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Il “travaso di fondi” tra diversi condomini è appropriazione indebita

  • Quotidiano Del Condominio
  • 13 settembre 2019

Nel confermare la condanna a carico di un amministratore che aveva distratto fondi per più di 120mila euro, la Cassazione, con la sentenza 37300/209, rimarca come sia ravvisabile un’oggettiva interversione del possesso ogni qualvolta l’amministratore di condominio, anziché dare corso ai suoi obblighi, dia alle somme a lui rimesse dai condòmini una destinazione del tutto incompatibile con il mandato ricevuto e coerente invece con sue finalità personali”.

——————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 37300/2019
———————

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 06/03/2019, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Torino in data 05/05/2014, esclusa la continuazione interna ai reati, rideterminava la pena inflitta a R.M. per più episodi di appropriazione indebita aggravata, nella misura complessiva di anni uno, mesi undici di reclusione ed euro 1.500 di multa, con condanna alle spese a favore delle parti civili costituite e conferma nel resto della sentenza di prime cure.

2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di R.M., viene proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., per lamentare:

  • vizio di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità (primo motivo). Il ricorrente, dopo aver evidenziato che, sebbene le attività di appropriazione e di distrazione implichino entrambe la sottrazione del bene alle sue finalità istituzionali, le condotte in parola si diversificano nella fase successiva della nuova destinazione, che nell’appropriazione è soggettivamente ed oggettivamente orientata ad impadronirsi della cosa, cioè ad instaurare un completo dominio su di essa immettendola nel patrimonio dell’agente, mentre nella distrazione è rivolta semplicemente ad un uso arbitrario del bene con impiego per fini diversi da quello cui era destinato, non emergendo da parte dell’agente la volontà di affermare un dominio sulla cosa posseduta. Ne consegue che, nel momento in cui l’imputato in qualità di amministratore di condominio ha meramente distratto fondi di condominii per far fronte a spese di altri condominii sempre dal medesimo amministrati senza che siano stati dimostrati né un vantaggio personale né fraudolente intese con i terzi destinatari dei singoli atti di disposizione, non ha integrato alcuna condotta riconducibile al modello di appropriazione indebita delineato dall’art. 646 cod. pen.; per quanto concerne, invece, gli ammanchi di denaro conseguenti ad operazioni svolte per fini personali dell’imputato, si deve rilevare come queste rappresentino una parte quantitativamente molto ridotta e trascurabile delle differenze contabili rinvenute. Dette condotte, peraltro, risultano scriminate dal legittimo esercizio, quanto meno nella forma putativa, del diritto di ritenzione conseguente alle pretese creditorie che l’imputato riteneva di vantare nei confronti dei condominii dal medesimo gestiti per attività ulteriori rispetto a quelle già retribuite e che esulavano dall’ordinaria amministrazione, ancorché non deliberate dall’assemblea condominiale. Parimenti va escluso il dolo se, come nella fattispecie, l’agente abbia agito nella convinzione di esercitare un proprio diritto a fronte dell’inadempimento di controparte e non con l’intento di appropriarsi del denaro altrui, dovendosi peraltro considerare che l’imputato non ha tratto alcun beneficio economico dalle condotte contestate;

(omissis)

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per aspecificità e manifesta infondatezza.

(omissis)

3. Manifestamente infondato, oltre che aspecifico, è il primo motivo di ricorso.

Assume sostanzialmente il ricorrente come fosse emersa solo una tenuta negligente e confusa della contabilità e che le scarse disponibilità dei conti correnti dei diversi condominii fossero state utilizzate promiscuamente in funzione delle contingenti necessità. Inoltre, se vi erano stati alcuni ammanchi di denaro, di importo marginale, gli stessi dovevano considerarsi scriminati dal legittimo esercizio di un diritto, almeno sotto il profilo putativo, consistente nelle pretese creditorie che lo stesso vantava nei confronti dei condominii: da qui l’insussistenza del dolo.

3.1. Il più recente orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, ritiene che il delitto di appropriazione indebita sia reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, quando l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (omissis).

3.2. In realtà, insegna la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Suprema Corte secondo cui l’amministratore instaura con i condòmini un rapporto di mandato (Sez. 2, n. 10815 del 16/08/2000; nello stesso senso, Sez. 2, n. 16698 del 22/07/2014). Nell’ambito di questo contratto di mandato, volto al compimento di più atti giuridici nell’interesse dei condòmini, l’amministratore può ricevere dai condòmini somme di denaro al fine di provvedere all’esecuzione di specifici pagamenti o da riversare nella cassa condominiale onde far fronte alle spese di gestione del condominio secondo i bilanci approvati dall’assemblea. Nel primo caso, l’amministratore deve provvedere a compiere il pagamento a cui è obbligato secondo le modalità e i termini convenuti, mentre nel secondo, egli è tenuto a una generale destinazione dei fondi confluiti sul conto comune alle spese condominiali secondo le modalità stabilite dall’assemblea con obbligo di rendiconto e di restituzione alla scadenza di quanto ricevuto nell’esercizio del mandato, ai sensi dell’art. 1713 cod. civ..

3.3. I generali principi in tema di consumazione del reato in contestazione – in base ai quali ove l’agente abbia la disponibilità di denaro altrui in virtù dello svolgimento di un incarico gestorio il reato di appropriazione indebita è integrato dall’interversione del possesso, che si manifesta quando l’autore si comporti uti dominus compiendo un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria – si declinano tenendo conto delle precipue caratteristiche del rapporto intercorrente fra l’amministratore e il condominio (Sez. 2, n. 31322 del 31/05/2017).

Sarà, infatti, ravvisabile un’oggettiva interversione del possesso ogni qualvolta l’amministratore di condominio, anziché dare corso ai suoi obblighi, dia alle somme a lui rimesse dai condòmini una destinazione del tutto incompatibile con il mandato ricevuto e coerente invece con sue finalità personali (“Commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante”: così Sez. 2, n. 23347 del 03/05/2016; nello stesso senso, Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015).

Da qui la manifesta infondatezza sia della tesi secondo cui il condominio sarebbe soggetto terzo rispetto al suo amministratore il quale, pur compiendo atti in nome e per conto dello stesso, finirebbe per “imputarli” ad un soggetto a sé estraneo privo di responsabilità, con sostanziale creazione di un ambito di non punibilità non conosciuto che, soprattutto, della tesi sulla pretesa liceità del “travaso di fondi” da un condominio ad un altro che, anche in diritto, si appalesa radicalmente infondata in quanto il dolo di appropriazione è integrato anche dal fine di procurare ad altri un ingiusto profitto.

3.4. Invero, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi precedentemente esposti, avendo correttamente riconosciuto come l’amministratore R.M., sulla base delle oggettive risultanze probatorie, si fosse appropriato ai danni di otto condominii torinesi (omissis) della complessiva somma di euro 120.279,97, come da indagine tecnica che ha considerato i versamenti effettivi e non quelli dovuti in base ai bilanci, riscontrando come le spese documentate fossero inferiori alle uscite e che l’avanzo di cassa fosse scomparso: il che esclude che si potesse adeguatamente parlare di momentanee “compensazioni” tra separate gestioni. A tutto questo vanno aggiunti, come rilevato dai giudici di secondo grado, “i frequenti prelievi in contanti, la carenza della documentazione, l’assenza di giornale di cassa e degli ultimi bilanci consuntivi nonché l’utilizzo di un proprio (ndr., del R.M.) conto postale intestato nominativamente a sé stesso come destinazione dei versamenti di alcuni condominii (che) evidenziano chiaramente il tentativo di creare un’interessata situazione di confusione, volta a nascondere il più a lungo possibile le condotte di appropriazione dei fondi a sua disposizione. Le dedotta “mancanza di diligenza” deve essere dunque letta, in realtà, come elemento significativo di attenta pianificazione delle condotte e di più elevata capacità a delinquere …”.

3.5. I giudici di appello hanno perciò evinto la prova della ricorrenza degli elementi costitutivi del reato dalla constatazione dal mancato pagamento di numerose spese e dal conseguente indebito impossessamento della somma a ciò destinata da parte di chi era incaricato di provvedere al pagamento, implicitamente ritenendo che una simile condotta rendesse più che evidente la volontà dell’imputato di appropriarsi del denaro dalla medesima detenuto nella consapevolezza di agire senza diritto e con lo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità: siffatta valutazione, scevra da manifesti vizi logici, non si presta a censure di sorta sotto un profilo giuridico né può essere rivisitata nel merito in questa sede.

(omissis)

7. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro duemila

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

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