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LA REVISIONE CATASTALE È VALIDA SE RIPORTA LA NORMA DI RIFERIMENTO

[A cura di: Salvatore Servidio – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

Con sentenza 21176 del 19 ottobre 2016, mutando il precedente orientamento, la Corte di cassazione ha sostanzialmente stabilito che, in tema di accertamenti catastali, per assolvere l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, è sufficiente indicare il presupposto della rettifica, al fine di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella fase contenziosa.

Dati del processo

La vicenda riguarda una variazione di classamento di alcuni immobili di proprietà privata eseguita, su richiesta del Comune, dall’ex Agenzia del Territorio, ai sensi dell’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004, ubicati nelle microzone individuate nella planimetria allegata all’avviso di accertamento.

Nell’impugnare l’atto, gli interessati lamentavano carenza di motivazione della revisione del classamento e la necessità che, per una simile variazione, occorreva una stima con sopralluogo. I giudici di merito confermavano parzialmente la rettifica catastale, nei cui confronti i contribuenti ricorrevano in Cassazione, denunciando, tra l’altro, violazione delle norme e dei principi che regolano la motivazione degli atti in materia catastale, in relazione alla mancata spiegazione delle ragioni dell’attribuzione alle singole unità immobiliari da parte dell’Agenzia del Territorio di una classe superiore.

Revisione del classamento

Si premette che l’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004, riconosce ai Comuni – che rappresentano la “porzione” del territorio nazionale rilevante – la possibilità di richiedere all’Agenzia del Territorio (ora, delle Entrate) la revisione del classamento di quelle microzone dove il rapporto medio, tra valori di mercato e valori catastali, superi di almeno il 35% quello dell’insieme delle microzone.

Con tale disposizione – peraltro applicabile solo in presenza di comuni con almeno tre microzone – in attesa della revisione generale delle rendite catastali per allinearle, a parità di gettito, ai valori di mercato (come previsto dall’articolo 2, legge delega 23/2014), il legislatore si è premurato almeno di evitare le situazioni di palese ingiustizia all’interno dei singoli comuni, rideterminando le rendite (e i valori) catastali nel caso in cui il suddetto rapporto si discosti in una determinata microzona di una percentuale significativa rispetto alla media delle microzone del comune interessato.

Orientamento della giurisprudenza

Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (tra cui, cfr. Cassazione 9629/2012, 19820/2012, 16643/2013, 23247/2014 e 3156/2015), la motivazione dell’atto di revisione del classamento catastale non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’Agenzia del Territorio, ma deve specificare, a pena di nullità, sia le ragioni giuridiche sia i presupposti di fatto della modifica.

L’amministrazione finanziaria è tenuta, quindi, a precisare – dettagliatamente – se il mutamento è giustificato dal mancato aggiornamento catastale, dall’incongruenza del valore rispetto ai fabbricati similari (individuando detti edifici, il loro classamento e le caratteristiche che li rendono analoghi a quello in oggetto), dall’esecuzione di lavori particolari nell’immobile (da menzionare analiticamente) o, infine, da una risistemazione dei parametri della microzona di collocazione, da esplicitare in modo chiaro con l’indicazione del rapporto tra valore di mercato e valore catastale dell’area e delle altre comunali, così che emerga il significativo divario.

Il giudizio

La Corte suprema, respingendo il gravame, ha fornito un’interpretazione sulla motivazione degli atti che modifica, di fatto, l’orientamento sinora espresso, convalidando la sentenza del riesame perché provvista dei requisiti di congruità e sufficienza.

A tal fine, il Collegio, dopo aver dato atto delle incertezze giurisprudenziali in materia, oscillanti tra una più intensa e una minore rigidità delle scelte interpretative, ha affermato che il più equilibrato orientamento opzionato appare maggiormente idoneo a cogliere il senso della disciplina della revisione catastale prescritta dall’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004 (cfr. Cassazione, 21532/2013 e 17322/2014).

Nel merito della questione, la sezione tributaria ha precisato che, per assolvere l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, è sufficiente indicare il presupposto della rettifica, al fine di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella fase contenziosa.

Il classamento non è, infatti, un «atto di imposizione fiscale» e trova supporto motivazionale nell’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004; bastano, perciò, per la propria validità, l’indicazione della norma di riferimento sul cui presupposto viene operata la revisione.

Peraltro, proprio per l’assenza di variazioni edilizie, l’atto di classamento non richiede il previo sopralluogo dell’ufficio né è condizionato ad alcun contraddittorio endoprocedimentale.

È evidente che, nella successiva fase giudiziale, il contribuente potrà provare – in contraddittorio con l’ufficio – le caratteristiche dell’immobile e l’eventuale inidoneità del nuovo classamento, in relazione non all’idoneità della motivazione dell’atto, ma al merito della controversia (così Cassazione, 22313/2010, 11698/2011 e 21923/2012).

Infine, il giudice di legittimità evidenzia che la richiesta del Comune all’Agenzia del Territorio è un atto interno, i cui eventuali vizi attinenti la sua legittima provenienza possono essere fatti valere non dal contribuente, ma esclusivamente dall’ente (cfr. Cassazione, 17378/2014). 

L’AMMINISTRATORE E LE AZIONI POSSESSORIE NEL CONDOMINIO

[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – Avvocato in Pisa]

Considerato che la natura del condominio non è stata definita dal legislatore, questo è stato definito dalla giurisprudenza e dalla dottrina come un ente di gestione. E, in realtà, il condominio presenta alcune analogie rilevanti sia con la comunione sia con gli enti collettivi. Con la prima ha in comune il diritto di comproprietà dei beni condominiali, con i secondi ha in comune gli organi deliberativo, l’assemblea, ed esecutivo, l’amministratore.

La rappresentanza dell’amministratore

La giurisprudenza lo ha sempre definito un ente di gestione, definizione non condivisa dalla dottrina, ma, dopo la riforma intervenuta con la legge 11 dicembre 2012 n. 220, le Sezioni Unite della Cassazione gli hanno riconosciuto la soggettività giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 16 settembre 2014, n. 19663). 

Il contratto che s’instaura tra l’amministratore e i condòmini è stato definito dal legislatore, solo con la citata legge n. 220/2012, un mandato, seppure, devo ritenere, ancora sui generis. Infatti, quest’ultimo contratto è fondato sulla fiducia che il mandante nutre nei confronti del mandatario, mentre l’amministratore di condominio agisce e opera anche a favore di coloro che non lo hanno votato, perché assenti all’assemblea di nomina o subentrati nella proprietà ad altro condomino nel corso della gestione annuale, e, addirittura, di coloro che hanno votato contro la sua nomina a tale carica. 

Il legislatore, oltre a stabilire l’obbligatorietà della nomina dell’amministratore qualora il condominio sia composto da oltre quattro condòmini, ne dispone i poteri di gestione e fornisce all’amministratore la rappresentanza del condominio stesso. La rappresentanza dell’amministratore è sostanziale e processuale e, dunque, può sia sottoscrivere i contratti nell’interesse del condominio, ad esempio quelli per la fornitura del gas da riscaldamento o per l’appalto della pulizia delle parti comuni dello stabile, sia stare in giudizio nelle cause che vedono coinvolto il condominio.

La rappresentanza processuale è sia attiva – allorché sia il condominio a promuovere un procedimento giudiziario – sia passiva, allorché questo sia radicato nei confronti del condominio. Considerato che il condominio agisce giudizialmente per la difesa dei diritti inerenti ai beni comuni mediante il suo amministratore, sussiste in capo a ciascun condomino il potere di agire per la tutela dei beni de quibus; infatti, vi è una legittimazione concorrente dei singoli condòmini per agire a tutela dei diritti comuni (Cass. civ., Sez. II, 4 settembre 2014, n. 18687).

L’amministratore può agire in giudizio autonomamente, se l’azione è coerente con i poteri al medesimo concessi dalla legge, anche se è, pur sempre, opportuna una preventiva autorizzazione dell’assemblea, per esempio, per far cessare le attività, vietate da una clausola contrattuale del regolamento, attuate da un condomino; per contro, se tale azione ecceda i suoi poteri, necessita sempre dell’autorizzazione assembleare, per esempio, per proporre una domanda petitoria per rivendicare la proprietà di un’area occupata dal proprietario del fondo vicino.

La delibera in cui si autorizza l’amministratore a radicare un giudizio deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentanti almeno la metà del valore dell’edificio ai sensi dell’art. 1136, IV comma, codice civile. La facoltà dell’amministratore, di rappresentare processualmente il condominio, non può essere limitata da alcuna delibera condominiale e neppure da una clausola di un regolamento di condominio, considerato che l’art. 1131 codice civile è una norma inderogabile per espresso disposto dell’art. 1138 codice civile. Considerato che la rappresentanza processuale dell’amministratore è inderogabile, il concorrente potere di ogni singolo condomino di intervenire in giudizio costituisce un mero intervento ad adiuvandum. Salvo espressa disposizione contraria, l’autorizzazione concessa dall’assemblea all’amministratore di adire le vie giudiziarie è valida per tutti i gradi del giudizio e anche nell’eventuale fase esecutiva.

La rappresentanza passiva dell’amministratore è, invece, illimitata e ciò per favorire i terzi che intendano citare il condominio, potendo questi notificare l’atto di citazione solo all’amministratore e non a tutti i condòmini indistintamente. Nell’ipotesi il condominio sia privo di amministratore, l’azione del terzo deve invece essere notificata a tutti i condòmini.

Qualora l’atto di citazione inerisca ad una materia che travalica i suoi poteri, l’amministratore deve convocare l’assemblea per farsi autorizzare a stare in giudizio, potendo, in caso contrario, essere revocato dal mandato ex art. 1131, ultimo comma, codice civile. Per contro, l’amministratore difetta di legittimazione attiva allorché la controversia giudiziaria inerisca ai diritti reali dei singoli condòmini o i loro rapporti contrattuali, quale la contestazione di un diritto di proprietà o la modifica delle clausole contrattuali del regolamento di condominio (Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 2008, n. 12850). 

In sostanza, l’amministratore ha la rappresentanza attiva per radicare autonomamente, senza delibera assembleare, tutte le azioni che rientrano nel concetto di atti conservativi dei diritti concernenti i beni comuni, purché ricompresi nel perimetro dell’immobile costituito in condominio, ivi comprese le azioni cautelari (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4503). Il potere autonomo dell’amministratore, però, è limitato alla tutela della conservazione, giuridica e materiale, delle cose condominiali, e non si estende alle obbligazioni che, per contro, riguardano direttamente i condòmini; quindi l’amministratore è legittimato a promuovere l’azione nei confronti del costruttore per contestare i gravi difetti delle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1669 codice civile, essendo il condominio avente causa dell’appaltatore (Cass. civ., Sez. II, 1 agosto 2006, n. 17484), mentre non può radicare alcuna azione per far valere la garanzia per i vizi della cosa venduta ai sensi dell’art. 1490 codice civile, pur concernenti le parti comuni dello stabile, essendo legittimati personalmente i singoli condòmini, quali unici contraenti, acquirenti, del contratto di compravendita delle parti comuni in esame. Né rientra, nel potere dell’amministratore, neppure l’agire per conseguire il risarcimento dei danni patiti dai condòmini.

Viceversa, la legittimazione passiva dell’amministratore è illimitata (Cass. civ., Sez. II, 20 settembre 2012, n. 15838), anche se circoscritta ai soli beni condominiali, in contrapposizione agli interessi particolari dei singoli condòmini. Da quanto dedotto deriva che la legittimazione passiva dell’amministratore inerisce alle cause che riguardano sia i diritti reali sia i rapporti obbligatori del condominio, inteso questo anche nel senso che una o più parti o qualche impianto dell’edificio appartengano esclusivamente ad alcuni condòmini e non a tutti (Cass. civ., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363).

Per tutti i motivi sopra esposti, la legittimazione passiva, come quella attiva, permane in tutti i gradi del giudizio, consentendo all’amministratore di impugnare le sentenze sfavorevoli al condominio. Qualora l’amministratore sia citato in giudizio per una causa che esorbiti dai suoi poteri ex lege, ugualmente ha la rappresentanza passiva del condominio, ma, ut supra dedotto, deve informarne subito l’assemblea, affinché questa, ove lo ritenga opportuno, possa integrare i poteri de quibus, ai fini della regolare costituzione in giudizio del condominio. In entrambe le fattispecie analizzate, l’amministratore deve conferire al legale del condominio, sia che venga incaricato direttamente dal medesimo, sia che venga indicato dall’assemblea, una rituale procura alle liti che consenta al magistrato di comprenderne esattamente la provenienza; l’amministratore, infatti, deve dimostrare tale sua carica.

Qualora poi lo stesso non sia confermato  e venga nominato un altro soggetto, il giudizio non s’interrompe, in quanto l’art. 299 codice procedura civile inerisce alle sole ipotesi di rappresentanza legale, mentre il rapporto che si instaura tra condomini e amministratore è fondato su base volontaria (Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25251).

Le azioni possessorie

Tra le azioni per le quali l’amministratore può stare in giudizio anche senza autorizzazione del condominio, vi sono quelle a tutela del possesso che consistono in: a) azione di reintegra ex art. 1168 codice civile; b) azione di manutenzione ex art. 1170 codice civile (Cass. civ., Sez. II, 15 maggio 2002, n. 7063). Il possesso è costituito dal potere di fatto esplicato su una cosa che si manifesta in un’attività corrispondente a quella attuata per l’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 codice civile); nel caso di violazione di un siffatto potere, indipendentemente dall’aspetto psicologico, quindi, dell’autore dello spoglio, è sufficiente provare l’avvenuta turbativa del possesso.  

Costituisce turbativa del possesso anche l’attività del compossessore che comporti un’innovazione della cosa comune, tale da modificarne sensibilmente le modalità d’uso (Cass. civ., Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10624). Infatti, in un giudizio possessorio devono essere fornite soltanto le prove del possesso e della intervenuta sua turbativa (Cass. civ., Sez. II, 11 gennaio 2016, n. 233). Trattasi, quindi, esclusivamente della prova del fatto storico dell’esistenza del precitato potere sulla cosa, oggetto dello spoglio (Cass. civ., Sez. II, 20 maggio 2008, n. 12751). Infatti, l’accertamento della situazione di fatto è del tutto indipendente dalla sussistenza di un diritto reale sul bene, dovendo il denunciante provare solo il suo esercizio dello jus possessionis.

La prova del possesso deve, ovviamente, essere fornita dall’attore che agisce con l’azione di spoglio o con quella di manutenzione e questi può radicare l’azione soltanto per recuperare il bene oggetto di spoglio ovvero anche per conseguire coattivamente il risarcimento dei danni patiti. L’azione possessoria può essere esercitata entro un anno dall’intervenuta turbativa o dall’avvenuto spoglio ex art. 1168 codice civile e anche per questa fattispecie, sia dall’amministratore del condominio sia da ciascun condomino; il dies a quo, nel caso di una pluralità di atti di turbativa, decorre dal compimento del primo atto lesivo del possesso (Cass. civ., Sez. II, 10 marzo 2008, n. 6305).

Possono costituire violazione del possesso, ad esempio:

  1. a) l’occupazione abusiva del cortile o di aree scoperte condominiali con oggetti tali da impedire o rendere estremamente difficoltoso il passaggio dei condòmini;
  2. b)   l’accesso su un terrazzo di un altro condomino, senza alcuna autorizzazione da parte del proprietario;
  3. c) un’alterazione della servitù di veduta.

L’occupazione del parcheggio da parte di terzi, costituisce certamente uno dei più frequenti spogli delle parti comuni del condominio che consentono all’amministratore di esercitare l’azione di reintegrazione nel possesso, anche se il parcheggio dei condòmini avviene su un’area di proprietà extra condominiale, destinata, però, ad uso del condominio con un vincolo urbanistico ad hoc (Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2007, n. 16631).

FABBRICATI E REDDITI DEL 2012 NON DICHIARATI: LE ENTRATE SPEDISCONO 60MILA LETTERE

La batosta arriva per posta, sotto forma delle 60mila lettere inviate in questi giorni dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti persone fisiche che nell’anno 2012 hanno percepito e non dichiarato, o dichiarato parzialmente, redditi di fabbricati derivanti da contratti di locazione di immobili, compresi quelli per i quali è stato scelto il regime della cedolare secca. 

Le nuove lettere contengono tutte le informazioni utili per permettere ai contribuenti di rimediare agli errori commessi per l’inesatta indicazione del reddito dei fabbricati nella dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2012. 

Inoltre, per semplificare il calcolo delle sanzioni e degli interessi dovuti in presenza di cedolare secca, l’Agenzia ha aggiornato il “calcolatore” on line (denominato “Calcolatore sanzioni ed interessi infedele dichiarazione ravvedimento operoso anno d’imposta 2012”) presente sul proprio sito, che conteggerà al posto dei contribuenti le sanzioni ridotte del ravvedimento operoso per i redditi 2012, sia in caso di imposta sostitutiva della cedolare secca, sia in caso di imposte ordinarie per reddito da fabbricati. Infine, è possibile consultare il nuovo vademecum dell’Agenzia che spiega cosa fare quando si riceve la lettera delle Entrate e come rimediare agli errori commessi.

IN DETTAGLIO

Con questa tranche di comunicazioni l’Agenzia fornisce ai cittadini informazioni sul reddito di fabbricati derivante da canoni di locazione che, dai dati in possesso delle Entrate, risulterebbe non dichiarato, in tutto o in parte, nel modello Unico Pf o nel modello 730, presentati nel 2013 per i redditi 2012. Se il contribuente ammette l’errore, può correggerlo utilizzando il ravvedimento operoso, presentando una dichiarazione integrativa e versando le maggiori imposte dovute, i relativi interessi e le sanzioni correlate alla infedele dichiarazione in misura ridotta. Per effettuare il pagamento, occorrerà indicare nel modello F24 il codice atto riportato in alto a sinistra sulla lettera. 

L’ASSISTENZA 

Chi riceverà la lettera del Fisco potrà mettersi in contatto con l’Amministrazione finanziaria per chiarire subito la propria posizione, evitando che l’anomalia si traduca in futuro in un avviso di accertamento vero e proprio. Questo sia se dal confronto emergerà che il contribuente non ha commesso errori, sia nel caso in cui il cittadino voglia regolarizzare in maniera agevolata la propria posizione con le sanzioni ridotte previste dal nuovo ravvedimento operoso. 

Nel caso in cui il contribuente ritenga che i dati originariamente riportati nella dichiarazione dei redditi siano corretti, sono invece a disposizione i numeri 848.800.444 (da telefono fisso) e 06/96668907 (da cellulare) dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17. In entrambi i casi occorre selezionare l’opzione servizi con operatore – comunicazione accertamento

In alternativa, è possibile contattare uno degli Uffici Territoriali delle Direzioni Provinciali dell’Agenzia o utilizzare Civis, il canale di assistenza dedicato agli utenti dei servizi telematici.

IL RAVVEDIMENTO 

Le lettere consentono ai contribuenti interessati di regolarizzare gli errori e le omissioni eventualmente commesse con le modalità previste dall’istituto del ravvedimento operoso, fruendo così della sanzione ridotta per infedele dichiarazione. Grazie al calcolatore disponibile sul sito dell’Agenzia, inoltre, i contribuenti potranno calcolare facilmente le sanzioni ridotte del ravvedimento sia per l’imposta sostitutiva della cedolare secca, sia -nel caso di tassazione ordinaria del reddito di fabbricati – per l’Irpef e le addizionali (nonché, se dovuto, per il contributo di solidarietà). 

LE SANZIONI 

Le Entrate ricordano che se il reddito di locazione è stato assoggettato ad Irpef, la sanzione ridotta è pari al 15% della maggiore imposta determinata (ossia un sesto della sanzione minima – 90%). 

Invece, se è stato scelto il regime della “cedolare secca”, previsto per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, la sanzione sarà più elevata, ovvero pari al: 

* 30% della maggiore imposta determinata (ossia 1/6 della sanzione minima – 180%), se i canoni sono stati dichiarati solo parzialmente; 

* 40% della maggiore imposta determinata (ossia 1/6 della sanzione minima – 240%), nel caso in cui non siano stati dichiarati. 

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Lite in atto tra coniugi:

in manette spacciatore

La polizia ha arrestato un 36enne di Napoli, già noto alle forze dell’ordine, trovato in possesso, nel suo appartamento, di circa 28 involucri di hashish, nascosti sotto i mobili della cucina. Gli agenti erano intervenuti a seguito di una segnalazione per lite domestica in corso, ma si erano insospettiti quando avevano notato che la tv del salotto stava trasmettendo immagini dell’esterno della casa. L’uomo, infatti, aveva installato un sistema di videosorveglianza per controllare proprio l’arrivo della polizia. Da lì è scattata la perquisizione e il ritrovamento della droga. 

Moto piomba in cortile:

centauro in ospedale

Sono ancora in corso di accertamento le cause dell’incidente che ha coinvolto un centauro di 20 anni in provincia di Udine. Il giovane, che stava percorrendo la statale che collega due paesini della zona, ha perso improvvisamente il controllo della moto, cadendo rovinosamente a terra e riportando numerose ferite. La motocicletta, invece, è finita dritta nel cortile di una casa, per fortuna senza colpire nessuno. Il 20enne è stato trasportato al vicino ospedale e, nonostante le ferite, non versa in pericolo di vita.

I topi d’appartamento

rubano pure salvadanaio

È stato un colpo studiato nei minimi dettagli quello messo a segno da un gruppo di topi d’appartamento, attivi nella provincia di Trento. A essere presa di mira, questa volta, la casa di un imprenditore, poco distante dal centro abitato. I ladri sono entrati in azione nel pomeriggio, forzando una finestra al piano terreno. Una volta dentro, hanno rivoltato la casa racimolando 1500 euro in contanti, collane, gioielli e i pochi euro contenuti nel salvadanaio del figlio del proprietario. I malviventi si sono dati alla fuga pochi istanti prima del rientro della moglie.

Lascia le chiavi in auto: 

gli svaligiano casa

Che sia stata una distrazione o una normale abitudine, quelle chiavi lasciate in macchina sono costate davvero care a un pensionato residente a Genova. Per la precisione, 20mila euro in oro e preziosi. A tanto ammonta il bottino che i ladri sono riusciti a trafugare dalla sua abitazione, dopo avergli rubato il mazzo di chiavi lasciato nel vano porta oggetti dell’auto. Rientrato a casa e fatta l’amara scoperta, l’uomo non ha potuto fare altro che sporgere denuncia ai carabinieri.

Ladri acrobati svaligiano 

alloggio in pieno giorno

Hanno scalato la parete di un condominio di La Spezia, arrampicandosi lungo le tubature, fino a raggiungere le finestre degli alloggi. Questa la rocambolesca azione messa a segno da alcuni ladri acrobati che si sono introdotti nell’abitazione di una coppia di coniugi, in pieno giorno, scassinando la finestra e portandosi via vari oggetti preziosi, tra i quali una fede nuziale. Al rientro, i due proprietari, usciti il tempo necessario per fare un po’ di spesa, hanno trovato la porta sbarrata dall’interno e la casa a soqquadro. 

Finti ispettori dell’energia

rapinano anziana in casa

Una donna di 82 anni, che vive da sola in una casa della provincia dell’Aquila, è stata aggredita e derubata da una coppia di malviventi che hanno fatto perdere le proprie tracce. I due si sono presentati alla porta dell’anziana, spacciandosi per ispettori di una compagnia energetica. Una volta che la donna ha aperto, le si sono avventati contro, immobilizzandola e chiudendola a chiave in un’altra stanza. Poi, hanno rivoltato l’appartamento riuscendo a recuperare un centinaio di euro appena, prima di dileguarsi.

IL BONUS PRIMA CASA DECADE ANCHE SE SI CEDONO I “DIRITTI MINORI”

[A cura di: Martino Verrengia – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

La cessione del diritto reale di godimento, sub specie diritto di abitazione ex articolo 1022 del codice civile, era stata – nel caso in commento – decisa da una madre in favore della figlia, quale controprestazione rispetto ai doveri di cura e assistenza richiesti dalla prima alla seconda, nell’ambito di un contratto sinallagmatico e innominato del tipo do ut facias.

La Ctp di Fiorenze, con la sentenza n. 1192 depositata il 9 settembre 2016, si è pronunciata nel senso della decadenza dal beneficio “prima casa” nell’ipotesi di cessione del diritto di abitazione sull’immobile oggetto di acquisto beneficiato, accogliendo l’interpretazione più rispettosa del tenore letterale della normativa di riferimento. In tale ipotesi, ad avviso dei giudici fiorentini, si verifica la perdita del beneficio fiscale, a nulla rilevando la causa in concreto dell’attribuzione. Ma analizziamo come si è svolta la vertenza.

I fatti di causa

La pronuncia prende avvio dal ricorso di una contribuente avverso l’avviso di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, finalizzato al recupero delle agevolazioni “prima casa”, fruite nell’ambito dell’acquisto di un immobile, sul quale veniva poi costituito un diritto di abitazione in favore della figlia della ricorrente.

Le posizioni delle parti

La contribuente eccepiva di non aver ceduto né trasferito alcun immobile, ma di aver semplicemente posto in essere un atto a carattere derivativo-costitutivo di un diritto reale di godimento, ossia del diritto di abitazione, che, secondo l’articolo 1022 cc, consente al titolare di abitare una determinata casa, limitatamente ai bisogni suoi e della propria famiglia”.

L’ufficio delle Entrate si costituiva, in via preliminare, eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e, nel merito, contestando la fondatezza della prospettazione attorea.

Le motivazioni della sentenza

A parere della Commissione, il ricorso della contribuente – ancorché inammissibile – non sarebbe neanche meritevole di accoglimento nel merito. La Ctp premette, infatti, che “in tema di agevolazioni cd. prima casa, il comma 4 della nota 2 bis dell’art. 1 della Tariffa – Parte Prima del T.U. Registro dispone che si ha decadenza dall’agevolazione «nell’ipotesi di dichiarazione mendace o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto»”.

Ebbene, “l’indicazione «trasferimento degli immobili» non deve essere interpretata come necessaria cessione dell’intero diritto di proprietà, potendosi infatti verificare anche una cessione parziale di detto più ampio diritto, conseguendone una compressione dello stresso, ad esempio attraverso la costituzione di diritti reali quali l’usufrutto, l’uso o l’abitazione. Tale interpretazione appare del tutto logica se si considera che l’agevolazione prima casa spetta non solo in caso di acquisto del pieno diritto di proprietà dell’immobile, ma anche nell’ipotesi di acquisto di uno dei diritti reali sopra menzionati (tanto che la titolare del costituito diritto di abitazione, ha beneficiato dell’agevolazione prima casa sull’acquisto di tale diritto).

Il comma 1 della predetta nota dispone, infatti, che in presenza di specifiche condizioni, l’aliquota agevolata si applica agli «atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e gli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà dell’usufrutto dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse» ….”.

Secondo l’interpretazione data dalla contribuente”, proseguono i giudici provinciali, “in caso di acquisto agevolato del diritto d’uso con successiva cessione dello stesso, non dovrebbe seguire la decadenza dal trattamento agevolato in quanto non si avrebbe alcun trasferimento degli immobili. La diversa interpretazione, fatta propria dall’ufficio, è anche logica conseguenza del fatto che al momento della richiesta dell’agevolazione il contribuente parte acquirente, per poter ottenere l’agevolazione, deve dichiarare di non essere titolare non solo del diritto di proprietà ma anche di usufrutto, uso abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso o dal coniuge con le agevolazioni di cui alla predetta nota II bis”.

L’avallo “indiretto” della Cassazione

Del resto, osserva la Commissione, una conferma della correttezza dell’operato dell’Amministrazione si rinviene – seppur indirettamente e a contrario – in un arresto di legittimità (cfr. Cassazione, 22244/2012), nel quale la Corte suprema ha escluso la decadenza dal beneficio prima casa nell’ipotesi di rinuncia a un diritto reale di godimento (nella specie, si trattava della rinuncia al diritto di usufrutto su immobile), proprio perché la rinuncia abdicativa è un atto puramente dismissivo del diritto, che estingue il diritto reale limitato producendo, al contempo, la riespansione del diritto del proprietario, in tutte le pertinenti facoltà.

Brevi osservazioni

La pronuncia in commento accede a un’interpretazione rigorosa – ma che pare corretta – dell’agevolazione “prima casa”, stabilendo la decadenza dal beneficio in caso di cessione, non solo della piena proprietà, ma anche dei diritti reali “minori” (uso, usufrutto, abitazione) nei cinque anni dall’acquisto.

Anche la prassi degli uffici finanziari (cfr. circolare 38/2005, confermata sul punto dalla circolare 2/2014), del resto, è chiara e conforme a quanto prospettato dall’ufficio fiorentino nel caso in questione. E non potrebbe essere altrimenti: si tenga sempre presente, infatti, che le disposizioni che prevedono benefici fiscali, come le agevolazioni “prima casa”, proprio per la loro natura, sono necessariamente norme di stretta interpretazione. Pertanto, un’operazione ermeneutica estensiva delle stesse porterebbe sicuri squilibri al sistema, difficilmente rimediabili, oltre a costituire un vulnus al principio di uguaglianza e al suo precipitato, in termini di ragionevolezza, sancito dall’articolo 3 della Carta costituzionale.

Riclassamento catastale: l’Agenzia delle Entrate deve motivare l’atto

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro studi Confedilizia]

In tema di revisione del classamento catastale di immobili urbani, la motivazione dell’atto relativo non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’Agenzia delle Entrate, bensì deve specificare, a pena di nullità, ai sensi della legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, a quale presupposto la modifica debba essere associata: se al non aggiornamento del classamento o, invece, alla palese incongruità rispetto a fabbricati similari e, in questa seconda ipotesi, l’atto impositivo dovrà indicare la specifica individuazione di tali fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all’unità immobiliare oggetto di riclassamento, consentendo in tal modo al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nella successiva fase contenziosa, conseguente alla richiesta di verifica dell’effettiva correttezza del riclassamento.

Così la Commissione tributaria regionale del Lazio (sentenza. n. 3557 del 6.6.2016), affermando principi ormai consolidati nella giurisprudenza della Cassazione ma applicandoli – e questo è l’elemento importante – in fase di appello nel contenzioso riguardante l’estesa attività di riclassamento operata a Roma, caratterizzata in molti casi da modifiche perlomeno “discutibili”.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Sigarette nel cestino

fanno scoppiare un incendio

Tanto spavento e una lieve intossicazione. Per fortuna sono soltanto queste le conseguenze dell’incendio divampato nella cucina di una casa in provincia di Padova. Le fiamme sono state generate da alcune sigarette non perfettamente spente e buttate, distrattamente, nel cestino dei rifiuti. Ad accorgersi del fumo e dell’odore acre sono state le due donne che si trovavano in casa in quel momento. In loro aiuto, per spegnere l’incendio, sono arrivati anche alcuni vicini di casa.

Ecovandali in condominio

pizzicati dalle telecamere

Da due anni continuavano a gettare rifiuti in una sorta di discarica abusiva. Si tratta di ben sette persone, allergiche alla raccolta differenziata, tutte facenti parte del medesimo condominio di Treviso. A immortalarli con le mani nel sacco (è proprio il caso di dire) sono state le telecamere a circuito chiuso installate dalla società che si occupa della nettezza urbana. Agli ecovandali, che in due anni avevano creato una vera e propria montagna di rifiuti, sono state comminate multe per 150 euro ciascuno. In totale, però, il conto per le pulizie straordinarie ammonta a quasi 7 mila euro. Sotto accusa è finito anche l’amministratore di condominio, reo di aver permesso l’illecito.

Contatori in fiamme:

due persone intossicate

C’è un cortocircuito al vano contatori all’origine della colonna di fumo denso che ha letteralmente invaso i pianerottoli di un condominio in provincia di Massa Carrara. L’allarme è scattato subito dopo cena, quando i residenti della palazzina si trovavano ancora seduti a tavola. Una volta dato l’allarme, quasi tutti sono riusciti a lasciare le proprie case e mettersi in sicurezza, eccetto due persone che sono rimaste intrappolate e per le quali è stato necessario l’intervento dei mezzi dei vigili del fuoco. Trasportati in ospedale per intossicazione, sono stati dimessi dopo qualche ora.

Stalker lancia molotov

contro vicina di casa

Un uomo di 36 anni, residente in provincia di Roma, è stato arrestato dai carabinieri dopo aver minacciato di morte la vicina di casa, arrivando a gettarle contro una tanica contenente liquido infiammabile, “innescata” con uno stoppino. Quando i militari dell’Arma sono arrivati sul posto, hanno trovato la vittima in giardino, mentre tentava di spegnere le fiamme, aiutata da alcuni vicini. Illesa per miracolo la figlia di 3 anni, che in quel momento stava giocando in cortile. L’aggressore è stato rintracciato e arrestato a pochi isolati di distanza, a bordo della sua auto.

Vandali in alloggio:

rubano solo champagne

Un colpo quanto meno anomalo quello messo a segno in provincia di Frosinone da alcuni malviventi, che, approfittando dell’assenza del proprietario, si sono introdotti nel suo appartamento e l’hanno letteralmente devastato. Quando la vittima è rientrata a casa si è trovata di fronte una montagna di vestiti e suppellettili sparsi dappertutto, mobili danneggiati e armadi svuotati. Nonostante la presenza di oggetti di valore, sono però spariti soltanto 4 calici di vetro e una magnum di champagne. Gli inquirenti sono orientati a pensare si tratti di un’azione intimidatoria.

PRESTITO IPOTECARIO VITALIZIO, CHE COSA SAPERE PRIMA DI RICHIEDERLO

Per garantire una corretta applicazione della disciplina del Prestito Ipotecario Vitalizio, il Ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato una serie di domande e risposte, condivise con l’Associazione Bancaria Italiana e le associazioni di consumatori e utenti.

Il prestito ipotecario vitalizio è un particolare tipo di finanziamento riservato a chi ha più di 60 anni, garantito da ipoteca su un immobile residenziale la cui durata, in generale, coincide con la vita del sottoscrittore. Questo strumento di finanziamento, diffuso all’estero da parecchi anni, rappresenta una valida alternativa alla vendita della nuda proprietà poiché consente a chi lo sottoscrive di continuare ad abitare nell’immobile senza perderne la proprietà. Viene infatti lasciata agli eredi la facoltà di decidere come rimborsare il prestito e di conseguenza cosa fare dell’immobile dato in garanzia. Il finanziamento può essere erogato solo dopo valutazione da parte della banca e in funzione della propria politica di credito.

D. È possibile erogare il PIV nella forma di finanziamento “a tranche”? 

R. La Legge e il successivo Decreto attuativo stabiliscono che il prestito ipotecario vitalizio ha per oggetto la concessione di finanziamenti a medio e lungo termine, senza porre limitazioni alla forma tecnica di tali finanziamenti. Pertanto, è possibile erogare il PIV anche nella forma tecnica del finanziamento con erogazioni progressive (“a tranche”). Nell’informativa resa al mutuatario sul finanziamento dovrà essere fatto esplicito riferimento alle caratteristiche della forma tecnica utilizzata. Con riferimento alla modalità di effettuare la Simulazione del Piano di Ammortamento di cui all’art. 2, comma 1, del DM 22 dicembre 2015, n. 226, per quanto riguarda le erogazioni progressive, si deve illustrare lo sviluppo del finanziamento come previsto al momento della stipula per la forma tecnica prescelta, indicando tutte le erogazioni previste nel contratto e la relativa progressione di capitale e interessi. La durata minima del prospetto quindi non potrà essere inferiore al valore massimo tra la durata indicata al sopracitato articolo e la durata delle erogazioni contrattualmente previste.

In caso di erogazione “a tranche” dove gli ammontari e i tempi di richiesta di ciascuna tranche sono lasciati alla discrezionalità del mutuatario, si deve ipotizzare che il mutuatario abbia ottenuto sin dalla stipulazione del contratto, l’intera somma messa a disposizione dal finanziatore.

D. Fino a quale momento decorrono gli interessi corrispettivi? Quando possono applicarsi gli interessi di mora? 

R. Come in ogni altro prestito, gli interessi corrispettivi si producono per tutta la durata del finanziamento comprensivo del periodo concesso dal finanziatore per il rimborso del prestito. 

Gli interessi di mora si possono applicare qualora si verifichi un inadempimento (es. mancato pagamento di una rata nel caso di rimborso graduale della quota interessi e spese di cui all’articolo 11 quaterdecies, comma 12 bis, del DL 30 settembre 2005 n. 203, convertito con modificazioni dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248, ovvero a seguito del periodo concesso dal finanziatore per il rimborso del prestito successivo alla scadenza del finanziamento, di cui al comma 12.

D. Il finanziatore ha necessità di farsi conferire il mandato a vendere dagli eredi ai sensi del comma 12 quater dell’art.11 quaterdecies del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248, così come modificato dalla legge 2 aprile 2015, n. 44? Se sì, occorre un mandato con o senza rappresentanza? 

R. Il comma 12 quater recita: “(…) Qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro 12 mesi dal verificarsi degli eventi di cui al citato comma 12, il finanziatore vende l’immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita del finanziamento stesso (…). Dal tenore letterario emerge che la banca ex lege può vendere l’immobile trascorsi 12 mesi dal verificarsi dell’evento di scadenza del finanziamento. Pertanto non occorre nessun tipo di mandato da parte degli eredi. Diversamente, si ritiene che, anche in fase di stipula del contratto di finanziamento, il finanziatore, sulla base del dettato legislativo, possa richiedere ai proprietari dell’immobile il menzionato mandato a vendere.

D. Possono sottoscrivere il prestito ipotecario vitalizio i titolari della nuda proprietà del bene oggetto della garanzia? 

R. I titolari della nuda proprietà possono sottoscrivere il prestito ipotecario vitalizio, gravando da ipoteca la nuda proprietà dell’immobile, qualora la banca offra il prodotto prevedendo tale possibilità.

D. Chi può richiedere il Prestito Ipotecario Vitalizio? 

R. I requisiti per richiedere il Prestito Ipotecario Vitalizio sono disciplinati dalla Legge 2 aprile 2015, n. 44 e dal successivo Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 22 dicembre 2015, n. 226; pertanto possono richiedere il Prestito Ipotecario Vitalizio tutte le persone fisiche che abbiano compiuto 60 anni di età ed abbiano un immobile destinato a civile abitazione. Se tali persone fisiche sono coniugate o conviventi more uxorio da almeno 5 anni nel suddetto immobile, il relativo contratto di finanziamento deve essere sottoscritto da entrambi, anche se l’immobile è di uno solo, a condizione, però, che anche l’altro partner abbia compiuto 60 anni di età. Resta inteso che la sussistenza dei requisiti previsti dalla Legge e dal Decreto citato non costituiscono un diritto all’erogazione del PIV. Come in qualsiasi altro prestito, infatti, il creditore valuterà autonomamente se erogare il finanziamento.

D. In merito alla definizione di “immobile” di cui all’art.1 del Decreto, posto a garanzia del PIV, si chiede se devono essere considerati i soli immobili nei quali il mutuatario abbia stabilito la residenza. 

R. L’articolo 1, lettera c), del Decreto, stabilisce che l’immobile da ipotecare debba essere “residenziale”, lasciando intendere che oggetto dell’iscrizione ipotecaria possano essere solo gli immobili aventi destinazione urbanistica di civile abitazione. Non viene tuttavia specificato se l’immobile oggetto di garanzia debba essere soltanto quello nel quale il mutuatario ha stabilito la residenza e dimori abitualmente. 

In analogia a quanto previsto dalla Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n. 1820 del 23/07/1960, e da quanto previsto dal Regolamento UE 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali delle banche (art. 4, comma 1, numero 75), si deve intendere che l’immobile possa essere utilizzato come abitazione civile (senza necessariamente prevedere che la stessa rappresenti l’immobile nel quale il mutuatario dimori abitualmente ed ha pertanto stabilito la residenza). Al riguardo devono tuttavia essere rispettati i requisiti/comportamenti previsti all’art. 3, comma 1, del Decreto al fine di evitare che si verifichino fatti tali da comportare il rimborso anticipato del finanziamento.

D. Quando devono essere consegnati al mutuatario i prospetti esemplificativi denominati “Simulazione del piano di ammortamento”? 

R. I prospetti esemplificativi denominati “Simulazione del piano di ammortamento”devono essere presentati al più tardi al momento della presentazione della documentazione di cui all’art. 2, comma 4 del Decreto. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del Decreto stesso, devono essere altresì presenti nel contratto ovvero allegati allo stesso.

D. Come devono essere valorizzate o inserite le informazioni inerenti al finanziamento, segnatamente connesse agli oneri notarili e ai costi della polizza assicurativa, nel prospetto informativo – da consegnare gratuitamente al richiedente il prestito almeno 15 giorni prima dall’eventuale stipula del contratto – ai sensi dell’art. 2, comma 4, lettera b), del Decreto? 

R. Va anzitutto rammentato che si tratta di informazioni indicate come minimali nella disposizione in parola, per cui il finanziatore può inserire nel prospetto informativo ogni altra informazione utile al riguardo. 

In base a detta previsione, il prospetto informativo è volto a rendere facilmente comprensibile al richiedente il PIV non solo l’importo finanziato, cioè la somma nominale che costituisce il capitale oggetto del finanziamento, ma anche la somma che sarà effettivamente erogata a tale soggetto, dedotti tutti i costi legati al finanziamento e che costituirà l’importo concretamente disponibile dal richiedente medesimo. 

Occorre peraltro tenere presente che alcuni degli oneri indicati nella predetta disposizione potrebbero non essere noti al finanziatore: è il caso del costo della polizza assicurativa, qualora essa sia stipulata direttamente e senza il concorso del finanziatore, nonché degli oneri notarili, nel caso in cui, come spesso avviene, essi sono regolati in una fase diversa rispetto a quella che prende a riferimento la disposizione in parola (e cioè entro 15 giorni anteriori alla stipula del finanziamento stesso). 

La finalità perseguita dalla disposizione in commento è quella di rendere noto alla parte finanziata l’importo che quest’ultima effettivamente percepirà (ad esempio, mediante accredito in conto corrente) dedotti quindi solo quegli oneri che, nell’accordo tra le parti, si è convenuto siano trattenuti dal finanziatore in occasione dell’erogazione del finanziamento. 

Pertanto andranno indicati solo quei costi/oneri che verranno finanziati dalla banca/intermediario finanziario mutuante.

D. Quali previsioni del Decreto si applicano alle Unioni Civili di cui alla Legge n. 76 del 2016? 

R. Ai fini della disciplina del Prestito Ipotecario Vitalizio, alle Unioni civili si applicano tutte le previsioni del Decreto applicabili ai coniugi.

D. Nella definizione di coniugi di cui all’art. 2, comma 7 del Decreto, possono rientrare anche i coniugi legalmente separati? 

R. Si. Infatti, in caso di separazione, il rapporto di coniugio non è ancora cessato. Ne consegue che il soggetto finanziato – anche se legalmente separato – risulta ancora coniugato fino all’intervenuto divorzio. Si rammenta inoltre che ai fini dell’obbligo di cointestazione del finanziamento rileva sia il rapporto di coniugio che il fatto che nell’immobile risiedano entrambi i coniugi.

D. Quale deve essere la polizza assicurativa obbligatoria sull’immobile prevista all’art. 2, comma 5 del Decreto? 

R. L’art. 2, comma 5, del Decreto prevede l’obbligatorietà di una polizza assicurativa sull’immobile. Si conferma che, al fine di tutelare il bene immobile oggetto di garanzia, la polizza in oggetto sia quella relativa allo scoppio e all’incendio, in linea con quanto previsto ai fini di vigilanza prudenziale per i mutui ipotecari.

CASE POPOLARI: AGEVOLAZIONI FISCALI ANCHE IN CASO DI COMPRAVENDITA

[A cura di: Marcello Maiorino – Fisco Oggi, Agenzia delle Entrate]

La risoluzione 87/E del 4 ottobre 2016 fornisce chiarimenti sull’applicabilità delle agevolazioni previste dall’articolo 32 del Dpr 601/1973 (imposta di registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale) nel caso di trasferimento di aree da destinare a edilizia economica e popolare, laddove le superfici edificabili non siano state acquistate dal Comune previa apposita procedura di espropriazione, ma con un atto di compravendita. La fattispecie consta di due atti tramite i quali, in primo luogo, i terreni vengono ceduti in favore di un Comune a fronte del pagamento di un corrispettivo e, successivamente, al soggetto attuatore, a cui sarà affidata la realizzazione del complesso abitativo.

L’articolo 32 del Dpr 601/1973, di cui si invoca l’applicazione, prevede l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale, tra l’altro, per gli atti di trasferimento delle aree di cui al titolo III della legge 865/1971, nel cui ambito rientrano i piani delle aree da destinare a edilizia economica e popolare (piani Peep). Si tratta di terreni acquistati dai Comuni per l’attuazione di detti piani, che possono essere concessi in diritto di superficie per l’edificazione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali, ovvero possono essere ceduti in proprietà a determinati soggetti in base alle previsioni di cui all’articolo 35 della legge 865/1971.

Gli atti di trasferimento delle aree saranno posti in essere tramite la stipula di una convenzione edilizia finalizzata alla realizzazione, da parte del Comune, del Piano per l’edilizia economica e popolare. La risoluzione chiarisce che non risulta preclusiva, ai fini della fruibilità del regime di favore, la circostanza che il Comune non proceda all’esproprio delle aree comprese nel Peep, come previsto dall’articolo 35, comma 2, legge 865/1971, ma acquisti dagli attuali proprietari, tramite una compravendita, le aree che saranno trasferite a favore del soggetto attuatore.

Difatti, un recente intervento interpretativo (articolo 1, comma 58, 208/2015), ha chiarito che “…l’articolo 32, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, si interpreta nel senso che l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali si applicano agli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al Titolo III della legge 22 ottobre 1971, n. 865, indipendentemente dal titolo di acquisizione della proprietà da parte degli enti locali”.

Nella fattispecie trattata, pertanto, sia il trasferimento delle aree a favore del Comune sia la cessione delle medesime a favore del soggetto attuatore, previsti dalla convenzione da stipulare con l’amministrazione locale, sono finalizzati alla realizzazione di immobili di edilizia economica e popolare. Pertanto, possono beneficiare del regime agevolativo previsto dall’articolo 32 del Dpr 601/1973, con applicazione dell’imposta di registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipocatastali.

IMMOBILI COMMERCIALI IN CRISI? “ESTENDERE LA CEDOLARE SECCA AI NEGOZI”

Girando per le strade delle nostre città è sempre più facile imbattersi in cartelli “affittasi” o “vendesi” su saracinesche abbassate. A denunciare la moria di negozi (e le conseguenti ripercussioni anche sul segmento immobiliare commerciale) è Confabitare, secondo cui “Si sta assistendo ad una desertificazione figlia della crisi, che colpisce in particolare i piccoli esercizi, con un crollo del mercato delle locazioni e ben 600.000 locali rimasti sfitti nel 2015 in tutt’Italia. E il primo semestre  2016 conferma l’andamento negativo”.

L’associazione ha analizzato l’incremento percentuale delle chiusure con riferimento al periodo tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2016, rispetto allo stesso periodo dell’anno 2015. E i dati che ne sono emersi sono allarmanti: +23,5% a Bologna, +23,2% a Milano; percentuali superiori al 22% a Torino, Genova, Napoli. 

Che fare per invertire la tendenza. La ricetta di Confabitare è semplice: estendere la cedolare secca agli affitti commerciali. “La nostra proposta – spiega il presidente nazionale Alberto Zanni – è quella di applicare anche ai locali commerciali l’aliquota fissa del 21% (o del 10% nei Comuni ad alta tensione abitativa), consentendo quindi ai proprietari di pagare un’imposta minore di quella ordinaria in cambio di un canone calmierato, inferiore rispetto a quello di mercato. Certo, lo Stato avrebbe un mancato introito, ma a trarne vantaggio sarebbe tutto il tessuto sociale. Avere negozi aperti significa posti di lavoro, più servizi e consumi, meno degrado. Con la nostra proposta della cedolare secca, che presenteremo a Governo e Parlamento in previsione della Legge di Stabilità 2017, vogliamo porre un freno alla moria dei negozi e alla desertificazione dei nostri centri urbani”.