compenso, in favore del Condominio …, nonché di euro 200 per esborsi e di euro 3000 per compenso, in favore della UnipolSai assicurazioni s.p.a., il tutto oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Tags
  • bene in custodia
  • infiltrazioni
  • onere della prova
  • risarcimento danni
  • sentenze di cassazione
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