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LA RESPONSABILITÀ PENALE OMISSIVA DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

[A cura di: avv. Andrea Marostica]

La responsabilità penale in cui può incorrere l’amministratore di condominio è principalmente di carattere omissivo. Sono possibili a suo carico ipotesi di illecito penale di carattere commissivo – si pensi, ad esempio, all’ipotesi di appropriazione indebita aggravata ex art. 646, co. 3, c.p. -, ma l’amministratore, a causa della natura stessa del suo ufficio, è per lo più chiamato a rispondere di ciò che non ha fatto pur avendone l’obbligo. È pertanto opportuno, anzitutto, distinguere il reato omissivo da quello commissivo ed analizzarne la struttura, per poi considerare nello specifico la responsabilità omissiva dell’amministratore.

Reato commissivo e reato omissivo

Mentre la responsabilità commissiva si fonda sulla violazione di una norma-divieto (al soggetto è vietato tenere un certo comportamento ed il rimprovero che gli viene mosso è di avere tenuto quel comportamento vietato), la responsabilità omissiva si fonda sulla violazione di una norma-comando (al soggetto è fatto obbligo di tenere un certo comportamento ed il rimprovero che gli viene mosso è di non averlo tenuto, cioè di averlo omesso). A titolo di esempio, per il primo tipo di responsabilità si pensi al reato di ingiuria (art. 594 c.p.): il soggetto offende l’onore o il decoro di una persona tenendo un certo comportamento, siano parole, scritti, disegni; per il secondo tipo si guardi al reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.): il soggetto non soccorre una persona ferita o in pericolo.

Il reato omissivo: proprio ed improprio

I reati omissivi a propria volta si distinguono in omissivi propri ed omissivi impropri (o commissivi mediante omissione).

I primi sono reati di mera condotta: ai fini della sussistenza del reato non è necessario il verificarsi di un evento lesivo. Classico esempio è l’omissione di soccorso (art. 593 c.p.), dove non è richiesto l’evento (non è necessario che la persona bisognosa di soccorso muoia in seguito al mancato aiuto), il soggetto è punito per il solo fatto di non avere soccorso. Elementi costitutivi di questo tipo di reato sono: 

1) la situazione tipica, ovvero la situazione fattuale descritta dalla norma; 

2) la condotta omissiva del soggetto; 

3) la possibilità di agire dello stesso. 

Nell’esempio fatto: 

1) il rinvenimento di una persona ferita; 

2) non avere prestato soccorso; 

3) il soggetto era in grado di prestare soccorso.

I secondi sono reati ad evento: per l’integrazione della fattispecie è necessario il verificarsi di un evento lesivo. Esempio paradigmatico è l’omicidio per omissione (artt. 40, co. 2, 575 c.p.) – causato, si ponga, dalla baby sitter che non impedisce al neonato di cadere dal balcone -, dove è richiesto l’evento: il soggetto è punito solo se dalla sua condotta omissiva consegue la morte della vittima. 

Elementi costitutivi di questo tipo di reato sono: 

1) l’obbligo giuridico di impedire l’evento; 

2) la condotta omissiva del soggetto; 

3) la realizzazione dell’evento lesivo; 

4) la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento; 

5) la possibilità di agire del soggetto. 

Nell’esempio fatto: 

1) l’obbligo della baby sitter di vigilare affinché non capiti alcun male al neonato; 

2) non avere badato al neonato; 

3) la morte del neonato; 

4) la morte del neonato a causa della distrazione della baby sitter; 

5) la baby sitter era in grado di badare al neonato.

Mentre i reati omissivi propri sono previsti da apposite norme, collocate nella parte speciale del codice penale, i reati omissivi impropri sono punibili sulla base della combinazione dell’art. 40, co. 2, c.p. e delle singole fattispecie incriminatrici, che sono costruite sul modello del reato commissivo. In altre parole: l’art. 40, co. 2, c.p. converte i reati commissivi (non tutti, solo quelli suscettibili di essere convertiti) nelle rispettive versioni omissive. Per questa ragione l’art. citato può essere definito moltiplicatore di tipicità, in quanto rende penalmente rilevanti condotte non espressamente sanzionate.

A questo punto, è utile riportare il testo dell’art. 40, co. 2, c.p.: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Questo è il nocciolo della responsabilità omissiva: esiste un soggetto che ha l’obbligo giuridico di impedire un evento e, poiché non lo impedisce, viene punito. La situazione del soggetto gravato da un obbligo giuridico di impedire un evento si chiama posizione di garanzia.

La responsabilità omissiva dell’amministratore di condominio

La giurisprudenza ritiene che l’obbligo giuridico di impedire l’evento possa nascere da qualunque ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato, e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata, come è nel rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente tra il condominio e l’amministratore (Cass. Pen., 2012, 34147). Dunque la fonte della posizione di garanzia del mandatario nasce dal contratto concluso tra lui e la compagine condominiale.

L’amministratore è gravato di molteplici obblighi di attivarsi; a titolo esemplificativo, basti pensare alle ipotesi di omicidio colposo e di lesioni colpose per non aver rimosso fonti di rischio insite nelle parti comuni, ed alle ipotesi previste dal D.Lgs. 81/2008 in tema di sicurezza sul lavoro. In tutti questi casi il mandatario è ritenuto responsabile per non avere tenuto la condotta doverosa comandata dalla norma, per non avere cioè adempiuto all’obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo.

Per quanto riguarda, in particolare, i reati di omicidio colposo e lesioni colpose verificatisi per cause insite nelle parti comuni dell’edificio, è opportuno sottolineare che la giurisprudenza di legittimità considera l’amministratore di condominio custode delle parti comuni. Si legga la massima di Cass. Civ., 2008, 25251: “In tema di condominio, la figura dell’amministratore nell’ordinamento non si esaurisce nell’aspetto contrattuale delle prerogative dell’ufficio. A tale figura il codice civile e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d’essere dei beni condominiali provochi danno ai terzi. In relazione a tali beni l’amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d’essere, si trova nella posizione di custode, pertanto deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condòmini od a terzi”.

Se è custode delle parti comuni, deve impedire che ne possano derivare eventi lesivi ai terzi (morte, lesioni personali); se omette di impedire ciò, può esserne chiamato a risponderne. Si precisa che è la stessa legge a prevedere in capo all’amministratore il potere di agire per evitare situazioni pericolose e di rischio: l’art. 1130, co. 1, lett. 4, c.c. elenca, tra le attribuzioni del mandatario, il compimento degli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio; l’art. 1135, co. 2, c.c. prevede la possibilità per l’amministratore di ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente.

In senso conforme a tale impostazione, valga l’insegnamento di Cass. Pen., 2012, 21223. La vicenda oggetto del pronunciamento riguarda l’omessa delimitazione e segnalazione, da parte dell’amministratore, del lucernario situato al centro del condominio nella parte esterna e ricoperto di neve. Si era verificato che un minore, a bordo del suo slittino, era andato a finire sul lucernario che si era frantumato facendo cadere lo stesso nelle sottostanti scale, con conseguenti lesioni. In giudizio veniva rilevato che il lucernario, ricoperto dalla neve, non era assolutamente visibile. La Cassazione ritiene indubbia la responsabilità dell’imputato amministratore, in forza della sua posizione di garanzia intesa ad evitare ogni pericolo per i frequentatori del condominio. In particolare, si afferma che egli era a conoscenza del fatto che i vetri del lucernario erano lesionati ed infatti aveva disposto di eliminare l’accumulo di neve formatosi, ma poi non aveva accertato che l’intervento fosse stato in concreto compiuto.

Ne risulta chiarito quanto sopra esposto: l’amministratore è stato ritenuto penalmente responsabile per non avere impedito un evento verificatosi a causa del modo d’essere delle parti comuni in custodia, per il quale esisteva dunque a suo carico l’obbligo giuridico impeditivo.

CREDITO D’IMPOSTA PER VIDEOSORVEGLIANZA E ANTIFURTO: DA LUNEDÌ VIA ALLE RICHIESTE ON LINE

Da lunedì prossimo 20 febbraio e fino al 20 marzo, i contribuenti che hanno sostenuto spese per sistemi di videosorveglianza digitale, sistemi di allarme e di vigilanza potranno inviare le domande di accesso al credito d’imposta introdotto dalla Legge di Stabilità 2016. Un provvedimento delle Entrate del 14 febbraio, infatti, chiarisce che la richiesta va inviata telematicamente all’Agenzia utilizzando l’apposito software gratuito “Creditovideosorverglianza” che sarà disponibile sul sito www.agenziaentrate.gov.it

Al canale telematico possono accedere tutte le persone fisiche che nel 2016 abbiano sostenuto spese per sistemi di videosorveglianza digitale o di allarme, oppure spese connesse ai contratti stipulati con istituti di vigilanza a protezione di immobili non adibiti ad attività d’impresa o lavoro autonomo. 

CREDITO D’IMPOSTA 

Per poter fruire dell’agevolazione è sufficiente collegarsi al sito dell’Agenzia e inviare la richiesta, autonomamente oppure tramite intermediario, con il software “Creditovideosorverglianza”. Nella domanda vanno indicati il codice fiscale del beneficiario e del fornitore del bene o servizio, nonché numero, data e importo delle fatture relative ai beni e servizi acquisiti, comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto. Occorre inoltre specificare se la fattura è relativa ad un immobile adibito promiscuamente all’esercizio d’impresa o di lavoro autonomo e all’uso personale o familiare del contribuente. In questo caso il credito d’imposta spetterà nella misura del 50%. 

I contribuenti possono comunque presentare un’unica richiesta comprensiva dei dati di tutte le spese sostenute nel 2016 e, nel caso in cui siano presentate più istanze da un medesimo soggetto, sarà ritenuta valida l’ultima istanza presentata che sostituisce e annulla le precedenti domande. 

COMPENSAZIONE 

L’agevolazione, istituita con la legge di Stabilità 2016, prevede il riconoscimento di un credito d’imposta alle persone fisiche che nel corso del 2016 abbiano sostenuto spese per l’installazione di sistemi di videosorveglianza digitale o di sistemi di allarme, nonché per le spese connesse ai contratti stipulati con istituti di vigilanza dirette alla prevenzione di attività criminali. Le spese devono riguardare immobili non utilizzati nell’attività d’impresa o di lavoro autonomo e, in caso di uso promiscuo, il credito spetta nella misura del 50%. Il beneficiario può utilizzare il credito d’imposta maturato in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.lgs. n. 241/1997, presentando il modello F24 esclusivamente tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate. Le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo possono utilizzare il credito spettante anche in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi. 

MISURA PERCENTUALE 

Il credito d’imposta è riconosciuto nella misura percentuale che sarà resa nota con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate da emanarsi entro il 31 marzo 2017, risultante dal rapporto tra l’ammontare delle risorse stanziate e il credito d’imposta complessivamente richiesto.

SE LA MUSICA DEL LOCALE NOTTURNO DISTURBA IL SONNO DEI CONDÒMINI

[A cura di: avv. Rosario Dolce, comitato scientifico di Confamministrare]

Il problema delle immissioni rumorose, se notturne e provenienti da locali di intrattenimento, è molto avvertito nei condomini degli edifici, perché incide sulla serenità e sulla qualità della vita di ciascuno dei partecipanti. Tenere la musica ad alto volume per tutta la notte, sino alle quattro del mattino, può integrare l’elemento materiale del reato del disturbo di cui all’articolo 659 del Codice penale, a mente del quale: “chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda sino a 309 euro”.

La norma, in particolare, prevede due autonome fattispecie di reato. L’elemento distintivo, tra di esse, è dato dalla fonte del rumore prodotto: quando il rumore provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi (come quella che svolge all’interno di un pub e/o di un ristorante con musica dal vivo), la condotta viene fatta rientrare nella previsione del secondo comma dell’articolo 659, per effetto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell’autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità; viceversa, nel caso in cui le vibrazioni sonore non siano causate dall’esercizio dell’attività lavorativa, ricorrerebbe l’ipotesi di cui all’articolo 659 comma 1, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo (Cassazione Penale, Sez. 1, 17.12.1998, n. 4820/99, Marinelli, Rv. 213395).

Mentre il primo comma della norma è, dunque, volto a tutelare il riposo e la tranquillità del vicinato e richiede l’accertamento concreto del disturbo arrecato, il secondo comma, invece, prescinde dalla verificazione della misura del disturbo, integrando un’ipotesi di presunzione legale di rumorosità, al di là dei limiti tempro-spaziali e/o delle modalità di esercizio imposto dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità (così anche Cassazione Penale, Sez. 1, 12.6.2012, n. 39852, Minetti, Rv. 253475).

Sulla scorta di tali premesse, la Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con la sentenza del 5 – 20 giugno 2016, n. 25424 , ha stabilito che nel caso cui i rumori provengano da un locale (abilitato) in cui si svolga uno spettacolo musicale, per poter applicare comunque la fattispecie del reato di cui all’articolo 659 occorre in ogni caso dimostrare che le vibrazioni prodotte siano in grado di disturbare un numero indeterminato di persone, così da soddisfare il requisito della “turbativa della pubblica tranquillità”. Se tale prova non venga raggiunta in giudizio, il titolare del locale in cui si è svolto lo spettacolo musicale va assolto perché “il fatto non sussiste”.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Adescava i clienti

dall’alloggio in affitto

È stata denunciata alle autorità la donna che utilizzava per prostituirsi l’appartamento in affitto nel quale viveva, al piano terra di un condominio di Montecatini (Pistoia). La cosa che non è proprio andata giù ai suoi vicini è che la lucciola, una donna sulla cinquantina, fosse solita attrarre la propria clientela sporgendosi dalla finestra che affaccia sulla strada. Dopo averle chiesto, in più occasioni, di tenere una condotta più rispettosa, i condòmini hanno deciso di rivolgersi ad un avvocato che, per conto dell’assemblea condominiale, ha denunciato la signora alla Procura della Repubblica per disturbo della quiete pubblica.

Aggredito in ascensore

Salvato dai condòmini

Sono stati arrestati i due rapinatori di 37 e 44 anni colpevoli di aver aggredito e derubato un anziano che stava rientrando nel proprio appartamento, in un condominio della Capitale. L’uomo, di 81 anni, è stato raggiunto dai due malviventi mentre si trovava in ascensore. Dopo averlo percosso e derubato hanno cercato di fuggire, incappando però in altri due uomini che si trovavano di passaggio e che si sono avvicinati a seguito delle richieste di aiuto della vittima. I due “salvatori” sono riusciti a bloccare uno dei due fuggitivi e a descrivere dettagliatamente le caratteristiche del suo complice, che è stato fermato dai carabinieri del nucleo radiomobile in un bar poco distante. Gli arrestati dovranno rispondere di rapina aggravata in concorso.

Si getta dal balcone

per sfuggire alla moglie

Se l’è cavata con 30 giorni di prognosi e fratture multiple alla testa e al corpo l’uomo di 68 anni che viveva assieme alla moglie, di vent’anni più giovane, in un condominio alle porte di Modena, e che si sarebbe gettato dal balcone del suo appartamento per tentare sottrarsi alle percosse della donna. Atterrato rovinosamente sul terrazzo condominiale, l’uomo è riuscito a raggiungere la casa di un vicino per chiedere aiuto. È stato proprio quest’ultimo, terrorizzato da quella maschera di sangue, a chiamare il 118 e a richiedere l’intervento dei carabinieri. Una volta sul posto, i militari hanno arrestato la coniuge per lesione e maltrattamenti.

Canna fumaria ostruita:

i tetti vanno in fiamme

È stato l’intasamento di una canna fumaria a causare l’incendio che ha quasi distrutto due ville della prima cintura di Torino. Il rogo è divampato in serata e ha semidistrutto il tetto di uno dei due immobili per poi propagarsi verso l’altra abitazione. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che, dopo aver domato le fiamme, hanno accertato che l’incendio è stato generato, con ogni probabilità, dal mal funzionamento dello sfiatatoio di aerazione. Grazie alla rapidità dell’intervento, soltanto una delle due case è stata dichiarata inagibile. Nonostante le dimensioni e la portata del rogo, non si sono registrati feriti né intossicati.

Lascia le chiavi in auto

I ladri gli entrano in casa

Era andato in chiesa con la moglie, come faceva tutte le domeniche, lasciando nell’auto, parcheggiata poco distante, le chiavi del proprio appartamento. Una leggerezza fatale, quest’ultima, per un uomo di 76 anni di Perugia, che all’uscita della messa si è ritrovato con la macchina scassinata, una gomma bucata e, naturalmente, senza il mazzo di chiavi. Tornato a casa, quindi, l’ulteriore amara sorpresa: i ladri si erano introdotti nel suo alloggio in cerca di oggetti e denaro da rubare, lasciando le famose chiavi attaccate alla porta. A quanto pare però, non sono riusciti a portare via niente, se non una catenina d’oro.

FEDERALISMO FISCALE, L’AUDIZIONE DI CONFEDILIZIA: “INTRODURRE UNA SERVICE TAX”

[A cura di Confedilizia]

La nostra associazione è stata ascoltata in audizione dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, presieduta dall’onorevole Giancarlo Giorgetti, su “L’attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica”.

Dopo un intervento introduttivo del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha svolto una relazione il professor Riccardo Puglisi, associato di economia politica all’Università di Pavia, il quale si è soffermato su due questioni fondamentali: 

* necessità di fondare la tassazione sul principio del beneficio, anche al fine di responsabilizzare i governi locali; 

* confutazione della cosiddetta “visione Ocse”.

L’opinione pubblica e il legislatore italiano – si legge nel documento depositato da Confedilizia in Parlamento – dovrebbero prestare maggiore attenzione al principio del beneficio, secondo cui le imposte sono una forma di pagamento a fronte dei servizi prestati e dei beni offerti da parte del settore pubblico dell’economia. L’idea contrattuale del rapporto tra tassazione e spesa pubblica che è implicita nel principio del beneficio ben si connette al tema politico della responsabilizzazione dei governi locali. Secondo una prospettiva liberale, un sistema tributario in cui il principio del beneficio ha un ruolo più ampio spinge maggiormente alla valutazione dell’operato dell’amministrazione pubblica come agente dei cittadini-contribuenti a cui deve rendere conto. E sotto il profilo concreto dell’imposizione fiscale futura, il principio del beneficio spinge verso la creazione di una service tax pagata da chi riceve i servizi offerti dal Comune.

Intorno a temi di tassazione e finanza pubblica – si rileva poi nel documento depositato – il dibattito internazionale e nazionale è stato largamente influenzato dalla cosiddetta “visione Ocse” su tassazione e crescita. Sulla base di risultati econometrici piuttosto deboli, tale visione suggerisce come lo spostamento del prelievo fiscale dalla tassazione diretta a quella indiretta, e dalla tassazione del reddito a quella della proprietà, abbia effetti positivi sulla crescita economica nel lungo termine. In un recente studio si mostra invece come l’evidenza empirica che sta alla base di questa “visione Ocse” sia molto fragile. Nella fattispecie, utilizzando tecniche econometriche maggiormente prudenti sulla precisione delle stime ed allargando il campione a un numero maggiore di Paesi Ocse e di anni (dal 1971 al 2014), si verifica come l’effetto positivo nel lungo termine di uno spostamento del prelievo dalle imposte dirette alle indirette, e dalle imposte sul reddito a quelle sulla proprietà, non risulti più significativo dal punto di vista statistico. Anzi: nel breve termine un aumento della tassazione sulla proprietà si correla negativamente con il Pil pro capite.

Nel corso del dibattito che è seguito, sono intervenuti – oltre allo stesso presidente Giorgetti – la senatrice Magda Zanoni, il senatore Vincenzo Gibiino e l’on. Giovanni Paglia.

IL COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO: COME SI CALCOLA, COSA COMPRENDE

[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – avvocato in Pisa]

L’incarico di amministratore di condominio è normalmente retribuito per l’intera annualità della gestione in cui l’amministratore stesso dura in carica, considerato che il testo dell’art. 1135, c. I, n. 1 cod. civ. prevede come “eventuale” la retribuzione dell’amministratore (Cass. civ., Sez. II, 31 maggio 2010, n. 13235). 

Considerato che lo stesso legislatore, con il comma XIV dell’art. 1129 cod. civ., stabilisce che, per quanto non previsto dagli artt. 1129, 1130 e 1131 cod. civ., al rapporto contrattuale che s’instaura tra condominio e amministratore si applica la disciplina del mandato, per il combinato disposto degli artt. 1135 e 1709 cod. civ., l’attività prestata da quest’ultimo può essere a titolo gratuito; in questo caso l’onere della prova di tale gratuità compete al condominio che intenda farla valere.

ALIQUOTE

Il compenso dell’amministratore, che è gravato dalle aliquote concernenti la previdenza pensionistica, è soggetto alla ritenuta d’acconto ai sensi dell’art. 7, c. IX, del d. P. R. 29 settembre 1973, n. 605, così come integrato dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, che deve essere versata dal condominio in conseguenza dell’assoggettabilità del suddetto compenso alla tassazione Irpef; se l’amministratore svolga l’attività in modo sistematico e abituale, il compenso è soggetto anche a Iva (Cass. civ., Sez. V, 13 marzo 2009, n. 6136).

MAGGIORANZA

La retribuzione dell’amministratore deve essere approvata con la stessa maggioranza prevista per la sua nomina, ex art. 1136, comma II, cod. civ., vale a dire con una maggioranza che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio (cinquecento millesimi) e la maggioranza degli intervenuti all’assemblea condominiale. Qualora l’amministratore non venga confermato, sino alla nomina del suo successore deve svolgere la sola attività finalizzata alla soluzione delle problematiche urgenti in forma gratuita ex art. 1129, c. VIII, cod. civ..

GLI EXTRA

Normalmente non ha diritto ad alcun compenso extra l’amministratore che presti un’attività che esuli dal suo mandato gestionale ordinario, dovendosi ritenere ricompresa nel corrispettivo riconosciutogli al momento del conferimento dell’incarico (Cass. civ., Sez. II, 30 settembre 2013, n. 22313; Cass. civ., Sez. II, 28 aprile 2010, n. 10204). Il compenso de quo può essere, però, specificatamente approvato dall’assemblea condominiale. Tale approvazione può avvenire, sia in sede di assemblea annuale allorché si nomina un amministratore e il suo compenso, sia in sede di assemblea, così detta, straordinaria allorché si debbano deliberare opere di manutenzione o di ristrutturazione dello stabile, ovvero interventi innovativi ai beni e servizi condominiali, se non ne sia già previsto l’importo nel tariffario dell’amministratore. 

Va, infatti, ribadito che in tema di condominio, l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa svolta nella vigenza della durata contrattuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte. 

Si deve rammentare che il compenso dell’amministratore, inerente alle voci del proprio tariffario, sono sempre comprensive di tutta l’attività preparatoria e strumentale alla realizzazione concreta della stessa. Peraltro, non opera, ai fini del riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera condominiale, la presunta onerosità del mandato, allorché sia stabilito un compenso forfetario a favore dell’amministratore, spettando comunque all’assemblea condominiale il compito generale di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore che, quindi, non può esigere neppure il rimborso di spese da lui anticipate, non potendo il relativo credito considerarsi liquido ed esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea (Cass. civ., Sez. II, 30 settembre 2013, n. 22313).

TARIFFARIO

Il diritto al compenso dell’amministratore, che parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto prescriversi nel termine di cinque anni ex art. 2948, n. 4 cod. civ., si prescrive in dieci anni a parere della Corte di Cassazione ex art. 2946 cod. civ., non trattandosi di obbligazione periodica, in quanto la durata annuale dell’incarico comporta la cessazione ex lege del rapporto (Cass. civ., Sez. II, 4 ottobre 2005, n. 19348; Trib. Napoli, Sez. II, 29 ottobre 2013, n. 11943). Il compenso dell’amministratore deve essere stabilito in base a un proprio tariffario di studio, non potendo egli riferirsi a tariffari di categoria non esistendo, questi, e non potendo essere previsti in relazione a quanto, già da tempo, ha stabilito l’Autorità garante della concorrenza (Antitrust); se sia un professionista iscritto a un Ordine, può riferirsi al tariffario di questo, anche se normalmente non esaustivo rispetto a quanto previsto dall’art. 1129, comma X, cod. civ.. Anche l’amministratore nominato dal Tribunale, non essendo un suo ausiliario, deve farsi approvare dall’assemblea il suo tariffario (Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2014, n. 16698).

ECCEZIONI

Da quanto dedotto, deriva che il compenso dell’amministratore deve essere sempre deliberato dall’assemblea e deve essere limitato all’attività effettivamente prestata, con la conseguenza che, ove il suo incarico sia interrotto prima della naturale scadenza del mandato, l’amministratore non ha diritto di percepire l’intera retribuzione deliberata (Cass. civ., Sez. II, 30 dicembre 2012, n. 18667).

Nulla impedisce, però, che, anche in vigenza dell’art. 1129 cod. civ. novellato, nei suoi ampi poteri, l’assemblea possa ratificare a posteriori un’attività, se necessaria e urgente, espletata dall’amministratore e ne determini, solo in tale frangente, il relativo compenso. Si tratta di una scelta di opportunità che l’assemblea può assumere con il quorum deliberativo di riferimento (Cass. civ., Sez. II, 22 luglio 2004, n. 13780), e se validamente approvata, non può essere impugnata, considerato che il sindacato dell’autorità giudiziaria non può estendersi al merito della delibera (Cass. civ., Sez. II, 3 dicembre 2008, n. 28734); anche il potere discrezionale dell’assemblea, di quantificare il compenso dell’amministratore all’atto del conferimento dell’incarico, non può essere valutato dal giudice se inerisca esclusivamente la congruità economica (Trib. Cagliari, Sez. II, 18 giugno 2015, in Leggi d’Italia). 

Si ritiene, altresì, ammissibile un’approvazione del compenso, soltanto con il richiamo all’importo corrispondente nel rendiconto preventivo. In tal modo l’oggetto del contratto di mandato è comunque determinato o facilmente determinabile solo che dal testo del verbale emerga chiaramente questa circostanza, anche in occasione di ogni rinnovo tacito, sempre che non ne sia modificato l’ammontare. Infatti, in forza del comma X dell’art. 1129 cod. civ., l’amministratore deve specificare il suo compenso, precisando le voci del suo tariffario, che deve essere il più completo possibile.

La sanzione, disposta dal legislatore, consiste nella nullità dell’intero contratto di mandato e non soltanto della determinazione del quantum del compenso, poiché non sussistendo tariffe, questo non può essere stabilito dall’autorità giudiziaria, in relazione al combinato disposto dagli artt. 1419 e 1709 cod. civ..

Ut supra dedotto, se l’ammontare del compenso sia indicato nel rendiconto consuntivo, al quale deve essere allegato il tariffario, e il verbale dell’assemblea approvi sia l’uno sia l’altro, la nomina non può essere invalida, considerato che l’oggetto del contratto è facilmente determinabile per il combinato disposto dagli artt. 1418 e 1346 cod. civ..

Tra l’altro, considerato che l’amministratore dura in carica un anno, rinnovabile di un ulteriore anno, qualora al secondo anno l’amministratore intendesse mutare la sua retribuzione, cambiando una clausola contrattuale, la durata del rapporto deve essere deliberata quale nomina ex novo.

PROBLEMATICHE

Due sono le problematiche che il disposto del comma XIV dell’art. 1129 cod. civ. pone:

1) l’amministratore deve far approvare, dall’assemblea, un proprio tariffario analitico, per evitare di omettere l’inserimento di alcune prestazioni che intenda farsi retribuire, non potendo più pretenderle successivamente; infatti, con il nuovo testo legislativo inerente alla nullità del contratto, si deve ritenere che non sia ammissibile una ratifica a posteriori, poiché un contratto nullo non può essere convalidato ex art. 1423 cod. civ.;

2) l’amministratore deve far risultare, dal verbale d’assemblea, la proposta di tariffario e la sua accettazione. 

Considerato che la sanzione concernente la violazione del dettato legislativo consiste nella nullità dello stesso contratto di mandato, la cui azione è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 cod. civ., ciascun condomino può, anche a distanza di anni, contestare la nomina. La conseguenza è, dichiarata la nullità del contratto, la sua inefficacia ex tunc, e l’amministratore può essere obbligato a restituire il compenso percepito negli anni, salva la possibilità di richiedere un indennizzo per l’utilità che il condominio ha comunque ricavato dalla sua opera, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.. 

AMMINISTRATORE, ACCESSO AGLI ATTI AMMINISTRATIVI E LEGITTIMAZIONE DELL’ASSEMBLEA

[A cura di Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.com]

È legittimo il diniego di accesso agli atti amministrativi all’amministratore del condominio che non dimostra la propria legittimazione ai sensi degli artt. 1130 e 1131 codice civile. È quanto disposto dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, sezione autonoma di Bolzano, con la sentenza n. 133/2016 

LA QUESTIONE

L’amministratore di un condominio richiedeva l’accesso agli atti relativi alle autorizzazioni di un vicino impianto di distributori di carburanti. La richiesta alla Provincia e al Comune era stata inviata via posta elettronica certificata senza firma digitale, e non era stata formulata in nome del condominio; mancava, inoltre, la dimostrazione della necessaria deliberazione autorizzativa dell’assemblea condominiale. A seguito del silenzio della Provincia, l’amministratore proponeva ricorso al T.A.R.  (Tribunale Amministrativo Regionale), che lo ha ritenuto inammissibile per difetto di legittimazione attiva dell’amministratore condominiale.

LA DECISIONE

Il T.A.R. dapprima rileva che «Il ricorso in esame è stato presentato dal Condominio R., “in persona dell’Amministratore e legale rappresentante pt, Rag. S. K.”, il quale dichiara di agire in giudizio in nome e per conto del Condominio, senza però fornire alcuna prova in ordine al proprio potere di rappresentanza in giudizio nel caso specifico».

Poi ricorda che «l’art. 1130 c.c. stabilisce quali poteri spettano all’amministratore del condominio», e che «il potere di rappresentanza dell’amministratore condominiale è limitato alle attribuzioni di cui alla citata disposizione, salvo il caso in cui il regolamento condominiale o l’assemblea, con propria deliberazione, gli attribuiscano poteri maggiori, così come previsto dall’art. 1131 c.c., il quale così recita: “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi. Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini”».

L’assemblea

Il Collegio richiama poi il costante orientamento giurisprudenziale in tema di legittimazione condominiale: «Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, “nel condominio, in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea, la quale deve deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere in via autonoma all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale, ma meramente esecutivo del condominio” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4944; nello stesso senso, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4944; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2511 e Cassaz. Sez. Un., 6 agosto 2010, n. 18331)».

La legittimazione

Poi il T.A.R. affronta la questione relativa alla legittimazione attiva dell’amministratore nel processo amministrativo: «Nel caso di specie l’amministratore non ha dimostrato in giudizio di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale a proporre l’azione di accesso di cui all’art. 116 c.p.a., né l’esercizio di tale azione può farsi rientrare in una delle attribuzioni proprie dell’amministratore, tassativamente elencate nel citato art. 1130 c.c..».

Con la conseguenza che «Il ricorso deve, pertanto considerarsi inammissibile, per difetto di legittimazione processuale dell’amministratore del Condominio ricorrente».

L’inammissibilità

In ogni caso, il Collegio rafforza la decisione chiarendo che «Ad abundantiam, va aggiunto che è fondata anche l’eccezione subordinata di inammissibilità, sollevata dalla difesa provinciale sul rilievo che, da un lato, la richiesta di accesso agli atti, inviata tramite posta elettronica certificata (PEC) il 22 novembre 2015, proviene dalla casella PEC della ditta P. (di cui non si conoscono i legami con il Condominio) e non da una casella PEC riconducibile al Condominio R. e al suo amministratore e, dall’altro lato, che la richiesta inviata mediante PEC è priva della firma digitale, cosicché non risulta avvenuto, né provato, alcun ricevimento da parte del destinatario. Osserva a tal riguardo il Collegio che la firma digitale, nella PEC, costituisce l’equivalente informatico della tradizionale firma autografa apposta su carta e serve a garantire l’identità del sottoscrittore, ad assicurare che il documento non sia stato modificato dopo la sua sottoscrizione e ad attribuire piena validità legale al documento».

Ne deriva pertanto che «Nel caso di specie, mancando la firma digitale, non è possibile attestare l’integrità e l’autenticità della sottoscrizione dell’amministratore del Condominio ricorrente, né la validità della manifestazione di volontà contenuta nella richiesta di accesso, considerato che essa proviene da una casella PEC intestata ad una società (P. Sas) che, in assenza di prova contraria, non ha alcun collegamento».

OSSERVAZIONI

Nel decidere sulla questione, il T.A.R. ha rilevato il difetto di legittimazione processuale dell’amministratore condominiale, e ha ricordato che, mancando la firma digitale sulla richiesta di accesso agli atti inviata tramite PEC dalla una casella di una ditta (e non del condominio), non era possibile attestare l’integrità e l’autenticità della sottoscrizione dell’amministratore del condominio, 

LE FONTI

Codice Civile

CAPO II – Del condominio negli edifici

Art. 1130 – Attribuzioni dell’amministratore

L’amministratore, oltre a quanto previsto dall’articolo 1129 e dalle vigenti disposizioni di legge, deve:

1) eseguire le deliberazioni dell’assemblea, convocarla annualmente per l’approvazione del rendiconto condominiale di cui all’articolo 1130-bis e curare l’osservanza del regolamento di condominio;

2) disciplinare l’’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condòmini;

3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni;

4) compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio;

5) eseguire gli adempimenti fiscali;

6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili;

7) curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità. Nel registro dei verbali delle assemblee sono altresì annotate: le eventuali mancate costituzioni dell’assemblea, le deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta; allo stesso registro è allegato il regolamento di condominio, ove adottato. Nel registro di nomina e revoca dell’amministratore sono annotate, in ordine cronologico, le date della nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio, nonché gli estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale. Nel registro di contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può tenersi anche con modalità informatizzate;

8) conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del condominio;

9) fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso;

10) redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni.

Art. 1131 – Rappresentanza

Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi.

Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini.

L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.

CONDOMINIO: IL COMPLESSO PASSAGGIO DI CONSEGNE TRA AMMINISTRATORI

[A cura di: avv. Mario Fiamigi – vice presidente Nazionale APPC]

Un momento cruciale della vita condominiale è sicuramente quello di transizione dalla gestione dell’amministratore appena cessato a quello appena nominato. Questa situazione ha trovato una sua esplicitazione normativa nella riforma del condominio. Il testo novellato dell’art. 1129, ottavo comma, recita “alla cessazione dell’incarico, l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condòmini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.

Nulla questio riguardo alla prima parte che esplicita il dovere di restituzione previsto dall’art. 1713 cc per il quale il mandatario deve rendere il conto al mandante del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato. L’amministratore infatti è il mero custode della documentazione. Vedasi a questo proposito, tra le altre, la sentenza del Tribunale di Roma, numero 10818 del 25 gennaio 2007.

Gravi problemi di interpretazione pone invece l’obbligo di eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni in un momento temporale successivo alla cessazione dell’incarico. Si tratta di una sorta di “prorogatio” per compiere attività che non sono esplicitate ma che sono finalizzate solo ad evitare pregiudizi. Non si comprende, però, perché tali urgenze non potrebbero essere compiute dall’amministratore legittimamente nominato. Si tratta di una disposizione che evidentemente non è conforme ai principi generali e che appare di difficile coordinamento con il sistema di diritto condominiale.

Conseguenze della mancata consegna

È evidente che non provvedere alla restituzione della documentazione amministrativa comporta gravissimi problemi: basti pensare all’impossibilità di redigere il bilancio, di affrontare gli obblighi previdenziali e assistenziali nonché gli adempimenti fiscali. La giurisprudenza ha certificato questo stato di crisi definendolo nella sentenza 11472 del 28 ottobre 1991 ove si legge che “la mancata disponibilità da parte del nuovo amministratore di tutta la documentazione contabile, in relazione alle notorie incombenze di diverso genere e natura che gravano sull’amministrazione di un condominio, può determinare per i condòmini un grave ed irreparabile pregiudizio non agevolmente commisurabile per la situazione di stallo che si verrebbe a creare”.

I rimedi processuali

La sopracitata sentenza evidenzia come la mancata consegna espone il condominio a vari rischi che certamente rientrano nella nozione di periculum in mora e quindi giustificano il ricorso alla procedura d’urgenza ex art. 700 cpc. Come per tutte le azioni cautelari, l’amministratore in carica potrà procedere giudizialmente senza la preventiva autorizzazione assembleare in forza della legittimazione processuale conferita dall’art. 1130 cc; peraltro non si deve dimenticare che anche i singoli condòmini hanno un’autonoma legittimazione processuale. Ricordiamo ancora che questa tipologia di azioni non è soggetta al tentativo obbligatorio di mediazione (art. 5 dlgs 28/2010).

Ovviamente il procedimento cautelare è finalizzato ad ottenere la riconsegna della documentazione, ma l’omissione della consegna configura una responsabilità per danni che può essere fatta valere per via ordinaria. Il Tribunale di Milano (sentenza 448/2010) ha condannato un amministratore uscente che non aveva consegnato tutta la documentazione al risarcimento quantificato in via equitativa nell’importo di euro 15.000.

Le fattispecie penali

La mancata consegna può configurarsi anche come illecito penale sotto due profili. In un primo caso, qualora si sia ottenuto un provvedimento formale da parte del Giudice Civile, si potrebbe configurare il reato di mancata esecuzione dolosa di un ordine del giudice previsto dall’art. 388 codice penale. Indipendentemente dall’esistenza di un provvedimento giudiziario può anche configurarsi il reato di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 del codice penale. La Corte di Cassazione (sentenza 31192 del 16 luglio 2014) ha confermato che il rifiuto di consegnare la documentazione configura un comportamento penalmente rilevante ai sensi dell’art. 388 del codice penale, salvo che la disposizione sia per qualche motivo ineseguibile, e che tale comportamento sarebbe prova di un proprio interesse ad impedire che si possa effettuare un controllo sulla gestione condominiale configurando pertanto l’esistenza del dolo specifico (la volontà di perseguire l’ingiusto profitto) necessario perché si realizzi la fattispecie delittuosa dell’art. 646 cp.

I documenti che devono essere consegnati

Può accadere di trovarsi nella difficoltà pratica di individuare i documenti che necessariamente devono essere consegnati. Il Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 28 gennaio 2014, ha stilato un elenco analitico della documentazione non limitandosi a un generico richiamo.

Per la precisione questa è la lista:

* ultimo bilancio approvato; 

* elenco dei condòmini e relativi indirizzi; 

* tabelle millesimali e regolamento condominiale; 

* chiavi e timbri; 

* registri dei verbali di assemblea; 

* contratti con le ditte fornitrici e relative fatture; 

* libretti di esercizio e documentazione relativa agli impianti;

* codice fiscale del condominio; 

* passaggio del conto corrente e chiavi di accesso on line; 

* polizza di assicurazione; 

* certificato di prevenzione incendi; 

* contratti di appalto dei lavori in corso di esecuzione;

* atti giudiziari relativi a contenziosi che hanno coinvolto il condominio; 

* certificazione del modello 770 nonché la comunicazione all’anagrafe tributaria dell’ammontare dei beni e servizi; 

* documentazione di chiusura cassa; 

* ogni altra documentazione condominiale di carattere contabile o amministrativo

Il credito dell’ex amministratore

È cosa relativamente frequente che al momento del passaggio delle consegne l’amministratore cessato vanti un credito nei confronti del condominio e inserisca tale pretesa nel verbale di formalizzazione del passaggio. Peraltro la sottoscrizione dell’amministratore entrante non è sufficiente a rendere esigibile tale credito essendo indicativa della mera ricevuta della documentazione. Secondo la Giurisprudenza, l’amministratore che chiede la restituzione degli “anticipi” deve dimostrare che le somme versate nel patrimonio del condominio, oltre a non essere state successivamente restituite, provengono dal suo patrimonio personale. Quindi occorrerà una prova documentale con la produzione di assegni o di bonifici tratti dal suo conto corrente e versati su quello del condominio. Questo principio è stato recentemente ribadito dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 17248 del 20 settembre 2016.

L’obbligo di agire

Ricordiamo infine che l’amministratore in carica che non si attivasse per recuperare la documentazione potrebbe essere soggetto a propria volta ad azione di responsabilità. L’obbligo di diligenza del mandatario gli impone l’onere di agire in ogni modo possibile per entrare in possesso delle carte che costituiscono il presupposto per eseguire correttamente i compiti che la legge gli assegna quali l’esecuzione degli adempimenti fiscali previsti dall’art. 1130 comma 1 n. 4 e la conservazione della documentazione previsto dall’art. 1130, comma 1, numero 8.

Peraltro, tale norma ribadisce l’obbligo di conservazione della documentazione condominiale anche se “solo “alla propria gestione e non alle precedenti o comunque a tutto ciò che sia stato ricevuto dal precedente amministratore in sede di passaggio di consegne. In ogni caso sembra assai difficile che l’amministratore non sia tenuto alla conservazione di tutta la documentazione ricevuta in ordine alla gestione dell’edificio e non solo quella della “sua” gestione.

CHI EDIFICA UN ALLOGGIO SU UN’AREA DI SUA PROPRIETÀ: NON PERDE IL BONUS PRIMA CASA

Arriva un nuovo chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate su un tema sempre di grande attualità fiscale: quello dei benefici “prima casa”. E, nella fattispecie, si tratta di una presa di posizione destinata ad avere positivi effetti sulla disciplina del regime fiscale di favore. 

A sottolinearlo, in un approfondimento pubblicato su FiscoOggi, rivista ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, è l’esperto, Gennaro Napolitano, che rimarca come l’amministrazione, con la risoluzione n. 13/E del 26 gennaio 2017, abbia aggiornato un proprio precedente orientamento e amplia l’ambito delle ipotesi in cui non si decade dall’agevolazione.

Come noto, la disciplina relativa ai benefici “prima casa” (Nota II-bis, articolo 1, Tariffa parte I allegata al Dpr 131/1986) prevede, tra le cause di decadenza, il trasferimento dell’immobile comprato in regime agevolato prima che siano passati cinque anni dall’acquisto. Per evitare la decadenza (e, quindi, il pagamento delle imposte nella misura ordinaria, più una sanzione del 30%), il contribuente deve, entro un anno dalla cessione, acquistare un altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

Con precedenti documenti di prassi, peraltro, l’Agenzia aveva chiarito che, in tal caso, l’agevolazione comunque si conserva se il contribuente, sempre entro un anno, compra un terreno su cui costruisce un immobile “non di lusso” utilizzabile come abitazione principale. Ciò anche se il fabbricato non sia stato ultimato, essendo sufficiente che si sia in presenza di un rustico comprensivo delle mura perimetrali e della copertura (cfr. risoluzione n. 44/E del 16 marzo 2004 e circolare n. 38/E del 12 agosto 2005, paragrafo 5.2).

Questa “apertura” dell’Agenzia delle Entrate è stata oggetto di un’ulteriore interpretazione estensiva da parte della Corte di cassazione. In diverse pronunce, infatti, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, in caso di vendita infraquinquennale, per evitare la decadenza dai benefici è sufficiente che, entro un anno, il contribuente costruisca un nuovo immobile da adibire a propria abitazione principale, anche se il terreno su cui avviene l’edificazione fosse già di sua proprietà. Pertanto, secondo la Cassazione, ai fini del mantenimento dell’agevolazione, non assume alcuna rilevanza il momento in cui è stato acquistato il terreno su cui sorge il nuovo fabbricato (cfr. sentenze 27 novembre 2015, n. 24253; 12 marzo 2015, n. 8847; 1° luglio 2016, n. 13550; 16 settembre 2016, n. 18214).

Sulla base dell’orientamento della suprema Corte, quindi, l’Agenzia delle Entrate ha rivisto la propria precedente posizione e ha affermato che nell’ipotesi in cui, prima che siano decorsi cinque anni, venga venduto l’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, non si decade dall’agevolazione se, entro un anno dalla cessione, su un terreno di cui si sia già proprietari, venga costruito un immobile a uso abitativo (di categoria catastale diversa da A1, A8 e A9), da adibire a propria abitazione principale, che il contribuente utilizzi come dimora abituale.

L’AMMINISTRATORE USCENTE E IL DIFFICILE RECUPERO DELLE SPESE ANTICIPATE

[A cura di: avv. Carlo Pikler – Ufficio Legale ROKLER Management & Consulting S.r.l.]

Il presente articolo si pone l’obbiettivo di esaminare i più recenti approdi giurisprudenziali in merito a un tema che, in ambito condominiale, risulta sempre più attuale. Ciò anche alla luce dei trascorsi anni di crisi economica, che hanno aggravato la generale posizione debitoria di tutte le compagini condominiali. Capita sovente allora che, in seguito al passaggio delle consegne tra un amministratore di condominio uscente e uno entrante, si instauri un contenzioso giudiziario azionato dal primo al fine del recupero di somme dichiaratamente anticipate – nell’arco della propria gestione – in favore del condominio in precedenza amministrato.

IL CREDITO

Secondo la ricostruzione giurisprudenziale dominante, il suddetto credito a titolo di somme anticipate nell’interesse del Condominio trae origine da un ufficio di diritto privato al quale sarebbe ricollegato un rapporto di “mandato” – assimilabile a quello con rappresentanza – che intercorre tra amministratore e condòmini (cfr., da ultimo, Trib. Torino Sez. I Civ., sentenza 29/01/2016 n. 544).

Troverebbe pertanto applicazione l’art. 1720 comma I c.c., in conformità del quale il mandante ha l’obbligo di rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell’esecuzione dell’incarico. Obbligo che naturalmente perdura oltre la cessazione del medesimo incarico e che legittima l’inoltro della relativa richiesta di restituzione anche nei confronti del singolo condomino inadempiente (cfr. già Cass. n. 1286/1997).

Enucleati tali elementari principi alla base dell’azione in oggetto e considerato che essa, rientrando nell’ampia materia condominiale,  è soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ex D.Lgs, n. 28/2010) deve ora dirsi che l’effettivo recupero delle somme così richieste appare in realtà tutt’altro che agevole. Ma questo non tanto dal punto di vista pratico, quanto piuttosto giuridico. Nel senso che l’amministratore, al fine di vedere accogliere giudizialmente le proprie istanze, è “costretto” ad assolvere un difficoltoso onere probatorio.

LE PROVE

Non avendo infatti l’amministratore un generale potere di spesa e fatti salvi i casi di urgenza ex artt. 1130, 1134, 1135 c.c.. – le cui anticipazioni devono in ogni caso essere successivamente ratificate dall’assemblea – qualunque somma anticipata abbisogna di formale “accettazione” della compagine condominiale. Quest’ultima è infatti deputata al formale controllo della gestione del proprio “mandatario”, altrimenti il corrispondente credito non sarebbe né liquido né esigibile (Cass. n. 14197/2011 e Cass. n. 1224/2012).

L’atto di accettazione per eccellenza – e dunque, si potrebbe dire, valevole come ricognizione del debito – è rappresentato dall’approvazione del rendiconto, nel quale confluiscono tutte le poste di spesa, anche quelle a titolo di anticipazioni. Eppure la giurisprudenza ha più volte affermato che tali poste devono essere dotate della necessaria specificità e chiarezza, altrimenti l’onere probatorio non sarebbe per nulla assolto (Cass. n. 10153/2011; Cass. 28/05/2012 n. 8498/2012; Cass. n. 15401/2014).

Peraltro nemmeno la sottoscrizione da parte del nuovo amministratore – all’atto della consegna della documentazione inerente la precedente amministrazione – del verbale di passaggio delle consegne ovvero l’apposizione sullo stesso di diciture del tipo “per accettazione” o “per ratifica” o, ancora, “per approvazione”, è sufficiente ad impegnare il condominio in merito al rimborso di somme anticipate dall’amministratore antecedente (cfr. ancora Cass. n. 8498/2012). E che un decreto ingiuntivo emesso in favore di costui su tale unica base probatoria, ben può essere oggetto di una vittoriosa opposizione da parte del Condominio ingiunto (Trib. Genova Sez. III, 08/02/2012).

CONCLUSIONI

Per concludere la disamina effettuata, allora, l’amministratore che intenda recuperare – con qualche concreta possibilità di successo – l’anticipazione da egli effettuata a titolo di spese di gestione o, comunque, di spese urgenti, dovrà:

1. confrontare il rendiconto bancario condominiale con quello da lui redatto onde accertare pagamenti non risultanti su conto corrente;

2. previa verifica dell’effettivo pagamento di tutte le partite del suo rendiconto, evidenziare la presenza di un saldo passivo del suo rendiconto e la corrispondente assenza di fondi sul conto corrente condominiale;

3. dimostrare l’anticipazione attraverso la produzione dei titoli di pagamento (ovvero bonifici provenienti da suo conto personale, assegni, o testimonianze dirette di versamenti in contanti a pagamento delle singole partite.

Nel condominio, infatti, deve rinvenirsi un rendiconto “reale” costituito dal rendiconto bancario e un rendiconto “virtuale” redatto dall’amministratore. Solo la redazione di quest’ultimo secondo un principio di cassa “puro”, difatti, potrà fondare una base contabile da confrontarsi con le risultanze bancarie. In mancanza di ciò e qualora venga redatto unicamente un rendiconto per “competenza”, dovranno dunque essere considerate solo le spese effettivamente sostenute nel periodo.

Attraverso il riscontro positivo tra il conto corrente e il rendiconto, e con l’esibizione dei titoli di pagamento, il giudice potrà quindi licenziare una consulenza tecnica d’ufficio di tipo “deducente” (che proceda al controllo delle allegazioni del procedente ed alla verifica dei conteggi). In caso contrario, infatti, come precisato dalla recente giurisprudenza di merito, una perizia che dovesse procedere alla revisione della contabilità onde rinvenire eventuali anticipazioni non sarebbe ammessa poiché meramente “esplorativa”, e pertanto in violazione del principio dispositivo del processo (ove spetta alla parte allegare e dimostrare puntualmente ogni richiesta).