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CONDOMINIO GIURIDICO

Revoca dell’assegnazione della casa trascrivibile, ma con atto giudiziale

L’atto notarile ricognitivo di revoca dell’assegnazione di casa familiare non è trascrivibile. Ai sensi dell’articolo 337-sexies del codice civile la rideterminazione dell’assegnazione, per essere trascrivibile, deve essere contenuta in un provvedimento giudiziale e non in una scrittura privata. È quanto stabilisce la decisione n. 2555/2022 Rgvg del Tribunale di Pistoia del 24 febbraio 2023.

La vicenda trae origine dalla trascrizione eseguita con riserva dal Conservatore di Pistoia, relativa alla domanda di trascrizione della revoca dell’assegnazione casa coniugale con scrittura privata autenticata.
Il Tribunale di Pistoia, con sentenza n. 668/2022, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio e, in attuazione degli accordi dei coniugi, revocava l’assegnazione dell’abitazione al piano terra al coniuge assegnatario, confermando invece l’assegnazione della casa posta al primo piano.

Con scrittura privata autenticata, gli ex coniugi procedevano alla ricognizione della avvenuta revoca giudiziale, precisando in atti gli esatti riferimenti catastali delle unità da liberare dal vincolo (riferimenti non precisati nella sentenza di divorzio).
Il notaio richiedeva la trascrizione che veniva eseguita con riserva avverso la quale proponeva reclamo per i seguenti motivi:
• il Conservatore aveva fatto rigida applicazione del principio di tipicità degli atti trascrivibili, atteso che, anche ai sensi dell’articolo 2645 cc, tale principio è riferibile agli effetti dell’atto trascrivibili e non già a una tassatività tipologica dei negozi giuridici ammessi alla pubblicità immobiliare
• non vi è ragione per non consentire la trascrizione di un accordo raggiunto tra le parti, con il quale si attua una ricognizione del provvedimento di revoca giudiziale, dando una più compiuta descrizione tecnica e catastale degli immobili interessati
• il coniuge assegnatario ha, poi, diritto a porre in essere un atto di rinuncia alla assegnazione dell’abitazione familiare, che, ove redatto in forma notarile, sarebbe idoneo alla trascrizione.
Il Conservatore evidenziava che, trattandosi di una scrittura privata autenticata, la stessa non è autonomamente trascrivibile, ai fini della revoca della assegnazione della casa coniugale, consentita esclusivamente a mezzo di un provvedimento giudiziario.

Esaminati gli atti, il Tribunale di Pistoia, con la decisione n. 2555/2022 Rgvg ha ritenuto il reclamo del notaio non meritevole di accoglimento.
Ai sensi dell’articolo 337-5sexies cpc, il provvedimento giudiziario di assegnazione o revoca dell’assegnazione della casa coniugale è trascrivibile e opponibile ai terzi ai sensi dell’articolo 2643 del codice civile.
Il richiamo operato dalla norma all’articolo 2643 cc non va inteso, però, nel senso che all’assegnazione in godimento della casa familiare possa attribuirsi natura di diritto reale, trattandosi, sempre, di un diritto personale di godimento; il rinvio, allora, a tale norme, ha esclusivamente la funzione di attribuire valore di pubblicità dichiarativa alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, così operando la disciplina di cui all’articolo 2644 del codice civile.

Alla luce delle considerazioni esposte, il Collegio sostiene la non trascrivibilità della scrittura ricognitiva redatta dalle parti, ai sensi dell’articolo 337-sexies cpc, il quale consente la trascrizione unicamente del provvedimento giudiziale di revoca o di assegnazione della casa familiare; e ciò in quanto, le parti non possono autonomamente, cioè senza un provvedimento giudiziale, addivenire alla revoca dell’assegnazione della casa familiare, in quanto il godimento della casa familiare è attribuito tenendo in conto prioritariamente l’interesse dei figli, così che la sua revoca deve, necessariamente, passare per il vaglio del Tribunale.

In secondo luogo, la scrittura privata in questione non può essere trascritta neanche ai sensi dell’articolo 2645 cc – il quale consente la trascrizione di “ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643 c.c.” – atteso che tale atto ricognitivo non produce gli effetti di cui all’articolo 2643 cc, non costituendo, trasferendo o modificando un diritto reale, sia perché il godimento della casa familiare non è un diritto reale, sia perché la revoca origina dal provvedimento giudiziale e non dalla scrittura privata.

Si aggiunga, infine, che neppure appare condivisibile l’assunto del reclamante per cui sarebbe trascrivibile l’atto di rinuncia del coniuge all’assegnazione della casa coniugale, atteso che la revoca di detta assegnazione – come già chiarito – deve essere sottoposta al vaglio giudiziale, vista la necessità di accertare che sia nell’interesse dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Del resto, ai sensi dell’articolo 2643, comma 1 n. 5) è sì trascrivibile la rinunzia a uno dei diritti menzionati ai numeri precedenti della norma, ma tra essi non rientra il godimento della casa familiare.
Pertanto, come correttamente osservato dal Conservatore, l’unico atto trascrivibile è quello giudiziale di revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/revoca-assegnazione-casa-trascrivibile-ma-atto-giudiziale

Casa del moroso all’asta e recupero delle spese arretrate

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Fornitura di energia dalle colonnine, si configura come cessione di beni

L’accesso a dispositivi di ricarica per veicoli elettrici, con conseguente fornitura di energia e possibilità per gli utenti di ricevere assistenza e consultare gli applicativi per prenotare un connettore, è una prestazione unica che costituisce una cessione di beni in quanto conferisce all’utente del punto di ricarica il diritto di consumare l’energia elettrica trasferita, che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, è assimilata a un bene materiale.

La fattispecie e la questione pregiudiziale
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società all’amministrazione finanziaria in merito ad una domanda diretta all’annullamento di una decisione emessa su un parere rilasciato dalla competente amministrazione finanziaria.
Tale società intende svolgere un’attività consistente nell’installazione e nella gestione di punti di ricarica aperti al pubblico per veicoli elettrici.
Sono emersi alcuni profili critici che hanno dato luogo ad una controversia approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione, con cui si chiede, in sostanza, se la Direttiva n. 2006/112 debba essere interpretata nel senso che costituisce una “cessione di beni”, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva, oppure una “prestazione di servizi”, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della stessa direttiva, una prestazione unica e complessa composta da:
• un accesso a dispositivi di ricarica per veicoli elettrici (compresa l’integrazione di un caricatore con il sistema operativo del veicolo)
• la fornitura del flusso di energia elettrica con parametri adeguatamente impostati per le batterie del suddetto veicolo
• l’assistenza tecnica necessaria agli utenti interessati
• la messa a disposizione di applicazioni informatiche che consentano all’utente in questione di prenotare un connettore, di consultare la cronologia delle operazioni nonché di acquistare crediti accumulati in un portafoglio digitale e il loro utilizzo per pagare le ricariche.
Le valutazioni della Corte Ue
La Corte Ue precisa che quando un’operazione è costituita da una serie di elementi e di atti, occorre tener conto di tutte le circostanze nelle quali si svolge tale operazione per determinare, da un lato, se essa dia luogo, ai fini dell’Iva, a due o più prestazioni distinte o ad un’unica prestazione e, dall’altro, se, in quest’ultimo caso, tale prestazione unica debba essere qualificata come cessione di beni o come prestazione di servizi.
In particolare, dall’articolo 1, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2006/112 risulta che ciascuna operazione deve di norma essere considerata distinta e indipendente; inoltre, l’operazione costituita da una prestazione unica sul piano economico non deve essere artificialmente scomposta per non alterare la funzionalità del sistema dell’Iva.
A tal proposito, si è in presenza di una prestazione unica quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono così strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissolubile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale.
Inoltre, in alcune circostanze, più prestazioni formalmente distinte, che potrebbero essere fornite separatamente e dar così luogo, individualmente, a imposizione o a esenzione, devono essere considerate come un’unica operazione quando non sono indipendenti.
Ciò si verifica nel caso in cui uno o più elementi devono essere considerati come costitutivi della prestazione principale, mentre altri elementi devono essere, invece, considerati alla stregua di una o più prestazioni accessorie che condividono il medesimo trattamento fiscale riservato alla prestazione principale. In particolare, una prestazione dev’essere considerata accessoria a una prestazione principale quando per la clientela non costituisce un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire al meglio della prestazione principale.
La questione in esame riguarda una combinazione di operazioni consistenti nella cessione di energia elettrica al fine della ricarica di veicoli elettrici e nella fornitura di diversi servizi, quali l’allestimento dell’accesso a punti di ricarica e l’agevolazione dell’utilizzo di questi ultimi, l’assistenza tecnica necessaria e le applicazioni informatiche che consentono la prenotazione di un connettore, il controllo delle operazioni e il pagamento di queste ultime.
Il giudice ‘ a quo’ ha ritenuto che la cessione e la fornitura costituiscano un’operazione unica ai fini dell’Iva.
Per quanto riguarda la nozione di “cessione di beni”, ai sensi della direttiva 2006/112, l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima dispone che si considera tale il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario. Tale nozione comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva, l’energia elettrica è considerata un bene materiale.
Per quanto riguarda la nozione di “prestazione di servizi”, ai sensi della direttiva 2006/112, dall’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva emerge chiaramente che essa comprende qualsiasi operazione che non costituisce una “cessione di beni” ai sensi dell’articolo 14 di tale direttiva.
Al fine di determinare se un’unica prestazione complessa debba essere qualificata come “cessione di beni” o come “prestazione di servizi”, ai sensi della direttiva, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze in cui si svolge l’operazione per individuare gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti. Tali elementi devono essere determinati basandosi sul punto di vista dell’utente medio dei punti di ricarica e tenendo conto, nel contesto di una valutazione globale, dell’importanza qualitativa, e non soltanto quantitativa, degli elementi di prestazione di servizi rispetto a quelli rientranti in una cessione di beni.
Così, da un lato, il riferimento all’articolo 4, paragrafo 8, della direttiva 2014/94, ai “servizi di ricarica per veicoli elettrici” non pregiudica la qualificazione dell’operazione in esame come “cessione di beni” o “prestazione di servizi” ai sensi della direttiva 2006/112.
Infatti, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2014/94, quest’ultima ha lo scopo di stabilire requisiti minimi per la costruzione dell’infrastruttura per i combustibili alternativi, inclusi i punti di ricarica per veicoli elettrici. Essa non ha quindi lo scopo di stabilire una qualsiasi norma in ordine al trattamento, dal punto di vista dell’Iva, del rifornimento di combustibile alternativo.
D’altro lato, poiché la commercializzazione di un bene è sempre accompagnata da una minima prestazione di servizi, per valutare la rilevanza della prestazione di servizi nel contesto di una operazione complessa, che include inoltre la cessione di tale bene, possono essere presi in considerazione solamente i servizi diversi da quelli che necessariamente accompagnano la commercializzazione di un bene.
A tal proposito, in primo luogo, l’operazione che consiste nella fornitura di energia elettrica destinata alla batteria di un veicolo elettrico costituisce una cessione di beni in quanto tale operazione conferisce all’utente del punto di ricarica il diritto di consumare, ai fini della propulsione del proprio veicolo, l’energia elettrica trasferita, che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, è assimilata ad un bene materiale.
Inoltre, la fornitura di energia elettrica alla batteria di un veicolo elettrico presuppone l’utilizzo di un’adeguata apparecchiatura di ricarica, che può comprendere un caricatore da integrare con il sistema operativo del veicolo.
Pertanto, la concessione dell’accesso all’apparecchiatura costituisce un servizio minimo che accompagna necessariamente la fornitura di energia elettrica e non può, quindi, essere presa in considerazione per valutare la quota che la prestazione di servizi occupa nell’insieme di un’operazione complessa che comprende anche tale cessione di energia elettrica.
Infine, l’assistenza tecnica, che può essere necessaria agli utenti, costituisce, in quanto tale, non un fine a sé stante, bensì il mezzo per beneficiare al meglio della cessione dell’energia elettrica necessaria alla propulsione del veicolo elettrico. Essa rappresenta quindi un servizio accessorio rispetto alla fornitura di energia elettrica.
Ciò vale anche per la messa a disposizione di applicazioni informatiche che consentono all’utente interessato di prenotare un connettore, di consultare la cronologia delle operazioni e di acquistare crediti ai fini del pagamento delle ricariche. Tali tipi di prestazioni offrono, infatti, all’utente alcune agevolazioni pratiche supplementari aventi il solo scopo di migliorare il trasferimento dell’energia elettrica necessaria alla ricarica del suo veicolo e di offrire una panoramica delle operazioni effettuate in passato.
Da ciò deriva che, in linea di principio, il trasferimento di energia elettrica costituisce l’elemento caratteristico e predominante della prestazione unica e complessa rispetto alla quale il giudice ‘a quo’ interroga la Corte.
Tale conclusione non è inficiata dalla circostanza secondo la quale, per calcolare l’importo dovuto per la ricarica di un veicolo elettrico, si può tener conto non solo del quantitativo di energia elettrica trasferita, ma anche di un canone per il tempo di sosta durante tale ricarica. In particolare, ciò implica semplicemente che il prezzo unitario del bene fornito, vale a dire l’elettricità, è composto non solo dal costo di quest’ultima in quanto tale, ma anche dal tempo di impiego delle apparecchiature messe a disposizione degli utenti.
La conclusione non è inficiata neppure nel caso in cui l’operatore considerato calcoli il prezzo unicamente sulla base della durata della ricarica. Infatti, tenuto conto del fatto che la quantità dell’energia elettrica fornita dipende dalla potenza trasferita durante il periodo del trasferimento, un tale calcolo riflette, anch’esso, il prezzo unitario di tale elettricità.
Analogamente, il semplice fatto che il prezzo unitario di una ricarica rapida, a corrente continua, sia leggermente più elevato di quello di una ricarica lenta, a corrente alternata, non è sufficiente per elevare, dal punto di vista dell’utente, la rapidità e l’efficacia di tale ricarica a elemento caratteristico e predominante dell’operazione.

Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che la direttiva 2006/112 deve essere interpretata nel senso che costituisce una “cessione di beni”, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva, una prestazione unica e complessa composta da:
• un accesso a dispositivi di ricarica per veicoli elettrici (compresa l’integrazione di un caricatore con il sistema operativo del veicolo)
• la fornitura del flusso di energia elettrica con parametri adeguatamente impostati verso le batterie del veicolo elettrico
• l’assistenza tecnica richiesta dagli utenti interessati
• la messa a disposizione di applicazioni informatiche che consentano all’utente in questione di prenotare un connettore, di consultare la cronologia delle operazioni nonché di acquistare crediti accumulati in un portafoglio digitale e da utilizzare per pagare le ricariche.

Data sentenza: 20 aprile 2023
Numero sentenza: causa C 282/2022

https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/fornitura-energia-dalle-colonnine-si-configura-come-cessione-beni

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