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Revoca giudiziale dell’amministratore se il rendiconto è approvato in ritardo

  • Quotidiano Del Condominio
  • 22 gennaio 2018

È irrilevante il fatto che, prima del deposito del provvedimento di revoca da parte del tribunale, l’amministratore abbia “sanato” le proprie irregolarità, presentando e facendo approvare dall’assemblea i rendiconti degli anni precedenti. Importante decisione quella presa dalla Cassazione lo scorso 30 novembre 2017. Ne riportiamo un estratto.

————

CORTE DI CASSAZIONE

Sez. II civ., ord. 30.11.2017,

n. 28764

————-

I fatti di causa

G.M., con ricorso notificato in data 14-17/6/2014 e depositato in data 2/7/2014, ha impugnato, ai sensi dell’art. 111, comma 7°, Cost., il decreto con il quale, in data 5/6/2014, la corte d’appello di Napoli ha rigettato (compensando “le spese del grado” “in considerazione della novità dei principi di diritto applicati”) il reclamo dalla stessa proposto nei confronti del provvedimento del tribunale di Napoli che, il 13/3/2014, su ricorso di P.V., l’ha revocata, a norma dell’art. 1129 c.c., dalla carica di amministratore del Condominio di …, articolando due motivi.

P.V., con controricorso notificato in data 3/7/2014 e depositato il 11/7/2014, ha, tra l’altro, eccepito l’inammissibilità del ricorso.

Il controricorrente ha depositato memoria.

La corte di appello di Napoli ha ritenuto, per un verso, che le delibere adottate dall’assemblea condominiale in pendenza del procedimento (vale a dire l’approvazione dei rendiconti 2010, 2011, 2012 e 2013 e la sua conferma nella carica di amministratore del condominio) non abbiano eliso l’interesse del P.V. alla richiesta pronuncia di revoca (“la circostanza che … l’amministratore abbia presentato i rendiconti 2010, 2011 2012 e 2013 e che l’assemblea li abbia approvati non vale … a sanare l’inadempimento: i rendiconti relativi agli anni 2010, 2011 e 2012 sono stati presentati con notevole ritardo … sicché non può dubitarsi che l’amministratore ha violato uno dei suoi obblighi primari, che è quello di rendere il conto della sua gestione ‘alla fine di ciascun anno’ (secondo l’originaria formulazione dell’art. 1130 ult. co. c.c) ovvero, secondo il nuovo dettato dell’art. 1130 ult. co. c.c., di redigere il rendiconto condominiale ‘annuale’ della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni”; né – ha aggiunto la corte – può rilevare la conferma dell’avv. G.M. nella carica di amministratore del condominio, decisa dall’assemblea con delibera del 10/3/2014, posto che, a norma dell’art. 1129, comma 13°, c.c., nel testo successivo alla riforma di cui alla I. n. 220 del 2012, “in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato”, “sicché, diversamente da quanto previsto dalla precedente disciplina, l’assemblea non è libera di nominare nuovamente l’amministratore resosi inadempiente e revocato con provvedimento dell’autorità giudiziaria”: il reclamato, quindi, ha concluso la corte, “ha uno specifico interesse ad ottenere il provvedimento giudiziale di revoca perché potrebbe far valere l’illegittimità della nomina dell’avv. G.M., impugnando la relativa delibera”) e, per altro verso, che le giustificazioni addotte dalla reclamante (e cioè che il P.V., con la sua attività ostruzionistica e defatigante, avrebbe contribuito a ritardare la presentazione dei rendiconti) sono risultate generiche e, soprattutto, non hanno consentito “di evincere il nesso causale tra la condotta del., reclamato ed il ritardo nella presentazione dei rendiconti”.

Le ragioni della decisione

  1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando, ai sensi dell’art. 360 n. 2 c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 739 ss. c.p.c., e cioè delle norme di diritto che regolano il procedimento di volontaria giurisdizione, ha censurato il decreto impugnato per aver immotivatamente ritenuto irrilevante l’intervenuta presentazione dei rendiconti relativi agli anni 2010, 2011 e 2012, la loro approvazione da parte dell’assemblea e la conferma dell’avv. G.M. nella carica di amministratore del condominio, laddove, al contrario, si tratta di fatti sopravvenuti che, prima del deposito del provvedimento di revoca da parte del tribunale (che, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., ha efficacia solo con il decorso del termine per proporre reclamo), hanno sanato l’omissione riscontrata, in tal modo eliminando i presupposti richiesti dalla legge per la pronuncia di revoca dell’amministratore di condominio, con la conseguenza che la corte d’appello avrebbe dovuto procedere al rigetto dell’istanza ovvero, in base ai fatti sopravvenuti, alla revoca, ai sensi dell’art. 742 c.p.c., del decreto di primo grado.
  2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando, in via subordinata, la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., censura il decreto impugnato per aver confermato la condanna alle spese di lite disposta dal tribunale pur a fronte delle molteplici circostanze dedotte e della volontà espressa dall’assemblea, che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., costituiscono quelle gravi ed eccezionali ragioni che ne legittimano la compensazione.
  3. Il primo motivo è inammissibile. Il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso il decreto con il quale la corte d’appello provvede sul reclamo nei confronti del decreto del tribunale di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dall’art. 1129 c.c., anche nel testo successivo alla riforma di cui alla l. n. 220 del 2012, non è, infatti, ammissibile. Si tratta, in effetti, di un provvedimento camerale che, pur se reso all’esito di un procedimento plurilaterale, e cioè ad interessi contrapposti, non ha alcuna efficacia decisoria, lasciando all’amministratore revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso e di far valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena (Cass. n. 15706/2017, in motiv.).
  4. Il secondo motivo è, invece, ammissibile. Il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 111 Cost. è, infatti, ammissibile (soltanto) avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo. Il motivo è, tuttavia, infondato. La conferma da parte della corte d’appello del decreto del tribunale in materia di spese di lite è conforme all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità consolidato secondo cui, in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, nel caso di rigetto del gravame, non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado (Cass. n. 1775/2017). Nel caso di specie, la reclamante, senza proporre uno specifico motivo di censura avverso la relativa quantificazione, si è limitata, in sede di reclamo, ad invocare la compensazione delle spese di lite nel giudizio di primo grado.
  5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

(omissis)

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in euro 2.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali per il 15% ed accessori di legge.

(omissis)

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  • revoca
  • sentenze di cassazione
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