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La parabola in condominio non sempre lede il decoro

  • Quotidiano Del Condominio
  • 4 luglio 2018

Nelle villette a schiera, l’articolo 1117 del Codice Civile in materia di parti comuni non trova piena applicazione, riguardando, invece, solo gli edifici divisi orizzontalmente per piani. Questa la decisione assunta dalla Corte di Appello di Milano in merito ad una diatriba relativa all’installazione di un’antenna parabolica su un muro perimetrale, e sulla conseguente compromissione del decoro architettonico lamentata dal condominio. Chiamata a pronunciarsi sul tema, la Cassazione non conferma né smentisce, riscontrando un vizio formale nell’appello presentato dal condominio. Di seguito un estratto della sentenza.

————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 7.10.2016,
n. 20248
—————-

Svolgimento del processo

1. Con atto 22.10.2004 il Condominio di via … convenne davanti al Giudice di Pace di Como G.M., proprietario di un’unità abitativa facente parte di quel complesso immobiliare, per sentirlo condannare a rimuovere una pensilina ed una antenna satellitare installate sulla facciata condominiale. A sostegno della pretesa l’attore dedusse che le opere, lesive del decoro architettonico, erano state realizzate in dispregio dell’art. 5 del regolamento condominiale e di quando deliberato dai condòmini.

Il G.M: eccepì l’incompetenza del giudice di Pace e contestò nel merito l’avversa pretesa.

2. Il Tribunale di Como (omissis) ritenne fondata la pretesa del Condominio, ma la Corte d’Appello di Milano fu di tutt’altro avviso e, accogliendo l’impugnazione del convenuto respinse la domanda osservando:

  • che nelle ipotesi, come quella in esame, di villette bifamiliari a schiera non trova applicazione la disciplina dell’art. 1117 c.c. riguardante, invece, solo gli edifici divisi orizzontalmente per piani;
  • che i muri perimetrali non sono assimilabili ai muri maestri, avendo solo funzione di delimitare le varie porzioni e di sorreggere la copertura, anch’essa di proprietà esclusiva o in comune tra le due unità affiancate; essi pertanto sono di proprietà esclusiva del G.M., non potendo rilevare l’art. 2 del regolamento contenente la previsione di condominialità dei muri maestri sulla scorta dell’art. 1117 c.c.;
  • che le previsioni contenute nell’atto di assegnazione circa gli obblighi da osservare nella tinteggiatura delle facciate o nelle altre attività ivi previste tendono, quali obligationes propter rem, a garantire la conservazione della uniformità dell’aspetto estetico del complesso immobiliare, analogamente a quanto fa l’art. 1122 c.c. contenente il divieto di opere pregiudizievoli per le parti comuni;
  • che in tale ottica va letto l’art. 5 del regolamento condominiale in tema di autorizzazione assembleare per le modificazioni ed innovazioni, sicché deve escludersi l’illiceità di ogni intervento, anche minimo eseguito dal singolo sulle pareti esterne della propria villetta per il solo fatto di non essere stato autorizzato dall’assemblea dei condòmini;
  • che nel caso in esame né la tettoia né l’antenna satellitare rappresentano un pregiudizio per il decoro architettonico del complesso edilizio.

3. Il Condominio ricorre per Cassazione denunziando due motivi a cui resiste il G.M. con controricorso.

Motivi della decsione

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. nonché contraddittorietà della motivazione. Il ricorrente contesta innanzitutto l’affermazione secondo cui le norme codicistiche sul condominio debbano trovare applicazione solo in caso di edifici suddivisi in piani. Evidenzia inoltre che i muri perimetrali hanno una funzione portante costituendo una struttura essenziale dello stabile e comunque, anche se non avessero una funzione portante, sono da qualificarsi parti comuni perché delineano la struttura architettonica dell’edificio, considerata anche la mancanza di diversa previsione nel titolo. Richiama la previsione dell’art. 2 del Regolamento di Condominio (che include tra le parti comuni anche i muri maestri) e dell’art. 5 (che assoggetta a sua volta ad autorizzazione dell’assemblea ogni modifica e innovazione delle facciate).

Evidenzia inoltre il ricorrente che per le opere in questione l’assemblea dei condòmini negò l’autorizzazione e aggiunge che neppure dal titolo risulta la attribuzione in proprietà esclusiva delle facciate.

2. Con il secondo motivo il Condominio denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1122 c.c. o insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale. Richiamando il contenuto dell’art. 5 del regolamento condominiale (che prevede il divieto di modificazioni e innovazioni non autorizzate dall’assemblea) il ricorrente reputa insufficiente la motivazione della Corte d’Appello, osservando che la ritenuta modestia delle dimensioni e sobrietà della forma della tettoia nulla dicono circa l’incidenza sul decoro architettonico dell’edificio, di cui ricordano la nozione come elaborata dalla giurisprudenza. (omissis)

3. Le due censure – che ben si prestano ad esame unitario – sono prive di fondamento.

Secondo un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.

Nel caso che ci occupa, la sentenza impugnata ha utilizzato almeno due autonome rationes decidendi:

  • una prima ratio si fonda sulla non applicabilità alla fattispecie delle norme di cui agli artt. 1117 c.c., ritenute invece applicabili solo agli edifici suddivisi orizzontalmente in piani;
  • altra ratio si fonda invece su una “lettura”, per così dire elastica, dell’articolo 5 del regolamento condominiale: la Corte ha interpretato tale norma alla luce dell’art. 1122 c.c. escludendo, di conseguenza che qualsiasi intervento, anche minimo, eseguito dal singolo sulle pareti esterne alla porzione di villetta di sua proprietà possa considerarsi illecito sol perché non autorizzato dall’assemblea. Ha quindi escluso sulla scorta della documentazione fotografica in atti, che i manufatti potessero avere pregiudicato il decoro architettonico del complesso immobiliare evidenziando, quanto alla tettoia, le dimensioni modeste, l’aspetto sobrio e la colorazione neutra che si inserisce armonicamente nel complesso senza alterarne in alcun modo le linee, e la fisionomia estetica; quanto all’antenna, ha evidenziato ugualmente le dimensioni contenute e la sua collocazione sulla facciata posteriore, peraltro non dissimile da quella scelta dagli occupanti di altre villette a schiera.

Queste ultime valutazioni costituiscono, come è evidente, tipici apprezzamenti in fatto assistiti da adeguata motivazione e come tali non sono sindacabili in questa sede. (omissis).

Quanto all’interpretazione data al contenuto dell’art. 5 del Regolamento, che costituisce il nucleo della seconda ratio, osserva il Collegio che essa avrebbe dovuto essere impugnata con uno specifico motivo di ricorso sotto il profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e ss. c.c.), oppure per illogicità della motivazione: infatti, l’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici.

Ed invece la parte ricorrente non ha denunziato né la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. né precisi vizi logici della sentenza (omissis).

Riepilogando allora il discorso, pur volendo ritenersi fondata la censura con cui si sostiene la applicabilità della nozione di condominio in senso proprio anche al caso, come quello in esame, di costruzioni orizzontalmente (c.d. ville a schiera: Sez. 2, Sentenza n. 18344 del 18/09/2015 soprattutto in motivazione; v. altresì Cass. n. 8066 del 18/04/2005), la mancanza di motivi sull’attività di interpretazione della norma regolamentare (art. 5) o di specifiche censure alla logicità del percorso argomentativo utilizzato per sorreggere la seconda ratio, non avrebbe potuto comunque comportare la cassazione della sentenza, essendo divenuta definitiva la relativa motivazione.

In conclusione, la critica del ricorrente al ragionamento della Corte territoriale si risolve invece in un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto e sollecita al giudice di legittimità una valutazione che esula dai precisi limiti del giudizio di cassazione.

Il ricorso va pertanto rigettato con addebito di spese alla parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 2.700 di cui euro200 per esborsi oltre accessori di legge.

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