L’amministratore condominiale ha la facoltà di avviare azioni legali senza il consenso dell’assemblea quando ciò rientra nelle sue attribuzioni, garantendo la tutela degli interessi del condominio in modo rapido ed efficace. Tuttavia, questa prerogativa ha limiti precisi e deve essere esercitata con equilibrio e nel rispetto delle norme vigenti. La certezza giuridica fornita dalla sentenza della Corte d’Appello di Potenza n. 446 del 15 novembre 2024 conferma la continuità di tale potere anche in caso di sostituzione dell’amministratore, contribuendo alla stabilità gestionale del condominio.
Dunque, sebbene molte decisioni condominiali richiedano il consenso dell’assemblea, l’amministratore di condominio ha il potere di promuovere cause e proporre impugnazioni nell’ambito delle sue attribuzioni, come stabilito dall’articolo 1130 del Codice Civile. Questo significa che, quando un contenzioso riguarda materie di sua competenza, l’amministratore può intervenire legalmente senza dover attendere un voto formale da parte dei condomini.
I limiti del potere dell’amministratore
Il potere di agire in giudizio senza autorizzazione dell’assemblea si applica solo alle questioni rientranti nelle sue funzioni , come la gestione delle parti comuni, la tutela degli interessi condominiali contro terzi o l’opposizione a sanzioni amministrative. Tuttavia, se la controversia riguarda temi di straordinaria amministrazione — ad esempio la vendita di beni comuni o la modifica del regolamento condominiale — l’assemblea deve pronunciarsi con apposita delibera.
Cosa accade se l’amministratore cessa dall’incarico
Un aspetto importante da considerare è che il potere di rappresentanza dell’amministratore non si estingue immediatamente alla cessazione dell’incarico , ma continua fino alla nomina del sostituto. Questo principio evita possibili vuoti gestionali e garantisce la continuità nell’amministrazione del condominio, permettendo di affrontare eventuali procedimenti giudiziari già avviati.
Inoltre, se durante il corso di un giudizio l’amministratore viene sostituito, il passaggio di incarico assume rilevanza legale solo se viene notificato alle altre parti dal procuratore costituito. Questo principio è stato confermato dalla Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 446 del 15 novembre 2024, chiarendo che la mancata comunicazione della sostituzione non invalida l’azione legale in corso.
Le implicazioni pratiche per il condominio
Questa autonomia decisionale dell’amministratore ha conseguenze importanti. Da un lato, permette di agire con tempestività per tutelare gli interessi del condominio senza dover attendere lunghe procedure di deliberazione; dall’altro, impone una grande responsabilità al professionista, che deve garantire che le proprie scelte siano conformi alla normativa e non espongano il condominio a rischi giuridici inutili.
Inoltre, se l’amministratore agisce senza l’autorizzazione dell’assemblea al di fuori delle sue competenze, il condominio può sollevare obiezioni e, in casi estremi, valutare la revoca dell’incarico. È quindi fondamentale che chi gestisce il condominio operi con prudenza, trasparenza e nel rispetto degli interessi collettivi.
La videosorveglianza nei condomini è un tema che continua a generare dibattiti e controversie, soprattutto alla luce della normativa in evoluzione e dei chiarimenti del Garante per la protezione dei dati personali. Uno dei principali dubbi riguarda la distinzione tra telecamere installate da un singolo condòmino per fini privati e quelle deliberate dall’assemblea condominiale per tutelare le parti comuni. Si tratta di due situazioni giuridicamente differenti, con implicazioni diverse in termini di responsabilità e regole da seguire.
Telecamere private: cosa è permesso e cosa no
Un singolo condòmino può installare telecamere nella propria abitazione, ma con alcuni limiti. Secondo il Regolamento UE 2016/679 (GDPR), i sistemi di videosorveglianza per uso personale non rientrano nelle restrizioni del GDPR, a patto che le riprese non vadano oltre la sfera privata La Corte di Giustizia Europea (sentenza C-212/13 del 2014) ha chiarito che, se le telecamere catturano aree comuni o pubbliche, si applicano le norme sulla protezione dei dati.
Secondo il Tribunale di Taranto (sentenza 2640/2023), l’installazione di telecamere private è legittima senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea, purché:
– Le riprese siano limitate alla proprietà privata.
– In caso di necessità di sicurezza, possano inquadrare solo la porzione strettamente necessaria delle aree comuni (come il pianerottolo davanti alla porta).
– Non riprendano spazi condominiali più ampi (cortili, scale, garage) senza una delibera assembleare.
Il Codice della Privacy impone inoltre il rispetto delle informative, la minimizzazione dei dati raccolti e tempi di conservazione limitati.
Videosorveglianza condominiale: chi decide e quali regole seguire
Quando l’assemblea condominiale delibera l’installazione di telecamere sulle parti comuni, entrano in gioco anche le norme del Codice Civile. L’articolo 1122-ter stabilisce che l’approvazione deve avvenire con la maggioranza degli intervenuti, rappresentando almeno metà del valore dell’edificio (art. 1136 C.C.).
Tuttavia, anche con delibera formale, il condominio deve rispettare il GDPR. In questo caso, il titolare del trattamento dei dati è il condominio, mentre l’amministratore assume il ruolo di responsabile del trattamento con tutti gli obblighi legali che ne derivano.
Il Garante per la Privacy ha chiarito che un impianto condominiale deve:
– Avere un’ informativa chiara, conforme all’art. 13 del GDPR.
– Essere segnalato con cartellonistica visibile, anche di notte.
– Essere giustificato da un rischio concreto per la sicurezza.
– Considerare alternative meno invasive prima dell’installazione.
In alcuni casi, è necessario redigere una Valutazione di Impatto sulla Protezione dei Dati (DPIA) (art. 35 GDPR).
Chi può visionare le registrazioni?
Un’altra differenza importante riguarda la gestione delle immagini:
– Impianti privati: Il singolo condomino conserva e gestisce i dati, assumendosi piena responsabilità .
– Impianti condominiali: L’ accesso alle registrazioni è limitato all’amministratore o ad addetti autorizzati.
Le immagini devono essere conservate solo per il tempo necessario :
– Fino a 7 giorni in contesto condominiale.
– 24-48 ore se vi sono dipendenti presenti.
Se un privato installa un sistema di sorveglianza, deve rispettare regole precise. La Corte d’Appello di Catania (sentenza 317/2022) ha stabilito che le telecamere sono lecite quando:
– Inquadrano principalmente gli accessi alla proprietà privata.
– Non vengono usate per scopi diversi dalla sicurezza.
– Le riprese sono limitate alle aree di passaggio (scale, pianerottoli).
– Non violano la privacy dei vicini.
Allo stesso modo, il Tribunale di Prato (sentenza 440/2023) ha affermato che non c’è violazione della privacy quando:
– L’installazione è comunicata all’amministratore e ai condomini.
– È segnalata con cartelli chiari.
– Riprende spazi comuni solo se inevitabile (per dimensioni ridotte dell’area).
In presenza di comportamenti molesti o minacce alla sicurezza personale, il diritto alla sicurezza può prevalere sul diritto alla riservatezza, a patto che la vita privata degli altri non sia direttamente ripresa.
Conclusioni
La differenza tra impianto privato e condominiale non riguarda solo chi decide l’installazione, ma implica diverse regole di gestione e responsabilità. In entrambi i casi, la protezione dei dati personali è fondamentale. L’amministratore deve vigilare affinché ogni sistema sia lecito, proporzionato e ben documentato, evitando violazioni della privacy.
Una videosorveglianza ben regolata può migliorare la sicurezza condominiale, ma deve sempre rispettare le normative, garantendo un equilibrio tra protezione e riservatezza.