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SENZA ATTESTATO DI FORMAZIONE È NULLA LA DELIBERA DI NOMINA DELL’AMMINISTRATORE

[A cura di: Mauro Simone – vice segr. naz. ALAC
La recente sentenza del Tribunale di Padova del 24 marzo scorso, ci offre lo spunto per discorrere della dibattuta questione relativa agli effetti pratici conseguenti alla pretermessa frequentazione da parte degli amministratori di condominio al corso di aggiornamento a scadenza annuale, come previsto obbligatoriamente dal Decreto del Ministero di Giustizia n. 140/14.
I giudici di merito, con la citata sentenza hanno confermato l’opinione, sin da subito espressa dalle associazioni come ALAC, che la mancata frequentazione a un corso di aggiornamento di almeno 15 ore di durata, con superamento dell’esame finale frontale, dà luogo alla nullità, radicalmente insanabile, della delibera di nomina/riconferma dell’incarico all’amministratore, per violazione di una norma imperativa di ordine pubblico.
Prevedendo che non tarderà a consolidarsi l’orientamento in parola, che con giustezza penalizza con la sanzione della nullità assoluta la deliberazione assembleare di nomina dell’amministratore non in regola con il possesso dei requisiti di legge e a rischio di dover restituire i compensi professionali oltre al ristoro dei danni su ricorso di chiunque, compresi i terzi, abbia interesse ad impugnare la delibera illegittima, ciò evidenziato si palesa necessario colmare una evidente lacuna della normativa in materia di formazione periodica.
LE COMPETENZE
Dal decisum del Tribunale di Padova si deduce l’ indefettibilità della professionalizzazione dell’amministratore. Difatti, amministrare condomini è un lavoro che richiede molte competenze e soprattutto passione, capacità di aggiornare le proprie esperienze e conoscenze. Il patrimonio edilizio immobiliare è un bene da gestire con cura, poiché incide sul benessere e sulla serenità della comunità. Per amministrare immobili e condomini è indispensabile la conoscenza di materie multidisciplinari quali: diritto, contabilità, fisco, sicurezza, manutenzioni e ristrutturazioni, certificazione energetica, risparmio energetico , etc; insomma l’amministratore deve essere un vero esperto in “scienza dell’amministrazione di beni privati”. Peraltro, la costante elaborazione di norme non sempre facilita l’interpretazione di quelle esistenti, neppure dopo la novella legislativa del 2012, rendendo il lavoro dell’amministratore molto impegnativo e in continuo divenire. Amministrare è oggi una professione a tutti gli effetti ai sensi della L.4/2013, e non più un’arte fai-da-te.
Dalla maggiore trasparenza e professionalità degli addetti nella gestione dei complessi edilizi traggono beneficio gli utenti del condominio. Il bene a cui ogni amministratore deve guardare come cartina di tornasole è l’interesse della collettività, ed è un aspetto essenziale generare valore dai beni che vengono amministrati a servizio della collettività. Amministrando con passione, competenza e aggiornando le proprie competenze si rappresentano gli interessi della collettività.
IRREGOLARITÀ
Orbene sono trascorsi circa 3 anni dall’entrata in vigore del regolamento del Ministero di Giustizia, e a sentire i colleghi di mezza Italia, una notevole percentuale di amministratori non avrebbe le carte in regola per esercitare in modo qualificato la professione, non avendo frequentato alcun corso di aggiornamento dal 2015 in avanti.
Il legislatore ha previsto che l’amministratore ogni anno aggiorni le proprie competenze in un corso con esame finale, però non ha previsto alcun criterio specifico volto alla verifica e al controllo della effettiva formazione e aggiornamento degli addetti. Questo compito è lasciato, se richiesto, ai clienti-condòmini. Ma è ben noto che i condòmini pur essendo i principali destinatari dei servizi e delle prestazioni professionali degli amministratori e pur avendo interesse a farsi amministrare da professionisti in regola con le leggi, raramente si curano di effettuare le verifiche necessarie ad accertare il possesso e la permanenza dei requisiti professionali del proprio amministratore. La realtà quotidiana registra infatti amministratori nominati o riconfermati illegittimamente, ovvero privi del possesso di attestato comprovante il superamento dell’esame finale frontale di un corso di aggiornamento preferibilmente rilasciato da una associazione iscritta nell’elenco MISE.
LE SOLUZIONI
Come si potrebbe migliorare il quadro della situazione che abbiamo sotto gli occhi, senza alcuna ricaduta sulla finanza pubblica e offrendo nel contempo garanzia e tutela sia all’utenza sia agli amministratori corretti che diligentemente curano l’aggiornamento periodico? A nostro parere in due modi abbastanza semplici e di immediata applicazione:
1) le associazioni iscritte al MISE, avendo un ruolo centrale e determinante, con responsabilità a rilevanza pubblica, dovrebbero inviare al Ministero di Giustizia, prima dell’inizio di ciascun corso di aggiornamento (o di formazione) una pec con l’elenco dei nominativi dei corsisti, allo scopo di prevenire eventuali abusi, permettendo così la possibilità di successivi controlli.
2) Gli amministratori professionisti, a loro volta, dovrebbero allegare ai verbali di assemblea di nomina e di riconferma dell’incarico, l’attestato di una associazione iscritta al MISE comprovante la formazione periodica annuale, a pena di nullità dell’incarico ricevuto.
Le proposte che precedono trovano giustificazione per la plurivoca necessità di dare certezza al mercato dei professionisti delle amministrazioni condominiali, sia per elevare lo standard di qualità delle prestazioni degli amministratori di condominio e allo scopo di incidere positivamente sugli interessi della collettività condominiale, determinando inoltre un impatto positivo sulla trasparenza delle gestioni e sulla qualità e qualificazione dell’amministratore. 

IL CONDOMINIO E LO SCHEMA DI RIFORMA DEL GIUDICE DI PACE: QUALI PROSPETTIVE

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]

Nei giorni scorsi ho tenuto una lezione sul condominio al Giudice di pace di Barra, invitato dall’avvocato Luigi Aprea, presidente della locale Associazione di avvocati, e più che le molteplici domande mi ha colpito la preoccupazione che ho potuto leggere sui volti degli astanti. Essi non si sono fatti pregare per esternare tutte le loro forti perplessità sulle conseguenze del progetto di riforma, se esso sarà approvato secondo lo schema già pubblicato. 

In primo luogo: ma l’Ufficio del Giudice di pace così come è oggi organizzato reggerà l’impatto delle decine di migliaia di procedure giudiziarie che si vanno ad aggiungere a quelle già esistenti? Quale certezza del diritto potrà essere assicurata se già adesso i tempi sono lunghi? L’assunzione di nuovi Giudici sarà l’ulteriore promessa non mantenuta di un mondo – quello giudiziario – negletto e abbandonato? Quale risultato di giustizia sarà assicurato alle questioni più spinose: vedi la volontaria giurisdizione e la sospensiva della delibera condominiale?

Non è mancato chi esprimeva il suo rammarico e chiedeva il totale ripensamento della riforma con un ritorno all’esistente ritenuto addirittura migliore del progetto pubblicato. Senza sottolineare poi la riforma della stessa figura professionale del Giudice di pace. Innanzitutto il mortificante trattamento economico di un laureato cui si richiede di svolgere un ruolo di alto profilo per competenze e professionalità. L’impressione finale era quella della dismissione/rottamazione di un ruolo, una funzione; dell’interesse del cittadino ad avere giustizia. 

Passiamo ad esaminare il contenuto formale dello schema approvato. In particolare le disposizioni che riguardano l’attribuzione delle nuove competenze al Giudice di Pace in materia condominiale.

LA RIFORMA

Nel consiglio dei ministri del 5 maggio scorso è stato approvato lo schema di decreto legislativo in materia di riforma della magistratura onoraria proposto dal Ministro della Giustizia Orlando. Il provvedimento, emanato in attuazione della legge 29 aprile 2016, n. 57, prevede anche ulteriori disposizioni sulla figura professionale del giudice di pace, sui requisiti per il reclutamento, sulla durata dell’incarico, sul corrispettivo economico, nonché una disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari già in servizio. 

Per completezza di disamina, vediamo il dato testuale di cui all’art. 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile: “Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.

La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.

Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.

Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.

La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.

Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.

Non necessita di ulteriori precisazioni che la norma ha a riferimento l’obbligatorietà della preventiva procedura di mediazione in tutte le liti condominiali. Ma per dare un criterio di definizione di lite condominiale possiamo utilizzare un criterio soggettivo? Cioè sostenere che ogni qual volta è coinvolto il condominio vi è l’obbligo della mediazione? Così non è. Al contrario, anzi, il condominio a sua volta può trovarsi in rapporti contrattuali ed extracontrattuali in maniera non dissimile dagli altri soggetti giuridici. Per cui occorre delimitare la sfera delle competenze alla luce del criterio oggettivo dato dalle disposizioni normative.

LITI CONDOMINIALI

Prima di entrare nel merito della riforma occorre fare il punto sull’attuale situazione in materia di liti condominiali, che non si limitano a quelle, sebbene frequenti, che intercorrono tra condominio e singoli proprietari delle unità immobiliari ma possono intervenire anche tra l’ente condominiale e terzi, i quali interagiscano con il primo mediante rapporti di tipo contrattuale o extracontrattuale.

Nell’ambito delle obbligazioni nascenti da contratto assumono particolare rilevanza quelle derivanti dal rapporto di lavoro con il custode dello stabile, il quale è lavoratore subordinato alle dipendenze del condominio. Ma il condominio è anche titolare di obbligazioni nei confronti del conduttore del locale di proprietà condominiale, essendo tenuto al rispetto delle norme dettate in materia di locazione; ovvero dell’impresa di pulizia con la quale ha concluso un contratto, nel qual caso saranno applicabili le norme relative al contratto di appalto; dell’impresa che fornisce l’energia elettrica al fabbricato, ed allora saranno da applicare le regole relative alla fornitura di servizi; dell’impresa che abbia acquisito il diritto di posizionare alla sommità dell’edificio antenne per i servizi di telefonia mobile ovvero di installare sulla facciata cartelloni pubblicitari.

Parimenti, in capo al condominio possono nascere obbligazioni risarcitorie derivanti da rapporti extracontrattuali. Esse, più frequentemente, deriveranno dai danni provocati dalle parti comuni a terzi per la caduta di massi e calcinacci e per la presenza, nell’ambito delle zone condominiali, di insidie e trabocchetti. Per cui saranno da applicare le norme di cui all’art. 2043 o 2051 c.c. in materia di responsabilità.

Altre ipotesi di interazione con terzi rispetto al condominio sono quelle possibili tra due fabbricati, che abbiano in comune il muro di confine o che siano stati costruiti in aderenza o, ancora, che abbiano in comune aree antistanti.

Terzi sono anche gli enti territoriali ed eventuali liti potranno derivare dallo sprofondamento della strada, che provochi danni all’edificio in condominio, dalla interruzione dei servizi, dal corretto allacciamento alle fognature, dai lavori di ristrutturazione dell’edificio.

In tutti i casi sopra evidenziati, il condominio assumerà la veste di soggetto autonomo, nell’ambito della controversia, rispetto ai singoli condòmini e sarà rappresentato dal suo amministratore.

Gli esiti del giudizio impegneranno tutti i condòmini, fatti salvi gli effetti del dissenso alle liti, di cui all’art. 1132 c.c., e della ripartizione interna in base alle tabelle millesimali. Ma non saremo in presenza di liti cd. condominiali.

Una pur breve elencazione, benché senza esaustività, aiuterà a meglio comprendere gli infiniti casi che nella realtà quotidiana possono accadere.

* Liti tra condòmini di fabbricati confinanti:

– il muro di confine;

– aree antistanti comuni (regolamento della comunione).

* Liti tra condominio ed enti territoriali:

– sprofondamento della strada;

– interruzione dei servizi;

– allacciamento alle fognature;

– lavori di ristrutturazione del fabbricato.

* Liti tra condominio e terzi (rapporti contrattuali):

– il portiere;

– il conduttore di locale condominiale;

– installazione di antenne per telefonia;

– installazione di cartelloni pubblicitari;

– l’impresa di pulizia;

– l’impresa per la fornitura dell’energia elettrica.

* Liti tra condominio e terzi (rapporti extracontrattuali):

– caduta massi e calcinacci;

– insidie e trabocchetti;

– infortuni nell’ascensore.

Saranno invece devolute al Giudice di pace e quindi definite liti condominiali:

* Liti tra condominio e condomini

* Impugnative di delibere assembleari;

* Riparto delle spese;

* Impugnative dei provvedimenti dell’amministratore

* Modifica delle tabelle millesimali;

* Riscossione dei contributi.

REVOCA AMMINISTRATORE

Un discorso a parte merita l’attribuzione ai Giudici di pace del ricorso in sede di volontaria giurisdizione per la revoca dell’amministratore. Procedimento oggi svolto in Camera di Consiglio dal Tribunale in composizione collegiale. Testualmente:

  1. 1. Alle disposizioni per l’attuazione del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) all’articolo 51-bis, le parole “528, primo comma, 529 e 530, primo comma,” e le parole “620, secondo e sesto comma, 621, primo comma,”, nonché le parole “e 736, secondo comma,” sono soppresse;
    b) dopo l’articolo 51-bis è aggiunto il seguente:
    “51-ter I provvedimenti di cui agli articoli 639, 640 e 642 del codice sono adottati dal giudice di pace.”;
    c) all’articolo 57, il primo comma è sostituito dal seguente: “Le azioni previste dall’articolo 849 del codice sono di competenza del tribunale, in quanto non siano di competenza del giudice di pace a norma dell’articolo 7, quarto comma, del codice di procedura civile.”
    d) all’articolo 57-bis, le parole: “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace”;
    e) all’articolo 59, le parole “presidente del tribunale”, ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace” e le parole “presidente della corte di appello” sono sostituite dalle seguenti: “tribunale”;
    f) dopo l’articolo 60 sono aggiunti i seguenti:
    “60-bis. Le domande previste dall’articolo 1105, terzo comma, del codice si propongono con ricorso al giudice di pace.
    60-ter . Sull’impugnazione del regolamento e delle deliberazioni, di cui agli articoli 1107 e 1109 del codice, è competente il giudice di pace.”;
    g) all’articolo 64, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1) al primo comma, le parole: “il tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “il giudice di pace”;
    2) il secondo comma è sostituito dal seguente: “Contro il provvedimento del giudice di pace può essere proposto reclamo in tribunale entro dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione.”

Per chiarire il concetto riportiamo il testo attualmente in vigore dell’art. 64 disp.att.c.c. 

“Sulla revoca dell’amministratore, nei casi indicati dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 e dal quarto comma dell’articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione”.

Per cui abbiamo che anche i casi di revoca dell’amministratore, per gravi irregolarità, sono devoluti alla competenza del giudice di pace.

Ad una prima sommaria analisi ed interpretazione letterale, sembrerebbe che invece rimangono di competenza del Tribunale tutti gli altri casi di cui al quarto comma dell’art. 1105 c.c. perché il dato normativo prevede la devoluzione solo di quelli previsti dal terzo comma e non anche di quelli previsti al IV comma dello stesso articolo. Casi oggi similmente regolati dal procedimento di volontaria giurisdizione e cioè quelli dove: “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore”.

Infatti, non ho trovato nello schema di riforma anche il riferimento a questa disposizione (art. 1105 IV comma c.c.). Per tale motivo essi dovrebbero rimanere di competenza del Tribunale e disciplinati dal procedimento in camera di consiglio come accade oggi. 

In realtà, il disposto dell’art. 1139 c.c. di rinvio alle norme sulla comunione quando nelle norme sul condominio nulla è espressamente previsto, fa si che dall’interpretazione sistematica l’art. 1105 IV c.c. comma sia invece da ritenersi una norma applicabile al condominio e dunque anche i procedimenti ivi previsti passerebbero alla competenza esclusiva del giudice di pace. Tale lettura appare la più coerente anche alla luce di un indirizzo di riforma che vuole delineare un sistema che riconduce all’unità al fine di evitare ulteriori problemi applicativi.

IMU E TASI: IL 16 GIUGNO SCADE L’ACCONTO 2017. ALIQUOTE E MODALITÀ DI PAGAMENTO

[A cura di: Andrea Cartosio – istituto nazionale tributaristi]
È fissato per il prossimo 16 giugno il termine ultimo per il versamento dell’acconto 2017 relativo alle imposte Imu e Tasi, e ad oggi non risultano novità significative da segnalare rispetto alle modalità previste per il periodo d’imposta 2016. 
Il calcolo per la corresponsione delle imposte dovute dovrà avvenire attraverso l’applicazione delle aliquote e la fruizione delle relative detrazioni, deliberate dai Comuni per l’anno di imposta precedente, ossia l’anno 2016. Ciò non implicherà il versamento di Imu e Tasi utilizzando i dati immobiliari dell’anno precedente, ma sarà necessario prendere in considerazione la situazione immobiliare per l’anno corrente 2017 considerando tutte le relative movimentazioni avvenute da inizio anno quali compravendite, locazioni agevolate, variazioni di utilizzo e così via. 
Viene concessa facoltà al contribuente di poter decidere se adempiere al pagamento delle imposte in una unica soluzione corrispondendole interamente in sede di acconto utilizzando, ove presenti, le aliquote deliberate per l’anno 2017 da parte dei Comuni ed eventualmente conguagliando la differenza con il saldo del 16 dicembre c.a.. 
MODALITÀ DI VERSAMENTO
Il versamento dovrà avvenire attraverso modello F24 con i seguenti codici tributo:
Imu:
* 3912 abitazione principale e relative pertinenze
* 3913 fabbricati rurali ad uso strumentale
* 3914 terreni
* 3916 aree fabbricabili
* 3918 altri fabbricati
Tasi:
* 3958 abitazione principale e relative pertinenze
* 3959 fabbricati rurali ad uso strumentale
* 3960 aree fabbricabili
* 3961 altri fabbricati
LE ALIQUOTE
La normativa originaria prevede che l’aliquota di base dell’Imu sia fissata nella percentuale del 0,76%, la quale può essere “movimentata” in aumento o diminuzione dai singoli Comuni con uno scostamento di 0,3 punti percentuali. Tradotto in termini numerici, potrà andare da un minimo impositivo dello 0,46% ad un massimo del 1,06%. 
Restano esenti dall’applicazione delle imposte, anche per l’anno 2017, l’abitazione principale e relative pertinenze ad eccezione dei fabbricati di lusso. L’aliquota di base, prevista dalla normativa, per la corresponsione della TASI è pari all’1‰. Viene concessa anche in questa occasione facoltà ai singoli Comuni flessibilità sull’applicazione fino a consentir loro l’azzeramento dell’imposta. 
I Comuni in sede di delibera dovranno considerare il limite imposto dalla normativa secondo cui la sommatoria delle due imposte Imu e Tasi per ciascuna tipologia di immobile non potrà essere superiore a quanto stabilito dalla legge statale al 31 dicembre 2016.
Importante ricordare che, per quanto concerne i fabbricati invenduti dalle imprese di costruzione rivolti alla vendita e non locati, pertanto esenti da Imu, è prevista l’applicazione di un’aliquota Tasi del 1 per mille che potrà essere azzerata o aumentata dai singoli Comuni sino al 2,5 per mille.

USUFRUTTO AL FIGLIO DEL NUDO PROPRIETARIO E INTERESSI PASSIVI SUL MUTUO

Se il nudo proprietario concede al figlio l’usufrutto della casa può continuare a beneficiare della detrazione degli interessi passivi relativi al mutuo? Questo l’oggetto di un quesito inviato da un contribuente alla rubrica di posta fiscale di FiscoOggi, l’organo di stampa ufficiale dell’Agenzia delle entrate. Di seguito la risposta:

Dall’imposta lorda è possibile detrarre un importo pari al 19% degli interessi passivi e relativi oneri accessori (nonché delle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione) pagati in dipendenza di un mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire, entro un anno dall’acquisto stesso, ad abitazione principale, per un importo non superiore a 4mila euro (articolo 15, comma 1, lettera b, Tuir). Il nudo proprietario che ha stipulato il contratto di mutuo per l’acquisto della piena proprietà dell’immobile, qualora ne conceda l’usufrutto al figlio può esercitare la detrazione in esame calcolandola in relazione a tutti gli interessi pagati, rapportati all’intero valore dell’immobile, sempre che risultino soddisfatte tutte le altre condizioni richieste dalla legge (circolare 20/E del 13 maggio 2011, paragrafo 1.5, come richiamata dalla circolare 7/E del 4 aprile 2017, pagina 67).

A MAGGIO 2017 PREZZI DELLE CASE ANCORA IN CALO DELLO 0,6%

[A cura di: Idealista] Secondo l’indice mensile delle case di seconda mano del portale idealista.it il prezzo delle abitazioni in Italia è sceso dello 0,6% a maggio rispetto ad aprile, a una media di 1.863 euro/m². In termini annuali il calo è del 5,7%, il che denota un trend ancora chiaramente negativo sul fronte delle quotazioni immobiliari.
L’ultima rilevazione di maggio 2017 conferma il ridimensionamento delle aspettative da parte dei proprietari dopo un primo trimestre anch’esso contrassegnato dai ribassi (-1,3%) dell’usato. 
Il rallentamento non è uniforme sul territorio nazionale, mentre sotto traccia si fa strada il processo di stabilizzazione dei valori, con i 2/3 dei centri capoluogo monitorati con variazioni comprese tra l’1% e il meno 1%. 

Regioni

In un mese contrassegnato da ribassi, il mercato registra contrazioni in 14 macroaree su 20:

nel Lazio (-1,7%) le svalutazioni maggiori, seguito da Friuli Venezia Giulia (-1,4%), Emilia Romagna (-1,2%) e Campania (-1,1%). In controtendenza, il rimbalzo maggiore è in Calabria (1,1%), timidi recuperi anche in Lombardia (0,5%) e Puglia (0,4%). 

Con una media di 2.639 euro al metro quadro, la Liguria è la regione più cara seguita da Lazio (2.487 euro/mq) e Valle d’Aosta (2.458 euro/mq). La Calabria (933 euro/mq) è la regione più economica davanti a Molise (1. 028 euro/mq) e Basilicata (1.183 euro/mq).

Province

A maggio avanzano le aree in saldo negativo – ora sono 59 contro le 54 del mese scorso -, con Rovigo (-7,8%), Trieste (-6,7%) e Verbano-Cusio-Ossola (5,5%) a comandare a graduatoria dei ribassi.

All’opposto, le il picco delle rivalutazioni provinciali si raggiunge a Macerata (5,1%), Sondrio (5%) e nel biellese (3,3%). Come per i capoluoghi province su 3 registrano variazioni minime, comprese tra l’1% e il meno 1%, segno che anche nei centri più piccoli si va verso una graduale stabilizzazione dei valori. 

Savona (3.331 euro/mq) e Bolzano (3.138 euro/mq) si mantengono in cima al ranking dei prezzi a livello provinciale. Tra Biella, fanalino di coda con 682 euro, e Rieti (988 euro/mq) troviamo altre 12 province con prezzi 1.000 euro al metro quadro (L’Aquila non è rilevabile).

Grandi città e capoluoghi

In trend negativo dei prezzi delle case si evidenzia nella maggior parte dei capoluoghi italiani, penalizzando in special modo i proprietari di Trieste (-6%), Teramo (-4,5%) e Cuneo (-4,3%). 

I capoluoghi che presentano la variazioni più sensibili a rialzo sono invece Pordenone (5,3%), Latina (4,1%) e Verona (4,3%). 

Non sono esenti dai ribassi del mese appena trascorso i grandi centri, quasi tutti in terreno negativo a maggio a eccezione di Bologna (0,9%), Bari (0,2%) e Venezia (0,2%). Torino è stabile, giù tutti gli altri capoluoghi di regione da Palermo (-0,4%), a Napoli (-1,6%), passando per i significativi cali di Roma (-1,2%) e Milano (-0,8%). 

La graduatoria dei prezzi continua a essere comandata da Venezia con i suoi 4.368 euro al metro quadro davanti a Firenze (3.421 euro/mq) e Milano (3.377 euro/mq). Ultima nella graduatoria stilata dal portale idealista è Biella (727 euro/mq) davanti a Caltanissetta (796 euro/mq) e Gorizia (831 euro/mq). L’Aquila, non è rilevabile, mentre Gorizia Isernia e Nuoro non presentano il dato della variazione tendenziale in quanto rilevate per la prima volta.

L’indice dei prezzi degli immobili di idealista

Il portale immobiliare idealista è attualmente una delle pagine web più utilizzate in Italia da privati e professionisti immobiliari per la vendita, l’acquisto e l’affitto di immobili. Con una base dati di circa 1 milione di immobili l’ufficio studi idealista realizza analisi e studi relative al prezzo delle abitazioni nel nostro Paese dal 2007. 

Per la realizzazione di quest’indice sono stati analizzati i dati di 401.420 annunci immobiliari pubblicati su idealista nel mese di maggio del 2017; questi immobili hanno superato il controllo di qualità basato su informazioni come prezzo, dimensione, distribuzione e non duplicazione.

Per permettere una sufficiente standardizzazione dei risultati sono analizzati soltanto i comuni che hanno mantenuto una media costante di 50 o più annunci di case di seconda mano in vendita, nel corso del periodo di studio. I comuni che non hanno raggiunto questa media sono stati esclusi dal campione di analisi, al pari di quelli che hanno registrato una variazione di più del 30% del numero di annunci nel periodo dato.

PROPRIETARI E PARTITE IVA: IN ARRIVO 100MILA LETTERE PER FARE PACE COL FISCO

Buone notizie per proprietari e partite Iva “onesti” che hanno bisogno di una seconda possibilità per mettersi in regola con le dichiarazioni dei redditi. In questi giorni, infatti, l’Agenzia delle entrate ha annunciato che, in questi giorni, sono in arrivo circa 100mila lettere, indirizzate ad altrettanti cittadini che, secondo i dati in possesso del Fisco, non hanno dichiarato, nel 2014, parte dei redditi percepiti l’anno precedente. Non si tratta di avvisi di accertamento, ma di semplici comunicazioni, che viaggiano via posta ordinaria o via pec, con cui l’Agenzia informa che, dall’incrocio delle informazioni presenti nelle proprie banche dati, risultano delle somme non dichiarate, in tutto o in parte. 

Come si legge nel comunicato stampa diffuso dalle Entrate, i destinatari delle lettere, tra cui per la prima volta figurano anche titolari di reddito di lavoro autonomo, potranno quindi giustificare l’anomalia o presentare una dichiarazione integrativa e mettersi in regola beneficiando delle sanzioni ridotte previste dal ravvedimento operoso. Con questa nuova tornata di comunicazioni, il Fisco continua a percorrere la strada del dialogo preventivo, con l’obiettivo di evitare che un errore o una dimenticanza possano trasformarsi, senza che il contribuente ne abbia consapevolezza, in un avviso di accertamento vero e proprio, che comporta il pagamento di sanzioni e interessi in misura piena. Novità in arrivo anche sul fronte dell’assistenza: chi riceve una di queste lettere, potrà trovare nel proprio cassetto fiscale la dichiarazione 2014, pronta da integrare sulla base di un prospetto precompilato (disponibile solo per alcuni tipi di reddito) o del prospetto di dettaglio. Potrà quindi fare le correzioni in modalità assistita, inviare l’integrativa e stampare l’F24 per versare gli importi dovuti.

L’identikit dei destinatari di questa tranche di invii

Nel dettaglio, le comunicazioni in partenza sono indirizzate a contribuenti persone fisiche e originate da anomalie relative a: 

* redditi dei fabbricati, derivanti dalla locazione di immobili, imponibili a tassazione ordinaria o soggetti a cedolare secca;

* redditi di lavoro dipendente e assimilati, compresi gli assegni periodici corrisposti dal coniuge o ex coniuge;

* redditi prodotti in forma associata derivanti dalla partecipazione in società di persone o in associazioni tra artisti e professionisti e redditi derivanti dalla partecipazione in società a responsabilità limitata in trasparenza

* redditi di capitale derivanti dalla partecipazione qualificata in società di capitali;

* redditi derivanti da lavoro autonomo abituale e professionale;

* alcuni tipi di redditi diversi e redditi derivanti da lavoro autonomo abituale e non professionale;

redditi d’impresa con riferimento alle rate annuali delle plusvalenze/sopravvenienze attive.

Prospetto precompilato e integrativa assistita, il Fisco aiuta a rimediare

Novità in arrivo per i contribuenti che ricevono una di queste comunicazioni. Non soltanto nella lettera troveranno indicati, in un dettagliato prospetto informativo, tutti gli elementi che hanno originato l’anomalia segnalata, ma un numero considerevole di contribuenti sarà indirizzato ad accedere a Fisconline per correggere la dichiarazione, direttamente online e in maniera assistita. Per la prima volta, infatti, nel cassetto fiscale sarà disponibile il link “scarica dichiarazione da integrare”, tramite il quale sarà possibile ottenere il file contenente la dichiarazione originaria presentata per il 2013. New entry nell’ottica di agevolare i cittadini anche il collegamento diretto “scarica il software di compilazione”, tramite cui i contribuenti potranno installare automaticamente il pacchetto UnicoOnLine necessario per richiamare la dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2013, importandola con l’apposita funzionalità, e integrare la dichiarazione, sulla base dei dati forniti con il prospetto di dettaglio. Per rendere il tutto ancora più semplice, nei casi in cui l’anomalia riscontrata riguarda redditi di lavoro dipendente e assegni periodici (quadro RC), redditi di partecipazione (se non è stato compilato il quadro RH) e altri redditi (se nel quadro RL del modello Unico Persone fisiche o nel quadro D del modello 730 non sono stati dichiarati redditi di capitale), verrà fornito anche il prospetto precompilato del quadro da rettificare o integrare. Una volta predisposta l’integrativa, il contribuente non dovrà far altro che inviarla e stampare l’F24 per il pagamento degli importi dovuti.

Cam e uffici pronti ad assistere i cittadini 

I cittadini che ricevono una di queste comunicazioni possono chiedere chiarimenti rivolgendosi a uno dei Centri di assistenza multicanale (Cam) dell’Agenzia, che rispondono ai numeri 848.800.444 da telefono fisso e 06.96668907 da cellulare (costo in base al piano tariffario applicato dal gestore), dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, selezionando l’opzione “servizi con operatore – comunicazione direzione centrale accertamento”. In alternativa, è possibile rivolgersi alla Direzione Provinciale di competenza o ancora a uno degli uffici territoriali della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate. Tutte le informazioni sulle lettere per la compliance sono disponibili in una nuova sezione dedicata sul sito dell’Agenzia, raggiungibile seguendo il percorso: Cosa devi fare > Compliance, controlli, contenzioso e strumenti deflativi > Attività per la promozione della compliance. 

OPZIONE CEDOLARE SECCA: COSA ACCADE SE NON SI COMUNICA

Da quando la cedolare secca è stata introdotta, ovvero dal pediodo d’imposta 2011, sono sempre di più i proprietari di immobili dati in locazione che scelgono tale opzione in alternativa al regime di tassazione ordinario.

Come noto, per non incorrere in sanzioni, la cedolare va confermata al termine del contratto di locazione. Ma, nel caso in cui ciò non avvenisse, come va versata la sanzione per la mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga della cedolare secca? Questo l’oggetto di un quesito inviato da un contribuente alla rubrica di posta fiscale di FiscoOggi: l’organo di stampa ufficiale dell’Agenzia delle Entrate. Vediamo che cosa hanno risposto:

In materia di cedolare secca, il decreto-legge collegato alla manovra di bilancio 2017 ha previsto che “la mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga del contratto non comporta la revoca dell’opzione esercitata in sede di registrazione del contratto di locazione qualora il contribuente abbia mantenuto un comportamento coerente con la volontà di optare per il regime della cedolare secca, effettuando i relativi versamenti e dichiarando i redditi da cedolare secca nel relativo quadro della dichiarazione dei redditi” (articolo 7-quater, comma 24, Dl 193/2016, che ha modificato l’articolo 3, comma 3, Dlgs 23/2011). La medesima disposizione prevede, inoltre, che “in caso di mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga, anche tacita, o alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per l’applicazione della cedolare secca, entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento, si applica la sanzione nella misura fissa pari a 100 euro, ridotta a 50 euro se la comunicazione è presentata con ritardo non superiore a 30 giorni”. La predetta sanzione deve essere pagata con il modello F24 Elide – Versamenti con elementi identificativi, utilizzando il codice tributo “1511” (cfr. risoluzione 30/E del 10 marzo 2017).

REPORT MEF/AGENZIA ENTRATE: IL 77,4% DELLE FAMIGLIE RISIEDE IN ABITAZIONI DI PROPRIETÀ

[Fonte: Agenzia delle Entrate]

Quasi 20 milioni di famiglie sono proprietarie della casa in cui abitano, il 77,4% del totale. L’abitazione vale in media nel 2014 circa 170 mila euro (1.450 /m2), valore però in calo del 2,4% rispetto al 2013. Gli italiani proprietari di un appartamento sono oltre 25,7 milioni (dipendenti e pensionati nell’81,7% dei casi) mentre i locatari sono 4,7 milioni. La superficie media di un’abitazione è pari a 117 m2. Oltre un miliardo di euro è l’ammontare delle agevolazioni fiscali erogate per quasi 3,7 milioni di interventi di ristrutturazioni, riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli edifici effettuati nel 2014. È la fotografia del patrimonio immobiliare italiano al 31 dicembre 201 4 scattata dall’Agenzia delle Entrate e dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, in collaborazione con il partner tecnologico Sogei, i cui dati sono riassunti nella sesta edizione del rapporto “Gli immobili in Italia”, presentato oggi a Roma presso Sala Polifunzionale del Mef.

Il volume analizza la distribuzione della proprietà e del patrimonio immobiliare sul territorio nazionale, in relazione alle caratteristiche sociodemografiche ed economiche dei proprietari, con approfondimenti sulla tassazione immobiliare e sulle agevolazioni fiscali per la ristrutturazione edilizia, la riqualificazione energetica e per interventi antisismici.

La casa è di proprietà

Ipotizzando che ad ogni abitazione principale corrisponda una famiglia, nel 2014 in Italia il 77,4% delle famiglie risultano proprietarie dell’abitazione in cui risiedono. Questo dato è sensibilmente più elevato al Sud e nelle Isole (82,9%), prossimo al dato nazionale al Nord (75,3%), mentre è più basso al Centro (il 73,9%).


Come gli italiani utilizzano la propria abitazione

Nel 2014 la maggior parte delle abitazioni di proprietà delle persone fisiche sono utilizzate come abitazione principale (62,6%), il 17,9% sono a disposizione (le cosiddette “seconde case”) e solo l’8,8% dello stock abitativo è dato in locazione. Un ulteriore 2,8% è rappresentato dalle abitazioni date in uso gratuito a un proprio familiare.


Il valore delle abitazioni – Nel 2014 il valore medio nazionale di un’abitazione si attesta intorno ai 170 mila euro, con un valore unitario di 1.450 /m2, in calo del 2,4% rispetto all’anno precedente. A livello regionale la variabilità è abbastanza sostenuta e va dai circa 285 mila euro in Trentino Alto Adige ai circa 82 mila euro nel Molise. Nelle 12 maggiori città italiane con popolazione oltre i 250.000 abitanti, il valore medio delle abitazioni si è ridotto quasi ovunque, con un deciso calo a Torino (-11,4%). Le uniche variazioni positive si osservano a Milano (+4,5%) e, in maniera più contenuta, a Venezia (+0,9%). Per quanto riguarda invece le pertinenze, una cantina vale in media circa 6mila euro, mentre un box/posto auto vale circa 22mila euro.


Roma, Milano e Napoli – Lo studio analizza, in dettaglio, anche la situazione immobiliare nelle tre principali metropoli italiane. A Roma sono circa 900 mila le famiglie proprietarie della casa di residenza, quasi il 65% del totale. A Napoli e Milano la quota è più contenuta, 62% e 58% rispettivamente. A Roma la superficie media di un’abitazione è pari a 103 m2, con un valore medio di circa 354 mila euro (3.448 /m2); a Milano è di 88 m2, con un valore medio di circa 269 mila euro (3.058 /m2); a Napoli la superficie media di un’abitazione è 102 m2, per un valore medio di circa 250 mila euro (2.458 /m2).

L’identikit del proprietario…

Nel 2014, dei 40,7 milioni di contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi, oltre 25,7 milioni (il 63,2% del totale dei contribuenti) sono risultati proprietari di immobili o di quote immobiliari. I lavoratori dipendenti e i pensionati costituiscono l’81,7% dei proprietari: più della metà dei proprietari risiede al Nord (50,7%), il 23,1% al Centro e il 26,2% al Sud e nelle Isole. Le donne proprietarie di abitazioni sono circa 886 mila in meno degli uomini, ma il valore delle loro abitazioni è maggiore, nonostante il reddito imponibile sia nettamente inferiore. In crescita sono, invece, i proprietari senza figli a carico, che rappresentano il 76,6% del totale. Infine, i proprietari con età inferiore ai 35 anni rappresentano il 9% della popolazione, quelli con età superiore ai 65 anni sono il 32,6%, mentre quelli di età compresa fra i 35 e i 65 anni sono il 58,4%.

…e del locatore 

Complessivamente nel 2014 gli individui locatori di immobili, in Italia, sono 4,7 milioni, con un aumento di circa il 4,1% rispetto al 2012. Il canone annuo medio rimane invariato (circa 9,7 mila euro). Il 34,9% dei locatori (quasi 1,7 milioni) ha un’età compresa tra 51 a 70 anni, seguono i proprietari con età compresa tra 31 e 50 anni (il 23,1%) e gli ultrasettantenni (il 22,2%), mentre i locatori con meno di 30 anni sono il 2,4% del totale. Nel 2013, gli immobili locati a uso abitativo assoggettati a tassazione ordinaria erano il 61% circa, quelli con cedolare secca ordinaria il 34% e quelli con cedolare secca ad aliquota ridotta il 5%.

DAL 2016 LA TASSAZIONE SULLA CASA È DIMINUITA DI 4,4 MILIARDI 

Dal 2016 il prelievo sugli immobili si è ridotto di 4,4 miliardi di cui 3,6 miliardi riferibili all’abolizione della Tasi sulle abitazioni principali non di lusso. Ne hanno beneficiato 19,5 milioni di contribuenti (per il 75% lavoratori dipendenti e pensionati) per un risparmio medio pro capite di 175 euro annui L’Imu versata nel 2016 è pari a 18,8 miliardi e la Tasi sui servizi indivisibili a 1,1 miliardi, per un totale di 19,9 miliardi di euro di gettito complessivo Imu/Tasi. La composizione percentuale del gettito complessivo mostra che, nel 2016, del totale del prelievo

sugli immobili circa il 48% delle entrate deriva dall’Imu e solo il 3% dalla Tasi, per effetto dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sulle abitazioni principali. Il gettito da imposte di natura reddituale è pari al 21% del totale ed è in gran parte attribuibile all’Irpef (14% del totale) e alla cedolare secca sulle locazioni abitative (5%), il cui gettito cresce di anno in anno. L’Iva sulle compravendite di immobili rappresenta il 13% delle entrate complessive, mentre le imposte di registro e bollo costituiscono il 7% del totale.


Le agevolazioni fiscali per ristrutturazioni e riqualificazione energetica

Nel periodo 2005-2014 sono stati effettuati complessivamente 17,1 milioni di interventi per il recupero del patrimonio edilizio, con un ammontare di spesa totale pari a 94,3 miliardi di euro circa e una spesa media per opera pari a 5,5 mila euro. In particolare, nell’anno di imposta 2014, i contribuenti che hanno riportato in dichiarazione spese per ristrutturazione edilizia, sono 7,6 milioni. La detrazione media è pari a circa 542 euro per contribuente. Gli immobili su cui sono stati effettuati interventi di ristrutturazione sono 719,8 mila e la spesa media maggiore (10,6 mila euro) è sostenuta per gli immobili situati nei piccolissimi Comuni (fino a 5 mila abitanti). Riguardo al genere, i contribuenti di genere maschile che hanno dichiarato lavori di ristrutturazione sono 4,4 milioni, mentre le donne solo 3,2 milioni. La spesa media è di 13,2 mila euro per gli uomini e 11,3mila euro per le donne, mentre le detrazioni medie sono pari a 578 euro per gli uomini e 492 euro per le donne. Dal 2008 al 2014 sono stati effettuati 2,7 milioni di interventi di riqualificazione energetica, per una spesa totale pari a 19,3 miliardi di euro e una spesa media di 7,2 mila euro. Il 61,7% dei soggetti che richiedono una detrazione sono di sesso maschile e spendono in media 11,4 mila euro, contro i 9,2 mila euro di spesa dei contribuenti di genere femminile. Per entrambe le tipologie di bonus, la distribuzione per classi di età evidenzia che il numero massimo di lavori è sostenuto da contribuenti con più di 60 anni.


Le agevolazioni per interventi antisismici e messa in sicurezza degli edifici

Da agosto 2013, data di introduzione dell’agevolazione fiscale, a dicembre 2014 sono stati effettuati oltre 45 mila interventi relativi all’adozione di misure antisismiche. L’ammontare totale di spesa per questa categoria di opere è pari a oltre 300 milioni di euro e la spesa media è di circa 6,7 mila euro. Per questi interventi sono state richieste detrazioni per un importo totale pari a circa 19,7 milioni di euro, cui corrisponde un beneficio fiscale medio pari a 435 euro. I beneficiari sono, nella maggior parte dei casi, di genere maschile (61%) e spendono in media più delle donne (8,7 mila euro, contro i 7,3 mila euro circa spesi dalle donne): di conseguenza beneficiano di una detrazione più elevata (568 euro contro i 476 euro per le donne). Con riferimento alla classe di età, il numero maggiore di beneficiari si registra nelle classi tra i 30 e i 45 anni e oltre i 60 anni (rispettivamente 14,7 mila e 12,8 mila contribuenti).

Ulteriori approfondimenti – Il volume Gli immobili in Italia è disponibile gratuitamente in forma digitale sul sito www.agenziaentrate.gov.it, nella sezione
l’Agenzia comunica > prodotti editoriali > Pubblicazioni su catasto, cartografia e
mercato immobiliare, e sul sito www.finanze.gov.it, in > Dati e statistiche fiscali > Gli immobili in Italia.


SCHERMATURE SOLARI: LE ENTRATE CONFERMANO BONUS 2017

In periodo scadenze e dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle entrate torna ad occuparsi di agevolazioni Irpef per i contribuenti, rispondendo ad un quesito di carattere fiscale, nell’ambito della rubrica di posta fiscale di FiscoOggi (organo di stampa ufficiale dell’Agenzia). 

In particolare, il contribuente chiede se anche per le spese sostenute nel 2017 sia ammessa la detrazione Irpef del 65% per l’installazione di schermature solari.


Ecco la risposta: “Si ha diritto alla detrazione Irpef per interventi di efficienza energetica, nella misura del 65%, anche con riferimento alle spese (documentate e rimaste a carico del contribuente) sostenute per l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari. Sono agevolabili le spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2017, fino a un valore massimo della detrazione di 60mila euro (articolo 14, comma 2, lettera b), Dl 63/2013, come modificato dall’articolo 1, comma 2, lettera a, legge 232/2016). Si ricorda che è agevolabile l’installazione dei sistemi di schermatura solare di cui all’Allegato M al Dlgs 311/2006, in possesso di marcatura CE (se prevista) e che rispettano le leggi e le normative nazionali e locali in tema di sicurezza e di efficienza energetica. La detrazione spetta per le spese sostenute per la fornitura e la posa in opera delle varie tipologie di schermature e per le opere, anche murarie, eventualmente necessarie per la posa in opera. In ogni caso, sono comprese tra le spese detraibili anche quelle relative alle prestazioni professionali necessarie alla realizzazione dell’intervento (cfr circolare n. 7/E del 4 aprile 2017, pagina 260)”.

LA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DI CONDOMINIO: POTERI E DOVERI

[A cura di: avv. Andrea Marostica – andrea.marostica@studiomarostica.com]

L’assemblea è il centro decisionale del condominio. Il codice civile non ne dà una definizione, la quale dunque dipende dalla qualificazione giuridica di condominio che si intenda abbracciare: sommatoria dei diritti dei singoli partecipanti o ente dotato di personalità giuridica. Nel primo caso l’assemblea si configura come semplice insieme dei condomini, nel secondo caso come organo dell’ente. La disciplina codicistica, come detto, omette la definizione di assemblea, ma è molto dettagliata nel descrivere la casistica relativa alla sua convocazione, sotto il profilo dei soggetti che vi possono o vi devono provvedere. Tale casistica è sparsa in più disposizioni; qui se ne propone una esposizione condotta sulla base dei criteri logici del tipo di assemblea e del soggetto convocante e della sua posizione soggettiva (potere, dovere).

ASSEMBLEA ORDINARIA E STRAORDINARIA

È anzitutto opportuno soffermarsi sulle nozioni di “assemblea ordinaria” ed “assemblea straordinaria”. L’art. 66, co. 1, disp. att. cod. civ. distingue infatti tra assemblea convocata “in via ordinaria” ed “in via straordinaria”. L’assemblea ordinaria è quella convocata annualmente per le deliberazioni indicate dall’art. 1135 cod. civ., vale a dire: 1) la conferma dell’amministratore e la sua retribuzione; 2) l’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e la relativa ripartizione tra i condomini; 3) l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e l’impiego del residuo attivo della gestione; 4) le opere di manutenzione straordinaria e le innovazioni. L’assemblea straordinaria è quella convocata quando se ne presenti la necessità.

L’unica differenza tra i due tipi di assemblea risiede nei soggetti convocanti. Infatti, mentre l’assemblea ordinaria può (e deve) essere convocata soltanto dall’amministratore, quella straordinaria può essere convocata anche dai condomini.

In merito all’assenza di ulteriori differenze, si legga la massima di Cass. Civ. 1984/3456: “Ai fini della validità di una deliberazione di assemblea condominiale, è privo di qualunque rilievo il fatto che la delibera impugnata sia stata adottata in un’assemblea straordinaria piuttosto che in un’assemblea ordinaria, o viceversa, giacché non esistono, tra le competenze di questi due tipi di assemblee, differenze di sorta, né sono previsti differenti quorum per la legale costituzione delle assemblee medesime, l’assemblea straordinaria essendo menzionata, in opposizione a quella ordinaria, dall’art. 66 disp. attuaz. c.c., soltanto per disporre che l’assemblea ordinaria deve essere convocata annualmente, a differenza di quella straordinaria, che è convocata in qualsiasi momento in caso di necessità”.

L’assenza di ulteriori differenze è ribadita dalla irrilevanza, quanto alla validità delle delibere adottate, della correttezza dell’indicazione “ordinaria” o “straordinaria” nella convocazione dell’assemblea. Si legga la massima di Cass. Civ. 1975/2050: “Allorchè tutti i condomini di un edificio abbiano avuto tempestiva comunicazione della convocazione dell’assemblea e degli argomenti all’ordine del giorno, non ha rilevanza, al fine della validità delle delibere adottate, l’esattezza o meno dell’indicazione dell’assemblea, nell’avviso di convocazione, come ordinaria o straordinaria; tale distinzione, infatti, non ha altra giustificazione che quella di stabilire l’annualità ed obbligatorietà della prima, per la retta amministrazione del condominio, e l’eventualità e non periodicità della seconda, ma non attribuisce all’una od all’altra alcuna particolare natura o funzione”.

La convocazione dell’assemblea ordinaria

Soltanto l’amministratore ha il potere di convocare l’assemblea ordinaria; nessun potere spetta in tal senso ai condomini. La convocazione dell’assemblea ordinaria, oltre che un potere, è per l’amministratore un dovere (art. 1130, co. 1, n. 1, cod. civ.), la cui mancata osservanza costituisce grave irregolarità (art. 1129, co. 12, n. 1, cod. civ.) la quale è motivo di revoca giudiziale (art. 1129, co. 11, cod. civ.).

Nel caso in cui l’amministratore non vi sia, l’assemblea ordinaria può essere convocata da ciascun condomino (art. 66, co. 2, disp. att. cod. civ.).

Nel caso in cui l’amministratore cessi dall’incarico a causa della perdita dei requisiti indicati dall’art. 71 bis, co. 4, disp. att. cod. civ., l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore può essere convocata da ciascun condomino senza formalità.

Si noti una differenza nelle ultime due ipotesi in ordine alle “formalità” della convocazione: nella seconda (amministratore cessato per perdita dei requisiti) si precisa che il singolo condomino può convocare l’assemblea senza formalità, mentre nella prima (amministratore mancante) nulla viene precisato. Ora, se risulta evidente che nella prima ipotesi il condomino convocante dovrà osservare tutte le disposizioni in materia di convocazione (come modalità e termini), rimane il dubbio circa l’esatta portata dell’assenza di formalità della seconda ipotesi. In dottrina (V. Nasini, L’amministratore, in Il nuovo condominio a cura di R. Triola, p. 760, Torino, 2013) l’inciso in parola è stato ritenuto “previsione nebulosa e suscettibile di abusi e utilizzazioni strumentali, nonché foriera di rilevante contenzioso”.

La convocazione dell’assemblea straordinaria

Per quanto attiene all’assemblea straordinaria, la casistica è più articolata rispetto a quella ordinaria, potendosi suddividere le ipotesi di convocazione, a seconda del soggetto convocante, come segue: 1) quando l’amministratore ha il potere di convocarla; 2) quando l’amministratore ha il dovere di convocarla; 3) quando l’amministratore ha il dovere di convocarla su richiesta dei condomini; 4) quando più condomini insieme hanno il potere di convocarla; 5) quando il singolo condomino ha il potere di convocarla (mancanza dell’amministratore).

1) L’amministratore ha il potere di convocare l’assemblea straordinaria ogniqualvolta lo ritenga necessario (art. 66, co. 1, disp. att. cod. civ.).

2) L’amministratore ha il dovere di convocare l’assemblea straordinaria nei seguenti casi (A. Celeste, L’assemblea, in A. Celeste, A. Scarpa, Il condominio negli edifici, p. 356, Milano, 2017):

– quando abbia ricevuto una citazione o un provvedimento che esorbita dalle sue attribuzioni, per darne senza indugio notizia ai condomini (art. 1131, co. 3, cod. civ.);

– quando abbia ordinato lavori di manutenzione straordinaria che rivestono carattere urgente, per riferirne nella prima assemblea (art. 1135, co. 2, cod. civ.).

3) L’amministratore ha il dovere di convocare l’assemblea straordinaria su richiesta dei condomini nei seguenti casi:

– quando ne facciano richiesta almeno due condomini rappresentanti un sesto del valore dell’edificio, per deliberare su qualsiasi materia (art. 66, co. 1, disp. att. cod. civ.);

– quando ne faccia richiesta anche un solo condomino, per deliberare, nel caso siano emerse gravi irregolarità fiscali o nel caso di mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale, la cessazione della violazione e la revoca dell’amministratore (art. 1129, co. 11, cod. civ.);

– quando ne faccia richiesta anche un solo condomino, per deliberare una innovazione vista favorevolmente dal legislatore, ovvero una di quelle indicate dall’art. 1120, co. 2, cod. civ. (art. 1120, co. 3, cod. civ.);

– quando ne faccia richiesta anche un solo condomino, per deliberare sulla rettifica o modifica delle tabelle millesimali quando vi sia errore o alterazione, a seguito di mutamento delle condizioni dell’edificio, per più di un quinto del valore proporzionale di anche una sola unità immobiliare (art. 69, co. 1, disp. att. cod. civ.);

– quando ne faccia richiesta anche un solo condomino, per deliberare, nel caso di attività che incidono negativamente ed in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, la cessazione della violazione (art. 1117 quater cod. civ.).

4) Più condomini insieme hanno il potere di convocare l’assemblea straordinaria in questo caso: se almeno due proprietari rappresentanti un sesto del valore dell’edificio abbiano fatto richiesta all’amministratore di convocare l’assemblea straordinaria e questi non abbia provveduto, decorsi dieci giorni dalla richiesta i suddetti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione.

5) Il singolo condomino ha il potere di convocare l’assemblea straordinaria nel caso in cui l’amministratore non vi sia (art. 66, co. 2, disp. att. cod. civ.). Si ripete qui quando detto sopra a proposito delle formalità che devono essere osservate.