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I parametri per dichiarare nullo il contratto di locazione dissimulato

  • Quotidiano Del Condominio
  • 30 ottobre 2018

[A cura di: avv. Francesco Saverio Del Buono] La terza sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7933 del 30 marzo scorso (pres. Chiarini, rel. Iannello), è intervenuta sul tema della nullità del contratto di locazione frutto di un accordo simulatorio tra locatore e conduttore.

Nel caso di specie, il conduttore di un immobile locato per uso abitativo aveva adito il Tribunale di Napoli al fine di accertare la nullità dell’accordo dissimulato stipulato con il locatore con il quale si conveniva un canone maggiore rispetto a quello dichiarato nel contratto, chiedendo ai locatori che si erano avvicendati il rimborso di quanto versato in eccedenza rispetto alle pattuizioni previste nell’accordo simulato.

Il Codice Civile

Va precisato che ai sensi dell’art. 1414 c.c. con un accordo simulatorio le parti concordano di stipulare formalmente un contratto, che avrà rilevanza esterna, denominato contratto simulato, pur avendo l’intenzione di stipulare un accordo con diverse condizioni – il contratto dissimulato – che spiegherà i suoi effetti tra le parti (ed in questo caso vi sarà una simulazione relativa), o di non stipularlo affatto, ipotesi in cui si è in presenza di una simulazione assoluta. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in caso di accordo simulatorio le parti stipulano un’unica convenzione negoziale, comprendente le tre fasi che compongono la fattispecie della simulazione: come detto, l’accordo simulatorio, il contratto di locazione con il canone fittizio, e la controdichiarazione nella quale viene indicato il canone effettivo (in tal senso sent. Cass. SS.UU. n. 18213 del 17.09.2015).

Il Tribunale

Il Tribunale adito aveva riconosciuto il diritto del conduttore al rimborso delle somme, per complessivi euro 80.000 circa, sulla base dell’inutilizzabilità in giudizio del contratto dissimulato prodotto dai convenuti, in quanto copia fotostatica, ritenendo però valido l’accordo simulatorio tra le parti, e non applicabili alla fattispecie le disposizioni dell’art. 13 della legge 431/98 (il quale prevede la nullità di ogni pattuizione finalizzata al pagamento di un canone di locazione superiore a quello indicato nel contratto scritto e registrato), in quanto riferibili solo ad accordi peggiorativi per il conduttore durante il rapporto contrattuale.

I locatori, soccombenti nel primo grado di giudizio, avevano proposto appello avverso la sentenza di condanna, formulando le seguenti contestazioni:

  • l’originale del contratto dissimulato era stato depositato presso i competenti uffici per la registrazione, e non poteva essere ritirato se non dietro ordine dell’Autorità giudiziaria, fermo restando che il conduttore aveva contestato solo genericamente il contratto;
  • la mancanza dell’originale di tale contratto sarebbe stata facilmente superabile, avendo peraltro il conduttore ammesso il pagamento del canone per l’importo previsto dal contratto dissimulato.

Corte d’appello

La Corte d’Appello partenopea, aderendo all’orientamento della citata sentenza della Corte di Cassazione n. 18213/15, la quale ha sancito “in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente” affermava la nullità dell’accordo di simulazione e rigettava il ricorso, a prescindere dall’utilizzabilità in giudizio del documento prodotto dai locatori e disconosciuto dal conduttore.

La Cassazione

Si giungeva così al ricorso in cassazione promosso dagli stessi locatori, i quali contestavano la nullità della sentenza per aver rilevato d’ufficio (peraltro dopo la precisazione delle conclusioni) la nullità del contratto dissimulato, senza aver permesso alle parti di affrontare la questione, violando così il principio del contraddittorio. Inoltre i ricorrenti contestavano che il giudice di prima istanza si era già pronunciato per la validità del contratto, e non essendovi stata alcuna impugnazione in merito da parte del conduttore, sullo specifico punto si era formato un giudicato, su cui comunque la Corte d’Appello era intervenuta, violando inoltre il principio della corrispondenza tra “il chiesto ed il pronunciato”, (non essendo stata proposta in appello la censura di nullità del contratto di locazione).

La Suprema Corte ha cassato la sentenza emessa dalla Corte d’Appello, rinviandola a questa per una nuova pronuncia, accogliendo così la richiesta dei locatori; la decisione si fonda sulla base della circostanza che il Tribunale si era pronunciato per la validità dell’accordo dissimulato, pur rigettando la domanda in quanto non era stato prodotta una copia valida del medesimo, ed il conduttore non aveva riproposto l’eccezione di nullità dell’accordo stabilente un maggior canone nelle primo atto difensivo nel giudizio d’Appello.

In tal modo si era formato un giudicato sulla questione, che non permetteva ai giudici di seconda istanza di tornare nel merito, in quanto come ben ricordano gli ermellini “il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche di tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici ed essenziali e necessari della pronuncia”.

Il commento

Questa pronuncia, seppure per motivi procedurali (la mancanza di impugnativa del conduttore sul capo della sentenza che si pronunciava per la validità dell’accordo dissimulato da parte del Tribunale) ribalta l’impostazione già delineata dalla sentenza delle SS.UU. 18213/15 pronunciandosi invece per la validità dell’accordo che stabilisce un canone di locazione maggiore rispetto a quello dichiarato nel contratto simulato, non potendosi in questo caso invocare le disposizioni dell’art. 13 comma 1 della legge 431/98, le quali sanciscono la nullità di ogni pattuizione volta a riconoscere al locatore un canone di locazione superiore a quello previsto dal contratto scritto e registrato.

È evidente come la finalità della norma sia duplice: evitare pattuizioni a fini di evasione fiscale (il locatore verserebbe imposte su una somma minore rispetto a quella effettivamente percepita), e di tutela della parte debole di tale tipologia contrattuale, il conduttore, che è tenuto a versare quanto previsto dalle condizioni previste nel contratto, non essendo obbligato a versare somme aggiuntive.

Potrebbe essere condivisibile la ricostruzione del giudice di primo grado che aveva ritenuto tale disposizione invocabile solo quando la pattuizione avviene durante il rapporto contrattuale, solo quando la finalità fosse esclusivamente quella di tutelare così il conduttore da aumenti ingiustificati del canone in vigenza di contratto (anche se poi per altri motivi aveva comunque riconosciuto il diritto del conduttore al rimborso di quanto versato in eccedenza rispetto al contratto registrato); in questa ipotesi infatti non sembrerebbe meritevole della maggiore tutela apprestata dalla norma ex l. 431 la parte che sin dal principio del rapporto d’intesa con il locatore ha inteso porre in essere una simulazione, prevedendo l’occultamento di parte del canone, e successivamente possa invocare la nullità del medesimo con richiesta di rimborso di quanto versato, come nel caso di specie, un accordo voluto e stipulato dalla parte.

Ma la finalità di elusione è altrettanto censurabile, tenendo conto che spesso è il motivo preminente che induce le parti a simulare un canone minore da quello effettivo, e pertanto sembra opportuno sanzionare la nullità del patto che disponga in tal senso.

Interessante sarà a questo punto conoscere l’esito del nuovo giudizio in Corte d’Appello cui la Cassazione ha rinviato la controversia.

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