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Anche sottotetto e seminterrato fanno diventare la casa di “lusso”

  • Quotidiano Del Condominio
  • 26 febbraio 2018

[A cura di: Andrea Santoro – FiscoOggi]

Accolto il ricorso delle Entrate contro la sentenza della Commissione regionale tributaria (Ctr), che aveva annullato la revoca dell’agevolazione prima casa. Il nodo del contendere è sulla modalità di calcolo della superficie utile complessiva che, secondo i giudici di appello, era al di sotto dei 240 mq previsti dalla legge per considerare l’immobile come “di lusso”.

Lo ha precisato la Corte di cassazione con la sentenza n. 2010 dello scorso 26 gennaio.

I fatti di causa

A seguito della notifica di un avviso di liquidazione con il quale gli era stata revocata l’agevolazione fiscale relativa all’acquisto della “prima casa” (articolo 1, parte 1, tariffa allegata al Dpr 131/1986), un contribuente impugnava l’atto impositivo contestando il recupero a tassazione dell’ordinaria imposta di registro e l’irrogazione delle conseguenti sanzioni.

I giudici di primo grado confermavano l’operato dell’ufficio. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello del contribuente e riformava la decisione della Ctp che aveva respinto il ricorso.

La Ctr riteneva che l’Agenzia delle entrate avesse erroneamente qualificato l’abitazione in questione come “di lusso”, ai sensi del decreto del ministero dei Lavori pubblici 2 agosto 1969, con la conseguente revoca del beneficio; per i giudici del gravame la superficie utile complessiva era in realtà inferiore ai 240 mq previsti dal citato Dm, il cui articolo 6 statuisce che sono da ritenersi “di lusso”  “Le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”. Secondo la Ctr, in particolare, non potevano computarsi, ai fini della superficie utile, né il vano seminterrato né il sottotetto, privi dei requisiti previsti dal regolamento edilizio ai fini dell’abitabilità. Contro la sentenza d’appello, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione; il contribuente resisteva con controricorso.

Il giudizio in cassazione

L’ufficio censurava, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la pronuncia della Commissione tributaria regionale, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1, comma 1 e nota 2-bis, tariffa, parte 1, allegata al Dpr 131/1986, in combinato disposto con il Dm 2 agosto 1969, articolo 6, n. 1072.

Con la pronuncia in rassegna la Corte ribadisce, conformandosi a proprie precedenti decisioni sul tema, da un lato il carattere tassativo dei locali da escludere dal calcolo della superficie dell’immobile elencati nell’articolo 6 del Dm 2 agosto 1969 (Cassazione, n. 18483/2016) e, dall’altro, che “In tema di imposta di registro, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della prima casa … occorre fare riferimento alla nozione di superficie utile complessiva di cui al Dm Lavori Pubblici 2 agosto 1969, articolo 6, in forza del quale è irrilevante il requisito dell’abitabilità dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello della utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere lussuoso di un’abitazione assumendo rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – la marcata potenzialità abitativa dello stesso (Cassazione, nn. 18480/2016, 10191/2016, 25674/2013).

La superficie utile complessiva non può – sostengono i giudici di legittimità – restrittivamente identificarsi nella sola superficie abitabile. È l’utilizzabilità della superficie, ossia un connotato che prescinde dalla sua abitabilità, quello più idoneo a esprimere il carattere lussuoso o meno dell’immobile, considerato anche che esso rappresenta un significativo indice della potenzialità abitativa di quest’ultimo. In particolare, ad avviso della Corte suprema, i giudici di secondo grado hanno errato nell’escludere dal computo della superficie utile complessiva sia il piano seminterrato che il sottotetto, in quanto, secondo la Ctr, “costituiti da ambienti non abitabili ai sensi del regolamento edilizio”. Contrariamente a quanto statuito nella pronuncia di secondo grado, la superficie catastale totale dell’immobile è di 371 mq, come risultante dalla visura allegata all’avviso di liquidazione emesso dall’ufficio, cui corrisponde una superficie utile complessiva, tenendo conto, legittimamente, sia del piano seminterrato che del sottotetto, certamente superiore a 240 mq.

Peraltro, i presupposti della revoca dell’agevolazione sussistono anche alla luce dello jus superveniens introdotto dal D. lgs 23/2011, articolo 10, comma 1, lettera a), che ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso escluso dal beneficio prima casa, sulla base dei parametri indicati nel Dm 2 agosto 1969. Sulla base della nuova disciplina, infatti, l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalle intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie dell’immobile (individuate dal citato decreto), ma dall’iscrizione, o meno, dell’abitazione nelle categorie catastali A1, A8 ovvero A9. Le nuove regole si applicano ai trasferimenti realizzati successivamente al 1° gennaio 2014, per cui la compravendita in esame, anteriore a tale data, continua a essere disciplinata in base al regime previgente.

Ferma restando la revoca dell’agevolazione “prima casa”, la Corte ha ritenuto diversamente, tuttavia, per quanto concerne le sanzioni irrogate con l’avviso di liquidazione, ravvisando, nella presente fattispecie, i presupposti per l’applicazione del secondo comma dell’articolo 3 del D. lgs 472/1997, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”.

Il ricorso è stato, pertanto, accolto e la sentenza impugnata cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia è stata decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto del ricorso originario, il riconoscimento della legittimità della revoca dell’agevolazione e la non debenza delle sanzioni.

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