La stipula del contratto di affitto non determina un mutamento della titolarità del reddito fondiario che resta imputabile al comodante-titolare di diritto reale sull’immobile ceduto in locazione.
In caso immobile concesso in locazione da parte del comodatario il reddito ritratto va imputato al proprietario dell’immobile, cioè al comodante (come se l’avesse affittato personalmente) anche se da lui materialmente non percepito.
Il contratto produce, infatti, solo effetti obbligatori mentre, secondo la legge, resta sempre obbligato il titolare di un diritto reale sull’immobile.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 5588 del 2 marzo 2021 che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
La vicenda processuale
Un contribuente impugnava l’avviso con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato l’omessa dichiarazione dei redditi relativa alla locazione di tre immobili concessi in comodato ai figli e da questi locati a terzi.
Il contribuente, precisando che nei contratti di comodato era espressamente prevista la possibilità per il comodatario di concedere a terzi l’uso della cosa, contestava la legittimità dell’accertamento il quale muoveva dalla premessa che il comodante è comunque tenuto a dichiarare i redditi che derivano dalla locazione in base all’articolo 26 del Dpr n. 917/1986; secondo tale disposizione “i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale…per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso”.
La Ctp ha accolto il ricorso e la Ctr ha confermato la decisione rilevando che l’ufficio non aveva fornito alcuna prova certa della natura elusiva dell’operazione posta in essere dal ricorrente con la cessione in comodato ai figli di alcuni beni, che questi avevano poi concesso in locazione a terzi, così evitando al comodante (effettivo locatore) di dichiarare il reddito. Di tale problematica non vi era riferimento alcuno né nell’avviso impugnato né nelle difese svolte dall’ufficio riguardanti unicamente l’interpretazione dell’articolo 26 del Dpr 917/1986, cosicché l’esame di merito era precluso al giudice di appello.
La controversia è così giunta in Cassazione dove l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che l’imputazione soggettiva dei redditi fondiari è in funzione del possesso qualificato della titolarità del diritto reale, con la conseguenza che i canoni percepiti per la locazione, concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altro diritto reale.
La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, nell’accogliere il ricorso, ha stabilito che il contratto di comodato, disciplinato dagli articoli 1803 e seguenti del codice civile, produce effetti obbligatori, e non reali, e il comodatario è titolare di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale (proprietà o altro). Si tratta, per lo più, di un rapporto di cortesia che, quindi, non genera alcun particolare vincolo giuridico; difatti, il comodatario è un semplice detentore del bene mobile o immobile (cfr Cassazione, n 15877/2013).
Pertanto è il proprietario dell’immobile, quale possessore, sia pure mediato, tenuto al pagamento dell’imposta e non il comodatario, mero detentore della cosa comodata. Il comodatario, infatti, non consegue il possesso dell’immobile, ma la mera detenzione (nell’interesse proprio), che trova titolo in un contratto costitutivo di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale. Ne consegue pertanto, ha concluso la Cassazione, che fiscalmente obbligato a dichiarare il reddito fondiario resta solo il titolare di un diritto reale sui medesimi beni.
Questa interpretazione è stata da sempre sostenuta dall’Agenzia delle entrate: con risoluzioni 381/E e 394/E del 2008 si è precisato che la stipula del contratto di locazione da parte del comodatario non determina un mutamento della titolarità del reddito fondiario dal comodante al comodatario che a sua volta stipuli, quale locatore, un contratto di locazione. Il reddito resta imputabile al comodante-titolare di diritto reale sull’immobile ceduto in locazione.
Fonte: FiscoOggi
Vale una sola regola per il contributo per la riduzione del canone di locazione spettante per il 2021 e, abrogati i commi della legge di bilancio, la data spartiacque per i contratti è il 29 ottobre 2020
Intervento all’insegna della razionalizzazione e dello snellimento dei dispositivi normativi, in un settore, quello delle locazioni e degli affitti, storicamente tra i più critici nel panorama italiano. In sostanza, con il nuovo decreto “Sostegni”, la norma sul “Fondo per la sostenibilità del pagamento degli affitti di unità immobiliari residenziali”, prima a cavallo tra due disposizioni, l’articolo 9-quater del decreto “Ristori” e i commi da 381 e 384 dell’articolo 1, della legge di bilancio 2021, trova ora un unico riferimento normativo. Infatti, tra i commi dell’articolo 42 del Dl “Sostegni”, dedicato alle disposizioni finanziarie, è stabilito quanto segue:
al comma 7 si “dispone un incremento di 50 milioni di euro per l’anno 2021 del Fondo per la sostenibilità del pagamento degli affitti di unità immobiliari residenziali di cui all’articolo 9-quater, comma 4, del decreto legge n. 137/2020 (il “Ristori), istituito nello stato di previsione del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture”
e ancora, al comma 8, sono abrogati “…i commi da 381 a 384 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2020, n. 178 o Legge di Bilancio 2021 concernente i contributi in favore dei proprietari degli immobili che avrebbero ridotto il canone con un’autorizzazione di spesa pari a 50 milioni di euro”.
Cosa comporta questa modifica? In sostanza, è superata la duplicazione normativa che si era creata, facendo così ordine sul bonus. Negli effetti pratici, la norma che resta applicabile, e che farà da riferimento, sarà quindi quella contenuta nell’articolo 9-quater del decreto “Ristori”, mentre è definitivamente soppressa quella prevista successivamente con la legge di bilancio 2021 (commi 381-384, legge n. 178/2020).
Oltre alla novità normative, spazio anche a quelle sostanziali
Optando per la versione del bonus affitti contenuta nel Dl “Ristori”, il decreto “Sostegni” ha un duplice effetto trainante. Infatti, la norma duplicata con la Legge di bilancio 2021, pur riproducendo quasi integralmente quella contenuta nel Dl “Ristori”, in realtà adottava una formulazione più generale di quella dell’articolo 9-quater che espressamente limita lo sconto ai contratti in essere alla data del 29 ottobre 2020, ponendo de facto una condizione temporale predeterminata alla base della potenziale fruizione del bonus. Ma non è l’unica differenza. Una seconda novità da tener presente, è che la norma, come scritta nel Bilancio 2021, a differenza di quella incastonata dall’articolo 9-quater del Dl “Ristori”, non contemplava, come invece lo è ora, l’istituzione nello stato di previsione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di un fondo denominato “Fondo per la sostenibilità degli affitti di unità immobiliari residenziali” con una dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2021. Si tratta di una novità strutturale, non transitoria, almeno nella suo richiamo originario. Ricapitolando, due novità: la tempistica dei contratti per i quali vale il bonus, quelli sottoscritti alla data del 29 ottobre 2020 e, a seguire, l’istituzione d’un fondo ad hoc, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dedicato agli affitti di unità immobiliari residenziali.
L’a, b, c della normativa
Unificato il dispositivo normativo, spieghiamo ora la norma in dettaglio. In primo luogo, è previsto il riconoscimento, per l’anno 2021, al locatore di immobile ad uso abitativo, ubicato in un comune ad alta tensione abitativa, che costituisca l’abitazione principale del locatario e a condizione che quest’ultimo riduca il canone del contratto di locazione, un contributo a fondo perduto fino al 50% della riduzione del canone entro il limite massimo annuo di 1.200 euro per singolo locatore. A tal fine, come detto, è istituito nello stato di previsione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti un fondo ad hoc con una dotazione pari a 50 milioni di euro per l’anno 2021. A questo punto, spetterà all’Agenzia delle entrate, con provvedimento del direttore, individuare le modalità applicative della norma in esame e la percentuale di riduzione mediante riparto proporzionale in relazione alle domande presentate, anche ai fini del rispetto del limite di spesa che, ripetiamo, è fissato a 50milioni di euro per l’anno in corso.
Fonte: FiscoOggi
Previsto, tra l’altro, un determinato “valore” per particolari interventi, realizzati nell’ambito del Superbonus, finalizzati alla stabilità di immobili danneggiati da eventi sismici.
È online, da ieri 30 marzo, sul sito dell’Agenzia, il restyling delle specifiche tecniche utili alla trasmissione telematica del modello per comunicare se si è scelto di optare per la cessione del credito o per lo sconto in fattura, in relazione a interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica.
Validate con il provvedimento direttoriale dello scorso 12 ottobre, che ha seguito l’approvazione del modello (vedi articolo “Superbonus 110%: via libera al modello per la cessione o lo sconto in fattura”) sono state aggiornate in primis, per individuare quegli interventi effettuati, nell’ambito del Superbonus, per migliorare la tenuta statica degli edifici danneggiati da eventi sismici, che danno diritto ai raddoppiati limiti di spesa previsti dall’articolo 119 del Dl “Rilancio” (codici 1 e 2, e anche 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 26 e 27 delle istruzioni di compilazione del modello). Per questi, è stato istituito il codice “S”, da inserire nel campo “Tipologia immobile (T/U)” del riquadro contenente i dati catastali. Nel caso di interventi condominiali, la maggiorazione del 50% è applicabile solo se, per tutte le unità immobiliari, è stato indicato il nuovo valore “S” nel campo “Tipologia immobile (T/U)”.
Tra gli altri motivi della rivisitazione, la compilazione della sezione “asseverazione efficienza energetica”. Questa, infatti, nell’ipotesi in cui siano stati effettuati lavori “trainati” per l’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica o per l’installazione contestuale (o successiva) di sistemi di accumulo integrati negli impianti (codici 19 e 20 delle istruzioni) e siano state barrate le caselle “Superbonus” o “Intervento su immobile con restrizioni edilizie – Superbonus”, è facoltativa, se l’intervento trainante è di tipo sisma-bonus. Confermata, invece, la necessità del visto di conformità.
Ulteriori specificazioni riguardano, per gli interventi condominiali, l’indicazione del codice fiscale del beneficiario che deve essere diverso da quello del condominio e, per l’ “Acquisto, installazione e messa in opera di dispositivi multimediali per controllo da remoto (Sistemi building automation)” (codice 12), il nuovo limite di detrazione per le spese 2021 che è stato fissato a 15mila euro.
Infine, viene specificato che per gli interventi condominiali n. 16 e n. 17, il limite di spesa è pari a 96 mila euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari.
Fonte: FiscoOggi
L’invio in formato elettronico delle fatture di luce, gas, internet e di tutte le utenze domestiche ci permette di alleggerire il portafoglio. Almeno di 36 euro l’anno, ma anche molti di più se abbiamo diverse case. Si tratta, inoltre, di una scelta ecosostenibile e al passo con i tempi. SOStariffe.it ha passato in rassegna i motivi per cui è bene che le bollette cartacee cedano il passo a quelle digitali
È ormai una possibilità offerta da tutti i fornitori. Consente di ricevere le fatture in tempi rapidi, salvaguardare l’ambiente e soprattutto risparmiare in media 36 euro ogni anno, tra bolletta di internet casa, luce e gas. Ricevere le fatture in formato elettronico, inoltre, spesso dà modo di accedere a sconti extra. Il focus dell’ultimo studio SOStariffe.it è sulle bollette digitali e su tutti i vantaggi che derivano dall’addio al vecchio formato cartaceo.
Restare fermi alla carta costa: in media 36 euro l’anno
Se la transizione al formato digitale di bolletta ci spaventa, pensiamo anzitutto ai vantaggi per la tasca. Le compagnie spingono sempre di più per il formato elettronico. Perché? Anzitutto perché inviare una bolletta cartacea tramite posta ordinaria ha un costo.
Possiamo individuarlo nelle condizioni contrattuali e ritrovarlo, per trasparenza, anche nel testo della fattura. Di solito sono 2 euro di commissione aggiuntiva che si aggiungono alla spesa dovuta per ciascuna bolletta, ma ogni operatore stabilisce il costo aggiuntivo.
Se calcoliamo pertanto che un utente medio riceve 18 bollette cartacee l’anno, tra connessione fissa, luce, e gas, in tutto dovrà sborsare circa 36 euro in più solo per vedersi recapitare in formato lettera tradizionale il riepilogo scritto dei propri consumi e dei rispettivi costi.
Ma la cifra può anche salire considerato che le società stanno alzando i costi di invio delle bollette cartacee proprio in funzione deterrente, per convertire gli ultimi nostalgici della carta. Se poi si hanno più proprietà immobiliari allora la cifra si impenna. Il vecchio bollettino cartaceo inviato per posta è destinato a finire in soffitta, travolto dall’innovazione tecnologica.
Una scelta con molti pro e pochi contro
A conti fatti la bolletta digitale è la versione in formato pdf della fattura tradizionale di carta. In genere viene inviata dalla compagnia nella casella di posta elettronica personale, oppure è consultabile online sul sito della compagnia. Se si fa eccezione per gli anziani e per chi non ha un grado minimo di alfabetizzazione digitale, la gran parte dei consumatori oggi dispone di una casella di posta elettronica.
Ovviato l’ostacolo tecnologico, dunque, la bolletta elettronica presenta molti vantaggi: non è possibile perderla, come potrebbe accadere con la carta, e non è soggetta a ingiallimento e usura. Viene recapitata con regolarità ed è sempre reperibile nell’area clienti sul sito della compagnia.
Inoltre, è semplice da conservare nei “cassetti digitali” dei propri device o su un eventuale cloud. Ci sono anche alcune compagnie che per incentivare il passaggio alla bolletta elettronica offrono sconti extra per chi opta per la fattura digitale o vincolano al solo formato di bolletta elettronica i consumatori che attivano alcune offerte.
Spesso, inoltre, le compagnie puntano a promuovere oltre alla bolletta elettronica anche la domiciliazione delle fatture. Una possibilità già attiva da molti anni, ma ancora sconosciuta ad alcuni. Non è altro che la possibilità di addebitare le proprie utenze domestiche direttamente sul proprio conto corrente, una carta di pagamento o una carta conto.
Il versamento diventerà a questo punto un automatismo, una faccenda di cui non preoccuparsi. Non sarà più necessario presentarsi di persona a pagare le fatture, magari accodandosi a lungo davanti a un ufficio postale, poiché l’importo dovuto sarà prelevato in automatico, grazie alla pre-autorizzazione concessa, senza che siano applicati i costi di commissione.
Come attivare la bolletta digitale
Il passaggio alle fatture elettroniche dal vecchio formato cartaceo può avvenire sempre e senza dover sostenere ulteriori costi. Tutte le aziende offrono questa possibilità, a basso impatto ambientale ed economico.
In genere le modalità per farne richiesta dipendono dalla nostra compagnia di riferimento. Avvalendoci dei canali di comunicazione messi a disposizione (negozi fisici, servizio clienti telefonico, apposita sezione nel portale del fornitore o nell’app della compagnia) dunque, sarà possibile effettuare lo switch in tempi rapidi.
Per ricercare i prezzi più bassi per le forniture di casa e tentare di alleggerire il nostro bilancio mensile è sempre possibile utilizzare i tanti strumenti di comparazione SOStariffe.it, grazie ai quali sono stati rilevati alcuni tra i dati di questo studio: https://www.sostariffe.it/
fonte: ufficio stampa SOStariffe.it
Fonte: Consumerismo No Profit
Bonus ed Ecobonus varati dal Governo per sostenere i cittadini durante la pandemia ed aiutare l’economia si sono rivelati un flop totale, riscuotendo basse adesioni da parte dei cittadini, e non va meglio per strumenti quali Cashback e Lotteria degli Scontrini.
Lo denuncia oggi l’associazione dei consumatori Consumerismo No profit, che rende noto un report relativo ai fondi stanziati dal Governo tra il 2020 e il 2021 per i vari incentivi e i numeri sulle somme ad oggi effettivamente utilizzate dai cittadini.
E si scopre che i bonus si sono rivelati, nei fatti, un enorme fallimento: su 9,3 miliardi di euro di previsione di spesa, solo poco più di 1,2 miliardi (il 12,9%) è stato realmente utilizzato dagli italiani.
Si parte col “Bonus Vacanze”, incentivo da 500 euro a famiglia lanciato lo scorso anno in pompa magna dal Governo Conte per sostenere le imprese del turismo in grave crisi a causa del Covid: ebbene ad oggi, stando ai dati ufficiali forniti dal Governo, sono stati generati 1.885.802 bonus, ma di questi solo 771.586 sono stati effettivamente utilizzati – spiega Consumerismo – Questo significa che sui 2,4 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato per il bonus vacanze, solo 829,4 milioni di euro (il 34,5% del totale) sono stati effettivamente spesi dalle famiglie.
Andamento analogo per il “Bonus Pc e tablet”, incentivo (sempre da 500 euro) teso ad aiutare le famiglie ad acquistare strumenti elettronici e connessioni telefoniche: dei 200 milioni di euro stanziati, ad oggi sono stati attivati o prenotati in totale 69,2 milioni di euro, il 34,7% dei fondi a disposizione.
C’è poi il l’ “Ecobonus Auto” – incentivo fino a 10mila euro per l’acquisto di nuove autovetture, variabile a seconda delle emissioni inquinanti – per il quale a marzo 2021 gli italiani hanno utilizzato 344.096.318 euro dei 700 milioni stanziati (il 49,1%).
Il fallimento più grande, tuttavia, è quello relativo all’ “Ecobonus al 110%”, detrazione del 110% delle spese sostenute per gli interventi che migliorano l’efficienza energetica degli edifici e che riducono il rischio sismico: sui 6 miliardi di euro detrazioni previste da Governo e Ance entro fine 2021, a febbraio scorso erano stati raggiunti appena 340 milioni di euro in detrazioni per finanziare 3.100 interventi, il 5,6% rispetto a quanto previsto.
Per quanto riguarda gli altri rimborsi e incentivi istituiti di recente, il “Cashback”, ossia il rimborso delle spese eseguite tramite carte e bancomat, ad oggi vede l’adesione di 8,1 milioni di cittadini, mentre la Lotteria degli Scontrini, per la prima estrazione dell’11 marzo, ha registrato la partecipazione di appena 4 milioni di italiani.
“Il flop di bonus, incentivi ed ecobonus è da ricercare nella eccessiva burocrazia che accompagna tali misure, e procedure macchinose e complesse per accedere ai fondi che scoraggiano milioni di italiani – spiega il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele – I numeri, d’altronde, parlano chiaro: su 9,3 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato tra il 2020 e il 2021, le famiglie ne hanno spesi appena 1,2 miliardi”.
Fondi stanziati 2021 | Fondi utilizzati ad oggi | % fondi utilizzati sul totale | |
Bonus Vacanze | 2,4 miliardi di euro | 829,4 milioni di euro | 34,5% |
Ecobonus al 110% | 6 miliardi di euro (stime a fine 2021) | 340 milioni di euro | 5,6% |
Ecobonus auto | 700 milioni di euro | 344 milioni di euro | 49,1% |
Bonus Pc e tablet | 200 milioni di euro | 69,2 milioni di euro | 34,7% |
TOTALE | 9,3 miliardi di euro | 1,2 miliardi di euro | 12,9% |
Adesioni a marzo 2021 | Adesione sul totale della popolazione | |
Cashback | 8,1 milioni | 13,5% |
Lotteria degli scontrini | 4,092 milioni | 6,8% |
Fonte: elaborazioni Consumerismo No profit su dati Mef, Agenzia delle Dogane, Mise.
Consumerismo No Profit –
La segnalazione ha lo scopo di mettere in guardia il contribuente che potrà evitare l’iscrizione pagando il debito entro 30 giorni.
SINTESI: In tema di preavviso di iscrizione ipotecaria non deriva alcun particolare onere motivazionale in capo all’Agente della riscossione, che, attraverso il preavviso di iscrizione ipotecaria, si limita ad informare il contribuente moroso che, in caso di mancato pagamento entro trenta giorni, si procederà ad iscrizione di ipoteca sull’immobile. Per valutare la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, ai sensi degli artt. 76 e 77 del DPR n. 602 del 1973, è sufficiente l’indicazione del valore del credito per cui si procede.
Ordinanza n. 7233 del 15 marzo 2021 (udienza 10 dicembre 2020)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Greco Antonio – Est. Russo Rita
Preavviso di iscrizione ipotecaria – Non necessita di alcuna particolare motivazione – L’iscrizione è legittima se contiene l’indicazione del valore del credito per cui si procede.
Fonte: FiscoOggi
Alla cessione realizzata dall’ente locale, nell’ambito di un più generale programma di dismissioni pubbliche per esigenze di bilancio deve essere applicata la tassazione ordinaria.
Con l’ordinanza n. 1899 del 28 gennaio 2021, la Corte di cassazione, nel respingere il ricorso del contribuente, ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate, che aveva disconosciuto, in relazione a un atto di trasferimento immobiliare, la spettanza del regime agevolativo di cui all’articolo 32 del Dpr n. 601/1973.
In particolare, già in esito al giudizio di primo grado, la competente Commissione tributaria provinciale aveva dichiarato legittimo l’avviso di liquidazione relativo all’atto di compravendita, in ragione del fatto che tale atto non poteva beneficiare dell’imposta di registro in misura fissa e dell’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale, di cui al richiamato articolo 32.
Anche la competente Ctr, nel confermare in appello l’esito del giudizio di primo grado, negava le agevolazioni, in quanto l’atto di compravendita non risultava posto in essere per l’attuazione di programmi pubblici di edilizia residenziale, di cui all’articolo 32, avendo il Comune ceduto l’immobile per esigenze finanziarie.
La Corte suprema, nella pronuncia in commento, delinea il quadro normativo vigente in materia.
In particolare, il menzionato articolo 32 del Dpr n. 601/1973, al comma 2, prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale per gli “…atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge (n. 865/1971) e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse…”.
Lo stesso trattamento di favore si applica in relazione “agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della legge (n. 865 del 1971)”.
Con la previsione di interpretazione autentica recata dall’articolo 1, comma 58, della legge n. 208/2015, a mente della quale “…l’ articolo 32, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, si interpreta nel senso che l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali si applicano agli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge 22 ottobre 1971, n. 865, indipendentemente dal titolo di acquisizione della proprietà da parte degli enti locali”, il legislatore ha disposto l’applicazione del trattamento di favore agli atti di trasferimento indicati, a prescindere dal titolo di acquisizione delle aree da parte del Comune, anche laddove la stessa, invece che tramite una procedura espropriativa, avvenga con una ordinaria compravendita stipulata in regime di diritto privato.
In materia di programmi pubblici di edilizia residenziale, l’articolo 48 della legge n. 865/1971 stabilisce che “nel triennio 1971-1973, i programmi pubblici di edilizia residenziale, di cui al presente titolo, prevedono: la costruzione di alloggi destinati alla generalità dei lavoratori…” e al successivo articolo 50 che “nei comuni che abbiano provveduto alla formazione dei piani di zona ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167, le aree per la realizzazione dei programmi pubblici di edilizia abitativa previsti dal presente titolo sono scelte nell’ambito di detti piani”.
La nozione di edilizia residenziale pubblica, richiamata dall’articolo 32 del Dpr n. 601/1973, è stata individuata dapprima dall’articolo 1, comma 2, del Dpr n. 1035/1972 e successivamente dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 560/1993, che in materia di alienazione ha ricompreso, tra gli alloggi di edilizia residenziale pubblica “quelli acquisiti, realizzati o recuperati, ivi compresi quelli di cui alla legge 6 marzo 1976, n. 52, a totale carico o con concorso o con contributo dello Stato, della regione o di enti pubblici territoriali, nonché con i fondi derivanti da contributi dei lavoratori ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 60, e successive modificazioni, dallo Stato, da enti pubblici territoriali, nonché dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e dai loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale”.
Ciò premesso, la Corte sottolinea che il regime di favore, di cui all’articolo 32, comma 2, del Dpr n. 601/1973, si applica agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale, che possono articolarsi con diverse modalità e che risultano prevalentemente finalizzati alla costruzione (o ristrutturazione) di alloggi destinati a soddisfare bisogni di classi sociali disagiate, con riferimento al bene primario della propria abitazione o comunque finalizzati a favorire direttamente o indirettamente la soddisfazione di tali bisogni.
In base alle disposizioni recate dagli articoli 50 e 51 della legge n. 865/1971, tali programmi devono essere realizzati nelle aree comprese nei piani di zona, se il Comune li ha già formati ovvero, in mancanza, nelle aree indicate dal Consiglio comunale, nell’ambito delle zone destinate all’edilizia residenziale dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione.
La Cassazione ha pertanto ribadito che, in ragione della natura agevolativa rivestita dall’articolo 32, che richiede una stretta interpretazione, va esclusa l’applicazione del regime di favore in esame per tutti quegli atti e contratti che, benché relativi al settore dell’edilizia economica e popolare, non riguardino in via diretta e immediata l’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale.
La Corte quindi condivide le conclusioni cui è pervenuta la competente Ctr, laddove ha negato la spettanza del regime di favore, avendo riscontrato l’estraneità di tale finalità nell’atto di compravendita oggetto di accertamento.
Al riguardo, fa notare che la cessione, in relazione alla quale il contribuente invoca l’applicazione del regime di favore, è stata posta in essere da parte di un Comune nell’ambito di un più generale piano di dismissioni pubbliche per esigenze di bilancio e non al fine di attuare un programma pubblico di edilizia residenziale.
Fonte: FiscoOggi.it
A cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò
Per la stesura del regolamento condominiale è necessaria una procura speciale, altrimenti la clausola contenuta nell’atto di acquisto è nulla per indeterminatezza dell’oggetto. Ciò è quanto stabilito dal Tribunale di Torino con la sentenza n. 297 del 21 gennaio 2021.
Nel caso in esame, gli attori chiamavano in giudizio tutti gli altri condòmini ed il condominio stesso in persona dell’amministratore pro tempore, affinché venisse accertata e dichiarata dal Tribunale la nullità del regolamento condominiale in essere.
Costituitasi in giudizio, la società costruttrice e condomina lamentava il fatto che gli attori non avessero espressamente formulato domanda di nullità della clausola contrattuale contenente il mandato alla stipula del regolamento e sul cui presupposto si fondava la domanda di nullità dello stesso.
Difatti, dagli atti di causa emergeva che il regolamento di condominio in questione fosse stato redatto dalla società costruttrice dell’edificio molti anni dopo la costituzione del condominio in forza di una clausola contenuta negli atti di compravendita immobiliare stipulati dagli attori e dagli altri condòmini. Secondo detta clausola, “l’acquirente conferisce alla società venditrice mandato irrevocabile per addivenire alla stipula di tutti gli atti di obbligo e di vincolo che venissero comunque richiesti dalle competenti autorità amministrative, nonché per addivenire al deposito del regolamento di condominio dello stabile, con le più ampie facoltà e poteri al riguardo, compresi quelli di individuare le parti comuni del fabbricato, nonché le porzioni ad uso esclusivo (ad esempio posti auto esterni), redigere le tabelle di comproprietà delle parti comuni e di concorso nelle relative spese, e compiere in genere quant’altro necessario per l’espletamento del mandato stesso, senza alcuna limitazione o riserva”.
Il Tribunale di Torino sottolineava che, una volta sorto il condominio, non è più possibile che il costruttore stili il regolamento sulla base della delega contenuta nei diversi atti di acquisto delle singole unità immobiliari.
Il Giudice piemontese, rifacendosi a costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, affermava che l’acquirente/condomino che, con il contratto di acquisto di un’unità immobiliare di un fabbricato, abbia assunto l’obbligo di rispettare il regolamento condominiale che sarà predisposto dal costruttore, non vale a conferire a quest’ultimo il potere di stilare un qualsiasi regolamento, né può comportare l’approvazione di un regolamento in quel momento inesistente, in quanto lo scopo di una clausola del genere è esclusivamente quello di richiamare nel singolo atto di acquisto il valore cogente di un regolamento già esistente (ovvero già predisposto e conosciuto), che viene richiamato per relationem, quale parte integrante del contratto di compravendita.
Nella questione sottoposta al Tribunale di Torino non veniva messa in dubbio la validità del regolamento di condominio stipulato sulla base di una procura speciale, ma la nullità del regolamento stipulato in forza di un mandato senza rappresentanza, dal contenuto generico e indeterminato. Ed è per l’eccessiva indeterminatezza della clausola contrattuale in questione che il Giudice piemontese dichiarava la nullità della stessa e del conseguente regolamento condominiale, tra l’altro, redatto diversi anni dopo la stipula dei contratti di compravendita immobiliare.
18 Marzo 2021
In base alla disciplina in vigore al momento della vicenda, la documentazione andava presentata insieme alla richiesta di autorizzazione all’inizio degli interventi antisismici
Con la risposta n. 192 del 18 marzo 2021, l’Agenzia delle entrate chiarisce un ulteriore dubbio riguardante la tempistica relativa alla presentazione della asseverazione del rischio sismico degli edifici necessaria per usufruire Sismabonus. In particolare il quesito riguarda la corretta applicazione dell’articolo 16, comma 1-quater del Dl n. 63/2013.
L’interpello è di una società che oltre all’attività principale svolge un’attività secondaria rappresentata dalla compravendita e costruzione di immobili destinati principalmente all’esercizio dell’attività principale.
L’istante, con cinque diversi rogiti, ha acquistato tra il 2017 e il 2019, alcuni edifici con lo scopo di ristrutturarli tramite demolizione e ricostruzione con ampliamento della metratura. A fine lavori il progetto prevede la realizzazione di due edifici da utilizzare nell’esercizio dell’attività di impresa della ditta.
Il permesso a costruire è stato rilasciato nel dicembre 2020.
Gli immobili in questione sono situati nella zona sismica 2 e dopo gli interventi avranno superfici più ampie e una maggiore cubatura rispetto agli edifici preesistenti.
La società ha presentato due distinte richieste di permesso a costruire nel 2019, la seconda delle quali consisteva in una variante dell’autorizzazione ricevuta nel 2018. Nel 2020, con documentazione integrativa, ha prodotto le asseverazioni attestanti il rischio sismico accertato prima dell’intervento in quanto l’opera deve essere ancora realizzata.
La società ritiene di poter usufruire del Sismabonus “ordinario” previsto dal combinato disposto degli articoli 16-bis, lettera i) del Tuir e 16 del Dl n. 63/2013, usufruendo della detrazione del 50% delle spese sostenute, nel limite di 96mila euro per ciascun immobile e per ogni anno, da suddividere in 5 quote annuali di pari importo, o delle maggiori detrazioni del 70% e 80% a seconda che vi sia la diminuzione di una o due classi di rischio.
E in relazione a tale agevolazione chiede se potrà beneficiare del Sismabonus ordinario e possa applicare la detrazione nel limite massimo di 96mila euro per ogni edificio esistente prima della demolizione.
L’Agenzia delle entrate, sulla base delle informazioni emerse dalla lettura dell’interpello, esclude che l’istante possa beneficiare dell’agevolazione.
La conclusione sfavorevole per il contribuente emerge dal quadro normativo che disciplina l’agevolazione richiamata dalla società. L’amministrazione, come di consueto, ricorda in quali casi spetta la detrazione prevista dall’articolo 16-bis del Tuir e dall’articolo 16 del Dl 63/2013.
In particolare, l’Agenzia ricorda che il decreto n. 58/2017 del Mit detta le linee guida per la determinazione del rischio sismico degli immobili e definisce e le modalità per l’attestazione, da parte di professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati. Il Dm stabilisce che chi progetta l’intervento strutturale deve asseverare la classe di rischio dell’edificio prima dei lavori e quella conseguibile a fine intervento.
In relazione al caso in esame è importante rilevare che l’articolo 3, comma 3, di tale decreto, in vigore al momento della presentazione delle richieste di permesso a costruire da parte dell’istante, prevedeva la contestuale presentazione dell’asseverazione insieme alla richiesta del titolo abilitativo.
Nel caso in esame, quindi, l’asseverazione prodotta nel 2020, successivamente alla richiesta di autorizzazione a costruire (2019 e con variante all’autorizzazione 2018), impedisce alla società di accedere al Sismabonus, come chiarito con la circolare n. 19/2020 in base a cui l’accesso all’agevolazione è precluso in caso di asseverazione tardiva.
Solo successivamente ai fatti dell’interpello è entrata in vigore la modifica prevista dal decreto Mit n. 24/2020, che ha previsto che “il progetto degli interventi per la riduzione del rischio sismico e l’asseverazione di cui al comma 2, devono essere allegati alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico competente di cui all’articolo 5 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, per i successivi adempimenti, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori”.
Tale disposizione è valida per i titoli abilitativi chiesti a partire dalla data di entrata in vigore del provvedimento (16 gennaio 2020).
In conclusione la società, non avendo allegato le previste asseverazioni alle richieste di permesso a costruire nel 2019, come variante del 2018, non può beneficiare, in base alla disciplina all’epoca vigente, del Sismabonus. La conclusione assorbe anche gli altri quesiti dell’istante.
Fonte: FiscoOggi
16 Marzo 2021
Tale requisito non sussiste per le unità che sono iscritte nel Catasto con la categoria F/3 in quanto si tratta di fabbricati ancora in corso di costruzione, esclusi, pertanto, dal beneficio
Gli appartamenti di un condominio risultanti “al grezzo” e accatastati F/3 non possono accedere al Superbonus. Nel caso di ampliamento di edificio esistente il “Super ecobonus” non si applica alla parte eccedente il volume ante-operam. Una cooperativa a proprietà divisa non potrà fruire del Superbonus in assenza della costituzione in condominio. Sono alcuni dei chiarimenti dell’Agenzia forniti rispettivamente con le risposte n. 174, n. 175 e n. 184 del 16 marzo 2021.
risposta n. 174/2021
Un condominio costituito da 5 piani fuori terra e composto da 18 appartamenti e 3 magazzini di cui 5 appartamenti che risultano “al grezzo” e accatastati nella categoria F/3 “unità in corso di costruzione”, non potrà fruire del Superbonus per gli interventi eseguiti sugli immobili F/3 in quanto non sono definibili quali unità “esistenti” di natura residenziale, ma in corso di costruzione. Viene meno infatti un requisito fondamentale per l’applicazione dell’agevolazione.
La presenza delle cinque unità immobiliari accatastate nella categoria F/3 non preclude, tuttavia, la possibilità al condominio istante di accedere al Superbonus, considerato che le restanti unità immobiliari sono diversamente accatastate e hanno natura residenziale, sempre che vengano rispettate tutte le condizioni richieste dalla normativa.
Il condominio potrà beneficiare, per gli interventi di efficientamento energetico (trainanti e trainati), della detrazione calcolata su un ammontare complessivo delle spese di importo variabile in funzione di 13 unità immobiliari, restandone escluse quelle censite come unità F/3.
risposta n. 175/2021
Per gli interventi da eseguire, in mancanza del titolo edilizio, non ancora richiesto al Comune competente, la detrazione delle relative spese è subordinata alla condizione che lo stesso titolo evidenzi che le opere consistono in un intervento di conservazione del patrimonio edilizio esistente e non in un intervento di nuova costruzione. L’intervento deve riguardare edifici o unità immobiliari “esistenti”, non essendo agevolati gli interventi realizzati in fase di nuova costruzione. A differenza del Super sismabonus, la detrazione fiscale legata al Super ecobonus non si applica alla parte eccedente il volume ante-operam. Ne consegue che, nel caso in esame, relativo ad interventi da eseguirsi su un edificio composto da 3 unità abitative e 4 unità pertinenziali di proprietà di due soggetti, sussistendo la prevalenza residenziale, si potrà accedere al Superbonus sia per gli interventi antisismici che per gli interventi di efficientamento energetico, ma per tali ultimi interventi si potrà fruire delle detrazioni per le sole spese relative alla parte esistente.
Con l’Ape, ante e post intervento, rilasciato da un tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata, deve essere dimostrato che dagli interventi realizzati derivi il miglioramento di almeno due classi energetiche o il conseguimento della classe energetica più alta. Nel caso di interventi di ristrutturazione con demolizione che includono l’ampliamento, l’Ape post operam deve essere redatto considerando l’edificio nella sua configurazione finale.
Riguardo il limite di spesa ammissibile al Superbonus si considera il numero delle unità immobiliari esistenti prima dell’inizio dei lavori. Il calcolo deve tener conto anche delle pertinenze all’interno di edifici in condominio, dovendosi escludere invece quelle collegate in un edificio diverso da quello oggetto di intervento. Nell’istanza in esame, il limite di spesa per gli interventi di Sismabonus è pari a 96mila euro per le 7 unità complessive che costituiscono l’edificio.
Quando si esegue un intervento antisismico ammesso al Superbonus sono agevolabili anche le spese di manutenzione ordinaria o straordinaria, (pareti esterne e interne, pavimenti, soffitti, impianto idraulico ed elettrico) necessarie per completare l’intervento nel suo complesso. Anche tali spese concorrono al limite dei 96mila euro per immobile, a condizione, tuttavia, che l’intervento a cui si riferiscono sia effettivamente realizzato (circolare n. 24/2020). Anche per i lavori per l’adozione di misure antisismiche vale il principio secondo cui l’intervento di categoria superiore assorbe quelli di categoria inferiore ad esso collegati. L’istante potrà beneficiare delle agevolazioni Superbonus con riferimento agli interventi di riduzione del rischio sismico in funzione del numero delle unità immobiliari di cui si compone l’edificio comprese le pertinenze, se non collocate fuori dal condominio, per un numero massimo di 7 unità. L’istante inoltre potrà beneficiare delle agevolazioni rientranti nella disciplina del Superbonus, per gli interventi di efficientamento energetico, per le sole spese relative alla parte esistente (volume ante-operam).
La circostanza che la cessione del credito avviene a favore di una società a responsabilità limitata nella quale l’istante è socio e membro del consiglio di amministrazione, infine, non è una causa ostativa alla fruizione del Superbonus nelle modalità di cui all’articolo 121 del decreto “Rilancio”.
Sono, in sintesi, le cinque soluzioni interpretative fornite dall’Agenzia delle entrate con la risposta n. 175/2021, concernenti lavori di ristrutturazione edilizia su unità A2 e C6 con demolizione e ampliamento, oltre a interventi energetici su un condominio.
risposta n. 184/2021
Una cooperativa a proprietà divisa, che vuole eseguire degli interventi di risparmio energetico, non potrà beneficiare del Superbonus, considerato che dall’istanza non emerge la costituzione di un condominio nell’accezione richiesta dalla disciplina civilistica, requisito che consente l’accesso all’agevolazione. È, in estrema sintesi, il chiarimento all’istante, che, invece, riteneva di poter rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 119 del decreto “Rilancio”, sulla base dell’equiparazione della “concessione d’uso amministrativo ai fini edilizi ed urbanistici”, in suo possesso, e il diritto di proprietà.
L’Agenzia, inoltre, ricorda che, ai sensi della lettera d), comma 9, dell’articolo 119, rientrano nell’ambito di applicazione del Superbonus le “cooperative di abitazione a proprietà indivisa, per interventi realizzati su immobili dalle stesse posseduti e assegnati in godimento ai propri soci”, fattispecie diversa dalla qualifica dell’istante come cooperativa a proprietà divisa.
Fonte: fiscoggi