.

LE MAGGIORANZE E I CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE CONDOMINIALI

[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci] 

Il legislatore del 1942, introducendo, con l’art. 1117 codice civile, la materia del condominio, non ne specifica la natura, né vi ha provveduto il legislatore del 2012 con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, mentre la giurisprudenza lo ha ritenuto un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica, seppure recentemente gli sia stata riconosciuta una soggettività giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663).

Il precitato articolo 1117 indica soltanto i beni condominiali che, si presumono, comuni a tutti i partecipanti al condominio, ben potendo una parte, però, essere di proprietà esclusiva di un singolo (per esempio, una chiostra interna al condominio). In ogni caso si tratta di una rilevante specificazione che costituisce la base di valutazione dei beni, strutturali e tecnologici, e dei servizi sia da parte degli stessi condòmini sia da parte dell’amministratore del condominio, per stabilirne la condominialità o meno. Su tale presupposto, infatti, si fondano le disposizioni di tutti i successivi articoli dello stesso codice civile, compresi quelli delle sue disposizioni di attuazione, e di tutte le leggi speciali in materia.

L’art. 1117 codice civile, dunque, si limita a elencare i beni che si presumono di proprietà comune in relazione alla loro oggettiva funzione e al loro concreto collegamento strutturale con le unità immobiliari di proprietà esclusiva, anche se tale elenco non abbia natura tassativa ma solo ricognitiva (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501).

Nel condominio vi possono essere parti e impianti che servono esclusivamente alcuni condòmini e non altri, come le scale e i cortili installati in edifici a plurima composizione; in questi casi, i beni si presumono comuni ai soli condòmini che ne godono e che li utilizzano (Cass. civ., Sez. II, 5 maggio 2016, n. 9035). 

Considerato che tutti i beni comuni sono collegati strutturalmente e funzionalmente alle unità di proprietà esclusiva e sono a queste strumentali, ne consegue che tutti i condòmini devono provvedere alla loro conservazione e, se del caso, al loro miglioramento, con particolare riferimento all’uso e al godimento dei medesimi. La relativa contribuzione è fondata sulla contitolarità della proprietà dei beni condominiali e l’obbligazione che ne deriva è una obbligatio proter rem, alla quale nessuno può sottrarsi ai sensi dell’art. 1118 codice civile.

RIPARTIZIONE DELLE SPESE

Le spese, e il correlato riparto tra i condòmini in forza del valore della quota millesimale di ciascuno, sono disciplinate dall’art. 1123 codice civile. Va, innanzitutto, ribadito che quest’ultimo articolo è un articolo derogabile e pertanto il criterio indicato può essere sostituito con un altro, purché deliberato e accettato dall’intera compagine condominiale.

Se, viceversa, una clausola contrattuale del regolamento allegato ai contratti di compravendita o approvato in assemblea da tutti i partecipanti al condominio e dagli stessi sottoscritto, non prospetta un criterio derogativo di quello stabilito dall’art. 1123 codice civile, i condòmini e l’amministratore devono attenersi a questo.

Con il primo comma di questo articolo, il legislatore ha determinato le modalità di ripartizione delle spese che ineriscono alla conservazione delle parti comuni e alla prestazione dei servizi a favore dei condòmini. Le spese che riguardano la conservazione dei beni condominiali sono relative al loro ripristino al fine di garantirne l’uso costante e la funzione strutturale permanente.

LE MAGGIORANZE

L’approvazione delle spese e del relativo riparto, sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire in assemblea con una delibera assunta dalla maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio condominiale, seppure per le sole spese concernenti la manutenzione ordinaria dei beni comuni e l’esercizio dei servizi condominiali; per le spese inerenti alla manutenzione straordinaria di notevole entità delle cose comuni, la delibera deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentante almeno la metà del valore millesimale dello stabile condominiale, eccettuate specifiche fattispecie inerenti, tra l’altro, alla normativa concernente il risparmio energetico. Tuttavia, in caso di vendita di una unità immobiliare, se nel condominio siano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento dell’adozione della delibera assembleare, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2013, n. 8782). 

Viceversa, per quanto attiene alle spese di manutenzione ordinaria, queste hanno il loro momento costitutivo nell’esecuzione degli interventi programmati o resisi necessari nelle more della gestione, mentre le spese straordinarie nella data della delibera che li ha approvati.

La manutenzione straordinaria inerisce, tra l’altro, alle opere necessarie per rinnovare, sostituire e integrare parti degli impianti tecnologici (Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).

SOLIDARIETÀ

Come è noto, l’art. 63 disp. att. codice civile, inerisce alla responsabilità solidale tra acquirente e alienante sino a che non sia inviata copia autentica del contratto di compravendita all’amministratore. La necessità della trasmissione è incomprensibile, considerato che sarebbe stato sufficiente una dichiarazione ad hoc del notaio rogante.

Si deve, altresì, osservare come la suddetta solidarietà inerisca, esclusivamente, alla gestione in corso al momento dell’atto di compravendita e a quella immediatamente precedente; nulla rileva la circostanza che l’amministratore abbia indicato nel riparto consuntivo anche il debito delle gestioni precedenti, che rimane ad esclusivo carico dell’alienante. Inoltre tale norma vale solo per la successione di proprietà inter vivos, in quanto la successione mortis causa determina l’addebito dell’intera somma dovuta dal de cuius a tutti i suoi eredi poiché questi subentrano, a titolo universale, nella identica posizione giuridica ed economica del loro dante causa, sempre che non abbiano rinunciato all’eredità o l’abbiano accettata con beneficio d’inventario. 

I soggetti obbligati al pagamento sono gli effettivi titolari dei diritti reali delle singole unità immobiliari, costituenti il condominio; i nudi proprietari devono pagare le spese per la manutenzione straordinaria delle parti e degli impianti comuni, mentre gli usufruttuari, così come i titolari dei diritti di uso e di abitazione, ai quali si applica la normativa inerente all’usufrutto ex art. 1026 codice civile, devono pagare le spese della gestione amministrativa ordinaria; la ripartizione tra costoro deve essere specificata nel riparto preventivo e consuntivo allegati al rendiconto annuale. Il nudo proprietario è solidamente responsabile con l’usufruttuario per l’eventuale morosità di questi e viceversa in forza dell’ultimo comma del novellato art. 67 disp. att. codice civile.

Il secondo e il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, apparentemente sembrano stabilire il medesimo principio. Viceversa, il legislatore ha voluto individuare due differenti fattispecie.

IL GODIMENTO

Con il secondo comma il legislatore ha disciplinato il godimento, da parte di ciascun condomino, dei beni comuni, affinché la spesa relativa, addebitabile a questi, sia proporzionata all’uso che del bene il singolo effettua. Le ipotesi più frequenti sono rappresentate dall’uso dell’ascensore per chi abita i piani alti dello stabile o dall’uso dell’impianto di riscaldamento dovuto all’inserimento negli appartamenti, ad esempio, siti all’ultimo piano dello stabile, di un maggior numero di elementi radianti.

Considerato che alcuni condòmini effettuano un più intenso uso di una parte o di un impianto, logorano la struttura e/o determinano un più frequente servizio manutentivo, sono chiamati a pagare una quota di spesa superiore agli altri. Il concetto di uso del bene si riferisce a un suo uso potenziale e astratto e non al suo godimento effettivo, che il singolo, per sua scelta, può trarne (App. Ancona 29 marzo 2016, in Leggi d’Italia).

Per questo motivo è opportuno che in ogni condominio unitamente alla tabella dei millesimi di proprietà, sussistano le tabelle di gestione relative, ad esempio, al servizio di portierato, alla manutenzione del giardino, al consumo dell’acqua, all’uso dell’ascensore, all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento.

CONDOMINIO PARZIALE

Il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, introduce il concetto del così detto condominio parziale basato sulla delimitazione dell’appartenenza di un determinato bene soltanto a un gruppo di condòmini con esclusione degli altri; si pensi, ad esempio, a una chiostra che fornisca aria e luce soltanto ad alcuni appartamenti, ma non a tutti quelli che costituiscono l’edificio condominiale.

Indipendentemente dalla qualificazione “comune” di un bene, fornita dal regolamento condominiale, è necessario verificarne la concreta destinazione d’uso, in quanto se finalizzata all’utilità esclusiva di una porzione dello stabile, soltanto i proprietari di questa devono sopportarne le spese manutentive (Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).

L’art. 1123 codice civile costituisce il principio generale inerente ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali; tuttavia, lo stesso legislatore ha voluto disciplinare, direttamente, alcune fattispecie, quali le scale e gli ascensori (art. 1124 codice civile), i solai (art. 1125 codice civile), i lastrici solari e le terrazze a livello (art. 1126 codice civile). Questi articoli non sono altro che i corollari dei principi previsti nell’art. 1123 codice civile e si rammenta che sono tutti derogabili, per cui una convenzione, assunta da tutti, indistintamente, i condomini, può stabilire un differente criterio.

Così, la clausola contrattuale del regolamento può esonerare dal pagamento delle spese i proprietari delle sole autorimesse con accesso diretto dalla strada e che non costituiscono pertinenze degli appartamenti dello stabile. Non è, viceversa, idonea, poiché nulla, una delibera assembleare che modifichi, a maggioranza, la originaria tabella millesimale, considerato che incide sui diritti soggettivi dei singoli condòmini e una, siffatta, limitazione deve essere espressamente accettata da ogni aderente.

Infine, si rammenta che tutti i condòmini sono obbligati a corrispondere le spese che l’amministratore ha sostenuto ai sensi del secondo comma dell’art. 1135 codice civile, limitatamente, però, a quelli inerenti all’eliminazione dei pericoli che abbia potuto causare e non anche alla sua manutenzione e/o al suo risanamento, per esempio, devono essere pagate le spese di rimozione delle parti pericolanti di un cornicione ammalorato, ma non il suo ripristino.

ANIMALI IN CONDOMINIO: LA GIURISPRUDENZA E LE INCONGRUENZE DELLA RIFORMA

[A cura di: avv. Giuliana Bartiromo Centro studi nazionale Appc] 

Recentemente il Tribunale ordinario di Cagliari con l’ordinanza del 22 luglio 2016 ha riproposto uno dei temi più accesi in condominio, quello della detenzione di animali e la distinzione tra regolamento assembleare e contrattuale.

In particolare, un condomino proponeva ricorso ex art. 702 cpc per sentire dichiarata la nullità di un articolo del regolamento di condominio che vietava di tenere animali domestici. Tale ricorso veniva fondato sulla disposizione contenuta nell’art. 1138 c.c. ultimo comma, modificata a seguito della L. 220/2012 di riforma del condominio, in base alla quale le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.

Il condominio costituitosi sosteneva ovviamente la natura contrattuale del regolamento condominiale, predisposto dall’originario unico costruttore, accettato da tutti i proprietari e richiamato in ogni atto di acquisto dai singoli acquirenti eccependo, pertanto, che l’art. 1138 c.c., modificato dall’innovazione introdotta dalla legge di riforma, riguardasse esclusivamente i regolamenti assembleari, ossia quelli assunti a maggioranza.

Ebbene, il tribunale di Cagliari ha accolto il ricorso del condomino, ritenendo che la clausola del regolamento sia affetta da nullità sopravvenuta, conseguente all’introduzione della L. 220/2012 che ha modificato, tra le altre disposizioni, anche l’art. 1138 c.c. a mente del quale “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”

Il tribunale specifica che la norma contenuta nel regolamento condominiale risulta contraria ai principi di ordine pubblico e del diritto europeo che tende invece a valorizzare il rapporto uomo-animale. Si fa riferimento nell’ordinanza al diritto di visita in carcere al cane del detenuto, in quanto membro della famiglia o al diritto di visita in ospedale al cane del paziente ricoverato, atteso che il rapporto uomo-animale realizza l’intera personalità umana.

L’ordinanza fa espresso richiamo anche alla legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione al randagismo, ossia la L. 281/1991 (la stessa che fu utilizzata dal Tribunale di Milano nel 2009 che aveva respinto il ricorso di un gruppo di proprietari verso una condomina amante dei gatti che dava cibo ai gatti randagi ed aveva creato per di più dei rifugi per gli stessi nelle parti comuni del condominio).

A livello europeo viene richiamata la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia firmata a Strasburgo il 13.11.1987 e ratificata ed eseguita in Italia con la Legge 201/2010 nella quale viene sancito l’obbligo morale dell’uomo di rispettare tutte le creature viventi compresa l’importanza degli animali da compagnia ed il loro valore per la società e per l’uomo ed il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ratificato con legge 130/2008, nonché il nuovo Codice della Strada che ha disposto l’obbligo di fermarsi a soccorrere l’animale ferito in caso di incidente.

L’ordinanza del Tribunale di Cagliari, in pratica, estende la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. a tutti i regolamenti assembleari e contrattuali, stabilendo che è pur vero che l’art. 1138 c.c. detta le norme per l’adozione dei regolamenti c.d. assembleari, tuttavia nella norma non v’è alcuna indicazione alla natura del regolamento e pertanto è valevole per qualsiasi regolamento, indipendentemente dalla fonte.

Pertanto, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato la nullità della clausola che vietava la detenzione di animali nel regolamento condominiale contrattuale ed ha condannato il condominio alle spese di giudizio. 

I REGOLAMENTI

Questa pronuncia si configura di certo come una novità rispetto alla scolastica e consolidata differenza tra regolamento assembleare approvato a maggioranza dai condòmini, modificabile a maggioranza e che non può limitare, ma si limita a regolare e che non può privare nessun condomino dei diritti che la legge gli riconosce rispetto al regolamento di natura contrattuale, predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio e trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale, vincolando tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l’uso di godimento di servizi delle parti comuni, ma anche per quelle che limitano il potere e le facoltà dei singoli condòmini sulle loro proprietà esclusive.

Il regolamento contrattuale, essendo un contratto tra le parti, ha un contenuto “libero” salvo che le pattuizioni riguardino diritti liberamente disponibili e siano meritevoli di tutela e può limitare, pregiudicare o ridurre i diritti e le facoltà spettanti ai singoli, ai quali possono essere imposti anche obblighi non spettanti dalla legge.

QUALE NOVITÀ

Questa pronuncia destabilizza di certo tutte le convinzioni e le differenze tra regolamenti assembleari e contrattuali, tant’è che a proposito dell’introduzione della legge di riforma, all’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. non era risultata una novità, in quanto l’assemblea condominiale non può, con voto a maggioranza, imporre ad un condomino di astenersi dal tenere cani nel proprio appartamento e, quindi, né prima né ora alcun regolamento condominiale approvato a maggioranza può vietare di detenere animali.

Solo un regolamento di natura contrattuale invece, può limitare e vietare la detenzione di animali. Tant’è che sia la giurisprudenza di legittimità che di merito negli anni hanno sempre stabilito che se il divieto di tenere animali è espresso nel regolamento contrattuale, si ritiene pienamente legittimo e quindi vigente l’obbligo-divieto di tenere animali in condominio da parte dei condòmini che a tanto si sono obbligati in virtù del regolamento contrattuale.

Faccio riferimento ad esempio alla Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 febbraio 2011 n. 3705, che appunto stabiliva che “Il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali”.

La corte di Cassazione con tale sentenza ha sancito che le clausole del regolamento condominiale contrattuale, che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condòmini sulle parti di loro esclusiva proprietà, possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari. Pertanto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti “assembleari” importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva.

LE INCONGRUENZE

Sembra quasi che le incongruenze, i vuoti della riforma, stiano pian piano venendo al pettine. Insomma, già nella prima versione dell’art. 1138 c.c. si parlava di animali da compagnia; poi per evitare delle discriminazioni e problematiche tra le associazioni animaliste si è scelto di usare l’espressione “animali domestici”. Sebbene questa espressione, ricomprenda, non solo gatti e cani, ma anche cavalli, conigli, maialini ecc. Certo è che la norma che vieta la detenzione di animali domestici è stata inserita nell’art. 1138 c.c. che disciplina i regolamenti assembleari, perché si è voluto statuire concretamente e per iscritto un principio assodato in giurisprudenza. Diverso, a mio avviso, è il caso del regolamento contrattuale predisposto dall’originario costruttore, richiamato negli atti di acquisto ed accettato dagli acquirenti, che, a mio parere, può contenere divieti sui quali la riforma non può agire.

Inoltre, la commissione Giustizia del Senato, in sede di approvazione della norma, aveva chiarito che il divieto non riguardava i regolamenti di natura contrattuale in coerenza con i principi dell’autonomia contrattuale (articolo 1322 del Codice civile) consentendo ai condòmini di deliberare limitazioni ai diritti dominicali loro spettanti. Infatti, proprio l’articolo 1138, al quarto comma, prevede che le disposizioni contenute nel regolamento assembleare “non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni” (intendendosi come tali i regolamenti di natura contrattuale). Peraltro, la previsione contenuta al comma quinto dell’articolo 1138, che impedisce di vietare la detenzione di animali domestici, non è altro che il risultato di un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cassazione, sentenze 3705/2011, 13164/2001 e 12028/1993) che, nel corso di questi anni, ha negato validità al divieto di detenere o possedere animali domestici contenuti nei regolamenti di natura assembleare.

Per quanto riguarda la questione della irretroattività della legge, atteso che i più rivoluzionari stabiliscono che la disposizione dell’art. 1138 c.c. renda nulli tutti i regolamenti, anche quelli preesistenti alla legge di riforma, è bene ricordare che la legge non dispone che per l’avvenire: quindi i regolamenti assembleari deliberati prima del 18 giugno 2013, anche se contengono divieti alla detenzione di animali, restano validi sino a eventuale modifica in assemblea.

BONUS MOBILI: I DUBBI DEI CONTRIBUENTI E GLI ULTIMI CHIARIMENTI DELLE ENTRATE

Il bonus mobili “tradizionale” e quello per le giovani coppie. Quattro quesiti pervenuti alla sua rubrica di posta fiscale, curata dall’esperto Gianfranco Mingione, hanno fatto sì che l’Agenzia delle Entrate, tramite il suo organo ufficiale d’informazione, “Fisco Oggi”, dedicasse una sorta di focus alle detrazioni fiscali attualmente spettanti per l’acquisto del mobilio. Riportiamo, di seguito, le domande dei contribuenti e i chiarimenti delle Entrate.

BONUS GIOVANI COPPIE: A CHI SPETTA

D. Il bonus per l’acquisto di mobili da parte di giovani coppie che comprano l’abitazione principale spetta anche a chi compra casa da solo e ha meno di 35anni?

R. L’agevolazione è riservata alle giovani coppie costituenti un nucleo familiare composto da coniugi o da conviventi more uxorio da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni, acquirenti di un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale della coppia (articolo 1, comma 75, legge 208/2015). Il requisito della convivenza deve risultare nell’anno 2016 e deve essere attestato dall’iscrizione dei due componenti nello stesso stato di famiglia oppure attraverso autocertificazione. L’acquisto dell’unità immobiliare può essere effettuato da entrambi i coniugi o conviventi more uxorio o da uno solo di essi; in quest’ultimo caso, a comprare deve essere il componente che non ha superato il 35° anno d’età (circolare 7/E del 2016).

BONUS GIOVANI COPPIE: IL PAGAMENTO

D. Per fruire del bonus mobili giovani coppie, quali mezzi di pagamento è possibile utilizzare? Se si opta per il bonifico, deve avere requisiti particolari?

R. Il pagamento delle spese sostenute per l’acquisto dei mobili destinati ad arredare l’abitazione principale della giovane coppia può essere effettuato, alternativamente, con bonifico bancario o postale o con carta di debito o credito. Qualora il pagamento sia disposto con bonifico, non occorre utilizzare quello – soggetto a ritenuta – appositamente predisposto da banche e Poste italiane Spa per le spese di ristrutturazione edilizia. Non è in ogni caso consentito l’impiego di assegni bancari, contanti o altri mezzi di pagamento (paragrafo 2.4 della circolare 7/E del 2016).

BONUS MOBILI E DESTINAZIONE IMMOBILE

D. A ottobre comprerò casa assieme alla mia compagna, con la quale convivo da più di tre anni. L’appartamento potrà essere destinato a nostra abitazione principale solo a gennaio 2017. Ci spetta il bonus mobili per giovani coppie?

R. L’agevolazione cui si riferisce il lettore è stata introdotta dall’ultima legge di stabilità e spetta per le spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 per l’acquisto di mobili destinati all’arredo dell’abitazione principale della giovane coppia (almeno uno dei due non deve aver superato i 35 anni di età). L’acquisto dell’unità immobiliare deve avvenire nel 2015 o nel 2016, mentre la destinazione della stessa ad abitazione principale di entrambi i componenti della coppia, per gli immobili acquistati nel 2016, può avvenire anche più in là, comunque entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi per quell’annualità, quindi entro il termine di presentazione del modello Unico Pf 2017 (circolare 7/2016).

BONUS MOBILI E DOCUMENTAZIONE DI SPESA

D. Lo scorso anno ho effettuato dei lavori di ristrutturazione nel mio appartamento. Contestualmente ho comprato degli elettrodomestici, pagando con bancomat. È sufficiente lo scontrino fiscale ai fini della detrazione?

R. Si ha diritto al “bonus mobili” anche in caso di pagamento effettuato tramite moneta elettronica (carta di credito o bancomat). In tale ipotesi, se il rivenditore non emette fattura, è necessario che nello scontrino siano indicati il codice fiscale dell’acquirente e la natura, qualità e quantità dei beni acquistati. In caso di mancata indicazione del codice fiscale dell’acquirente, lo scontrino può comunque consentire la fruizione del beneficio, se riporta natura, quantità e qualità dei beni acquistati ed è riconducibile al contribuente titolare della carta in base alla corrispondenza con i dati del pagamento (esercente, importo, data e ora). Per i pagamenti effettuati con carte di debito o di credito, va conservata anche la ricevuta di avvenuta transazione.

DOMOTICA: IL VADEMECUM DELL’ENEA PER ACCEDERE AGLI INCENTIVI FISCALI

È disponibile sul sito dell’ENEA un vademecum realizzato dagli esperti dell’Unità tecnica efficienza energetica con le indicazioni per accedere agli ecoincentivi per la building automation: vale a dire i dispositivi multimediali che consentono il controllo intelligente degli impianti termici da remoto

(efficienzaenergetica.acs.enea.it/tecno/buildingautomation.pdf). 

Secondo quanto previsto dalla Finanziaria 2016, sono ammesse alla detrazione del 65% le spese per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi elettronici, elettrici e meccanici che consentano la gestione automatica personalizzata a distanza di impianti di riscaldamento, di climatizzazione estiva e per produrre acqua calda sanitaria. La documentazione per usufruire della detrazione delle spese sostenute va inviata sul sito finanziaria2016.enea.it.

Per poter usufruire dell’ecobonus, il vademecum chiarisce quali sono le opere di domotica incentivate, le caratteristiche tecniche dell’intervento e i requisiti dell’immobile dove viene effettuato. In particolare, alla data della richiesta di detrazione, l’immobile deve essere accatastato o con richiesta di accatastamento in corso; inoltre deve essere dotato di impianto di riscaldamento e risultare in regola con il pagamento di eventuali tributi. L’intervento deve configurarsi come fornitura e messa in opera, nelle unità abitative, di dispositivi che consentano la gestione automatica personalizzata degli impianti di riscaldamento o produzione di acqua calda sanitaria o di climatizzazione estiva, compreso il loro controllo da remoto attraverso canali multimediali, eseguiti indipendentemente dalle installazioni e sostituzioni di impianti di climatizzazione invernale.

Sono ammesse anche la fornitura e posa in opera di tutte le apparecchiature elettriche, elettroniche e meccaniche nonché delle opere elettriche e murarie necessarie per l’installazione e la messa in funzione a regola d’arte, all’interno degli edifici, di sistemi di building automation degli impianti termici degli edifici. Non si può invece usufruire dell’ecobonus per l’acquisto di dispositivi che servono per interagire da remoto, come ad esempio telefoni cellulari, tablet o personal computer.

Gli interventi di building automation potranno essere realizzati sia indipendentemente che in abbinamento con interventi di riqualificazione degli impianti per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria previsti dai decreti sugli ecobonus.

Per tutte le indicazioni tecniche e procedurali rimane attivo l’apposito servizio di consulenza online alla pagina www.acs.enea.it/contatti/.

ABOLIZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE: IN SOSTANZA CHE COSA CAMBIA?

[A cura di: Andrea Cartosio – Istituto nazionale tributaristi]

Giorni addietro l’Agenzia delle Entrate ha provveduto alla pubblicazione delle bozze relative agli studi di settore anno di imposta 2016, esclusivamente per attività del settore manifatturiero, commercio e servizi, i quali dovranno essere utilizzati per la “campagna” dichiarativa anno 2017.

Da una prima attenta analisi è possibile riscontrare alcune novità in particolar modo relative alla semplificazione delle informazioni in esso contenute e al fatto che verranno incrementate le informazioni disponibili per il contribuente nel proprio cassetto fiscale.

Discorso differente per quanto concerne i liberi professionisti, per i quali si ipotizza l’abolizione degli stessi attraverso una correzione da attuare nel minor tempo possibile alla legge delega. Si ventila la possibilità che ciò avvenga già dall’anno prossimo. Ad oggi, a più riprese, associazioni di categorie e ordini professionali hanno continuamente contestato l’attendibilità di tale istituto: in primis poiché il principio contabile applicato al singolo professionista è quello di cassa per la determinazione del reddito, complicando la possibilità di rilevare spese sostenute nell’anno e compensi ricevuti. 

Come già previsto da provvedimenti emanati dal Governo tempi addietro, tale semplificazione vorrà incrementare e rendere definitivo per tutti i liberi professionisti l’utilizzo della fatturazione elettronica, sia in riferimento alle fatture emesse/attive che per quelle ricevute/passive. Questo sistema, tracciabile e palese, consentirebbe all’amministrazione finanziaria di ridurre l’evasione fiscale e di poter predisporre la dichiarazione IVA pre-compilata e successivamente il modello Unico (poiché ad oggi i dati presenti nel modello precompilato non risultano attendibili completamente).

L’abolizione tout court, appena enunciata, degli studi di settore, comporterà la “nascita” dell’indicatore di compliance, ossia un dato che indicherà il grado di affidabilità fiscale del contribuente espresso in un valore numerico da 1 a 10. I contribuenti che attraverso tale indicatore avranno una votazione alta potranno godere di un sistema premiale che prevedrà agevolazioni inerenti i rimborsi fiscali, la riduzione della tempistica e l’esclusione da alcune tipologie di accertamenti fiscali.

CASA: LE SCHEDE DEL MEF SULLE AGEVOLAZIONI E LE OPPORTUNITÀ

Consumi energetici troppo alti in casa? La banca non concede il mutuo? Qualche mobile da cambiare dopo una ristrutturazione? Sono queste alcune delle situazioni in cui può trovarsi chiunque nel rapporto con la casa. Gli strumenti pubblici a disposizione dei cittadini proprietari di immobili, o che intendono acquistarne, sono numerosi e talvolta poco conosciuti. Si tratta di fondi di garanzia, agevolazioni fiscali e strumenti giuridici innovativi come il leasing immobiliare. 

Ebbene, il Ministero dell’Economia ha raccolto in un pacchetto organico le informazioni su tutti questi strumenti e ha avviato nei giorni scorsi la campagna informativa: “Casa? Cosa possibile!”, riassunta sui social network con l’hashtag “#CasaConviene”. 

La diffusione delle informazioni è stata realizzata in collaborazione con 30 partner che hanno aderito all’iniziativa: organizzazioni di produttori, associazioni di consumatori e ordini professionali. Quindi, la Direzione della Comunicazione Istituzionale del MEF ha messo a disposizione dei partner i materiali realizzati internamente e, in collaborazione con il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, li ha pubblicati sul sito www.casa.governo.it.

Riportiamo di seguito una sintesi dei contenuti principali, ripartiti per aree tematiche ed elencati in ordine alfabetico. Tutti gli ulteriori approfondimenti possono essere reperiti direttamente on line, sui canali dedicati.

ACQUISTARE/AFFITTARE

Benefici prima casa anche prima di vendere la precedente. La disposizione introdotta dal comma 55 della Legge di Stabilità 2016 consente di beneficiare dell’agevolazione per l’acquisto della prima casa (applicando l’imposta di registro con aliquota del 2% invece che del 9% ovvero, qualora si compri dall’impresa costruttrice, l’Iva al 4% anziché al 10%) anche nel caso in cui, al momento dell’atto, se ne possegga un’altra per la quale si è fruito della stessa agevolazione. L’unica condizione imposta è che la “vecchia” abitazione venga ceduta entro un anno dal nuovo acquisto. Se l’impegno a vendere il precedente immobile non viene rispettato, si decade dall’agevolazione e bisogna corrispondere l’imposta di registro nella misura ordinaria, con l’aggiunta degli interessi di mora e di una sanzione pari al 30% della maggiore imposta. In caso di operazione soggetta all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio delle Entrate competente recupererà, maggiorata dei relativi interessi, la differenza tra l’Iva calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, e irrogherà la sanzione amministrativa, pari al 30% della differenza medesima.

Sconto Irpef per l’acquisto di abitazioni efficienti. Il comma 56 della Legge di Stabilità 2016 ha istituito un premio fiscale per le persone fisiche che, entro il 31 dicembre 2016, compreranno dall’impresa costruttrice unità immobiliari a destinazione residenziale di classe energetica A o B. Il premio consiste nella possibilità di detrarre dall’Irpef lorda, fino a concorrenza del suo ammontare, il 50% dell’Iva pagata in relazione all’acquisto. Il beneficio dovrà essere suddiviso in dieci quote costanti, a partire dall’anno in cui la spesa è stata sostenuta.

Meno imposte per chi compra in leasing l’abitazione principale. Il pacchetto di misure per il leasing immobiliare abitativo prevede agevolazioni fiscali e garanzie civilistiche finalizzate a favorire l’utilizzo dello strumento del leasing per l’acquisto dell’abitazione principale. Accesso al mutuo prima casa più facile con le garanzie statali. Il Fondo di garanzia per l’acquisto e la ristrutturazione della prima casa consente di richiedere mutui ipotecari fino a 250.000 euro avvalendosi delle garanzie statali per la metà dell’importo. 

Sospensione rate mutui. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) mette a disposizione uno strumento che permette di sospendere per un tempo determinato il pagamento delle rate del mutuo in caso si verifichino situazioni di temporanea difficoltà economica: il Fondo di solidarietà per i mutui prima casa. 

IMU e TASI agevolate per le case in comodato. Chi concede in comodato un immobile non di lusso ad un familiare che la adibisce ad abitazione principale può godere della riduzione della base imponibile dell’IMU e della TASI al 50%.

Cedolare Secca. La cedolare secca è un regime facoltativo che prevede, per le persone fisiche che affittano un immobile ad uso abitativo, il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, delle addizionali, dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo. 

ARREDARE

Ristrutturazione edilizia e bonus mobili. La Legge di Stabilità 2016 ha prorogato fino al 31 dicembre 2016 la detrazione del 50% delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia fino a un massimo di 96.000 euro di spese. Con lo stesso provvedimento è stata confermata, per gli immobili oggetto di ristrutturazione, anche la possibilità di detrarre le spese sostenute fino al 31 dicembre 2016 (da calcolare su un importo massimo di 10.000 euro per unità immobiliare e fruito in dieci quote annuali di pari importo), per acquistare mobili e grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+ (A per i forni). 

Bonus mobili per le giovani coppie. È stato istituito per il 2016 il bonus mobili per le giovani coppie (nelle quali almeno uno dei due non ha superato i 35 anni di età) che acquistano la prima casa. L’agevolazione consiste in una detrazione Irpef pari al 50% delle spese sostenute nel 2016 per l’acquisto di mobili destinati alla propria abitazione, da calcolare su un ammontare complessivo non superiore a 16.000 euro e da fruire in dieci quote annuali di pari importo. Il bonus mobili non è cumulabile con quello relativo all’acquisto di arredi (mobili e grandi elettrodomestici) per l’immobile ristrutturato. 

RISPARMIO ENERGETICO

Riqualificazione energetica degli edifici. La Legge di Stabilità 2016 ha prorogato la detrazione fiscale pari al 65% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Per gli interventi alle parti comuni degli edifici condominiali e per quelli che riguardano tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio, si potrà godere dell’agevolazione fino al 31 dicembre 2016. 

Quanta energia puoi risparmiare. Una famiglia di 4 persone consuma annualmente circa 3.000 kWh elettrici, 6.000 kWh termici per il riscaldamento degli ambienti e 3.000 kWh termici per il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria. La stessa famiglia, utilizzando elettrodomestici a basso consumo e dispositivi per il risparmio dell’acqua e realizzando interventi di riqualificazione energetica dell’immobile, potrebbe arrivare a consumare annualmente circa: 1.500 kWh elettrici, 3.500 kWh termici per il riscaldamento degli ambienti, 2.000 kWh termici per il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria. 

RISTRUTTURARE

Adeguamento antisismico. La detrazione del 65% è riconosciuta se gli interventi sono effettuati per il miglioramento o l’adeguamento antisismico e per la messa in sicurezza degli edifici o se gli interventi sono effettuati su edifici ricadenti in zone sismiche ad alta pericolosità adibiti ad abitazione principale o ad attività produttiva.

Cosa puoi detrarre. L’agevolazione fiscale consiste in detrazioni dall’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) o dall’Ires (Imposta sul reddito delle società) ed è concessa quando si eseguono interventi:

* di ristrutturazione edilizia e acquisto mobili ed elettrodomestici connesso alla ristrutturazione;

* di riqualificazione energetica degli immobili;

* di miglioramento e adeguamento sismico.

Le detrazioni, da ripartire in dieci rate annuali di pari importo, sono riconosciute nelle
seguenti misure:

* 50% per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici;

* 65% per miglioramento energetico;

* 65% per miglioramento e adeguamento sismico.

Cosa devi ricordare. È fondamentale tenere presente le seguenti disposizioni:

* Quando gli interventi consistono nella prosecuzione di lavori appartenenti alla stessa categoria, effettuati in precedenza sullo stesso immobile, ai fini del computo del limite massimo della detrazione occorre tener conto anche delle detrazioni fruite negli anni precedenti.

* Come tutte le detrazioni d’imposta, l’agevolazione è ammessa entro il limite che trova capienza nell’imposta annua derivante dalla dichiarazione dei redditi. In sostanza, la somma eventualmente eccedente non può essere chiesta a rimborso.

* La norma non stabilisce quali opere o impianti occorre realizzare per raggiungere le prestazioni energetiche richieste. L’intervento, infatti, è definito in funzione del risultato che si consegue in termini di riduzione del fabbisogno annuo di energia primaria per la climatizzazione invernale dell’intero fabbricato. Pertanto, la categoria degli “interventi di riqualificazione energetica” ammessi al beneficio fiscale include qualsiasi intervento, o insieme sistematico di interventi, che incida sulla prestazione energetica dell’edificio, realizzando la maggior efficienza energetica richiesta dalla norma.

* Per beneficiare dell’agevolazione fiscale per il risparmio energetico è necessario acquisire i seguenti documenti:

a) lasseverazione, che consente di dimostrare che l’intervento realizzato è conforme ai requisiti tecnici richiesti. Se vengono eseguiti più interventi sullo stesso edificio l’asseverazione può avere carattere unitario e fornire in modo complessivo i dati e le informazioni richieste. In alcuni casi, questo documento può essere sostituito da una certificazione dei produttori, per esempio, per interventi di sostituzione di finestre e infissi o per le caldaie a condensazione con potenza inferiore a 100 kW (vedi più avanti).

NB: l’asseverazione del tecnico abilitato può essere sostituita dalla dichiarazione resa dal direttore dei lavori (D.M. 6 agosto 2009). Inoltre, nelle ipotesi di autocostruzione dei pannelli solari, è sufficiente l’attestato di partecipazione a un apposito corso di formazione.

b) l’attestato di certificazione (o qualificazione) energetica, che comprende i dati relativi all’efficienza energetica propri dell’edificio. Tale certificazione è prodotta dopo l’esecuzione degli interventi, utilizzando procedure e metodologie approvate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano ovvero le procedure stabilite dai Comuni con proprio regolamento antecedente l’8 ottobre 2005. Per gli interventi realizzati a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, l’attestato di certificazione energetica degli edifici, ove richiesto, è prodotto, successivamente all’esecuzione degli interventi, utilizzando le procedure e le metodologie indicate dall’articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, ovvero approvate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, ovvero le procedure stabilite dai Comuni con proprio regolamento antecedente l’8 ottobre 2005. In assenza delle citate procedure, dopo l’esecuzione dei lavori può essere prodotto l’attestato di “qualificazione energetica” in sostituzione di quello di “certificazione energetica”. Il certificato deve essere predisposto in conformità allo schema riportato nell’allegato A del decreto attuativo ed asseverato da un tecnico abilitato. Gli indici di prestazione energetica, oggetto della documentazione indicata, possono essere calcolati, nei casi previsti, con la metodologia semplificata riportata dall’allegato B (o allegato G) dei decreti attuativi.

NB: per le spese effettuate dal 1° gennaio 2008, per la sostituzione di finestre in singole unità immobiliari e per l’installazione di pannelli solari non occorre più presentare l’attestato di certificazione energetica (o di qualificazione) energetica. Tale certificazione non è più richiesta per gli interventi, realizzati a partire dal 15 agosto 2009, riguardanti la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale.

Come avere diritto alla detrazione. I contribuenti devono eseguire i pagamenti mediante bonifici bancari o postali soggetti a ritenuta, con le medesime modalità già previste per i pagamenti dei lavori di ristrutturazione fiscalmente agevolati. Nei bonifici, pertanto, dovranno essere indicati:

* la causale del versamento attualmente utilizzata dalle banche e da Poste Italiane SPA per i bonifici relativi ai lavori di ristrutturazione fiscalmente agevolati;

* il codice fiscale del beneficiario della detrazione;

* il numero di partita Iva ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.

I contribuenti titolari di reddito di impresa, per beneficiare dell’agevolazione fiscale per il risparmio energetico, sono invece esonerati dall’obbligo di pagamento mediante bonifico bancario o postale. In tal caso, la prova delle spese può essere costituita da altra idonea documentazione.

Quanto puoi detrarre. Il Governo, con la Legge di Stabilità 2016, ha prorogato fino al 31 dicembre 2016 la possibilità di usufruire della detrazione fiscale del 50% e per un importo fino a 96.000 euro per interventi di ristrutturazione edilizia, per ogni unità immobiliare. La detrazione va spalmata in 10 annualità di pari importo.

Inoltre è prevista, fino al 31 dicembre 2016, la detrazione del 50%, entro un massimo di 10.000 euro, per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, indipendentemente dall’importo complessivo delle spese sostenute per la ristrutturazione edilizia e fino ad un massimo di 16.000 euro per l’acquisto di mobili nuovi, effettuato dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, per le giovani coppie acquirenti di un immobile da adibire ad abitazione principale.

La detrazione è invece pari al 65% se gli interventi sono effettuati per il miglioramento o l’adeguamento antisismico e per la messa in sicurezza antisismica degli edifici o se gli interventi sono effettuati su edifici ricadenti in zone sismiche ad alta pericolosità adibiti ad abitazione principale o ad attività produttiva.

La Legge di Stabilità 2016 ha prorogato al 31 dicembre 2016 la detrazione fiscale del 65% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, e ha introdotto, per i lavori di efficientamento energetico sulle parti comuni degli stabili, il credito d’imposta cedibile per i condomini, incapienti ai fini fiscali, in favore delle ditte realizzatrici degli interventi. Rimangono invariate le categorie di interventi detraibili aggiunte con la Legge di Stabilità 2015: acquisto e posa in opera delle schermature solari e di impianti di climatizzazione dotati di generatori di calore alimentati a biomasse combustibili. L’agevolazione fiscale consiste in una detrazione dall’imposta lorda, che può essere fatta valere sia sull’Irpef che sull’Ires, in misura pari al 65% delle spese sostenute. Per gli interventi effettuati a partire dal 2011 è obbligatorio suddividere questa detrazione in dieci rate annuali di pari importo. 

Il limite massimo di risparmio ottenibile con la detrazione (100.000, 60.000 e 30.000 euro, a seconda del tipo di intervento) va riferito all’unità immobiliare oggetto dell’intervento stesso. Pertanto, va suddiviso tra i soggetti detentori o possessori dell’immobile che partecipano alla spesa, in ragione dell’onere effettivamente sostenuto da ciascuno. Anche per gli interventi condominiali l’ammontare massimo di detrazione deve essere riferito a ciascuna delle unità immobiliari che compongono l’edificio. Tuttavia, quando si tratta di un intervento di riqualificazione energetica, per il quale è prevista la detrazione di 100.000 euro – e lo stesso intervento si riferisce all’intero edificio e non a “parti” di edificio – tale somma costituisce anche il limite complessivo di detrazione e va ripartita tra i soggetti che hanno diritto al beneficio.

Se sono stati realizzati più interventi di risparmio energetico agevolabili, il limite massimo di detrazione applicabile sarà costituito dalla somma degli importi previsti per ciascuno degli interventi realizzati. Così, per esempio, se sono stati installati dei pannelli solari, per i quali è previsto un importo massimo di detrazione di 60.000 euro, e sostituito l’impianto di climatizzazione invernale, per il quale la detrazione massima applicabile è di 30.000 euro, sarà possibile usufruire della detrazione massima di 90.000 euro.

Invece, il contribuente potrà richiedere una sola agevolazione quando effettua interventi caratterizzati da requisiti tecnici tali da poter essere ricompresi in due diverse tipologie. Questo accade, per esempio, quando sono stati realizzati interventi di coibentazione delle pareti esterne, inquadrabili sia nell’ambito della riqualificazione energetica dell’edificio sia in quello degli interventi sulle strutture opache verticali. In questa situazione il contribuente dovrà indicare nella scheda informativa da inviare all’Enea a quale beneficio intende fare riferimento.

ATTENZIONE: Quando gli interventi realizzati consistono nella prosecuzione di lavori appartenenti alla stessa categoria effettuati in precedenza sullo stesso immobile, per il calcolo del limite massimo di detrazione bisogna tener conto anche delle detrazioni fruite negli anni precedenti. Inoltre, per gli interventi in corso di realizzazione, la detrazione spetta comunque nel periodo d’imposta in cui la spesa è sostenuta, a condizione che il contribuente attesti che i lavori non sono ancora ultimati.

Possono usufruire della detrazione tutti i contribuenti residenti e non residenti, anche se titolari di reddito d’impresa, che possiedono, a qualsiasi titolo, l’immobile oggetto di intervento.
In particolare, sono ammessi all’agevolazione:

* le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni;

* i contribuenti che conseguono reddito d’impresa (persone fisiche, società di persone, società di capitali);

* le associazioni tra professionisti;

* gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale.

Tra le persone fisiche possono fruire dell’agevolazione anche:

* i titolari di un diritto reale sull’immobile;

* i condòmini, per gli interventi sulle parti comuni condominiali;

* gli inquilini;

* coloro che hanno l’immobile in comodato.

Sono ammessi a fruire della detrazione anche i familiari conviventi con il possessore o il detentore dell’immobile oggetto dell’intervento (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado) che sostengono le spese per la realizzazione dei lavori. Tuttavia, se i lavori sono effettuati su immobili strumentali all’attività d’impresa, arte o professione, i familiari conviventi non possono usufruire della detrazione. 

Si ha diritto all’agevolazione anche quando il contribuente finanzia la realizzazione dell’intervento di riqualificazione energetica mediante un contratto di leasing. In tale ipotesi, la detrazione spetta al contribuente stesso (utilizzatore) e si calcola sul costo sostenuto dalla società di leasing. Pertanto, non assumono rilievo, ai fini della detrazione, i canoni di leasing addebitati all’utilizzatore. In ogni caso, i benefici per la riqualificazione energetica degli immobili spettano solo a chi li utilizza. Per esempio, una società non può fruire della detrazione per le spese relative a immobili locati. Questo vale anche se la società svolge attività di locazione immobiliare, in quanto i fabbricati concessi in affitto rappresentano l’oggetto dell’attività d’impresa e non beni strumentali.

Non possono usufruire dell’agevolazione le imprese di costruzione, ristrutturazione edilizia e vendita, per le spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica su immobili “merce”.

SEMPLICE E VELOCE

Per intervenire e modificare gli edifici e gli appartamenti, oggi con le novità introdotte dallo “Sblocca Italia” (Legge 11 novembre 2014, n. 164) sono state semplificate alcune procedure e abbattuti alcuni costi, previsti dall’attuale norma: il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).

Cosa oggi puoi fare in modo più semplice? Di seguito un sintetico elenco di interventi che possono essere eseguiti con maggiore semplicità burocratica. 

1. Puoi ristrutturare il tuo appartamento: rinnovare e sostituire alcune parti, come l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti, realizzare e migliorare i servizi igienico-sanitari e tecnologici.

2. Puoi dividere un alloggio grande in due più piccoli, o puoi unire alloggi contigui (sia sullo stesso piano che su piani differenti) per realizzarne uno più grande, potrai modificare così la superficie della tua abitazione secondo le nuove esigenze familiari.

3. Tra le opere consentite è anche possibile rinnovare e sostituire parti strutturali degli edifici, come scale pilastri travi muri portanti e altro, ma se sono previsti questi tipi di interventi le procedure saranno differenti.

NB. non puoi modificare la volumetria complessiva degli edifici e non puoi modificare la destinazione d’uso, per esempio non puoi far diventare una casa un ufficio o altro.

Per ulteriori approfondimenti vai sul sito della regione e del comune in cui sorge l’immobile.

Come fare? Per dividere o unire gli appartamenti, si possono fare i lavori senza dover ottenere alcun permesso da parte del comune. Sarà necessario, prima di dare inizio ai lavori, trasmettere al comune, anche semplicemente per via telematica senza recarsi negli uffici, la Comunicazione di Inizio Lavori, la così detta CIL, accompagnata da una asseverazione di un tecnico abilitato alla professione.

Ricordati che se tra i vari interventi che dovrai fare nell’appartamento sono previste opere che riguardano le parti strutturali non si potrà utilizzare la CIL e si dovrà utilizzare il modulo di Segnalazione Certificata di Inizio Attività, la così detta SCIA.

Quali documenti allegare? I documenti che dovranno essere trasmessi all’amministrazione comunale sono:

* elaborato progettuale, cioè i disegni che fanno vedere le modifica dell’alloggio;

* comunicazione di inizio dei lavori asseverata, cioè sottoscritta da un professionista tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono coerenti con le regole e i piani approvati e che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell’edilizia e che i lavori non interessano le parti strutturali dell’edificio.

* dati che identificano l’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori, che dovranno essere contenuti nella comunicazione di inizio lavori.

Quando i lavori saranno ultimati si potrà inviare al comune anche una comunicazione di fine lavori. Questa comunicazione è valida ai fini dell’aggiornamento delle variazioni catastali (art. 17, comma 1, lettera b) del regio decreto 13 aprile 1939, n. 652) e obbliga l’amministrazione comunale a inoltrare tempestivamente e direttamente la documentazione ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate.

Ricordati che se tra gli interventi che dovrai fare nell’appartamento sono previste opere che riguardano le parti strutturali si dovrà utilizzare il modulo SCIA.

Quali costi? Con lo Sblocca Italia per i lavori di frazionamento o accorpamento degli appartamenti i costi sugli oneri da pagare al comuni sono sostanzialmente diminuiti. Dovranno essere pagati solo nel caso in cui le trasformazioni effettuate determinano un aumento della superficie calpestabile dell’appartamento che genera una erogazioni maggiore di servizi da parte dell’amministrazione comunale, il così detto“carico urbanistico” (necessità di più acqua, più fognatura, più parcheggi…). I costi da pagare sono quantificati, comunque, solo rispetto alle opere di urbanizzazione, il costo di costruzione non dovrà essere pagato. Il calcolo degli oneri da pagare sarà quantificato dal comune secondo determinate tabelle parametriche deliberate dall’ amministrazione comunale.

Le norme

* Art. 3 del Testo Unico n. 380/2001:

b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso;

* Art 6 c. 2 del testo Unico n. 380/2001:

2. Nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo i seguenti interventi:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio;

* Art 6, cc. 4 e 5 del testo Unico n. 380/2001:

4. Limitatamente agli interventi di cui al comma 2, lettere a) ed e-bis), l’interessato trasmette all’amministrazione comunale l’elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell’edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori.

5. Riguardo agli interventi di cui al comma 2, la comunicazione di inizio dei lavori , laddove integrata con la comunicazione di fine dei lavori. è valida anche ai fini di cui all’articolo 17, primo comma, lettera b), del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, ed è tempestivamente inoltrata da parte dell’amministrazione comunale ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate.

* Art. 17 del Regio Decreto-Legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249:

“Accertamento generale, dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano”. Il nuovo catasto edilizio urbano è conservato e tenuto al corrente, in modo continuo ed anche con verificazioni periodiche,allo scopo di tenere in evidenza per ciascun Comune o porzione di Comune, le mutazioni che avvengono:

a) rispetto alla persona del proprietario o del possessore di beninonche’ rispetto alla persona che gode di diritti reali sui beni stessi;

b) nello stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l’attribuzione della categoria e della classe.

* Art. 17 del Testo Unico n. 380/2001:

4. Per gli interventi da realizzare su immobili di proprietà dello Stato, nonché per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 6, comma 2, lettera a), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile.

CONDOMINIO MINIMO: COME FRUIRE DEL BONUS RISTRUTTURAZIONI?

Condominio minimo e bonus ristrutturazioni: questo il succo del quesito pervenuto alla rubrica di consulenza fiscale di Nuovo FiscoOggi: l’organo ufficiale dell’Agenzia delle Entrate: di seguito la domanda del contribuente e la risposta dell’esperto, Gianfranco Mingione.

D. Il mio condominio, minimo, ha effettuato nel 2016 dei lavori di ristrutturazione edilizia. Non ha però richiesto il codice fiscale. I singoli condòmini hanno sbagliato a portare in detrazione le spese?

R. Per fruire dell’agevolazione in relazione a interventi realizzati sulle parti comuni di edifici residenziali, è necessario che il condominio sia intestatario delle fatture ed esegua, nella persona dell’amministratore o di uno dei condòmini, tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa, compresa la richiesta del codice fiscale. In caso di condominio minimo (con meno di otto condòmini), non tenuto alla nomina di un amministratore, qualora il pagamento sia stato effettuato mediante l’apposito bonifico bancario/postale, senza pregiudizio al rispetto da parte delle banche o di Poste italiane Spa dell’obbligo di operare la prescritta ritenuta, non occorrerà acquisire il codice fiscale del condominio. In tale ipotesi, per beneficiare della detrazione, bisognerà inserire in dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico. Il contribuente, in sede di controllo, dovrà dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell’edificio (circolare 3/E del 2016).

LOCAZIONI NON ABITATIVE: NON C’È OBBLIGO DI ADEGUARE L’IMMOBILE

[A cura di: Ance Foggia]

La Cassazione civile, Sezione III, con la sentenza n. 15377 del 26/7/2016 in tema di obblighi del locatore nei contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, ha ritenuto di aderire ad un sempre più consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale: “in tema di obblighi del locatore, in relazione ad immobili adibiti ad uso non abitativo convenzionalmente destinati ad una determinata attività il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione del bene sotto il profilo edilizio – e con particolare riguardo alla sua abitabilità e alla sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale – solo quando la mancanza di tali titoli autorizzativi dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e quindi da non consentire in nessun caso l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatte salve le ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi o, di converso, sia conosciuta e consapevolmente accettata dal conduttore l’assoluta impossibilità di ottenerli”.

Con ciò si afferma, quindi, che gli obblighi posti, in via generale, a carico del locatore in virtù dall’art. 1575 del codice civile, ossia quelli di:

consegnare la cosa locata in buono stato di manutenzione;

* mantenerla in stato da servire all’uso convenuto;

* eseguire tutte le riparazioni necessarie escluse quelle di piccola manuten-zione;

* garantirne il pacifico godimento durante la locazione,

non comprendono altresì l’obbligo, per la specifica fattispecie delle locazioni non abitative, di apportare all’immobile le modifiche necessarie per renderlo idoneo e strutturalmente adeguato agli usi cui intende destinarlo il conduttore a meno che quell’obbligo non venga concordato con patto espresso, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore. 

Il locatore quindi non è tenuto a procurare il rilascio di eventuali e specifici titoli autorizzativi (anche di natura edilizia) che afferiscono alla sua idoneità all’esercizio di una determinata attività commerciale, industriale ecc.. Anche qualora il conduttore non ottenga le necessarie autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al locatore a meno che questi non ne avesse espressamente garantito l’ottenimento.

RICOSTRUZIONE POST TERREMOTI: CHI HA PAGATO E CHI PAGHERÀ

In questi giorni si fa un gran parlare di ricostruzione e di iniziative di solidarietà per le vittime dei territori colpiti dal terremoto del Centro Italia. Tra le tante misure previste dal governo di Matteo Renzi anche il discusso piano Casa Italia, che prevedrà (stando alle ultime indiscrezioni) una serie di incentivi e sgravi fiscali per la messa in sicurezza degli edifici, in chiave antisismica. 

Ma su chi graveranno le spese per la ricostruzione? E soprattutto, come verranno spesi i soldi messi a disposizione? Per rispondere a queste domande, un aiuto arriva dal focus curato dalla CGIA di Mestre che ha stilato l’elenco dei maggiori terremoti che hanno interessato il nostro Paese con i relativi provvedimenti legislativi emanati per aumentare le accise sui carburanti.

Secondo i dati riportati dall’associazione veneta, dal 1968 a oggi, attraverso queste ultime, gli italiani hanno pagato circa 145 miliardi di euro per le ricostruzioni post terremoto, ovvero più del doppio rispetto a quanto speso (70,4 miliardi di euro) per ricostruire tutte e 7 le aree duramente colpite dai terremoti che si sono succeduti in questi ultimi decenni.

Più nel dettaglio, sono 5 gli incrementi delle accise sui carburanti introdotti in questi ultimi 48 anni per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Dal 1970 (primo anno in cui sono disponibili i dati sui consumi dei carburanti) al 2015 gli italiani hanno versato nelle casse dello Stato 145 miliardi di euro nominali (261 miliardi di euro se attualizzati). Se teniamo conto che il Consiglio Nazionale degli Ingegneri stima in 70,4 miliardi di euro nominali (121,6 miliardi se attualizzati) il costo complessivo resosi necessario per ricostruire tutte e 7 le aree fortemente danneggiate dal terremoto (Valle del Belice, Friuli, Irpinia, Marche/Umbria, Molise/Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna), possiamo dire che in quasi 50 anni in entrambi i casi (sia in termini nominali sia con valori attualizzati) abbiamo versato più del doppio rispetto alle spese sostenute. Solo i più recenti, ovvero i sismi dell’Aquila e dell’Emilia Romagna, presentano dei costi nettamente superiori a quanto fino ad ora è stato incassato con l’applicazione delle rispettive accise. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha calcolato, sulla base dei consumi annui di carburante, quanti soldi ha riscosso lo Stato con l’introduzione delle accise che avevano la finalità di finanziare la ricostruzione di 5 delle 7 aree devastate dal terremoto. “Ogni qual volta ci rechiamo presso un’area di servizio a fare il pieno alla nostra autovettura – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – 11 centesimi di euro al litro ci vengono prelevati per finanziare la ricostruzione delle zone che sono state devastate negli ultimi decenni da questi eventi sismici. Con questa destinazione d’uso gli italiani continuano a versare all’erario circa 4 miliardi di euro all’anno. Se, come dicono gli esperti, questi fenomeni distruttivi avvengono mediamente ogni 5 anni, è necessario che queste risorse siano impiegate in particolar modo per realizzare gli interventi di prevenzione nelle zone a più alto rischio sismico e non per altre finalità”. I disastri a cui sono seguiti l’aumento delle tasse sui carburanti sono 5. Esse sono: 

* Valle del Belice (1968): l’allora Governo guidato da Aldo Moro introdusse un’accisa sui carburanti di 10 lire al litro. Dal 1970 fino al 2015 l’erario ha incassato 8,6 miliardi di euro nominali. Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri la ricostruzione è costata 2,2 miliardi di euro nominali. In valori attualizzati al 2016, invece, il costo è stimabile in 9,1 miliardi di euro e la copertura ricavata dal gettito fiscale di 24,6 miliardi di euro; 

* Friuli (1976): l’accisa introdotta sempre da un esecutivo presieduto da Aldo Moro fu di 99 lire al litro. Dal 1976 al 2015 questa imposta ha garantito un gettito di 78,1 miliardi di euro nominali, mentre per gli ingegneri la ricostruzione è costata 4,7 miliardi di euro nominali. Attualizzando gli importi, invece, si evince che la spesa per la ricostruzione è stata di 18,5 miliardi di euro, mentre il gettito fiscale recuperato è stato di 146,6 miliardi di euro; 

* Irpinia (1980): il Governo di Arnaldo Forlani approvò l’introduzione di un’accisa di 75 lire al litro. In questi 35 anni di applicazione l’erario ha riscosso un gettito di 55,1 miliardi di euro nominali. Stando alle stime rese note dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, la riedificazione degli immobili e delle infrastrutture è costata 23,5 miliardi di euro nominali. Se, invece, attualizziamo le cifre si deduce che il costo si è aggirato attorno ai 52 miliardi di euro mentre la copertura è stata di 86,4 miliardi di euro; 

* Abruzzo (2009): il Governo di Silvio Berlusconi ritoccò il prezzo della benzina e del gasolio per autotrazione di 0,004 euro al litro. A fronte di una spesa ipotizzata dagli Ingegneri di 13,7 miliardi di euro nominali, lo Stato finora ha incassato 539 milioni di euro nominali. Attualizzando i dati, invece, il costo è sempre di 13,7 miliardi di euro e il gettito proveniente dall’accisa di 540 milioni di euro; 

* Emilia Romagna (2012): l’esecutivo presieduto da Mario Monti decise di aumentare le accise sui carburanti di 0,02 euro al litro. Stando ad una spesa per la ricostruzione che dovrebbe aggirarsi attorno ai 13,3 miliardi di euro nominali, il gettito riscosso fino adesso con l’accisa sulla benzina e sul gasolio per autotrazione è stato di quasi 2,7 miliardi di euro nominali. Con i dati attualizzati, sia i costi che il gettito sono in linea con i valori nominali. 

“Se l’applicazione delle accise per la ricostruzione sono in parte giustificabili – conclude il segretario della CGIA Renato Mason – perché mai quando facciamo benzina o gasolio dobbiamo continuare ancora a pagare quelle per la guerra in Abissinia del 1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963 e per l’alluvione di Firenze del 1966 fino ad arrivare al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 ? Alcune di queste non potremmo cancellarle ?” La CGIA ricorda che con la Finanziaria 2013 il Governo Monti ha reso permanenti le accise introdotte per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Per il terremoto delle Marche e dell’Umbria (1997) e per quello del Molise e della Puglia (2002) non è stata introdotta nessuna accisa. Si segnala, infine, che i risultati emersi in questa elaborazione sono al netto degli effetti del provvedimento introdotto nel 1999 dal Governo D’Alema. Con il d.lgs. n° 173, infatti, i Presidenti di regione possono introdurre un’accisa locale per far fronte anche ai costi provocati dalle calamità naturali.

LEASING IMMOBILIARE: LA STRUMENTALITÀ DEL BENE DEVE ESSERE PROVATA DI VOLTA IN VOLTA

[A cura di: Salvatore Servidio – Nuovo FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] La funzione dell’immobile non può essere presunta, ricavandola dalla categoria catastale di appartenenza, ma deve essere provata di volta in volta, in rapporto all’attività svolta dall’azienda.
Il riconoscimento del carattere strumentale di un immobile presuppone la prova della funzione strumentale del bene non in senso oggettivo, ma in rapporto all’attività dell’azienda. Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 16788 del 9 agosto 2016.

La lite
All’esito sfavorevole in primo grado del ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento, ne seguiva il parziale accoglimento dell’appello, riconoscendole il giudice del riesame la deducibilità dei canoni di leasing di un immobile.
A tal fine, la Commissione regionale ha motivato che, a norma dell’articolo 40, comma 2, Dpr 917/1986, gli immobili relativi a imprese commerciali non suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati (“immobili strumentali per natura”) e che, per individuare tale tipologia, occorreva riferirsi alla categoria catastale loro attribuita.
Nel susseguente ricorso per cassazione, l’ente impositore denuncia violazione di legge e vizi di motivazione in quanto, per giustificare la deduzione dei relativi costi, la Commissione regionale non poteva ritenere sufficiente la qualificazione dell’immobile detenuto in leasing come bene strumentale per natura, ex articoli 102, comma 7 (già 68, comma 8), e 75 (ora 109) del Tuir, occorrendo invece la verifica del requisito dell’inerenza, ossia che il bene sia effettivamente destinato all’esercizio dell’attività produttiva (correlazione tra costo e ricavi), concorrendo alla determinazione del reddito.
In caso contrario, si ammetterebbe la deduzione – contra legem – anche nel caso di beni utilizzati per fini personali o per fini comunque estranei all’attività dell’impresa.

Motivi della decisione
La Corte di cassazione ritiene il ricorso meritevole di accoglimento.
Partendo dall’incontrovertibile dato di fatto che in sede di processo verbale di constatazione era stato accertato che l’immobile detenuto in leasing non era mai stato utilizzato per l’attività di impresa, ma solo per esigenze personali, nell’accogliere il ricorso erariale la Suprema corte sottolinea che, nel caso in esame, il giudice d’appello si è limitato a ravvisare la strumentalità per natura ricavandola “esclusivamente” dalla categoria catastale (classificati nei gruppi B, C, D ed E, nonché A/10 – uffici, così come da risoluzione ministeriale n. 3/330 del 3 marzo 1989), mentre invece avrebbe dovuto valutare in concreto, in base agli elementi dedotti in giudizio, la funzione strumentale del bene in rapporto all’attività societaria.
Pertanto, è da precisare, in via prioritaria, che la strumentalità del bene non può essere presunta, ma deve essere provata di volta in volta, senza che sia ipotizzabile una categoria di beni “oggettivamente strumentali”, ovvero strumentali “in re ipsa”.
In tema di imposte sui redditi, il riconoscimento del carattere strumentale di un immobile, ai sensi dell’articolo 40, comma 2, del Dpr 917/1986 (ora articolo 43), presuppone la prova della funzione strumentale del bene non in senso oggettivo, ma in rapporto all’attività dell’azienda, non contemplando tale disposizione una categoria di beni la cui strumentalità è “in re ipsa”, potendosi prescindere (ai fini dell’accertamento della strumentalità) dall’utilizzo diretto del bene da parte dell’azienda soltanto nel caso in cui risulti provata l’insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa da quella accertata in relazione all’esercizio di impresa (così Cassazione 12999/2007 e 4306/2015).
Deve, quindi, affermarsi che, nell’ipotesi in esame, occorre parlare non di una strumentalità “oggettiva”, bensì di una strumentante “astratta”, nel senso che deve pur sempre accertarsi il rapporto strumentale tra bene e attività aziendale, potendosi però, in concreto, prescindere dall’utilizzo diretto del bene, purché in presenza del presupposto dell’insuscettibilità di diversa destinazione.
Nel caso di specie, invece, conclude la sezione tributaria, il giudice d’appello si è erroneamente limitato a ravvisare la strumentalità “per natura” ricavandola dalla categoria catastale, tralasciando di valutare in concreto il rapporto funzione strumentale del bene/attività aziendale, costituendo l’inerenza – in ultima analisi – condizione generale per la deduzione delle spese ai sensi dell’articolo 109 del Tuir.
Solo così, in presenza di bene immobile strumentale all’attività svolta, è ammessa la deducibilità fiscale dei canoni di leasing.
Parallelamente, anche ai fini Iva, l’imprenditore che intenda avvalersi della detrazione del tributo (articolo 19 del Dpr 633/1972) deve provare, sulla scorta di elementi oggettivi, che l’operazione in concreto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro (ex plurimis, vedi Cassazione 1421/2008, 7465/2009, 6883 e 16684 del 2016).
Anche secondo la giurisprudenza comunitaria, per stabilire se sia o meno detraibile un’attività di acquisto o ristrutturazione di un bene da adibire all’esercizio dell’impresa, “deve aversi riguardo all’intenzione del soggetto passivo di imposta, confermata da elementi obiettivi, di utilizzare un bene o un servizio per fini aziendali” (Corte di giustizia, cause C-97/90 del 1991, C-400/98 del 2000, C-334/10 del 2012).