[A cura di: dott.ssa Silvia Zanetta] Che cos’è il decoro architettonico? Non esiste una definizione legislativa: il Codice Civile, come vedremo nel dettaglio, tratta solo incidentalmente tale istituto. Una definizione di decoro architettonico è ricavabile dall’elaborazione giurisprudenziale, che sul punto è stata particolarmente prolifica.
Di particolare interesse è una risalente direttiva della Cassazione, secondo la quale il decoro “risulta dall’insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell’edificio stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria ed armonica, e dal punto di vista architettonico una certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile. Esso è opera particolare di colui che ha costruito l’edificio e di colui che ha redatto il progetto, ma una volta ultimata la costruzione costituisce un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini e che concorre a determinare il valore sia delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti comuni” (Cass. n. 1472/1965).
In senso conforme, successivamente la Suprema Corte ha qualificato il decoro architettonico come “l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio imprimendo allo stesso una sua armoniosa fisionomia” (cfr. Cass. n. 8731/1998; Cass. 16098/2013).
Il decoro architettonico è un valore intrinseco del fabbricato stesso. Non è necessario che sia di particolare pregio: tutti gli immobili sono dotati di dignità architettonica. Si noti che di decoro architettonico si parla sia per l’esterno che per l’interno del condominio. Difatti ogni elemento, come scale, pianerottoli ecc., che vanno ad incidere sulla linea armonica ornamentale, non può essere modificato senza il rispetto delle prescrizioni codicistiche.
Nella normativa codicistica relativa al condominio, il decoro architettonico è trattato incidentalmente negli articoli 1120, 1122 bis. 1127, comma 3.
In particolare, l’art. 1120 c.c., vieta “le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.
In tema di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, l’art. 1122 bis c.c. prescrive che le installazioni devono sempre “preservare il decoro architettonico dell’edificio”.
L’art. 1127 c.c., al terzo comma, in riferimento alla costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio, prescrive che i condòmini possono opporsi alla sopraelevazione, se pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.
Per sapere se sia possibile modificare legittimamente il decoro architettonico è necessario analizzare gli art. 1120 e ss. del Codice Civile che disciplinano il tema delle innovazioni in condominio.
In generale, per essere valide, le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni devono essere votate almeno dalla maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino i 2/3 del valore dell’edificio (cfr. art. 1120 c.c. comma).
È previsto un diverso quorum deliberativo (numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) per le innovazioni che hanno ad oggetto:
Si noti che, per ogni tipo di innovazioni, l’ultimo comma dell’art. 1120 c.c. vieta quelle che “possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.
Ne consegue che per la modifica del decoro dello stabile è necessario una delibera, o un accordo extra assembleare, unanime da parte di tutti i condòmini.
Sorgono tuttavia dei dubbi circa la validità delle delibere volte a modificare il decoro.
Di tale questione si è occupata la Cassazione che, nella sentenza n. 4806/2005, ha considerato due ipotesi:
Occorre ora interrogarsi se sia possibile porre dei limiti alle regole del decoro architettonico attraverso il regolamento condominiale. La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 12582/2015.
Il caso oggetto di decisione vedeva come protagonisti due condòmini che citavano in giudizio un terzo per avere iniziato dei lavori di ristrutturazione del condominio, con conseguente modificazione architettonica del palazzo. Questi lavori di ristrutturazione erano stati approvati dall’assemblea, ma il regolamento condominiale vietava espressamente qualsiasi modificazione architettonica dello stabile. Visto tale divieto del regolamento, gli attori chiedevano l’eliminazione dei lavori e in via subordinata, un risarcimento pecuniario per il danno subito.
Investita della questione, la Cassazione ha accolto il ricorso per i seguenti motivi.
In primis, ha evidenziato che il regolamento condominiale poiché accettato da tutti i condòmini è un vero e proprio contratto e che prevale sulla eventuale delibera assembleare contraria.
Inoltre, gli Ermellini hanno sottolineato che il regolamento condominiale può derogare alle norme di legge, potendo anche dare una definizione più rigorosa di decoro architettonico, “estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti al momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva”.
L’alterazione del decoro deve essere reale ed effettiva, comportando un pregiudizio economico che provochi un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese. È necessario quindi tener conto dello stato estetico dell’edificio nel momento in cui è stata apportata l’innovazione (Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 1286/2010).
A titolo esemplificativo, nel caso in cui il decoro dell’edificio risulti già compromesso e sorga controversia in ordine alla richiesta del singolo condomino di installare un condizionatore su una parte comune, il giudice adito non potrà non considerare la situazione estetica pregressa dell’edificio, anche alla luce degli interventi già effettuati da altri condòmini, sì da valutare se nel caso concreto l’installazione vada effettivamente ad alterare l’armonia dell’edificio.
In caso di violazione del decoro architettonico, sia il singolo condomino che l’amministratore possono agire impugnando la delibera assembleare nei tempi e nei modi previsti dall’art. 1137 c.c..
Successivamente, dopo aver instaurato il giudizio, sarà compito del giudice accertare in concreto l’avvenuta lesione del decoro architettonico. Tale valutazione, secondo un orientamento, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza n. 10006/2017).
La Cassazione, VI^-2 Sez. Civ., con ordinanza n. 22156 del 12 settembre 2018, si è pronunciata in materia di decoro architettonico e sopraelevazione evidenziando che deve considerarsi illecita ogni alterazione che provi in chi la guardi un senso di disarmonia rispetto alla “fisionomia dello stabile”. Di conseguenza, “l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista”.
Il caso su cui era stata investita la Corte, traeva origine dall’impugnazione della sentenza della Corte di Appello di Roma che confermava la demolizione di una veranda costruita nella terrazza di proprietà della ricorrente, in quanto considerata difforme all’armonia architettonica del condominio.
Parte ricorrente eccepiva che lo stato di degrado architettonico dell’immobile era preesistente rispetto alle sue modificazioni, le quali non arrecavano pregiudizio nemmeno per la staticità dello stabile.
Ai fini della decisione, la Cassazione analizzava gli articoli 1127 c.c. e 1120 c.c., recanti la disciplina delle “costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio” e delle “innovazioni”.
In particolare, secondo l’art. 1127 c.c., il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio, o il proprietario del lastrico solare può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo.
Limiti alla sopraelevazione sono:
Questi limiti possono essere superati solo con il consenso unanime dei condòmini.
La Suprema Corte ha evidenziato che la nozione di cui al terzo comma dell’art. 1127 c.c. di “aspetto architettonico” è diversa da quella di “decoro architettonico” a cui si riferisce “l’art. 1120, comma 4, 1122, comma 1 e 1122 bis c.c., dovendo rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicare l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore”.
L’indagine relativa alla difformità deve essere svolta esclusivamente dal giudice di merito, il quale deve attenersi solo alle “caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale, verificando l’esistenza di un danno economico valutabile”.
La Cassazione ha rigettato il ricorso evidenziando che “l’adozione nella parte sopraelevata di uno stile diverso da quello della preesistente dell’edificio, comporta inevitabilmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo’’.