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È modificazione e non innovazione la ricostruzione parziale del tetto comune eseguita da alcuni condomini

  • Quotidiano Del Condominio
  • 25 marzo 2021

A cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Con la sentenza n. 2126 del 29 gennaio 2021, la Cassazione si è pronunciata in ambito condominiale, soffermandosi, in particolare, sulla differenza fra innovazione di cui all’art. 1120 c.c. e modificazione della cosa comune di cui all’art. 1102 c.c.

Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli condannava due condòmini proprietari delle aree sottotetto poste al terzo piano di un condominio, trasformate in mansarde con modifica dell’originaria sagoma del tetto condominiale, a ricostruire per intero le falde del medesimo tetto, anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati dai convenuti ed anche a sostituire le tegole utilizzate.

La condanna veniva confermata dalla Corte d’Appello, secondo cui:

  • a seguito dell’intervento ricostruttivo del tetto crollato, gli appellanti principali avevano lasciato scoperte alcune zone dello stesso per annetterne l’utilizzo a vantaggio dei loro sottotetti, modificando in tal modo la conformazione della copertura e provocando una innovazione del tetto;
  • gli appellanti principali avrebbero dovuto rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini;
  • seppur gli appellanti principali non fossero obbligati a rifare il tetto a loro cura e spese, avrebbero, tuttavia, dovuto munirsi dell’autorizzazione assembleare per trasformare lo stesso nei tre terrazzini, considerato che, in difetto di detta autorizzazione, non solo non potevano conseguire il rimborso delle spese sostenute, ma dovevano anche ricondurre la sagoma del tetto alla sua originaria conformazione;
  • l’apposizione di tegole marsigliesi era antiestetica. Pertanto, la Corte territoriale ordinava la sostituzione con tegole del tipo piani e contropiani.

A questo punto, i due condòmini ricorrevano in Cassazione, davanti alla quale, tra i vari motivi sollevati, lamentavano:

  • la violazione dell’art. 1102 c.c. Secondo i ricorrenti, prima ancora dell’esecuzione delle opere in questione, il tetto dello stabile era andato totalmente distrutto, il che indurrebbe a negare l’operatività riguardo ad esso dell’art. 1102 c.c. Poiché gli stessi avevano proceduto a loro cura e spese alla parziale ricostruzione del tetto precedentemente crollato, non potevano intendersi obbligati a ricostruirlo interamente;
  • la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1102 c.c., asserendo che il Condominio aveva chiesto la condanna dei convenuti al ripristino del preesistente stato dei luoghi, mentre i giudici di merito, al pari del giudice di prime cure, avevano pronunciato una condanna al rifacimento del tetto anche in corrispondenza dei tre terrazzini ed alla ricostruzione per intero delle falde del tetto;
  • il contrasto tra dispositivo e motivazione, in quanto portava alla nullità della sentenza impugnata. I due ricorrenti sostenevano ancora una volta che la motivazione della decisione non poteva giustificare la condanna dei ricorrenti principali a completare le opere di ricostruzione.

Il Tribunale Supremo riteneva i tre motivi fondati e li esaminava congiuntamente, in quanto connessi.

Secondo gli Ermellini, “la mancanza della delibera assembleare di ricostruzione delle parti comuni prevista dal secondo comma dell’art 1128 c.c. (o, addirittura, l’esistenza di una eventuale delibera contraria) non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l’esistenza ed il godimento di esse, non potendosi negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo (quale comproprietario dello stesso ex art 1117 c.c., ovvero, in caso di diversa previsione del titolo, quale titolare di un diritto di superficie) il potere di riedificarla ai sensi dell’art 1102 c.c., salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c.”.

Inoltre, i giudici di legittimità sottolineavano che l’intervento di parziale ricostruzione del tetto comune eseguito dai due ricorrenti era riconducibile alla nozione di modificazione ex art. 1102 c.c. e non a quella di innovazione ex art. 1120 c.c.

In realtà, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., non solo sotto il profilo oggettivo, ma pure sotto quello soggettivo: dal punto di vista oggettivo, le innovazioni consistono in opere di trasformazione, che vanno a incidere sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le modificazioni “si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa”; per quanto riguarda invece il profilo soggettivo, nelle innovazioni è rilevante l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione assembleare, “elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte”.

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