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IMPOSTE SULLA CASA, CONFEDILIZIA: ATTENZIONE ALLA DATA DELLE DELIBERE DI IMU E (TASI)

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – pres. Centro studi Confedilizia]

Se la delibera sulle aliquote Imu (ma il discorso per la Tasi è similare) non viene adottata dal Comune entro il termine stabilito dalla legge (fissato al 31 dicembre dell’anno antecedente l’esercizio annuale interessato ma poi in genere prorogato, ogni anno, di qualche mese), le aliquote non sono valide ed il contribuente deve utilizzare quelle in vigore per l’anno precedente. 

Questo principio è stato ribadito dal Tar della Calabria, sezione prima, con la sentenza n. 1284 del 17.6.2016, con cui il giudice amministrativo ha accolto il ricorso presentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, ha annullato la deliberazione n. 34/2015 nella quale il Consiglio comunale di Taverna aveva determinato le aliquote dell’Imu per l’anno 2015. Nel caso esaminato, la delibera impugnata era stata adottata dal Consiglio comunale in data 3.8.2015. L’art. 1, comma 169, della legge 296/2006 impone invece agli enti locali di fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di competenza degli stessi (tra i quali, anche l’Imu e la Tasi) entro la data fissata dalle norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, prevedendo, nel contempo, che in caso di mancata approvazione entro il termine indicato, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno. 

Per l’anno 2015, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione era stato fissato al 30.7.2015 dal decreto del Ministero dell’interno del 13.5.2015. Il termine anzidetto, ha evidenziato il Tribunale, aveva carattere perentorio (come si desume dalla previsione di cui al citato art. 1, comma 169, per la quale, in caso di mancata approvazione entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno). Ne conseguiva che la deliberazione consiliare impugnata, adottata successivamente alla data del 30.7.2015, era illegittima e come tale è stata annullata.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Amministratore rapinato

delle quote dei condòmini

Un amministratore di condominio di 33 anni è stato rapinato da una banda di malviventi mentre si trovava fuori da un complesso residenziale di Palermo, intento a riscuotere le quote degli inquilini destinati al pagamento delle spese condominiali. I rapinatori sono entrati in azione a volto coperto e hanno puntato un’arma contro il 33enne per farsi consegnare il denaro, salvo poi contrariarsi per la cifra esigua del bottino. L’amministratore, infatti, era solito riscuotere il denaro dei suoi condòmini utilizzando un Pos portatile e, dunque, i contanti non superavano i 1000 euro. Il sospetto è che il gruppetto di ladri fosse, in qualche modo, a conoscenza degli avvisi affissi sulla bacheca del residence, che avvertivano del passaggio dell’amministratore per la riscossione.

Furto in condominio:

bottino di 80mila euro

Una coppia di anziani residenti a Pisa è stata derubata in pieno giorno da alcuni topi d’appartamento che si sono introdotti in casa, approfittando della loro assenza. I malviventi sono passati dalla porta finestra della cucina, sita al primo piano e, dopo aver messo a soqquadro l’abitazione, sono riusciti a trovare i gioielli e gli altri oggetti preziosi che i proprietari avevano nascosto in una scatola, nell’armadio, per un valore complessivo di circa 80mila euro. Beni che appartenevano alla famiglia da generazioni, dal grande valore affettivo, e che sono stati fatti sparire assieme alla serenità della coppia, terrorizzata per la scena che si è trovata davanti.

Accendono braciere in casa:

in tre muoiono per esalazioni 

Sono state trovate senza vita le tre persone che abitavano in una residenza bifamiliare di un comune della provincia di Vicenza. Si tratta di tre uomini di 29, 35 e 40 anni, tutti di nazionalità indiana. Secondo una prima ricostruzione, sarebbero morti nel sonno a causa delle esalazioni da monossido di carbonio scaturite da un braciere che avevano acceso la notte precedente per riscaldarsi. L’allarme è stato lanciato poco dopo le 7 del mattino dall’amico che risiede poco distante dal luogo della tragedia, che si era insospettito non vedendo una delle vittime uscire di casa per andare a lavorare, come invece era solito fare ogni mattina. Sul posto, oltre ai vigili del fuoco, sono arrivati gli operatori del 118 ma per i tre non c’era già più nulla da fare.

Muore carbonizzato

preparando la colazione

Aveva lasciato il fornello acceso per preparare la colazione, ma è stato avvolto dalle fiamme. È morto così, per un banale incidente domestico, l’anziano di 85 anni che viveva da solo in un quartiere della prima cintura di Torino. In pochi istanti le fiamme hanno raggiunto i suoi vestiti e hanno avuto il sopravvento sul pensionato, che nel tentativo di chiamare aiuto è inciampato rovinando a terra. A dare l’allarme è stata la badante che ogni mattina andava ad assisterlo. Quando i vigili del fuoco sono arrivati nell’appartamento, all’ultimo piano di una palazzina, non hanno potuto fare altro che constatare il decesso dell’uomo.

Fuga di gas, esplode casa

Salvi nonno e nipotino 

Tragedia sfiorata in una palazzina di un comune vicino Roma, dove un 60enne è riuscito a mettersi in salvo, assieme al nipotino di tre anni, dall’imminente scoppio di una bombola di gas. L’uomo stava sostituendo il serbatoio del gas che si trovava al piano terra dell’abitazione, quando per un probabile errore di collegamento, una fiammata partita dal fornello ha avvolto l’impianto. Resosi conto del pericolo, l’uomo ha preso in braccio il bimbo ed è corso fuori dalla casa, avendo la prontezza di aprire le finestre e di avvertire i vicini. Pochi istanti dopo, una potente deflagrazione ha quasi distrutto l’appartamento e danneggiato leggermente la casa dei vicini, che sono stati fatti evacuare per precauzione.

PARI DIRITTO DI TUTTI I CONDÒMINI DI FRUIRE DELLA COSA COMUNE

[A cura di: Fna – Confappi]

“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”. Sulla base di questo principio, contenuto nell’articolo 1102 del Codice Civile e che disciplina la cosa comune, la Corte di Cassazione ha intimato – con la sentenza n. 21538 del 25 ottobre 2016 – al proprietario di un appartamento sito all’ultimo piano di un palazzo di sostituire, a proprie spese, con una finestra, la porta che gli consentiva di accedere direttamente al terrazzo comune. Il pronunciamento conferma quanto già stabilito dalla Corte di Appello di Roma con la sentenza n. 1739/2011, secondo cui il proprietario dell’alloggio è tenuto a ripristinare, facendosi carico del costo, la situazione originaria del terrazzo, ossia procedere alla chiusura dell’apertura di collegamento fra l’appartamento e il lastrico solare condiviso.

La Cassazione precisa come la succitata porta consentiva – in concreto – un uso che non era un mero uso intensivo consentito. Di conseguenza, chi ha realizzato l’intervento è tenuto a ripristinare la situazione precedente. A proposito dell’uso intensivo della cosa comune, la Suprema Corte aveva già osservato come “ per stabilire se l’uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra partecipanti al condominio – e perciò da ritenersi non consentito a norma dell’art. 1102 – non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto di detta cosa da altri condòmini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno”. (Cass. 23 marzo 1995, n. 3368). E ancora, l’intervento sarebbe da ritenersi illegittimo “(…) solo ove si accerti che l’incremento dell’uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilità degli altri di continuare nell’esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo in modo e misura analoghe”. (Cass. 11 luglio 1975, n. 2746).

LE SPESE CONDOMINIALI E LA SUCCESSIONE INTER VIVOS DEI CONDÒMINI

[A cura di: Avv. Gian Vincenzo Tortorici]

Il legislatore del 1942, nel promulgare il codice civile, ha sostanzialmente ripreso il R.D. 15 gennaio 1934, n. 56, omettendo peraltro la definizione di condominio e limitandosi ad elencare nell’art. 1117 cod. civ. le parti e i servizi che si devono presumere comuni, mentre la giurisprudenza lo ha definito, ante riforma 2012, un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica. La legge 11 dicembre 2012, n. 220 non ha risolto la questione ma, introducendo ex novo alcuni articoli o modificandone altri, inerenti al patrimonio del condominio, ha indotto la giurisprudenza a ritenerlo fornito di soggettività giuridica [Cass., Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663].

LE SPESE

La gestione del condominio comporta l’obbligo, non soltanto di conciliare le diverse esigenze personali dei condòmini, ma anche di effettuare alcune spese al fine di garantire la costante funzionalità di alcuni servizi (ad esempio, il portierato) e la perenne conservazione delle parti e dei manufatti comuni dello stabile (per esempio, il lastrico solare comune o la centrale elettrica).

L’obbligatorietà del pagamento delle spese da parte dei condòmini deriva direttamente dalla circostanza dell’essere comproprietari dei beni comuni ex art. 1117 cod. civ., per i quali sono state effettuate le suddette spese e, quindi, non dal fatto di essere state approvate in assemblea, in quanto trattandosi di una obbligazione propter rem, tale obbligo insorge nel medesimo momento in cui sono attuate le varie attività inerenti alla complessiva gestione del condominio. Quanto sopra dedotto discende dal disposto del secondo e del terzo comma dell’art. 1118 cod. civ., che stabiliscono: 

* il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni; 

* il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali. 

Ne discende che la giurisprudenza ritiene che, nei confronti del condominio, l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dall’approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dalla circostanza per cui sia sorta la necessità della spesa ovvero l’attuazione concreta e reale di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una di queste attività di gestione. [Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2009, n. 23345].

Normalmente le spese vengono ripartite in base alle differenti carature millesimali (di proprietà, di ascensore, di riscaldamento, di gestione generale, etc.), ma le spese che ineriscono alla manutenzione straordinaria dello stabile, con i relativi beni accessori, e all’adeguamento degli impianti condominiali, alle nuove disposizioni legislative, sono sempre da ripartirsi tra i condòmini in forza della tabella millesimale di proprietà.

Tutte le spese che ineriscono al godimento delle parti e dei servizi comuni devono essere sempre corrisposte dai condòmini anche se un impianto, ad esempio quello centralizzato di riscaldamento, non funziona per omessa riparazione, salvo il diritto dei condòmini danneggiati a pretendere il risarcimento dei danni concretamente subiti [Cass., Sez. II, 4 luglio 2014, n. 15399].

ALIENAZIONE

La problematica sorge allorquando una unità immobiliare viene alienata.

La solidarietà passiva tra alienante ed acquirente di una unità immobiliare, ex art. 63 disp. att. cod. civ., comporta che l’acquirente deve pagare le spese non corrisposte dal suo dante causa esclusivamente per la gestione nel corso della quale avviene il trasferimento di proprietà e per la gestione immediatamente precedente, e ciò anche se nel riparto consuntivo si richiama un saldo relativo a più gestioni condominiali pregresse. 

La responsabilità solidale dell’acquirente per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal venditore è limitata, ut supra dedotto, alla gestione in corso e a quella immediatamente precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63, IV comma, disp. att. cod. civ., e non già l’art. 1104 cod.civ., atteso che, giusto il disposto di cui all’art. 1139 cod. civ., la disciplina dettata in tema di comunione si applica (anche) al condominio solamente in mancanza di norme che (come appunto il citato art. 63) specificamente lo regolano [Cass., Sez. II, 27 febbraio 2012, n. 2979; Cass., Sez. II, 18 agosto 2005, n. 16975]; in questa fattispecie l’acquirente è quindi solo garante delle obbligazioni sorte in capo all’alienante e non, in queste, subentrante.

Del resto il legislatore, con questa previsione legislativa, ha voluto consentire al condominio di avere sempre la disponibilità finanziaria necessaria a sopportare le spese indispensabili per la sua gestione, potendo trovarsi, viceversa, in difficoltà se dovesse aggredire il condomino alienante che potrebbe non possedere più alcun bene pignorabile.

Proprio in virtù di ciò l’art. 63, in esame, si applica anche nei confronti dell’aggiudicatario di un’unità immobiliare in conseguenza di una procedura esecutiva immobiliare; non si applica, quindi, l’art. 2919 cod. civ., considerato, da una parte, il testo letterale dell’articolo de quo, che si riferisce genericamente a colui che subentra nella proprietà e, dall’altra, il principio generale, desumibile dall’art. 1104 cod. civ., concernente l’insorgere dell’obligatio propter rem dall’essere divenuto comproprietario delle cose comuni.

EREDITÀ

Tale principio non si applica agli eredi del de cuius che subentrano, a titolo universale, in ogni diritto e in ogni onere del loro dante causa, per cui questi sono obbligati a corrispondere l’intero importo dovuto anche se antecedente l’anno precedente all’accettazione dell’eredità; per contro non vi è tenuto colui che subentri al de cuius a titolo particolare, quale è un legatario [Cass., Sez. II, 13 novembre 2009, n. 24133].

DELIBERAZIONI

Per le spese di gestione e di manutenzione ordinaria l’obbligo al pagamento sorge ex lege al loro compimento stante l’obbligo dell’amministratore di erogare le spese correnti ex art. 1130, n. 3, cod. civ. e, quindi, della gestione stessa dell’amministratore, indipendentemente che la spesa sia stata prevista nel rendiconto preventivo, la cui approvazione ha la sola finalità di convalidare la congruità delle spese che il condominio prevede di dover sostenere.

In sostanza la giurisprudenza sembra distinguere tra obbligazione, che nasce dalla comproprietà dei beni, e debito, determinato dal dovere di adempiere il quantum deliberato dall’assemblea.

Per contro, in caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione, indipendentemente alla circostanza che venditore e compratore si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, con una clausola ad hoc nel contratto di compravendita. Di conseguenza, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. cod. civ. e nell’arco temporale di questo stabilito [Cass., Sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24654].

E la giurisprudenza di merito si è adeguata al principio de quo [Trib. Salerno, Sez. II, 9 luglio 2014 e Trib. Roma, Sez. X, 12 gennaio 2016, in Leggi d’Italia].

LA NOMINA E LA REVOCA DELL’AMMINISTRATORE NEL PICCOLO CONDOMINIO

[A cura di: avv. Massimo Agerli]

Si segnala una controversa ordinanza (del 21.12.2016) depositata dal Tribunale di Torino in sede collegiale, all’esito di un contenzioso cautelare relativo ad un condominio di meno di otto condòmini. La questione era nata dalla richiesta, avanzata in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. da parte di un condomino avente la maggioranza millesimale, in un condominio composto di tre soli condòmini, di restituzione della documentazione condominiale da parte di un amministratore che si riteneva cessato dall’incarico, in quanto non confermato dall’assemblea dopo il decorso dei due anni di cui alla norma dell’art.1129 c.c.. Infatti, la situazione di stallo determinata dall’impossibilità di deliberare per mancanza delle maggioranze – millesimale da un lato e per teste dall’altro – rendeva impossibile trovare un accordo sulla nomina di un amministratore dopo una prima nomina avvenuta nel 2011 (da parte del Tribunale stesso, ai sensi dell’art. 1105 c.c.). 

Era stata posta la questione della inesistenza, per tali piccoli condomini, del regime della prorogatio in quanto si riteneva che, se il condominio non era obbligato alla nomina di nuovo amministratore, non si sarebbe potuto porre termine a detto protrarsi dei poteri se un nuovo amministratore, non voluto, non venisse mai nominato: se non è obbligatorio avere un amministratore non si vede perché un amministratore cessato dall’incarico dovrebbe per forza amministrare in prorogatio contro la volontà dei condòmini o quantomeno del condomino di maggioranza. 

IL GIUDICE MONOCRATICO

In un primo momento il Giudice Monocratico (ordinanza del 3.11.2016) aveva invece ritenuto sussistente il regime della prorogatio dell’amministratore cessato anche nel piccolo condominio per motivi di carattere pubblicistico, nel senso che vi fosse un interesse pubblicistico ad un rappresentante del condominio, mantenendo però il presupposto che l’amministratore fosse comunque cessato dall’incarico, in applicazione dell’art. 1129 c.c.. In conseguenza di tale impostazione il Giudice Monocratico aveva quindi respinto la richiesta di consegna della documentazione condominiale in quanto l’amministratore sarebbe stato tuttora in prorogatio.

IL RICORSO

A seguito di reclamo, il Tribunale in composizione collegiale ha però ribaltato la situazione. Il Collegio ha infatti sostenuto che la norma dell’art. 1129 c.c. in punto nomina e revoca dell’amministratore non si applicherebbe ai piccoli condomini; “L’art. 1129 c.c. disciplina la nomina, la revoca e gli obblighi dell’amministratore quando i condòmini sono più di otto. La ratio è proprio quella di semplificare la gestione condominiale nelle ipotesi di piccoli condomini. Ne consegue, pertanto, che la disciplina prevista per la nomina e revoca dell’amministratore quando i condòmini sono più di otto non possa trovare applicazione nell’ipotesi di piccolo condominio per il quale, ai sensi dell’art. 1139 c.c., si devono osservare le norme sulla comunione in generale”. 

Il Tribunale in composizione collegiale ha dunque ritenuto che, essendo stato l’amministratore nominato dal Tribunale, a seguito di ricorso di un condomino, non dovessero ad esso applicarsi le condizioni di cessazione stabilite dall’art. 1129 c.c. e che pertanto l’amministratore sia tuttora in carica, nel pieno delle sue funzioni, non essendo stato formalmente revocato (in realtà mai revocato perché ritenuto cessato dall’incarico e mai riconfermato).

UNA VALUTAZIONE

Contraddittorio è però l’assunto del Tribunale: infatti, a prescindere da come sia avvenuta la nomina (assembleare o giudiziale), esso è amministratore formalmente a tutti gli effetti e soggetto quindi a tutte le previsioni normative del codice condominiale. La questione si pone in termini nuovi rispetto a quanto si riteneva, ossia che essendo il piccolo condominio pur sempre un condominio, tutte le norme del capo II del titolo VII del codice civile si applicassero anche a tali situazioni; non solo, ma tale impostazione va ad interessare oggi un maggior numero di condomini, in considerazione della riforma dell’art. 1129 c.c. che porta al numero di otto condòmini l’esonero dall’obbligo della nomina di un amministratore.

Ulteriore perplessità nasce dal fatto che l’art. 1139 c.c. rinvia alle norme sulla comunione “per quanto non è espressamente previsto da questo capo. Deve ritenersi che il rinvio alle norme sulla comunione in generale sia da intendersi in senso restrittivo, mentre per quanto attiene alla nomina e revoca dell’amministratore la disciplina sia ampia e specifica e perciò prevalente rispetto alla previsione dell’art. 1139 c.c.; non solo, ma lo stesso art. 1129, c.6, c.c. precisa: “In mancanza dell’amministratore, sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibili anche ai terzi, è affissa l’indicazione delle generalità ….della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore, con ciò confermando l’applicazione delle norme in punto anche a colui che svolga di fatto dette funzioni.

Inoltre, la conclusione a cui è giunto il Tribunale in sede collegiale comporta, a cascata, inevitabili dubbi su quali norme siano applicabili all’amministratore nominato dal comunista: tutti gli obblighi stabiliti dalla stessa norma dell’art. 1129 c.c., le sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., 1130 bis c.c., 1131 c.c. le condizioni di nomina di cui all’art. 71 bis delle disposizioni transitorie; non è infatti chiaro perché solo per la nomina e la revoca dell’amministratore non si dovrebbe applicare la norma dell’art. 1129 c.c., restando invece attuale tutto il resto della normativa.

Infatti, da un lato non si spiega perché ad un amministratore nominato dal Tribunale debba essere applicata una disciplina diversa, rispetto a quello nominato dall’assemblea, entrambi soggetti alle norme del codice del condominio; dall’altro lato il Tribunale, eludendo il problema prospettato circa la inesistenza della prorogatio imperii dell’amministratore cessato nel condominio non obbligato alla nomina di nuovo amministratore, con le conclusioni assunte ha implicitamente escluso la natura di condominio laddove i condòmini siano solo otto o in numero inferiore.

È evidente che la conclusione del Tribunale lascia spazio ad un contenzioso inevitabile, dal momento che a sensi dell’art. 1105 c.c. il comunista che ha la maggioranza delle quote può decidere la nomina e la revoca dell’amministratore senza alcuna possibilità di tutela della minoranza, quindi superando la decisione collegiale.

COME VIENE TASSATA L’ABITAZIONE DATA IN COMODATO AD UN FAMILIARE?

Un interrogativo piuttosto comune quello che ha posto una contribuente alla rubrica di consulenza di FiscoOggi, organo d’informazione ufficiale dell’Agenzia delle Entrate. Tema: l’imposizione fiscale sugli alloggi in comodato. Ecco la domanda: “Sono proprietaria di due case nello stesso comune; una è la mia abitazione principale, nell’altra abita mia zia (contratto di comodato). Ai fini Irpef come è tassata la seconda abitazione?”

Come spiega Gennaro Napolitano, l’esperto che cura la rubrica, “Sono produttivi di reddito fondiario i fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto edilizio urbano (articolo 25 Tuir). Salvo i casi di esclusione previsti dalla legge, il reddito dei fabbricati deve essere esposto in dichiarazione dei redditi (quadro RB del modello Redditi PF e quadro B del 730) e deve essere calcolato per ciascun immobile, rapportandolo al periodo e alla percentuale di possesso. Gli immobili concessi in comodato non devono essere dichiarati dal comodatario, ma dal proprietario. I fabbricati diversi dall’abitazione principale pagano l’Imu, che sostituisce l’Irpef e le relative addizionali. Tuttavia, se gli immobili a uso abitativo non locati e assoggettati all’Imu sono situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale, il relativo reddito concorre alla formazione della base imponibile Irpef e delle relative addizionali nella misura del 50% (articolo 9, comma 9, Dlgs 23/2011; circolare 11/E del 21 maggio 2014, paragrafo 1.2). Si ricorda che il reddito fondiario dei fabbricati (non locati) diversi dall’abitazione principale è costituito dalla rendita catastale rivalutata del 5% e che, nel caso in cui il proprietario abbia già un’abitazione principale, la maggiorazione di 1/3 non si applica quando l’immobile è concesso in uso gratuito a un familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo), che vi dimora abitualmente e vi ha l’iscrizione anagrafica”.

VENDITA INFRAQUINQUENNALE DELLA PRIMA CASA: LA PERDITA DEI BENEFICI FISCALI

La decadenza dei benefici fiscali con i quali si era acquistato l’alloggio principale. È un tema costantemente all’ordine del giorno quello oggetto del quesito sottoposto da un contribuente alla rubrica di posta fiscale curata su FiscoOggi – la rivista ufficiale dell’Agenzia delle Entrate – dall’esperto Gennaro Napolitano. Di seguito la domanda e l’interpretazione.

IL QUESITO

Sto per vendere l’appartamento che ho comprato due anni fa usufruendo dei benefici prima casa e non ho intenzione di riacquistarne un altro. Oltre alla differenza d’imposta, dovrò pagare anche una sanzione?

LA RISPOSTA

La vendita dell’immobile acquistato usufruendo delle agevolazioni “prima casa” prima del decorso di cinque anni dalla data dell’acquisto comporta la decadenza dal regime di favore fruito. Alla decadenza, consegue l’obbligo per il contribuente di pagare le imposte nella misura ordinaria nonché una sanzione pari al 30%. La perdita del beneficio non opera qualora il contribuente, entro un anno dall’alienazione, proceda all’acquisto (anche a titolo gratuito) di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale (nota II-bis, articolo 1, Tariffa parte I, Dpr 131/1986). Tuttavia, laddove sia ancora pendente il termine di un anno previsto per il nuovo acquisto e il contribuente, anche per motivi personali, si trovi nella condizione di non voler ovvero di non poter procedere all’acquisto di un nuovo immobile, lo stesso può comunicare la propria intenzione all’amministrazione finanziaria. A tal fine, è necessario presentare un’apposita dichiarazione all’ufficio presso il quale è stato registrato l’atto di vendita dell’immobile acquistato con le agevolazioni. Con tale dichiarazione il contribuente manifesta espressamente la sua intenzione di non voler procedere all’acquisto di un nuovo immobile entro l’anno e richiede contestualmente la riliquidazione delle imposte dovute. Successivamente, l’ufficio procede alla notifica dell’avviso di liquidazione dell’imposta dovuta (data dalla differenza tra quanto già pagato in misura agevolata e l’ammontare delle imposte in misura ordinaria) e degli interessi (calcolati a decorrere dalla data di stipula dell’atto di compravendita dell’immobile oggetto di agevolazione), senza applicare la sanzione del 30% (risoluzione 112/E del 27 dicembre 2012). Al contrario, decorso il termine di un anno dall’alienazione senza che il contribuente abbia proceduto all’acquisto di un nuovo immobile ovvero abbia comunicato al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate l’intenzione di non voler più fruire del trattamento agevolativo, si verifica la decadenza dai benefici “prima casa”. In tale ipotesi, il contribuente potrà comunque accedere, ricorrendone i presupposti, all’istituto del ravvedimento operoso, presentando apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia presso il quale è stato registrato l’atto, con la quale dichiarare l’intervenuta decadenza dall’agevolazione e richiedere la riliquidazione dell’imposta e l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta (risoluzione 105/E del 31 ottobre 2011).

SUCCESSIONE E VOLTURE: LA NUOVA DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA ON LINE

[A cura di: Daniela Buonocore – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

L’Agenzia delle Entrate fornisce ulteriori chiarimenti sul nuovo metodo di presentazione delle dichiarazioni di successione e delle domande di volture catastali, e in un articolo pubblicato sull’organo di informazione ufficiale, FiscoOggi, a firma di Daniela Buonocore, dedica un focus al meccanismo delle integrazioni/modifiche e sostituzioni di dichiarazioni già inviate, per cui vale il principio “vecchio con vecchio” e “nuovo con nuovo”, sia con riguardo alla modulistica da utilizzare che alla metodologia da seguire.

DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DI UNA PRECEDENTEMENTE PRESENTATA

Se deve essere presentata una dichiarazione che modifica una precedentemente inviata con il nuovo modello, per la medesima successione, bisogna utilizzare sempre il nuovo modello e compilare la relativa casella “dichiarazione sostitutiva” presente sul frontespizio, riportando gli estremi di registrazione della prima dichiarazione di successione (anno, volume e numero). Qualunque modifica potrà essere operata con una sostituzione integrale della dichiarazione già inviata.

Diversamente, nel caso vi sia la necessità di presentare una dichiarazione integrativa, sostitutiva o modificativa di una dichiarazione presentata con il precedente modello 4 (cartaceo), occorrerà continuare a utilizzare tale modulistica, seguendo le relative modalità di presentazione. In questo caso, ad esempio, il modello 4 cartaceo dovrà essere presentato all’ufficio territoriale presso cui era stata presentata la dichiarazione che si intende modificare, integrare o sostituire.

La scelta del suddetto principio nasce dalle notevoli differenze espositive, nonché contenutistiche tra i due modelli dichiarativi; tali differenze, quindi, si riflettono anche sulla struttura delle relative banche dati che rimangono, pertanto, distinte. Si dovrà, quindi, presentare la “dichiarazione sostitutiva” anche per modificare o integrare la precedente dichiarazione nel caso in cui:

* occorre inserire nell’asse ereditario altri beni che non sono stati indicati nella dichiarazione principale;

* sopravviene un evento che dà luogo a mutamento della devoluzione dell’eredità o del legato ovvero ad applicazione delle imposte in misura superiore (tranne i casi in cui, successivamente alla presentazione della dichiarazione di successione, sopravviene l’erogazione di rimborsi fiscali, nonché nei casi previsti in materia di alienazione di beni culturali – articolo 13, comma 4, del Tus);

* si presenta la necessità di modificare i dati identificativi degli eredi, degli immobili, il loro valore e/o la misura delle quote.

Nel presentare la dichiarazione sostitutiva, occorre compilare anche i quadri non soggetti a modifica, in quanto la precedente dichiarazione viene integralmente sostituita. La dichiarazione sostitutiva può essere inviata telematicamente solo dal dichiarante che ha presentato la precedente dichiarazione che si intende sostituire. La modifica della dichiarazione precedentemente inviata è possibile oltre il termine di presentazione della dichiarazione, se l’ufficio non ha ancora notificato l’avviso di liquidazione e/o rettifica della maggiore imposta e, comunque, non oltre il termine previsto per la notificazione dell’avviso.

Sono state previste tre tipologie di dichiarazioni sostitutive:

* dichiarazione che, per effetto delle modifiche alla precedente, comporta una nuova trascrizione e voltura (ad esempio, variazione dei dati di uno o più beneficiari, dei dati catastali, del valore dell’immobile). Per tale dichiarazione occorre indicare il codice “1” nel relativo campo del frontespizio;

* dichiarazione che, per effetto delle modifiche alla precedente, non comporta una nuova trascrizione e voltura (ad esempio, se si devono apportare modifiche o integrazioni che non riguardano beni immobili, come nel caso dell’indicazione di conti correnti). Per tale dichiarazione occorre indicare il codice “2” nel relativo campo del frontespizio;

* dichiarazione con cui si vuole esclusivamente integrare o modificare gli allegati presentati con la precedente dichiarazione. In questo caso, bisogna presentare solo il frontespizio e il quadro tramite il quale allegare la documentazione integrativa o modificativa della precedente (quadro EG). Per tale dichiarazione occorre indicare il codice “3” nel relativo campo del frontespizio.

Quest’ultima tipologia rappresenta un importante elemento di novità nonché di semplificazione degli adempimenti tributari per il cittadino, unitamente alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 175/2014, che permette l’allegazione alla dichiarazione di successione di copie non autentiche in luogo di quelle autentiche, limitatamente ai documenti previsti alle lettere c), d), g), h) e i), comma 1 dell’articolo 30 del Tus. Si ricorda, infatti, che la citata norma ha espressamente previsto, per le suddette casistiche, la possibilità di allegare alla dichiarazione di successione le copie non autentiche, purché accompagnate dalle relative dichiarazioni sostitutive di atto notorio attestanti che le stesse costituiscono copie degli originali, facendo comunque salva la facoltà dell’Agenzia delle Entrate di richiedere l’originale o la copia autentica, qualora lo ritenga necessario.

La dichiarazione sostitutiva contenente solo allegati, infatti, dà la possibilità al dichiarante di regolarizzare la dichiarazione precedentemente inviata, ripresentando autonomamente, senza doversi necessariamente recare all’ufficio territoriale competente, eventuali allegati che risultano non corretti o incompleti (allegato illeggibile, non coerente, eccetera); tale dichiarazione sostitutiva non dà luogo a nuova trascrizione e voltura. In questo modo, il cittadino verrà aiutato a regolarizzare la documentazione allegata alla dichiarazione con la compilazione del solo frontespizio, l’indicazione dei riferimenti della dichiarazione di successione oggetto di integrazione (anno, volume e numero) e l’allegazione dei file dei documenti da integrare, in luogo di una dichiarazione sostitutiva che necessita di tutti i quadri precedentemente compilati anche se non oggetto di modifica.

DICHIARAZIONI SUCCESSIVE ALLA PRIMA 

Se, successivamente all’invio della dichiarazione, un soggetto diverso dal dichiarante (ad esempio, uno degli altri coeredi/chiamati all’eredità) voglia, per la stessa successione, procedere in via autonoma all’invio di una propria dichiarazione, dovrà necessariamente recarsi all’ufficio territoriale competente, che ne curerà l’invio telematico. La dichiarazione di successione presentata e trasmessa dall’ufficio competente viene classificata come una “seconda prima dichiarazione” mantenendo, quindi, una valenza dichiarativa autonoma e distinta rispetto a quella già presentata da un altro coerede; pertanto, dovranno essere regolarmente pagate le imposte, tasse e tributi previsti come se fosse una “prima” dichiarazione.

Eccezione a tale regola è ammessa nel caso di una successione testamentaria in cui sono presenti dei legati. Infatti, al legatario viene data la facoltà di presentare “da casa” la dichiarazione di successione, senza quindi recarsi all’ufficio territoriale competente, indipendentemente dalle modalità con cui gli altri beneficiari dell’eredità decidano di adempiere all’obbligazione tributaria posta a loro carico.

La scelta di differenziare le modalità di presentazione della dichiarazione di successione, in funzione del soggetto dichiarante (dichiarante che ha inviato per primo la dichiarazione di successione oppure no), nasce dall’esigenza di gestire in maniera chiara e tracciabile alcune frequenti situazioni di contrasto (anche giudiziale) tra i diversi beneficiari dell’eredità e di garantire una maggiore “pulizia” delle informazioni contenute nella relativa banca dati, che verrà alimentata esclusivamente dalle dichiarazioni di successione presentate utilizzando il nuovo modello. Non bisogna dimenticare, infatti, che la dichiarazione di successione ha una valenza esclusivamente fiscale e non civilistica, pertanto eventuali “dispute ereditarie” non possono dare vita a controproducenti sovrapposizioni dichiarative che sino a oggi si sono susseguite in modo spesso “frenetico”.

ASSEMBLEA CONDOMINIALE E DELEGA VERBALE: IL “FALSUS PROCURATOR”

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]

A ciascun partecipante all’assemblea di un condominio deve riconoscersi il diritto di manifestare la propria volontà non soltanto mediante l’espressione conclusiva del voto, con assenso, dissenso o astensione sulla proposta contenuta nell’ordine del giorno, ma anche mediante l’intervento nella discussione, al fine di portare a conoscenza degli altri presenti le ragioni del proprio voto.

La lesione di tale diritto spiega effetti invalidanti non sulla costituzione dell’assemblea – non essendo equiparabile al mancato invito di quel partecipante all’assemblea medesima – ma sulla deliberazione adottata, la quale resta impugnabile a norma dell’articolo 1137 c.c. (Cass. 2893/1984 e 1510/1999).

LA SENTENZA

L’occasione di approfondire un argomento tanto scottante quanto semisconosciuto quale quello relativo ai rapporti tra il condomino ed il suo rappresentante in assemblea è stata la sentenza n. 11287 del 14 ottobre 2016 emessa dalla Sez. 6 del Tribunale di Milano. Il fatto che, ancora oggi a distanza di ormai tre anni e più dall’entrata in vigore della riforma, molte delibere sono approvate da condòmini privi di delega scritta impone una riflessione sugli effetti del difetto di rappresentanza nei confronti del rappresentato nonché nei confronti del terzo condominio.

Sia pure per una fattispecie diversa e relativa ad un contratto di fido bancario stipulato dall’amministratore con la Banca (omissis) per il quale era sprovvisto del relativo mandato e che non era mai stato ratificato dall’assemblea, il Tribunale di Milano ha prima enucleato le disposizioni codicistiche alle quali occorre far riferimento per la giusta osservazione dell’Istituto:

Preliminarmente, va chiarito che la norma di cui all’art. 1711 c.c. rappresenta una specifica espressione della regola generale dettata dall’art. 1388 c.c., che consente la produzione degli effetti di un contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato direttamente in capo a questi, a condizione che non siano violati i limiti delle facoltà conferite, pena l’invalidità del contratto, in difetto di successiva ratifica da parte del mandante. La tutela del terzo contraente che abbia fatto incolpevole affidamento sulla sussistenza dei poteri di rappresentanza del falsus procurator è fornita dall’art. 1398 c.c., che obbliga quest’ultimo a tenere il primo indenne dai danni sofferti, nonché dall’art. 1711 c.c. stesso, che pone l’atto compiuto in difetto di rappresentanza a carico del mandatario infedele”. 

E poi ha stabilito che: “la effettiva sussistenza del potere di rappresentanza in capo a colui che ha speso il nome altrui integra un elemento costitutivo della pretesa fatta valere dalla Banca, di modo che il contratto concluso dal falsus procurator è di per sé inefficace nei confronti de condominio, salvo l’esercizio da parte dello pseudo rappresentato del diritto potestativo di imputarsi il contratto tramite la ratifica. In altre parole, il difetto di rappresentanza non è un fatto impeditivo dell’efficacia del contratto, ma al contrario è la sussistenza di un valido potere di rappresentanza a costituire un requisito necessario affinché il contratto concluso dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato produca direttamente effetto nei confronti di quest’ultimo (cfr. Cass. SS.UU. n. 1137/2015). Ne consegue che, una volta accertata la violazione dei limiti del mandato e il difetto di una ratifica successiva, l’atto compiuto resta a carico del falsus procurator a prescindere dalla diversa apparenza su cui il terzo contraente aveva fatto affidamento, per quanto esente da alcun rimprovero di negligenza o imprudenza.

LA DELEGA

Ciò premesso, occorre ricordare che in condominio l’articolo 67 disp. att. c.c., come sostituito dalla L. 220/2012, dispone che «Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta». Si regola così l’istituto giuridico della «rappresentanza» con il quale un soggetto conferisce incarico, tramite un atto, ad un altro soggetto di rappresentarlo. L’atto con cui una persona attribuisce ad un terzo il potere di rappresentarlo in ambito condominiale viene chiamato «delega».

Prima della riforma, in mancanza di espressa previsione legislativa, si applicava il principio della libertà delle forme, per cui la delega poteva essere rilasciata sia in forma orale che in forma scritta. La riforma, invece, ha ora previsto obbligatoriamente che la delega sia rilasciata nella forma scritta. Per cui la delega orale è inutiliter data.

In realtà, ancora oggi, quasi sempre nelle assemblee di condominio capita di assistere a situazioni non in regola con la norma invocata, laddove: la delega è conferita solo verbalmente ovvero non è conferita affatto, ma il delegato partecipa ugualmente ed esprime il voto in nome del condomino rappresentato. Così come può pure accadere che il delegato non rispetti le istruzioni ricevute ed esprima un voto che è in contrasto con la volontà del condomino rappresentato.

CONSEGUENZE

In questi casi anche alla luce dell’insegnamento della suddetta sentenza del Tribunale di Milano, quali sono le conseguenze di tali comportamenti? Dobbiamo ritenere che il condomino che è stato rappresentato in assemblea da un cosiddetto “falsus procurator” può scegliere o di impugnare la delibera o di ratificare (manifestazione di volontà del rappresentato diretta ad approvare l’operato del rappresentante che può essere tacita o espressa) il comportamento del falsus procurator.

La Cassazione nell’esaminare un caso simile (Cass. 4531/2003) ha stabilito che «in materia di delibere condominiali i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato, con la conseguenza che l’operato del delegato nel corso dell’assemblea non è nullo e neppure annullabile, ma inefficace nei confronti del delegante fino alla ratifica di questi».

Il condomino falsamente rappresentato può anche decidere di non ratificare l’operato del falsus procurator ed agire in via giudiziaria per far valere l’inefficacia della delibera. In questo caso il condomino può anche pretendere che il voto del delegato non venga preso in considerazione ai fini del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi.

È pur vero che l’amministratore di condominio, al fine di risolvere il problema, potrà convocare una nuova assemblea ed adottare nuovamente la delibera, ma è altrettanto vero che il regime delle spese del giudizio sarà deciso secondo il principio della cd. “soccombenza virtuale”. Da ciò un sicuro danno almeno per le spese. Ebbene, in tale evenienza, lo stesso condominio potrà chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni subiti direttamente al falsus procurator non solo quelli per le spese giudiziali ma anche ogni altro danno che possa essersi verificato per l’illegittimo comportamento del delegato.

SUL SITO DELLE ENTRATE LA BOZZA DEL 730/2017: LE NOVITÀ SULLA CASA

[A cura di: Lilia Chini – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

Semplice, non richiede calcoli da parte del contribuente, consente il rimborso d’imposta direttamente nella busta paga di luglio o nel rateo di pensione di agosto/settembre, può essere utilizzato anche nella forma precompilata predisposta dall’Agenzia. La bozza del modello 730/2017, con le relative istruzioni, è già consultabile sul sito delle Entrate. Numerose le novità normative, soprattutto riguardanti agevolazioni, che hanno trovato spazio e concreta attuazione nel modello. In primis va comunque segnalato il termine di presentazione della precompilata, che resta fissato al 7 luglio se ci si rivolge al proprio sostituto d’imposta oppure a un Caf o a un professionista, ma che è posticipato al 23 luglio, in caso di presentazione diretta all’Agenzia delle Entrate. Di seguito le principali annotazioni relative in senso lato al settore della casa.

Terreni di coltivatori diretti. In sede di determinazione dei redditi dominicale e agrario dei terreni, per quelli posseduti e condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, non va effettuata l’ulteriore rivalutazione che, nel 2015, si applicava nella misura del 10 per cento.

Bonus anche dalla videosorveglianza. L’agevolazione, prevista dalla Stabilità 2016 consiste in un credito d’imposta riconosciuto alle persone fisiche che, per prevenire attività criminali, installano sistemi di videosorveglianza o di allarme oppure stipulano contratti con istituti di vigilanza in relazione a immobili residenziali. Per gli edifici a uso promiscuo, cioè sia personale che per l’attività lavorativa, il bonus è ridotto al 50 per cento.

Arredo delle abitazioni delle giovani coppie. Si tratta dell’incentivo, introdotto anch’esso dalla Stabilità 2016, a favore delle giovani coppie per l’acquisto di mobili destinati all’arredo della loro abitazione principale: la detrazione è pari al 50% delle spese sostenute nel 2016, fino a un tetto di 16mila euro, e deve essere fruita in dieci quote annuali di pari importo. L’agevolazione riguarda giovani coppie, sposate o conviventi di fatto da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non ha più di 35 anni e che nel 2015 o nel 2016 hanno acquistato un immobile da adibire a propria abitazione principale.

Prorogate le agevolazioni per i lavori in casa. Prorogata per il 2016 la misura maggiorata del “bonus ristrutturazioni”: lo sconto è pari al 50% (anziché l’ordinario 36%) delle spese sostenute, fino all’importo massimo di 96mila euro, anziché i 48mila euro fissati dalla norma a regime. Confermato anche il “bonus mobili”, che vale il 50% delle spese sostenute, fino a un tetto di 10mila euro, per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di interventi di recupero edilizio agevolati al 50%. Anche la detrazione per i lavori di riqualificazione energetica è confermata nella misura maggiorata del 65 per cento.

Canoni di leasing per abitazione principale. Arriva sempre dalla Stabilità 2016 la detrazione Irpef del 19% dell’importo dei canoni di leasing pagati nel 2016 per l’acquisto di unità immobiliari da destinare ad abitazione principale entro un anno dalla consegna, spettante ai contribuenti che, alla data di stipula del contratto, avevano un reddito non superiore a 55mila euro. Il beneficio spetta fino a un importo massimo di 8mila euro (4mila, se si hanno 35 o più anni), relativamente ai canoni di leasing, e di 20mila euro (10mila, per i contribuenti dai 35 anni in su), in riferimento al prezzo di riscatto pagato nel 2016.

Iva per l’acquisto di abitazioni “energetiche”. Sconto fiscale per le persone fisiche che, nel 2016, hanno comprato dall’impresa costruttrice un’abitazione di classe energetica A o B. Per loro, la possibilità di detrarre dall’Irpef lorda, fino a concorrenza del suo ammontare, il 50% dell’Iva pagata in relazione all’acquisto. Il beneficio va suddiviso in dieci quote costanti.

Dispositivi multimediali per il controllo da remoto. È una new entry anche la detrazione del 65% delle spese sostenute per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo a distanza degli impianti di riscaldamento e/o produzione acqua calda e/o climatizzazione delle unità abitative.