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L’alloggio in condominio ha più proprietari? Serve il litisconsorzio

  • Quotidiano Del Condominio
  • 26 giugno 2018

Quando l’azione diretta alla riduzione in pristino ex art. 1122 c.c. riguardi un immobile comune a più persone (nella fattispecie marito e moglie) sussiste una causa inscindibile, comportante litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari. Così si è espressa la Cassazione su una vicenda relativa all’abbattimento di pensiline installate sul terrazzo di un’abitazione: manufatti che secondo il condominio avrebbero leso il decoro architettonico dello stabile. Di seguito un estratto dell’ordinanza 4193/2017.

——————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II, ord. 16.2.2017,
n. 4193
——————-

Fatti di causa e ragioni della decisione

I. M.Q. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1246/2012 del 22 novembre 2012, che aveva rigettato il gravame formulato dallo stesso M.Q. contro la sentenza resa in data 8 aprile 2005 dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Andria. Il Tribunale aveva respinto l’impugnativa della deliberazione dell’assemblea 31 gennaio 2000 del Condominio …, spiegata da M.Q. con citazione del 14 marzo 2000, ed aveva invece accolto la domanda riconvenzionale presentata dal convenuto Condominio, condannando l’attore a rimuovere le pensiline di copertura realizzate sul terrazzo del suo appartamento, giacché pregiudizievoli per il decoro del fabbricato e perciò lesive dell’art. 7 del regolamento condominiale e dell’art. 1120, comma 2, c.c..

L’intimato Condominio non ha svolto difese.

II. Il primo motivo del ricorso di M.Q. deduce, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 331 e 353 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., per violazione del contraddittorio e irregolare costituzione del rapporto processuale, in quanto l’appartamento sito al piano rialzato dell’edificio di via …, sul cui terrazzo sono state collocate le pensiline oggetto della statuizione di rimozione pronunciata dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, è di proprietà non soltanto di M.Q., ma anche della coniuge di questo, A.L., come risultante dall’autorizzazione comunale all’esecuzione dei lavori oggetto di causa, prodotta in atti, oltre che da altra documentazione indicata in ricorso.

Il secondo motivo deduce, stavolta ex art. 360, n. 3, c.p.c., nuovamente la violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 331 e 353 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., per violazione del contraddittorio e irregolare costituzione del rapporto processuale, identicamente argomentando rispetto al primo motivo.

Il terzo motivo denuncia omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riguardo alla violazione dell’art. 7 del Regolamento di condominio ed al concetto di decoro architettonico, nonché all’approvazione delle nuove tabelle millesimali comprensive dell’aumento di volumetria conseguente alle nuove opere.

III. Il primo motivo di ricorso è fondato, rimanendo in ciò assorbiti i restanti motivi.

L’azione a tutela del decoro architettonico dell’edificio in condominio, nella specie riconducibile, per quanto emerge dagli atti, all’art. 1122 c.c., trattandosi di opere realizzate da un condomino nella porzione di proprietà esclusiva (e non, quindi, all’art. 1120 c.c., che attiene alle innovazioni delle parti comuni) ha natura reale, costituendo estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, ed è perciò imprescrittibile, in applicazione del principio per cui “in facultativis non datur praescriptio” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7727 del 7/6/2000; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1455 del 16/3/1981).

Quando, tuttavia, l’azione diretta alla riduzione in pristino ex art. 1122 c.c. riguardi un immobile comune a più persone, sussiste una causa inscindibile per ragioni sostanziali, comportante litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari medesimi, incidendo la condanna all’abbattimento sull’esistenza dell’oggetto della comproprietà spettante a persone estranee al processo (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5333 del 26/4/2000).

La mancata citazione di uno dei litisconsorti necessari costituisce vizio rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, e perciò anche nel giudizio di legittimità, se risultante dagli atti e non preclusa dal giudicato sulla questione. Avendo, peraltro, il ricorrente eccepito la non integrità del contraddittorio per la prima volta in cassazione (mediante denuncia di vizio che, costituendo “error in procedendo”, il quale importa per legge la nullità della sentenza o del procedimento, si traduce in motivo di ricorso a norma del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., come fatto con la prima censura), lo stesso ha indicato in A.L. la comproprietaria che doveva partecipare al giudizio quale litisconsorte necessaria, ed ha altresì adempiuto all’onere di individuare gli atti del processo di merito dai quali può trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione.

IV. L’impugnata sentenza va, quindi, cassata in relazione alla censura accolta. La causa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 383, ultimo comma, e 354 c.p.c., data la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di A.L., deve essere rimessa al giudice di primo grado, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Trani in diversa composizione.

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