[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
Nei giorni scorsi ho tenuto una lezione sul condominio al Giudice di pace di Barra, invitato dall’avvocato Luigi Aprea, presidente della locale Associazione di avvocati, e più che le molteplici domande mi ha colpito la preoccupazione che ho potuto leggere sui volti degli astanti. Essi non si sono fatti pregare per esternare tutte le loro forti perplessità sulle conseguenze del progetto di riforma, se esso sarà approvato secondo lo schema già pubblicato.
In primo luogo: ma l’Ufficio del Giudice di pace così come è oggi organizzato reggerà l’impatto delle decine di migliaia di procedure giudiziarie che si vanno ad aggiungere a quelle già esistenti? Quale certezza del diritto potrà essere assicurata se già adesso i tempi sono lunghi? L’assunzione di nuovi Giudici sarà l’ulteriore promessa non mantenuta di un mondo – quello giudiziario – negletto e abbandonato? Quale risultato di giustizia sarà assicurato alle questioni più spinose: vedi la volontaria giurisdizione e la sospensiva della delibera condominiale?
Non è mancato chi esprimeva il suo rammarico e chiedeva il totale ripensamento della riforma con un ritorno all’esistente ritenuto addirittura migliore del progetto pubblicato. Senza sottolineare poi la riforma della stessa figura professionale del Giudice di pace. Innanzitutto il mortificante trattamento economico di un laureato cui si richiede di svolgere un ruolo di alto profilo per competenze e professionalità. L’impressione finale era quella della dismissione/rottamazione di un ruolo, una funzione; dell’interesse del cittadino ad avere giustizia.
Passiamo ad esaminare il contenuto formale dello schema approvato. In particolare le disposizioni che riguardano l’attribuzione delle nuove competenze al Giudice di Pace in materia condominiale.
LA RIFORMA
Nel consiglio dei ministri del 5 maggio scorso è stato approvato lo schema di decreto legislativo in materia di riforma della magistratura onoraria proposto dal Ministro della Giustizia Orlando. Il provvedimento, emanato in attuazione della legge 29 aprile 2016, n. 57, prevede anche ulteriori disposizioni sulla figura professionale del giudice di pace, sui requisiti per il reclutamento, sulla durata dell’incarico, sul corrispettivo economico, nonché una disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari già in servizio.
Per completezza di disamina, vediamo il dato testuale di cui all’art. 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile: “Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.
La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.
Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.
Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.
La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.
Non necessita di ulteriori precisazioni che la norma ha a riferimento l’obbligatorietà della preventiva procedura di mediazione in tutte le liti condominiali. Ma per dare un criterio di definizione di lite condominiale possiamo utilizzare un criterio soggettivo? Cioè sostenere che ogni qual volta è coinvolto il condominio vi è l’obbligo della mediazione? Così non è. Al contrario, anzi, il condominio a sua volta può trovarsi in rapporti contrattuali ed extracontrattuali in maniera non dissimile dagli altri soggetti giuridici. Per cui occorre delimitare la sfera delle competenze alla luce del criterio oggettivo dato dalle disposizioni normative.
LITI CONDOMINIALI
Prima di entrare nel merito della riforma occorre fare il punto sull’attuale situazione in materia di liti condominiali, che non si limitano a quelle, sebbene frequenti, che intercorrono tra condominio e singoli proprietari delle unità immobiliari ma possono intervenire anche tra l’ente condominiale e terzi, i quali interagiscano con il primo mediante rapporti di tipo contrattuale o extracontrattuale.
Nell’ambito delle obbligazioni nascenti da contratto assumono particolare rilevanza quelle derivanti dal rapporto di lavoro con il custode dello stabile, il quale è lavoratore subordinato alle dipendenze del condominio. Ma il condominio è anche titolare di obbligazioni nei confronti del conduttore del locale di proprietà condominiale, essendo tenuto al rispetto delle norme dettate in materia di locazione; ovvero dell’impresa di pulizia con la quale ha concluso un contratto, nel qual caso saranno applicabili le norme relative al contratto di appalto; dell’impresa che fornisce l’energia elettrica al fabbricato, ed allora saranno da applicare le regole relative alla fornitura di servizi; dell’impresa che abbia acquisito il diritto di posizionare alla sommità dell’edificio antenne per i servizi di telefonia mobile ovvero di installare sulla facciata cartelloni pubblicitari.
Parimenti, in capo al condominio possono nascere obbligazioni risarcitorie derivanti da rapporti extracontrattuali. Esse, più frequentemente, deriveranno dai danni provocati dalle parti comuni a terzi per la caduta di massi e calcinacci e per la presenza, nell’ambito delle zone condominiali, di insidie e trabocchetti. Per cui saranno da applicare le norme di cui all’art. 2043 o 2051 c.c. in materia di responsabilità.
Altre ipotesi di interazione con terzi rispetto al condominio sono quelle possibili tra due fabbricati, che abbiano in comune il muro di confine o che siano stati costruiti in aderenza o, ancora, che abbiano in comune aree antistanti.
Terzi sono anche gli enti territoriali ed eventuali liti potranno derivare dallo sprofondamento della strada, che provochi danni all’edificio in condominio, dalla interruzione dei servizi, dal corretto allacciamento alle fognature, dai lavori di ristrutturazione dell’edificio.
In tutti i casi sopra evidenziati, il condominio assumerà la veste di soggetto autonomo, nell’ambito della controversia, rispetto ai singoli condòmini e sarà rappresentato dal suo amministratore.
Gli esiti del giudizio impegneranno tutti i condòmini, fatti salvi gli effetti del dissenso alle liti, di cui all’art. 1132 c.c., e della ripartizione interna in base alle tabelle millesimali. Ma non saremo in presenza di liti cd. condominiali.
Una pur breve elencazione, benché senza esaustività, aiuterà a meglio comprendere gli infiniti casi che nella realtà quotidiana possono accadere.
* Liti tra condòmini di fabbricati confinanti:
– il muro di confine;
– aree antistanti comuni (regolamento della comunione).
* Liti tra condominio ed enti territoriali:
– sprofondamento della strada;
– interruzione dei servizi;
– allacciamento alle fognature;
– lavori di ristrutturazione del fabbricato.
* Liti tra condominio e terzi (rapporti contrattuali):
– il portiere;
– il conduttore di locale condominiale;
– installazione di antenne per telefonia;
– installazione di cartelloni pubblicitari;
– l’impresa di pulizia;
– l’impresa per la fornitura dell’energia elettrica.
* Liti tra condominio e terzi (rapporti extracontrattuali):
– caduta massi e calcinacci;
– insidie e trabocchetti;
– infortuni nell’ascensore.
Saranno invece devolute al Giudice di pace e quindi definite liti condominiali:
* Liti tra condominio e condomini
* Impugnative di delibere assembleari;
* Riparto delle spese;
* Impugnative dei provvedimenti dell’amministratore
* Modifica delle tabelle millesimali;
* Riscossione dei contributi.
REVOCA AMMINISTRATORE
Un discorso a parte merita l’attribuzione ai Giudici di pace del ricorso in sede di volontaria giurisdizione per la revoca dell’amministratore. Procedimento oggi svolto in Camera di Consiglio dal Tribunale in composizione collegiale. Testualmente:
Per chiarire il concetto riportiamo il testo attualmente in vigore dell’art. 64 disp.att.c.c.
“Sulla revoca dell’amministratore, nei casi indicati dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 e dal quarto comma dell’articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione”.
Per cui abbiamo che anche i casi di revoca dell’amministratore, per gravi irregolarità, sono devoluti alla competenza del giudice di pace.
Ad una prima sommaria analisi ed interpretazione letterale, sembrerebbe che invece rimangono di competenza del Tribunale tutti gli altri casi di cui al quarto comma dell’art. 1105 c.c. perché il dato normativo prevede la devoluzione solo di quelli previsti dal terzo comma e non anche di quelli previsti al IV comma dello stesso articolo. Casi oggi similmente regolati dal procedimento di volontaria giurisdizione e cioè quelli dove: “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore”.
Infatti, non ho trovato nello schema di riforma anche il riferimento a questa disposizione (art. 1105 IV comma c.c.). Per tale motivo essi dovrebbero rimanere di competenza del Tribunale e disciplinati dal procedimento in camera di consiglio come accade oggi.
In realtà, il disposto dell’art. 1139 c.c. di rinvio alle norme sulla comunione quando nelle norme sul condominio nulla è espressamente previsto, fa si che dall’interpretazione sistematica l’art. 1105 IV c.c. comma sia invece da ritenersi una norma applicabile al condominio e dunque anche i procedimenti ivi previsti passerebbero alla competenza esclusiva del giudice di pace. Tale lettura appare la più coerente anche alla luce di un indirizzo di riforma che vuole delineare un sistema che riconduce all’unità al fine di evitare ulteriori problemi applicativi.
Se il nudo proprietario concede al figlio l’usufrutto della casa può continuare a beneficiare della detrazione degli interessi passivi relativi al mutuo? Questo l’oggetto di un quesito inviato da un contribuente alla rubrica di posta fiscale di FiscoOggi, l’organo di stampa ufficiale dell’Agenzia delle entrate. Di seguito la risposta:
Dall’imposta lorda è possibile detrarre un importo pari al 19% degli interessi passivi e relativi oneri accessori (nonché delle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione) pagati in dipendenza di un mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire, entro un anno dall’acquisto stesso, ad abitazione principale, per un importo non superiore a 4mila euro (articolo 15, comma 1, lettera b, Tuir). Il nudo proprietario che ha stipulato il contratto di mutuo per l’acquisto della piena proprietà dell’immobile, qualora ne conceda l’usufrutto al figlio può esercitare la detrazione in esame calcolandola in relazione a tutti gli interessi pagati, rapportati all’intero valore dell’immobile, sempre che risultino soddisfatte tutte le altre condizioni richieste dalla legge (circolare 20/E del 13 maggio 2011, paragrafo 1.5, come richiamata dalla circolare 7/E del 4 aprile 2017, pagina 67).
Da quando la cedolare secca è stata introdotta, ovvero dal pediodo d’imposta 2011, sono sempre di più i proprietari di immobili dati in locazione che scelgono tale opzione in alternativa al regime di tassazione ordinario.
Come noto, per non incorrere in sanzioni, la cedolare va confermata al termine del contratto di locazione. Ma, nel caso in cui ciò non avvenisse, come va versata la sanzione per la mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga della cedolare secca? Questo l’oggetto di un quesito inviato da un contribuente alla rubrica di posta fiscale di FiscoOggi: l’organo di stampa ufficiale dell’Agenzia delle Entrate. Vediamo che cosa hanno risposto:
In materia di cedolare secca, il decreto-legge collegato alla manovra di bilancio 2017 ha previsto che “la mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga del contratto non comporta la revoca dell’opzione esercitata in sede di registrazione del contratto di locazione qualora il contribuente abbia mantenuto un comportamento coerente con la volontà di optare per il regime della cedolare secca, effettuando i relativi versamenti e dichiarando i redditi da cedolare secca nel relativo quadro della dichiarazione dei redditi” (articolo 7-quater, comma 24, Dl 193/2016, che ha modificato l’articolo 3, comma 3, Dlgs 23/2011). La medesima disposizione prevede, inoltre, che “in caso di mancata presentazione della comunicazione relativa alla proroga, anche tacita, o alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per l’applicazione della cedolare secca, entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento, si applica la sanzione nella misura fissa pari a 100 euro, ridotta a 50 euro se la comunicazione è presentata con ritardo non superiore a 30 giorni”. La predetta sanzione deve essere pagata con il modello F24 Elide – Versamenti con elementi identificativi, utilizzando il codice tributo “1511” (cfr. risoluzione 30/E del 10 marzo 2017).
[Fonte: Agenzia delle Entrate]
Quasi 20 milioni di famiglie sono proprietarie della casa in cui abitano, il 77,4% del totale. L’abitazione vale in media nel 2014 circa 170 mila euro (1.450 €/m2), valore però in calo del 2,4% rispetto al 2013. Gli italiani proprietari di un appartamento sono oltre 25,7 milioni (dipendenti e pensionati nell’81,7% dei casi) mentre i locatari sono 4,7 milioni. La superficie media di un’abitazione è pari a 117 m2. Oltre un miliardo di euro è l’ammontare delle agevolazioni fiscali erogate per quasi 3,7 milioni di interventi di ristrutturazioni, riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli edifici effettuati nel 2014. È la fotografia del patrimonio immobiliare italiano al 31 dicembre 201 4 scattata dall’Agenzia delle Entrate e dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, in collaborazione con il partner tecnologico Sogei, i cui dati sono riassunti nella sesta edizione del rapporto “Gli immobili in Italia”, presentato oggi a Roma presso Sala Polifunzionale del Mef.
Il volume analizza la distribuzione della proprietà e del patrimonio immobiliare sul territorio nazionale, in relazione alle caratteristiche sociodemografiche ed economiche dei proprietari, con approfondimenti sulla tassazione immobiliare e sulle agevolazioni fiscali per la ristrutturazione edilizia, la riqualificazione energetica e per interventi antisismici.
La casa è di proprietà
Ipotizzando che ad ogni abitazione principale corrisponda una famiglia, nel 2014 in Italia il 77,4% delle famiglie risultano proprietarie dell’abitazione in cui risiedono. Questo dato è sensibilmente più elevato al Sud e nelle Isole (82,9%), prossimo al dato nazionale al Nord (75,3%), mentre è più basso al Centro (il 73,9%).
Come gli italiani utilizzano la propria abitazione
Nel 2014 la maggior parte delle abitazioni di proprietà delle persone fisiche sono utilizzate come abitazione principale (62,6%), il 17,9% sono a disposizione (le cosiddette “seconde case”) e solo l’8,8% dello stock abitativo è dato in locazione. Un ulteriore 2,8% è rappresentato dalle abitazioni date in uso gratuito a un proprio familiare.
Il valore delle abitazioni – Nel 2014 il valore medio nazionale di un’abitazione si attesta intorno ai 170 mila euro, con un valore unitario di 1.450 €/m2, in calo del 2,4% rispetto all’anno precedente. A livello regionale la variabilità è abbastanza sostenuta e va dai circa 285 mila euro in Trentino Alto Adige ai circa 82 mila euro nel Molise. Nelle 12 maggiori città italiane con popolazione oltre i 250.000 abitanti, il valore medio delle abitazioni si è ridotto quasi ovunque, con un deciso calo a Torino (-11,4%). Le uniche variazioni positive si osservano a Milano (+4,5%) e, in maniera più contenuta, a Venezia (+0,9%). Per quanto riguarda invece le pertinenze, una cantina vale in media circa 6mila euro, mentre un box/posto auto vale circa 22mila euro.
Roma, Milano e Napoli – Lo studio analizza, in dettaglio, anche la situazione immobiliare nelle tre principali metropoli italiane. A Roma sono circa 900 mila le famiglie proprietarie della casa di residenza, quasi il 65% del totale. A Napoli e Milano la quota è più contenuta, 62% e 58% rispettivamente. A Roma la superficie media di un’abitazione è pari a 103 m2, con un valore medio di circa 354 mila euro (3.448 €/m2); a Milano è di 88 m2, con un valore medio di circa 269 mila euro (3.058 €/m2); a Napoli la superficie media di un’abitazione è 102 m2, per un valore medio di circa 250 mila euro (2.458 €/m2).
L’identikit del proprietario…
Nel 2014, dei 40,7 milioni di contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi, oltre 25,7 milioni (il 63,2% del totale dei contribuenti) sono risultati proprietari di immobili o di quote immobiliari. I lavoratori dipendenti e i pensionati costituiscono l’81,7% dei proprietari: più della metà dei proprietari risiede al Nord (50,7%), il 23,1% al Centro e il 26,2% al Sud e nelle Isole. Le donne proprietarie di abitazioni sono circa 886 mila in meno degli uomini, ma il valore delle loro abitazioni è maggiore, nonostante il reddito imponibile sia nettamente inferiore. In crescita sono, invece, i proprietari senza figli a carico, che rappresentano il 76,6% del totale. Infine, i proprietari con età inferiore ai 35 anni rappresentano il 9% della popolazione, quelli con età superiore ai 65 anni sono il 32,6%, mentre quelli di età compresa fra i 35 e i 65 anni sono il 58,4%.
…e del locatore
Complessivamente nel 2014 gli individui locatori di immobili, in Italia, sono 4,7 milioni, con un aumento di circa il 4,1% rispetto al 2012. Il canone annuo medio rimane invariato (circa 9,7 mila euro). Il 34,9% dei locatori (quasi 1,7 milioni) ha un’età compresa tra 51 a 70 anni, seguono i proprietari con età compresa tra 31 e 50 anni (il 23,1%) e gli ultrasettantenni (il 22,2%), mentre i locatori con meno di 30 anni sono il 2,4% del totale. Nel 2013, gli immobili locati a uso abitativo assoggettati a tassazione ordinaria erano il 61% circa, quelli con cedolare secca ordinaria il 34% e quelli con cedolare secca ad aliquota ridotta il 5%.
DAL 2016 LA TASSAZIONE SULLA CASA È DIMINUITA DI 4,4 MILIARDI
Dal 2016 il prelievo sugli immobili si è ridotto di 4,4 miliardi di cui 3,6 miliardi riferibili all’abolizione della Tasi sulle abitazioni principali non di lusso. Ne hanno beneficiato 19,5 milioni di contribuenti (per il 75% lavoratori dipendenti e pensionati) per un risparmio medio pro capite di 175 euro annui L’Imu versata nel 2016 è pari a 18,8 miliardi e la Tasi sui servizi indivisibili a 1,1 miliardi, per un totale di 19,9 miliardi di euro di gettito complessivo Imu/Tasi. La composizione percentuale del gettito complessivo mostra che, nel 2016, del totale del prelievo
sugli immobili circa il 48% delle entrate deriva dall’Imu e solo il 3% dalla Tasi, per effetto dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sulle abitazioni principali. Il gettito da imposte di natura reddituale è pari al 21% del totale ed è in gran parte attribuibile all’Irpef (14% del totale) e alla cedolare secca sulle locazioni abitative (5%), il cui gettito cresce di anno in anno. L’Iva sulle compravendite di immobili rappresenta il 13% delle entrate complessive, mentre le imposte di registro e bollo costituiscono il 7% del totale.
Le agevolazioni fiscali per ristrutturazioni e riqualificazione energetica
Nel periodo 2005-2014 sono stati effettuati complessivamente 17,1 milioni di interventi per il recupero del patrimonio edilizio, con un ammontare di spesa totale pari a 94,3 miliardi di euro circa e una spesa media per opera pari a 5,5 mila euro. In particolare, nell’anno di imposta 2014, i contribuenti che hanno riportato in dichiarazione spese per ristrutturazione edilizia, sono 7,6 milioni. La detrazione media è pari a circa 542 euro per contribuente. Gli immobili su cui sono stati effettuati interventi di ristrutturazione sono 719,8 mila e la spesa media maggiore (10,6 mila euro) è sostenuta per gli immobili situati nei piccolissimi Comuni (fino a 5 mila abitanti). Riguardo al genere, i contribuenti di genere maschile che hanno dichiarato lavori di ristrutturazione sono 4,4 milioni, mentre le donne solo 3,2 milioni. La spesa media è di 13,2 mila euro per gli uomini e 11,3mila euro per le donne, mentre le detrazioni medie sono pari a 578 euro per gli uomini e 492 euro per le donne. Dal 2008 al 2014 sono stati effettuati 2,7 milioni di interventi di riqualificazione energetica, per una spesa totale pari a 19,3 miliardi di euro e una spesa media di 7,2 mila euro. Il 61,7% dei soggetti che richiedono una detrazione sono di sesso maschile e spendono in media 11,4 mila euro, contro i 9,2 mila euro di spesa dei contribuenti di genere femminile. Per entrambe le tipologie di bonus, la distribuzione per classi di età evidenzia che il numero massimo di lavori è sostenuto da contribuenti con più di 60 anni.
Le agevolazioni per interventi antisismici e messa in sicurezza degli edifici
Da agosto 2013, data di introduzione dell’agevolazione fiscale, a dicembre 2014 sono stati effettuati oltre 45 mila interventi relativi all’adozione di misure antisismiche. L’ammontare totale di spesa per questa categoria di opere è pari a oltre 300 milioni di euro e la spesa media è di circa 6,7 mila euro. Per questi interventi sono state richieste detrazioni per un importo totale pari a circa 19,7 milioni di euro, cui corrisponde un beneficio fiscale medio pari a 435 euro. I beneficiari sono, nella maggior parte dei casi, di genere maschile (61%) e spendono in media più delle donne (8,7 mila euro, contro i 7,3 mila euro circa spesi dalle donne): di conseguenza beneficiano di una detrazione più elevata (568 euro contro i 476 euro per le donne). Con riferimento alla classe di età, il numero maggiore di beneficiari si registra nelle classi tra i 30 e i 45 anni e oltre i 60 anni (rispettivamente 14,7 mila e 12,8 mila contribuenti).
Ulteriori approfondimenti – Il volume Gli immobili in Italia è disponibile gratuitamente in forma digitale sul sito www.agenziaentrate.gov.it, nella sezione
l’Agenzia comunica > prodotti editoriali > Pubblicazioni su catasto, cartografia e
mercato immobiliare, e sul sito www.finanze.gov.it, in > Dati e statistiche fiscali > Gli immobili in Italia.