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LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA E PASSIVA DELL’AMMINISTRATORE A STARE IN GIUDIZIO

[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano]
Il problema della legittimazione dell’amministratore a stare in giudizio senza la ratifica assembleare nelle cause di impugnativa delle delibere assembleari affligge prima gli amministratori per la loro responsabilità, ma anche gli avvocati che hanno l’obbligo di avvertire il cliente della necessità o meno di portare la citazione per l’impugnativa all’attenzione dell’assemblea ed ottenere la ratifica del mandato qualora necessario. Anche se occorre ricordare che, in seguito all’introduzione dell’obbligo preventivo di mediazione, l’amministratore deve comunque portare all’attenzione dell’assemblea l’istanza di mediazione ed ottenere o meno l’autorizzazione a costituirsi nella relativa procedura con l’assistenza dell’avvocato. Tale adempimento preventivo potrebbe essere, quindi, utilizzato per risolvere a monte il problema, richiedendo contemporaneamente all’assemblea anche l’autorizzazione a costituirsi nel successivo giudizio. 
Il problema si incentra sulla corretta interpretazione del dettato di cui all’art. 1131 c.c.
ART. 1131 C.C. 
Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi. 
Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. 
Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini. 
L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni. 
Commento
L’articolo 75, ultimo comma, c.p.c. prevede che “Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto. Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e seguenti del codice civile”. Tale norma non prevede la figura dell’amministratore del condominio cui la rappresentanza del condominio è, invece, attribuita ex articolo 1131 c.c.
È, infatti, proprio l’articolo 1131 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, a stabilire che: “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130, o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi”. L’articolo è da considerarsi inderogabile in virtù dell’espressa previsione di cui all’articolo 1138, quarto comma, sicché né l’assemblea dei condòmini, né il regolamento di condominio potrebbero legittimamente ridurre i poteri di rappresentanza attribuiti all’amministratore dalla legge.
Secondo la giurisprudenza, ricorrerebbe nella fattispecie un’ipotesi di rappresentanza volontaria originata dal mandato conferito all’amministratore dal condominio. La dottrina, invece, è divisa: per alcuni la rappresentanza è legale perché ha fonte nella legge; per altri è volontaria in quanto fondata sul mandato; per altri ancora non è né legale né volontaria, trattandosi piuttosto di un rapporto sui generis; per chi, infine, qualifica l’amministratore come organo del condominio, trattasi di rappresentanza organica.
La legittimazione attiva ex art. 1131, I comma, c.c.
In ogni caso, l’amministratore del condominio è dunque legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condòmini e dei terzi al fine di: 
a) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini; 
b) disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio; 
c) riscuotere dai condòmini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea; 
d) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio 
La legittimazione passiva ex art. 1131, II e III comma, c.c.
Fino a poco tempo fa, e cioè prima di Cass. SS.UU. nn. 18331 e 18332/2010, era ritenuto che la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal lato passivo non incontrasse limiti. Ciò stava a significare che l’amministratore non necessitava di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie. 
Per cui la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio, mentre dal lato attivo coincideva con i limiti delle sue attribuzioni, salvi i maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, dal lato passivo non incontrava limiti. La stessa inosservanza dell’obbligo di informare i condòmini della esistenza di un procedimento contro il condominio aveva rilevanza puramente interna senza incidere sui poteri di rappresentanza processuale dell’amministratore stesso.
A questo indirizzo maggioritario se ne contrapponeva un altro secondo cui la ratio dell’articolo 1131 c.c., comma 2, – che consente di convenire in giudizio l’amministratore del condominio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio – era quella di favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condòmini. Nulla, invece, nella stessa norma, giustificava la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio e a impugnare senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea .
Inoltre, secondo tale indirizzo, poiché l’autorizzazione dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza altro non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, l’amministratore, in definitiva, non svolge che una funzione di mero nuncius e tale autorizzazione non può valere che per il grado di giudizio in relazione al quale viene rilasciata. Deriva, da quanto precede, pertanto, che era inammissibile il ricorso per cassazione, avverso sentenza sfavorevole al condominio, proposto dall’amministratore senza espressa autorizzazione dell’assemblea .
A comporre tale contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte, con le sentenze del 2010 già citate, le quali hanno ritenuto che (così come dal lato attivo) la norma abilita l’amministratore del condominio, relativamente alle liti passive, a costituirsi in giudizio e ad impugnare la sentenza eventualmente sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, soltanto se l’oggetto della controversia è compreso nei limiti delle sue attribuzioni, limiti ed attribuzioni previsti dall’articolo 1130 c.c. Mentre hanno pure rilevato che, qualora il Giudice adito ritenga versarsi in materia sottratta ai poteri dell’amministratore, possa ordinare il deposito della ratifica del mandato ex art. 182 comma 2 c.p.c., ma non è questo il caso in esame.
Per completezza di disamina occorre pure rilevare che, a distanza di appena due mesi dalle ricordate sentenze n. 18331 e 18332/2010, la stessa Corte di Cassazione è ritornata sui suoi passi più volte e ha riaffermato che la legittimazione passiva dell’amministratore non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino (Cass. sentenza del 4-10-2012, n. 16901). 
Comunque, il dubbio se il compito di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini, che è demandato dall’articolo 1130 c.c., n. 1) all’amministratore, includa, in ipotesi, anche quello di propugnarne in giudizio la legittimità, quale che sia il loro oggetto così come previsto dall’art. 1131 II e II comma, può ritenersi non più sussistente. 
Infatti, non solo la stessa Suprema Corte con le famose sentenze del 2010 rese a SS.UU. ha stabilito che il limite della legittimazione passiva dell’amministratore è stabilito proprio dai poteri di cui all’art. 1130 c.c. tra cui rientra appunto l’esecuzione delle delibere assembleari, per cui il dato letterale è talmente chiaro da non permettere diverse interpretazioni, ma anche tutta la giurisprudenza successiva è conforme a tale indirizzo. 
Da ultimo, la recentissima sentenza del 16 febbraio 2017 n. 4183 della Corte di Cassazione, testualmente: “In tema di impugnativa di delibere assembleari relative all’individuazione del criterio di ripartizione delle spese, per proporre appello non occorre alcuna autorizzazione assembleare ai sensi dell’art. 1130 n. 1 e 3 c.c., in quanto tali controversie rientrano nelle normali attribuzioni dell’amministratore di condominio”.
Per completezza di informazione si riporta testualmente il ragionamento della Suprema Corte.
LA CASSAZIONE
In base al disposto degli articoli 1130 e 1131 c.c., l’amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere all’impugnazione della delibera stessa da parte del condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell’assemblea per proporre le impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio (Cass. 15 maggio 1998 n. 4900; Cass. 20 aprile 2005 n. 8286). A questa conclusione non è di ostacolo il principio, enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza 6 agosto 2010 n. 18331), secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3, può bensì costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione. L’ambito applicativo del dictum delle Sezioni Unite – con la regola, da esse esplicitata, della necessità dell’autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica – si riferisce, espressamente, a quei giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3. Ma non è questo il caso di specie, posto che eseguire le deliberazioni dell’assemblea e difendere le stesse dalle impugnative giudiziali del singolo condomino rientra nelle attribuzioni proprie dell’amministratore.
In siffatta direzione è indirizzata la giurisprudenza (Cass. 25 ottobre 2010 n. 21841), quando riconosce che l’amministratore di condominio, essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento di condominio (articolo 1130 c.c., comma 1, n. 1), è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall’articolo 1136 c.c., comma 2, la quale è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell’amministratore stesso.
Pur non essendo mancato un orientamento di segno diverso, per avere talora ritenuto, sulla scorta di una lettura ampia della pronuncia delle Sezioni Unite, che, anche nell’ambito della propria sfera di competenza, l’amministratore debba premunirsi di apposita autorizzazione dell’assemblea, avendo, in mancanza, l’onere di far ratificare il proprio operato dall’assemblea, pena la inammissibilità della costituzione da lui autonomamente effettuata, o la inammissibilità dell’impugnazione da lui proposta: e cosi – in controversia riguardante l’impugnazione di delibera assembleare da parte del condomino – si è assegnato (cfr. Cass. 25 febbraio 2011 n. 4733) un termine al condominio controricorrente, ai sensi dell’articolo 182 c.p.c., comma 2, al fine di consentirgli la produzione dell’autorizzazione dell’assemblea, considerata necessaria per la valida costituzione del condominio stesso.
Il Collegio è invece dell’avviso che, nella propria sfera di competenze (ordinarie o incrementate dall’assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di alcuna autorizzazione. Sarebbe, infatti, veramente defatigatorio, nell’ottica di un assurdo “iperassemblearismo”, che l’amministratore fosse costretto a convocare ogni volta i condòmini al fine di ottenere il nulla osta, ad esempio, per agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una statuizione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile (v. in termini Cass. 23 gennaio 2014 n. 1451).
GIURISPRUDENZA
1. Cassazione civile sez. III del 06/05/2015, n. 8998 – Amministratore, attribuzioni e provvedimenti.
In tema di controversie condominiali, la legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.), mentre dal lato passivo non incontra limiti e sussiste in ordine ad ogni azione, anche di carattere reale o possessorio, concernente le parti comuni dell’edificio. In tale contesto l’amministratore ha la facoltà di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius.
2. Cassazione civile sez. II del 23/04/2015, n. 8309 – Legittimazione dell’amministratore. 
In tema di legittimazione processuale del condominio, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dello stesso, nell’esercizio delle sue funzioni (fattispecie relativa all’impugnazione di una delibera nella parte in cui veniva approvata l’esecuzione dei lavori di manutenzione del tetto di copertura).
3. Cassazione penale sez. IV del 12/12/2014, n. 3320 – Legittimazione all’azione civile. 
L’amministratore di condominio può esercitare nel giudizio penale l’azione civile per il risarcimento dei danni subiti dal condominio, senza che sia all’uopo necessario uno specifico mandato assembleare, giacché egli è titolare ex lege di un potere rappresentativo comprendente tutte le azioni volte a realizzare la tutela dei diritti sulle parti comuni dell’edificio.
4. Cassazione civile sez. II del 04/12/2014, n. 25634 – Legittimazione dell’amministratore. 
In tema di azioni giudiziali nelle quali il condominio è convenuto in giudizio, la legittimazione a resistere dell’amministratore non incontra limiti, sicché deve considerarsi correttamente instaurato il contradditorio anche se l’attore o opponente nel giudizio per opposizione a decreto ingiuntivo, in via riconvenzionale, propongano domanda di accertamento della proprietà di una parte dell’edificio.
5. Cassazione civile sez. II del 22/09/2014, n. 19909 – Legittimazione dell’amministratore.
Ai sensi dell’art. 1131, comma 2, c.c., la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio ha portata generale in quanto estesa ad ogni interesse condominiale e sussiste, pertanto, anche un ordine ad azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condòmini.
6. Cassazione civile sez. II del 23/01/2014, n. 1451 – Legittimazione dell’amministratore a resistere all’impugnazione della delibera assembleare e a gravare la sentenza – Sussistenza – Autonomia – Fondamento. 
In tema di condominio negli edifici, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso.

ACQUISTO CASA: I QUESITI DEI CONTRIBUENTI E LE RISPOSTE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

In appendice alla “Guida per l’acquisto della casa”, pubblicata nei giorni scorsi dall’Agenzia delle Entrate, anche una serie di quesiti dei contribuenti, con le relative risposte, in materia di imposte ed agevolazioni fiscali. Di seguito i dubbi e i chiarimenti.

D. Ho acquistato casa, richiedendo l’applicazione della regola del prezzo-valore. L’Agenzia delle Entrate può accertare un valore dell’immobile diverso da quello indicato nell’atto? 

R. La regola del prezzo-valore prevede la tassazione del trasferimento degli immobili sulla base del loro valore catastale, indipendentemente dal corrispettivo effettivamente pattuito e indicato nell’atto. La sua applicazione limita il potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che non può accertare un maggior valore ai fini dell’imposta di registro. Questa regola è ammessa, però, solo per le cessioni di immobili a uso abitativo (e relative pertinenze) acquistate da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali.

D. Quali criteri utilizza l’Agenzia delle Entrate per rettificare il valore dell’immobile acquistato se non è stato richiesto il prezzo-valore?

R. Se, all’atto della compravendita, non è stata richiesta l’applicazione della regola del prezzo-valore, o quando, per legge, non è applicabile, l’Agenzia delle Entrate può procedere ad “accertamento di valore”, rideterminando la base imponibile su cui calcolare le imposte dovute. L’ufficio, per procedere all’eventuale rettifica, deve utilizzare i criteri indicati dalla legge, mettendo a confronto il valore indicato nell’atto con i seguenti parametri: 

* i trasferimenti a qualsiasi titolo e le divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto (o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo), che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni (criterio comparativo)

* il reddito netto di cui l’immobile è suscettibile, capitalizzato al tasso mediamente applicato a detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, per esempio, il valore del canone di locazione (criterio della capitalizzazione) 

* ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni. Tenendo conto di questi criteri, se ritiene che l’immobile acquistato ha un valore venale (valore di mercato) superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, l’ufficio rettifica e liquida la maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni.

D. Ho ricevuto un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro su una compravendita immobiliare. Come mi devo comportare?

R. La legge offre diversi strumenti al contribuente che riceve un avviso di rettifica e liquidazione e che ritiene l’accertamento non corretto. Se ci sono i presupposti, si può giungere anche all’annullamento totale o parziale dell’accertamento o alla rideterminazione del valore accertato. In ogni caso è necessario attivarsi entro 60 giorni dalla data in cui l’avviso è stato notificato.

Nella parte finale dell’avviso sono comunque indicate tutte le informazioni utili per far valere le proprie ragioni. A seconda dei casi, il contribuente può: 

* presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente (cioè quella del capoluogo della provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto). Se il valore dell’avviso non è superiore a 20.000 euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione (in tal modo, si avvia una fase amministrativa, della durata di 90 giorni, entro cui deve svolgersi e concludersi il procedimento finalizzato al riesame dell’atto impugnato e alla valutazione, da parte dell’amministrazione, dell’eventuale proposta di mediazione. Se non si raggiunge un accordo con l’ufficio, il giudizio prosegue dinanzi alla Commissione tributaria provinciale); 

* presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio che ha emesso l’atto. In questo modo è possibile dialogare in contraddittorio con l’amministrazione, fornendo tutti gli elementi utili alla rideterminazione del valore accertato. L’istanza di accertamento con adesione sospende il termine per la presentazione del ricorso per un periodo di 90 giorni; 

* presentare istanza di annullamento in autotutela all’ufficio che ha emesso l’atto. L’istanza non sospende i termini per la presentazione del ricorso. Pertanto, il contribuente può valutare di presentare l’istanza di accertamento con adesione o il ricorso qualora, prima dello scadere dei termini previsti per questi istituti, non sia pervenuta risposta favorevole all’istanza di annullamento in autotutela.

D. Sono proprietario di un immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e vorrei acquistarne un secondo. Posso richiedere le stesse agevolazioni anche sul secondo acquisto?

R. Dal 1° gennaio 2016, chi ha già acquistato un’abitazione con i benefici “prima casa” può acquistare, sia a titolo oneroso sia gratuito (successione o donazione), un altro immobile abitativo e beneficiare, anche sul secondo acquisto, dell’agevolazione, a condizione, però, che la casa già posseduta sia venduta entro un anno dal nuovo acquisto. Nell’atto di trasferimento del secondo immobile (compravendita, donazione, successione) deve risultare l’impegno a vendere l’immobile già posseduto entro un anno.

D. Ho la dimora, ma non la residenza, nel comune in cui intendo acquistare casa. Posso usufruire ugualmente delle agevolazioni “prima casa” senza dover trasferire la residenza?

R. No. Infatti, la legge prevede che per beneficiare delle agevolazioni “prima casa” l’immobile che si acquista deve trovarsi nel comune in cui l’acquirente ha stabilito o stabilirà, entro 18 mesi dall’acquisto, la propria residenza.

D. Se concedo in locazione l’abitazione che ho acquistato con le agevolazioni “prima casa”, perdo i benefici?

R. No, la locazione non implica la decadenza dai benefici in quanto non si verifica la perdita del possesso dell’immobile.

D. Posso usufruire delle imposte agevolate sull’acquisto di una casa che si trova nello stesso comune in cui già possiedo la nuda proprietà su un’altra abitazione?

R. Sì. Infatti, al ricorrere di tutte le altre condizioni previste dalla legge, l’agevolazione “prima casa” spetta anche nel caso in cui l’acquirente sia titolare della sola nuda proprietà su un’abitazione situata nello stesso comune in cui si trova l’immobile che si intende acquistare con i benefici. Il nudo proprietario, infatti, non ha il possesso dell’immobile, che fa capo all’usufruttuario. L’agevolazione spetta purché la nuda proprietà non sia stata acquistata usufruendo delle agevolazioni “prima casa”. Infine, si ha sempre diritto all’agevolazione nel caso in cui si proceda alla ricongiunzione della proprietà (titolare del diritto di usufrutto che acquista la nuda proprietà o viceversa).

D. Se acquisto due appartamenti contigui posso beneficiare delle agevolazioni “prima casa”?

R. Nel caso di acquisto di unità immobiliari contigue, l’agevolazione spetta se l’abitazione risultante presenta, dopo la fusione degli immobili, le caratteristiche catastali indicate dalla normativa di favore e in presenza di tutte le altre condizione previste. Si ha diritto all’agevolazione sia nel caso di acquisto contemporaneo delle unità immobiliari contigue, sia nel caso in cui venga acquistata un’unità immobiliare confinante con la casa già posseduta, allo scopo di creare un’unica unità abitativa. Inoltre, il beneficio spetta a prescindere dalla circostanza che l’immobile già posseduto sia stato acquistato con le agevolazioni “prima casa” o senza averne usufruito.

D. Si può beneficiare delle agevolazioni “prima casa” quando si è titolari in comunione, con persone diverse dal coniuge, di un’altra abitazione?

R. Sì, a condizione che l’abitazione di cui si è comproprietari non sia stata acquistata con i benefici “prima casa”. L’agevolazione spetta anche se l’abitazione già posseduta si trova nello stesso comune in cui si vuole effettuare il nuovo acquisto.

D. Quali controlli effettua l’Agenzia sulle compravendite effettuate con l’agevolazione “prima casa”?

R. Gli uffici dell’Agenzia delle Entrate controllano gli atti per i quali è stata richiesta l’applicazione dei benefici “prima casa” per verificare la presenza di tutti i requisiti e il rispetto delle condizioni previste dalla legge. Per effettuare questo controllo, gli uffici devono rispettare precise scadenze. In particolare, la verifica va fatta, entro i seguenti termini: 

* tre anni dalla data di registrazione dell’atto; 

* tre anni dalla scadenza dei 18 mesi a disposizione dell’acquirente per il trasferimento della residenza nel comune dove si trova l’immobile; 

* tre anni dalla scadenza dei 12 mesi a disposizione del contribuente per acquistare un nuovo immobile, nel caso di cessione prima dei 5 anni della casa in precedenza comprata con i benefici.

In mancanza dei requisiti, gli uffici revocano l’agevolazione, recuperando le imposte dovute nella misura ordinaria e applicando la sanzione del 30% sulla differenza.

D. Ho ricevuto un avviso di revoca delle agevolazioni “prima casa”. Posso rateizzare l’importo dovuto?

R. Sì, l’avviso di revoca delle agevolazioni è rateizzabile. L’importo dovuto può essere versato in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo o, se la maggiore imposta dovuta è superiore a 50.000 euro, in un massimo di 16 rate trimestrali. In entrambi i casi, il versamento della prima o unica rata deve essere effettuato entro il termine previsto per la presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica dell’avviso). Le rate successive alla prima, invece, devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Considerata l’importanza di versare le rate in maniera corretta, sia per quanto riguarda l’importo sia per quanto concerne le scadenze, è consigliabile contattare l’ufficio che ha emanato l’avviso per la predisposizione del piano di rateazione.

LAVORO E BONUS PRIMA CASA: COSA SUCCEDE SE VIENE A MANCARE IL REQUISITO?

A cura di: Marcello Maiorino – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] Con la risoluzione 53/E del 27 aprile 2017, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti su una questione relativa alle agevolazioni prima casa. In particolare, il documento di prassi trae spunto dal caso di un contribuente che ha chiesto il beneficio, dichiarando di svolgere la propria attività prevalente nel comune in cui è situata l’abitazione oggetto del trattamento fiscale di favore. Tuttavia, le aspettative lavorative in tale luogo sono state disattese. Il contribuente, pertanto, chiede se può conservare i benefici fruiti integrando la dichiarazione resa nell’atto di acquisto e impegnandosi a fissare la propria residenza nello stesso comune in cui è ubicato l’immobile.
Al riguardo, si fa presente che il godimento delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa (applicazione dell’imposta di registro nella misura del 2% e delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna) spettano in presenza delle condizioni stabilite dalla nota II-bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 131/1986). In particolare, secondo la lettera a), si può beneficiare delle agevolazioni “prima casa” a condizione, tra l’altro, “che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza, o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività (…). La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto; (…)”. 
Tra i presupposti per godere dello sconto d’imposta, il legislatore ha, quindi, previsto che l’acquirente risieda nel comune in cui è sito l’immobile o si impegni a trasferirvi la residenza entro i successivi 18 mesi, ovvero che svolga la propria attività nel predetto municipio. Si tratta, comunque, di condizioni alternative tra loro, e il contribuente, in sede di acquisto, dichiara per quale di queste ipotesi chiede il trattamento di favore.
Nella fattispecie esaminata, l’istante aveva dichiarato di svolgere la propria attività prevalente nel comune dell’abitazione acquistata. In realtà, le aspettative lavorative del contribuente non si erano concretizzate e lo stesso aveva comunicato al proprio ordine professionale che l’attività non era stata intrapresa. Tale circostanza, chiarisce l’Agenzia delle Entrate, esclude che possa ritenersi assolto il requisito dichiarato dal contribuente. Tenuto conto, tuttavia, che la lettera a) della nota II-bis consente, in via alternativa, di beneficiare delle agevolazioni anche nel caso in cui l’acquirente si impegni a trasferire, entro 18 mesi dall’acquisto, la residenza nel municipio della nuova abitazione, si ritiene che, nel caso in cui tale termine sia ancora pendente, il contribuente possa dichiarare di voler beneficiare delle agevolazioni assumendo l’impegno a trasferirsi entro 18 mesi dall’acquisto.
L’atto, redatto secondo le medesime formalità giuridiche del documento originario, deve essere prodotto per la registrazione presso l’ufficio in cui è stato registrato il precedente. La rettifica può essere effettuata dal contribuente anche in data successiva alla registrazione dell’acquisto, a condizione che non venga arrecato pregiudizio all’attività di controllo svolta dall’ufficio. L’integrazione, pertanto, potrà avvenire sempre che l’ufficio delle Entrate, con apposito avviso di liquidazione, non abbia già disconosciuto le agevolazioni, rilevando la mancanza del presupposto dello svolgimento dell’attività lavorativa nel comune in cui è situato l’immobile acquistato.

DICHIARAZIONE DEI REDDITI: TUTTE LE AGEVOLAZIONI FISCALI SULLA CASA

[A cura di: Chiara Bianchi – SoloAffitti.it]

Siamo arrivati come ogni anno al periodo in cui raccogliere le idee, ma soprattutto le fatture e le ricevute delle spese effettuate durante i 12 mesi passati, da presentare in sede di dichiarazione dei redditi per poter usufruire delle relative agevolazioni fiscali. Ricordiamo che, per chi deve presentare il 730, la parte da compilare con gli oneri dell’anno precedente è il Quadro E, mentre per chi presenta il Modello Unico è il Quadro RP. Di seguito, un sintetico prospetto dei costi per casa e affitto deducibili o detraibili nella dichiarazione 2017.

* CANONI D’AFFITTO. Gli inquilini possono portare in detrazione le spese sostenute per il pagamento dei canoni di affitto, con importi diversi a seconda del tipo di contratto e della finalità con la quale si affitta l’immobile. I titolari di contratto libero 4+4 che affittano un’abitazione destinata ad essere prima casa possono detrarre una somma pari a 300 euro se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, o una somma pari a 150 euro per redditi imponibili compresi tra 15.493,71 e 30.987,41 euro. Per chi ha stipulato un contratto di affitto a canone concordato, invece, la detrazione è pari a 495,80 euro se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, e a 247,90 euro per redditi compresi tra 15.493,71 e 30.987,41 euro.

* GIOVANI E LOCAZIONI. la detrazione per i canoni d’affitto versati da giovani tra i 20 e i 30 anni su contratti ad uso abitativo soggetti alla legge 431/1998 è prevista nella misura massima di 991,60 euro se il reddito non supera i 15.493,71 euro, a patto che la casa sia adibita ad abitazione principale.

* STUDENTI FUORI SEDE. Si possono detrarre al 19% le spese sostenute per i canoni di affitto di alloggi per gli studenti universitari iscritti a un ateneo ubicato in un Comune diverso da quello di residenza, a patto che si trovi a una distanza di almeno 100 km e comunque in una diversa provincia da quella di provenienza. La detrazione spetta, naturalmente, anche se le spese sono state sostenute per i figli a carico; l’importo massimo da detrarre non può comunque essere superiore a 2.633 euro.

* LAVORATORI TRASFERTISTI. I lavoratori dipendenti che si trasferiscono per motivi di lavoro possono portare in detrazione i canoni di affitto nella misura di 991,60 euro per redditi complessivi non superiori a 15.493,71 euro, e 495,80 euro per redditi tra i 15.493,71 euro e i 30.987,41 euro. I requisiti per poter accedere a tale detrazione prevedono però che il trasferimento avvenga in un comune ad almeno 100 km di distanza dal precedente e comunque fuori dalla propria regione, e che la residenza nel nuovo comune sia stata trasferita da non più di 3 anni dalla richiesta di detrazione.

* ALLOGGI SOCIALI. Naturalmente non possono mancare detrazioni per gli inquilini che alloggiano, a titolo di abitazione principale, in immobili destinati all’housing sociale, ovvero quelli concessi a famiglie o individui disagiati. In questo caso la detrazione è pari a 900,00 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71, euro e 450,00 euro se il reddito complessivo supera i 15.493,71 euro ma non i 30.987,41 euro.

BONUS MOBILI GIOVANI COPPIE. Da quest’anno le giovani coppie, di cui almeno uno dei componenti sia under 35, possono detrarre il 50% delle spese sostenute per l’acquisto di mobili destinati all’arredo dell’abitazione principale acquistata nel 2015 o nel 2016. In questo caso, il tetto massimo di spesa è di 16mila euro, ripartiti in dieci rate annuali di pari importo. Per usufruire dell’agevolazione è necessario che siano rispettati i seguenti requisiti: che la coppia sia coniugata nell’anno 2016, oppure che sia una coppia di fatto, convivente da almeno 3 anni al 2016.

* LEASING PRIMA CASA. È possibile portare in detrazione al 19% anche i canoni di leasing pagati nel 2016 per l’acquisto dell’abitazione principale e i relativi oneri accessori. Le detrazioni valgono nel caso in cui il contribuente non abbia un reddito superiore a 55mila euro alla data di stipula del contratto; il limite massimo rispetto all’importo da detrarre è di 8000 euro l’anno se alla data di stipula del contratto di leasing il contribuente aveva meno di 35 anni, mentre in caso contrario il limite scende a 4.000 euro.

* LOCAZIONE E PROPRIETARI. Questa volta l’agevolazione è rivolta ai proprietari. Per chi stipula un contratto di locazione a canone concordato, il reddito da tassare è dato, come in quello a regime libero, dal valore più alto tra la rendita catastale, rivalutata del 5%, e il canone di locazione (aggiornato con le rivalutazioni Istat), ridotto del 15%. Tuttavia, nel caso in cui l’immobile sia situato in uno dei comuni ad alta densità abitativa, la riduzione prevista è di un ulteriore 30%. Dalla dichiarazione dei redditi 2017 (che richiama l’anno d’imposta 2016) non è più necessario indicare nella dichiarazione gli estremi di registrazione del contratto di affitto, a meno che non siano intervenuti dei cambiamenti.

* IMU E TASI. Un’ulteriore agevolazione per i proprietari che concedono in affitto il proprio immobile con un contratto a canone concordato è l’aliquota Imu e Tasi ridotta al 75%.

* IMPOSTA DI REGISTRO. Nel caso in cui l’immobile affittato si trovi in un comune ad alta densità abitativa e sia un immobile a destinazione residenziale, il proprietario ha diritto alla riduzione del 30% sul corrispettivo annuo.

* IMU PER COMODATI. Per la casa concessa in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado che la utilizzano come abitazione principale è prevista la riduzione al 50% dell’Imu.

* CASE EFFICIENTI. È prevista una detrazione Iva del 50% per la spesa sostenuta nel 2016 per l’acquisto di immobili in Classe A o B a destinazione residenziale. La detrazione viene ripartita in 10 rate annuali di pari importo, ma è limitata all’Iva versata all’impresa costruttrice entro il 31 dicembre 2016.

* DOMOTICA. Tra le novità 2017, è stato introdotto un ecobonus per le spese destinate all’acquisto di impianti domotici e all’installazione di dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento, produzione di acqua calda e climatizzazione delle case. La detrazione è pari al 65% e in questo caso non è previsto un massimale di spesa; lo sconto è diviso in dieci rate annuali.

* MUTUO PRIMA CASA. Lo sconto fiscale è pari al 19% e comprende i relativi oneri accessori, per un importo massimo di 4mila euro.

* INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE. È possibile scaricare questo tipo di spesa nella misura del 19% su un importo massimo di 1000 euro.

* ECOBONUS E BONUS RISTRUTTURAZIONI. Gli interventi di ristrutturazione finalizzati alla riqualificazione energetica degli edifici possono essere portati in detrazione nell’ordine del 65% grazie alla proroga del 2016, mentre per le ristrutturazioni edilizie il risparmio è del 50%. Il tetto di spesa è di 96mila euro rimborsabili in 10 rate annuali.

* MOBILI ED ELETTRODOMESTICI. Per queste spese la detrazione Irpef ammonta al 50% con un tetto massimo di 10 mila euro. Ricordiamo che gli elettrodomestici agevolabili sono quelli in classe energetica A+ (A per i forni).

APPROVAZIONE RENDICONTO CONSUNTIVO E RICONOSCIMENTO DEL DEBITO EX AMMINISTRATORE

[A cura di: Maurizio Zichella – membro Acap e vice presidente nazionale ARCO, Associazione Revisori Contabili Condominiali]
La sentenza che si vuole segnalare è del Tribunale di Roma, V. Sez Civile., n. 4438/2017 nella quale vengono richiamati alcuni principi in tema di approvazione del rendiconto di gestione e di anticipi richiesti dall’amministratore uscente.
Il fatto consiste nella citazione effettuata nei confronti del condominio da parte dell’ex amministratore “per ottenere il rimborso di anticipazioni effettuate in costanza di rapporto, svoltosi per tutto l’anno 2009 e fino al 13.10.2010, data in cui è stato nominato il nuovo amministratore”.
L’amministratore uscente richiedeva i compensi tutti fatturati nel corso del 2010 e le anticipazioni maturate, a suo giudizio, dopo l’approvazione del rendiconto consuntivo 2009. L’attore del procedimento dimostrava che il rendiconto consuntivo relativo all’anno 2009 era stato approvato all’unanimità dell’assemblea tenuta il 13.10.2010, e che con tale approvazione il condominio aveva accettato e riconosciuto il debito nei suoi confronti pari a 6.992,92 euro tra anticipazioni e compenso maturato.
Il condominio costituitosi in giudizio, contestava la domanda e ne richiedeva il rigetto, sostenendo che l’assemblea a cui si faceva riferimento esprimeva una riserva sugli importi del rendiconto del 2009, e che non aveva riconosciuto alcun credito per le anticipazioni effettuate dall’ex amministratore, ma al contrario, aveva chiesto al nuovo amministratore , contestualmente nominato, di verificare i giustificativi di spesa e gli importi rappresentati nel documento contabile dell’amministratore uscente.
Dopo l’espletamento della CTU contabile richiesta dal giudice la domanda è stata parzialmente accolta.
In primo luogo, perché nella lettura e nell’interpretazione della delibera assembleare del 13.10.2010, con cui veniva approvato all’unanimità il rendiconto del 2009, il condominio riconosceva ed accettava la chiusura del documento contabile con un disavanzo di cassa registrato ed approvato, nel quale veniva evidenziato il credito dell’ex amministratore per i suoi compensi non riscossi e tale delibera e da intendersi come ricognizione di debito giuridicamente vincolante.
Il giudice richiama la sentenza della Cassazione 10153 del 9.5.2011, nella quale viene fissato il seguente principio di diritto: “in materia di deliberazioni di assemblea condominiale, l’approvazione del rendiconto ha valore di riconoscimento del debito in relazione alle sole poste passive specificatamente indicate. Pertanto, l’approvazione di un rendiconto di cassa che presenti un disavanzo tra uscite ed entrate, non implica che, per via deduttiva, possa ritenersi riconosciuto il fatto che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando denaro proprio, atteso che la ricognizione di debito richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specificatamente sottoposto all’esame dell’organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di esso”.
Richiamando tale principio, il giudice ha riconosciuto il debito riferito ai compensi professionali maturati ed indicati nel rendiconto approvato, alla luce anche del fatto che tale delibera non è stata impugnata dal alcun condomino ai sensi dell’art. 1137 co.3, ritenendo irrilevante l’approvazione del rendiconto con riserva di far verificare al nuovo amministratore alcune voci di bilancio, atteso che il nostro ordinamento non contempla, in materia condominiale, l’istituto dell’approvazione di una delibera assembleare con riserva.
Per la parte riguardante le eventuali anticipazioni effettuate e pretese dall’ex amministratore , il giudice rileva che tale richiesta viene fatta in base alla documentazione contabile condominiale, ma non è stata prodotta in giudizio la relativa documentazione giustificativa, non allegata al verbale, ne consegnata al nuovo amministratore, dalla quale è possibile rilevare gli esborsi effettuati, per mancanza di cassa, dall’amministratore con fondi propri.
Pertanto la richiesta non trova accoglimento.
Dall’esame di questa sentenza possiamo concludere che, non è possibile approvare un bilancio con riserva, ma la sua approvazione determina il riconoscimento delle poste attive e passive in esso indicate, e che eventuali contestazioni possono essere fatte valere solo con l’impugnazione della delibera stessa.
Non è inoltre, possibile conferire all’amministratore subentrante l’incarico di verificare una contabilità, comunque approvata, ma che non può essere “revisionata” dal nuovo amministratore a seguito di due principi tipici dell’istituto delle revisione: quello dell’indipendenza e dell’imparzialità del revisore.
Le tante “famose” e ricorrenti anticipazioni dell’amministratore vanno documentate con l’evidenza contabile di utilizzo di fondi propri: non è sufficiente giustificarle e motivarle con una prevalenza delle uscite rispetto alle somme introitate, che non vengono evidenziate in nessun documento contabile ovvero in una voce specifica relativo all’importo che il condominio dovrebbe riconoscere come anticipazione.

ACQUISTA LA CASA CON I SOLDI DI PAPÀ: LA DONAZIONE DEVE ESSERE DIMOSTRATA

[A cura di: Emiliano Marvulli – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

Se il contribuente deduce che la spesa effettuata per l’acquisto di un immobile è frutto di una liberalità da parte dei propri genitori, la presunzione per la determinazione sintetica del reddito può essere superata solo con la produzione di documentazione idonea a dimostrare anche l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito.

Il giudice di merito deve sempre rifarsi a tali prove documentali, non potendosi limitare ad argomentare che le donazioni a favore dei figli non necessitano di una prova documentale perché è altamente probabile che un genitore intervenga con donazioni di fatto per la partecipazione alle spese di gestione della vita familiare dei figli. Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza della Corte di cassazione n. 7256 del 22 marzo 2017.

IL FATTO

La controversia ha ad oggetto il ricorso proposto da un contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate con cui è stato determinato in via sintetica il maggior reddito imponibile del ricorrente inerente l’acquisto di un’autovettura e di un immobile.

Il ricorso è stato accolto parzialmente dalla Commissione tributaria provinciale, la quale ha ridotto del 50% il reddito derivante dall’immobile perché detto bene era nella disponibilità anche della moglie del contribuente, titolare di autonomo reddito.

Avverso la decisione di primo grado il contribuente ha proposto appello, accolto in toto dalla Commissione tributaria regionale, che ha disposto l’annullamento dell’atto impositivo perché gli elementi addotti dal ricorrente, secondo cui l’incremento patrimoniale derivava da una liberalità dei genitori, parevano idonei a vincere la presunzione derivante dall’applicazione del redditometro. Contro la suddetta decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione. La Corte suprema ha ritenuto fondate nel merito le doglianze dell’amministrazione finanziaria e ha deciso per la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Ctr in diversa composizione.

LA DECISIONE

Con i principali motivi di ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza di secondo grado, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, perché gli elementi addotti dal contribuente sono stati ritenuti idonei a superare la presunzione correlata alle risultanze dell’accertamento sintetico.

Oggetto della controversia riguarda, pertanto, il corretto inquadramento del cosiddetto accertamento sintetico nei confronti delle persone fisiche, che trova il suo fondamento giuridico nell’articolo 38 del Dpr 600/1973, e delle prove necessarie al superamento della presunzione prevista da tale specifico strumento accertativo.

La norma richiamata prevede una specifica modalità accertativa, comunemente nota come “redditometro”, per cui l’amministrazione finanziaria può determinare sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per “incrementi patrimoniali” (ad esempio, acquisto di un immobile o di un’autovettura). Per espressa previsione normativa, si presume che la spesa sia stata sostenuta con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti. È onere del contribuente dimostrare che il reddito sinteticamente determinato dall’Agenzia delle Entrate è costituito, totalmente o parzialmente, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o che esso possa essere giustificato sulla base di altri fatti e circostanze documentabili.

Nel caso di specie, il controllo da parte dell’ufficio finanziario è scaturito dalle operazioni di acquisto di un immobile e di un’autovettura, effettuate dal contribuente con un esborso non coerente con la propria situazione reddituale e patrimoniale. A parere dei giudici d’appello, il contribuente avrebbe assolto all’onere della prova previsto dall’articolo 38 “sia per la documentazione prodotta che per la circostanza che è altamente probabile che sia intervenuta una donazione di fatto da parte dei genitori”. La Ctr ha altresì affermato “che pare eccessivo pretendere una prova documentale di tali singole donazioni”, perché rientrerebbero in una pratica comune secondo cui i genitori spesso concorrono alle spese di gestione della vita familiare dei figli.

La decisione impugnata dall’Amministrazione finanziaria è in contrasto con il consolidato orientamento della Corte di cassazione espresso in materia di accertamento sintetico in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali. A parere dei giudici di legittimità, infatti, nell’ipotesi in cui si deduca che la spesa oggetto di analisi (acquisto di un immobile e di un’autovettura) sia frutto di liberalità, “la prova della liberalità medesima deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento” (così Cassazione, 24597/2010).

In tempi recenti, inoltre, la Corte ha precisato che, qualora il contribuente deduca che l’incremento patrimoniale sia frutto di liberalità, è sempre tenuto “a fornire la prova con documentazione idonea a dimostrare l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito” (in tal senso cfr. Cassazione, 916/2016).

IN UNA GUIDA DELLE ENTRATE, TUTTO QUELLO CHE C’È DA SAPERE SULL’ACQUISTO DELLA CASA

[A cura di: Paolo Calderone – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
Aspetti fiscali ma non solo. L’acquisto della casa è il tema trattato nell’ultima guida “L’Agenzia informa”, disponibile on line sul sito delle Entrate. Un pratico manuale per chi si accinge a compiere l’importante passo di comperare un’abitazione e vuole evitare problemi, soprattutto con il Fisco. In evidenza, l’estensione dei benefici prima casa a chi è già proprietario di un immobile acquistato con le agevolazioni, e i vantaggi derivanti dall’applicazione del prezzo valore: il sistema che prevede il calcolo delle imposte in base al valore catastale del fabbricato e non al corrispettivo pagato.
PRIMA DI ACQUISTARE 
Come suggerisce la guida, prima di effettuare l’acquisto è consigliabile informarsi sulla situazione dell’immobile e, soprattutto, accertarsi che si stia comprando dal legittimo proprietario. Agli accertamenti fatti, a tale scopo, dal notaio, si aggiungono i controlli che ogni cittadino può liberamente effettuare, grazie ad alcuni servizi disponibili sul sito dell’Agenzia, in particolare quello della consultazione della banca dati catastale e ipotecaria. Per esempio, effettuando un’ispezione ipotecaria si possono consultare i registri immobiliari e verificare chi risulta essere proprietario dell’immobile che si vuole acquistare, o se su di esso siano state iscritte ipoteche o siano presenti pendenze, anche giudiziarie. La consultazione può farla chiunque (persona fisica o non), ma è gratuita solo se a richiederla è il proprietario dell’immobile o il titolare di altro diritto reale di godimento.
Poi, una volta verificato che sia tutto in regola, può accadere che non sia possibile, per motivi di varia natura, stipulare subito il contratto di compravendita. In tale situazione, acquirente e venditore possono comunque impegnarsi giuridicamente a concludere l’affare in un momento successivo, attraverso un contratto preliminare di acquisto, redatto in forma scritta, noto anche come compromesso. Il preliminare deve essere registrato entro venti giorni dalla sottoscrizione (trenta giorni se stipulato da un notaio) e le imposte pagate con la registrazione saranno poi scalate da quelle dovute sul contratto definitivo di compravendita. Per una maggiore tutela dell’acquirente, raccomanda la guida, è importante chiedere al notaio di trascrivere il compromesso nei registri immobiliari. Solo con la trascrizione, difatti, eventuali vendite dello stesso immobile o la costituzione di altri diritti a favore di terze persone non pregiudicheranno i diritti del compratore.
IMPOSTE E PREZZO VALORE
È con la stipula del contratto di compravendita che avviene materialmente il trasferimento della proprietà dell’immobile. Questo è anche il momento in cui si conoscono quali, ma soprattutto quante, imposte sono dovute per l’acquisto. La guida segnala subito che le imposte da pagare dipendono da vari fattori. Sono diverse, per esempio, se a vendere è un privato o un’impresa, e sono di importo minore se l’acquirente ha i requisiti per usufruire dei benefici prima casa.
In sintesi, per l’acquisto di un’abitazione senza le agevolazioni prima casa, sono dovute:
* l’imposta di registro al 9% e le imposte ipotecaria e catastale (50 euro ciascuna), quando si acquista da un privato o da un’impresa che vende in esenzione Iva;
* l’Iva al 10% (o 22% per gli immobili di categoria catastale A/1, A/8 e A/9) più l’imposta di registro e le imposte ipotecaria e catastale (200 euro ciascuna), quando a vendere è un’impresa e la vendita è soggetta a Iva.
La base imponibile su cui calcolare l’Iva è sempre costituita dal prezzo della cessione.
Per le vendite assoggettate all’imposta proporzionale di registro, invece, vi è l’opportunità di chiedere al notaio, al momento dell’acquisto, l’applicazione della cosiddetta regola del prezzo valore. Si tratta di un particolare meccanismo di calcolo della base imponibile, che viene determinata sulla base del valore catastale dell’immobile, indipendentemente dalla somma pagata e indicata nell’atto. Il valore catastale dell’immobile si ottiene moltiplicando la rendita catastale, rivalutata del 5%, per il coefficiente 120. Tuttavia, il sistema del prezzo valore può essere richiesto solo per le cessioni di immobili a uso abitativo (e relative pertinenze) e se l’acquirente è una persona fisica che non agisce nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali. 
Non trascurabili i vantaggi per l’acquirente che ne chiede l’applicazione: riduzione del 30% degli onorari del notaio e limitazione del potere di controllo dell’Agenzia delle Entrate che, salvo i casi di occultamento del prezzo pattuito, non potrà accertare un maggior valore ai fini dell’imposta di registro.
PRIMA CASA E RISPARMIO
Il Fisco italiano, come del resto accade in quasi tutti i principali Paesi europei, pone particolare attenzione alla tassazione della prima casa, prevedendo importanti agevolazioni sia per l’acquisto che per il semplice possesso. 
Quando si compra da un privato o da un’impresa che vende in esenzione Iva, l’imposta di registro scende dal 9 al 2 per cento. Si applica l’aliquota ridotta del 4% (invece del 10%), se il venditore è un’impresa e la vendita è soggetta a Iva.
Ragguardevoli, quindi, le somme che si risparmiano. Attenzione, però: gli sconti sono concessi solo se l’acquirente possiede precisi requisiti e l’immobile presenta caratteristiche ben definite. Anzitutto, l’abitazione che si acquista non deve appartenere alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (non deve trattarsi, in sostanza, di un’abitazione di tipo signorile, di una villa, di un castello o di un palazzo di pregio artistico e storico). Inoltre, deve trovarsi nel territorio del comune in cui l’acquirente risiede o svolge la propria attività. Se residente altrove, per non perdere i benefici dovrà trasferire la residenza, entro diciotto mesi dall’acquisto, nel comune in cui si trova l’immobile.
Anche quando si acquista con le agevolazioni prima casa si potrà richiedere, se la vendita non è soggetta a Iva, l’applicazione del sistema del prezzo valore e usufruire degli stessi vantaggi indicati sopra. Il valore catastale dell’immobile sarà determinato, in questo caso, moltiplicando la rendita catastale rivalutata per il coefficiente 110.
Un’importante novità segnalata nella guida, infine, è quella introdotta dalla legge di stabilità 2016, che prevede la possibilità, per chi possiede già un’abitazione acquistata con i benefici prima casa, di acquisire una nuova casa, sia a titolo oneroso che gratuito (successione o donazione) e richiedere ugualmente le agevolazioni. L’unica condizione da rispettare, per non perdere questa opportunità, è vendere l’abitazione già posseduta entro un anno dal nuovo acquisto.
LE DOMANDE E LE RISPOSTE
A chiudere la pubblicazione, una serie di quesiti, con le relative soluzioni, sui casi in cui l’Agenzia delle Entrate può notificare un avviso di rettifica per accertare un maggior valore dell’immobile acquistato, rispetto a quanto dichiarato nel contratto, e sulla corretta applicazione dei benefici prima casa in situazioni particolari. Tra queste: l’acquisto di due appartamenti contigui, quello di una casa che si trova nello stesso comune in cui si possiede già la nuda proprietà su altra abitazione, l’eventuale perdita delle agevolazioni quando si cede in locazione l’immobile o se non si trasferisce la residenza nel comune in cui si trova l’abitazione, anche se in esso si ha la dimora.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Cade da 3 metri e muore

Trovato nudo in giardino

Un uomo di 38 anni, residente in un comune della città metropolitana di Firenze, è morto precipitando da un muretto alto circa 3 metri. Il suo corpo senza vita è stato rinvenuto dai carabinieri, completamente privo di vestiti, nel giardino di una villetta. Stando a quanto dichiarato da alcuni testimoni, il 38enne era stato visto girovagare, ancora vestito, nei pressi del luogo del ritrovamento, e si sarebbe denudato mentre attraversava alcuni cortili e proprietà private. Secondo le prime ipotesi fornite dagli inquirenti, l’uomo si trovava in stato di alterazione psicologica. Si attendono gli esiti dell’autopsia per stabilirne le cause.

Nei guai 62enne: rubava

corrente al condominio

È stato denunciato in stato di libertà per i reati di furto aggravato e danneggiamento l’uomo di 62 anni, residente in un appartamento dell’hinterland di Palermo, colpevole di aver sottratto energia elettrica al proprio condominio. Grazie alla segnalazione dell’amministratore, le forze dell’ordine hanno scoperto l’allacciamento abusivo ottenuto mediante un cavo elettrico che collegava direttamente l’alloggio del 62enne all’impianto elettrico condominiale, passando attraverso un foro sul soffitto della corsia dei box auto. In questo modo, peraltro, aveva creato un danno al solaio del seminterrato, intaccandone l’impermeabilizzazione.

Immobiliarista “fumato”

denunciato dai carabinieri 

Un giovane di 28 anni, di professione agente immobiliare ma con il vizio dei festini a base di stupefacenti, è stato denunciato con l’accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio. A “tradirlo” è stato il forte odore di fumo che, fuoriuscendo dalla sua porta, aveva impregnato l’androne del palazzo. Così i condòmini hanno chiamato il 113, e quando i militari si sono presentati alla sua porta per verificare le segnalazioni dei vicini, gli hanno trovato in casa circa 4 grammi di marijuana e 1 grammo di cocaina. Secondo quanto raccontato dall’incauto 28enne, tale quantità sarebbe servita per una festa con gli amici. Peccato che, in questo caso, il reato sia diventato quello di spaccio.

Pranzano in cucina

La casa prende fuoco

Nessun ferito grave, ma abitazione gravemente danneggiata e molta paura. È il bilancio di un rogo sviluppatosi in un appartamento al quarto piano di un condominio di Livorno. Ancora ignote le cause. L’ipotesi più probabile, al momento, è che si sia trattato di un corto circuito provocato dal cattivo funzionamento di alcune prese elettriche nella stanza di una ragazza di 31 anni, residente nell’alloggio insieme al padre di 69 anni. I due stavano pranzando, quando hanno sentito un forte odore di bruciato. Il tempo di alzarsi da tavola e le fiamme erano già alte. Inutile il primo tentativo di spegnerle. All’uomo e alla figlia non è rimasto che mettersi in salvo e chiamare i vigili del fuoco, i quali, giunti sul posto insieme alle forze dell’ordine, sono riusciti a domare il rogo. Solo una lieve intossicazione, per i due residenti dell’appartamento.

Furto in abitazione: 

arrestato ladro seriale

È stato preso con la refurtiva nel sacco il topo d’appartamento “seriale” che aveva appena ripulito la casa di un anziano di 77 anni, nel cremonese, approfittando della sua assenza. Il ladro era riuscito a scappare a bordo della sua bici, portandosi dietro una lavatrice e tre trapani. Ma il proprietario, rientrato poco dopo, lo aveva visto mentre si allontanava e aveva chiamato i carabinieri. Subito sulle sue tracce, i militari lo hanno bloccato dopo qualche minuto, con la refurtiva ancora in suo possesso. Visti i numerosi precedenti penali dell’uomo, il Pm ha disposto la convalida dell’arresto, in attesa dell’udienza.

Anziano muore ustionato

mentre accende la caldaia

Tragedia domestica in un appartamento del varesotto, dove un uomo di 91 anni è rimasto vittima di un incendio, provocato probabilmente dalla fiamma di ritorno di una caldaia. L’anziano abitava con la moglie disabile che, vedendo uscire del fumo dal locale caldaia, aveva allertato i vigili del fuoco. Quando i soccorritori sono arrivati sul posto, accompagnati dai sanitari del 118, per il marito non c’era più niente da fare. Ancora in fase di accertamento le cause dell’incidente: si suppone che il 91enne stesse tentando di accelerare l’accensione della caldaia a legna utilizzando un combustibile, per poi finire investito dalle fiamme.

CONDOMINIO: I TERMINI E LE MODALITÀ PER IMPUGNARE LA DELIBERA ASSEMBLEARE

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]

Le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condòmini. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente, astenuto o assente può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
È quanto prevede il nuovo secondo comma dell’articolo 1137 c.c., come modificato dalla legge di riforma del condominio (L. 220/2012), che riconosce espressamente la possibilità di impugnare le delibere assembleari ai condòmini assenti, dissenzienti o astenuti, mentre in precedenza la legge prevedeva espressamente tale facoltà solo in favore dei condòmini dissenzienti ed era la giurisprudenza ad estenderla anche agli astenuti ed assenti.
È prevista, inoltre, una duplice decorrenza dei termini per impugnare, a seconda che il condòmino abbia partecipato o meno all’assemblea che ha approvato la delibera che si intende impugnare. Infatti, per gli assenti il termine dei trenta giorni decorre dalla ricezione del verbale.
Il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., prevede che l’istanza per ottenere la sospensione, proposta prima dell’inizio della causa di merito, non sospende l’efficacia della delibera né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della stessa, a meno che sulla stessa non si pronunci favorevolmente l’autorità giudiziaria.
Mentre i casi di annullamento sono espressamente disciplinati dal codice, e consistono in violazioni di legge o del regolamento, quelli di nullità (tranne veramente pochi casi quali la nullità della nomina in mancanza di indicazione del compenso) non sono indicati nella normativa sul condominio ed occorre rifarsi ai principi che regolano la nullità del negozio giuridico.

La violazione di legge
Ad esempio, si ha violazione di legge quando non vengono osservate le norme procedimentali prescritte per l’adozione delle delibere assembleari. Si pensi a quanto prescritto dal nuovo articolo 66 disp att. c.c., per il quale: “L’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.
L’assemblea in seconda convocazione non può tenersi nel medesimo giorno solare della prima.
L’amministratore ha facoltà di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell’assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell’assemblea validamente costituitasi
”.
La violazione di tali norme procedimentali determina la possibile annullabilità della delibera assembleare.

Chi può impugnare
Vi è subito da dire che, fino ad oggi, si ammetteva l’impugnativa di un singolo condomino anche quando il vizio relativo alla mancata convocazione di un condomino si era verificato nei confronti di altro condomino. A seguito della riforma, invece, che ritiene il deliberato annullabile in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione su istanza dei dissenzienti o degli assenti perché non ritualmente convocati (art. 66 Disp. Att. III comma c.c.) appare che, contrariamente a prima, tale vizio possa essere eccepito solo da coloro nei confronti dei quali lo stesso si è effettivamente verificato.
Né si può ipotizzare che la mancata partecipazione all’assemblea determini un pregiudizio per gli altri, perché la volontà assembleare può ugualmente esprimersi e consentire che il condominio sia gestito in funzione degli interessi collettivi. Non va, infine, sottaciuto che, secondo la disciplina generale dell’annullamento (v. art. 1425 e ss c.c.), la legittimazione a farlo valere spetta esclusivamente alla “parte nel cui interesse è stabilito dalla legge”, come si desume esplicitamente dall’art. 1441 I comma c.c.
Sicché, in mancanza di diverse e specifiche disposizioni contrarie, alle impugnazioni delle delibere assembleari deve applicarsi la disciplina generale, con la conseguenza che la legittimazione a proporle deve ritenersi ristretta ai condòmini lesi dalla illegittimità dedotta (Trib. Taranto 12.01.2016 n. 73).

Onere della prova
Quanto all’onere della prova, incombe sul condomino che chieda l’accertamento dell’invalidità dell’assemblea condominiale, la prova del vizio della delibera posto a fondamento della pretesa. In particolare, nel caso in cui è il condomino che agisce per far valere l’invalidità di una delibera assembleare, incombe sul condominio convenuto l’onere di provare che egli sia stato tempestivamente avvisato della convocazione quale presupposto per la regolare costituzione dell’assemblea (Trib. Trento 04.06.2015 n. 560), mentre resta a suo carico la dimostrazione degli eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà dell’assemblea medesima.
Le deliberazioni nulle sono, invece, impugnabili in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (quindi anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera impugnata).

LA PROCEDURA
Per un primo indirizzo, in tema di condominio di edifici, (Cass. 14560 del 30 luglio 2004) la tempestività dell’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea dei condòmini, che a norma dell’articolo 1137 c.c. doveva essere proposta con ricorso nel termine di trenta giorni dalla data della deliberazione stessa, andava riscontrata con riguardo alla data del deposito del ricorso e non a quella della sua notificazione. Sul punto la Suprema Corte aveva, poi, ritenuto che l’impugnativa potesse avvenire anche con citazione purché la notifica al destinatario fosse effettuata nello stesso termine dei trenta giorni (dal verbale se il condomino era presente, ovvero dalla comunicazione allo stesso se assente).

Citazione o ricorso?
Era, quindi, pacifico che, se anche il codice civile prevedesse, testualmente, la forma del ricorso, l’impugnativa della delibera assembleare potesse avvenire indifferentemente con ricorso o con citazione, (Cass. n. 8440 dell’11.04.2006) e che, in questa ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’articolo 1137 c.c. (trenta giorni) occorreva tenere conto della sola data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio anziché di quella successiva del deposito in cancelleria (iscrizione a ruolo della causa).
Sul punto, a fare chiarezza, è intervenuta la Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, con sentenza n. 8491 del 2011 ha affermato che ai sensi dell’articolo 163 c.p.c. la domanda di annullamento della delibera condominiale si propone con citazione.
La Suprema Corte, nella stessa motivazione della sentenza, ha chiarito che: il termine «ricorso» indicato nell’articolo 1137 c.c. è ivi impiegato nel senso generico di istanza giudiziale; ciò, a detta della Corte, trova conferma nel fatto che, in genere, l’indicazione della forma del ricorso come veste dell’atto introduttivo in determinate materie è sempre accompagnata dalla fissazione di varie altre regole intese a delineare procedimenti caratterizzati da particolare snellezza e rapidità, (l’indicazione del giudice competente, i suoi poteri di sospensione, ecc.) tutte regole che invece mancano con riguardo all’impugnazione delle delibere condominiali.
Le Sezioni Unite, con la stessa sentenza, ebbero, altresì a precisare che potevano, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’articolo 1137 c.c.
A seguito della riforma, il nuovo testo dell’articolo 1137 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, (entrata in vigore il 18 giugno 2013) sembra avallare l’interpretazione di tale pronuncia, in quanto ha eliminato qualsiasi riferimento al termine ricorso e ha parlato genericamente di azione volta all’annullamento delle deliberazioni assembleari. Per il Tribunale di Milano (provvedimento 21 ottobre 2013, n. 56369), con l’entrata in vigore della legge 220/2012 (Riforma del condominio), l’impugnazione proposta con ricorso è inammissibile. Proprio sull’eliminazione della parola ricorso ha fondato il Tribunale di Milano per concludere che l’impugnazione proposta con ricorso è inammissibile. Nel caso deciso, il ricorso era stato tempestivamente depositato presso la cancelleria del giudice nei termini previsti dalla legge, ma nulla era stato notificato al condominio entro 30 giorni, così che lo stesso, nella persona del suo amministratore, aveva già maturato un legittimo affidamento circa l’acquisita esecutività della delibera impugnata.
In conclusione, è meglio, da oggi in poi, stare bene attenti ad impugnare una delibera assembleare con l’atto di citazione e non più con il ricorso.

IL DECRETO TERREMOTO È LEGGE: LE AGEVOLAZIONI FISCALI SULLA CASA

[A cura di: Gennaro Napolitano – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

Nella Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata la legge 45/2017 che ha convertito il Dl 8/2017, contenente “Nuovi interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017”. Nel corso dell’esame parlamentare, sono state apportate significative modifiche al testo originario del decreto; modifiche che hanno interessato anche le disposizioni in materia di adempimenti e versamenti tributari.

In particolare, l’articolo 11 del decreto in esame contiene le norme di carattere fiscale. Esso si muove su due fronti: in primo luogo, modifica in più punti l’articolo 48 del Dl 189/2016 (quest’ultimo, come noto, è stato il primo intervento normativo adottato per fronteggiare l’emergenza terremoto) e, in secondo luogo, introduce ulteriori agevolazioni fiscali.

Di seguito, una sintesi di alcune misure di carattere tributario previste dalla disposizione in esame: sia di quelle già contenute nella versione originaria del Dl 8/2017, sia di quelle previste ex novo durante l’iter di conversione in legge.

Ritenute e sostituti d’imposta. Confermata la possibilità, per i sostituti d’imposta, di regolarizzare, entro il 31 maggio 2017 (e senza applicazione di sanzioni e interessi), gli adempimenti concernenti le ritenute relative ai soggetti residenti nei comuni colpiti dal terremoto. In particolare, la regolarizzazione agevolata concerne le ritenute non effettuate o non versate nei seguenti periodi:

* dal 24 agosto 2016 (data del primo terremoto) al 19 ottobre 2016 (data di entrata in vigore del Dl 189/2016);

* dal 26 ottobre 2016 (data del successivo terremoto) al 18 dicembre 2016 (data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl 189/2016).

Sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari. Viene confermata la sospensione fino al 30 novembre 2017 degli adempimenti e dei versamenti tributari (con esclusione del rimborso di quanto eventualmente già versato). La ripresa della riscossione dei tributi sospesi e non versati avviene entro il 16 dicembre 2017, senza applicazione di interessi e sanzioni. La disposizione interessa anche le ritenute alla fonte non operate dai sostituti d’imposta su richiesta degli interessati (“busta paga pesante”). 

Canone tv. Anche la ripresa del versamento del canone tv, mediante addebito sulla bolletta elettrica, avviene, senza applicazione di sanzioni e interessi, entro il 16 dicembre 2017. Inoltre, nei casi in cui, a seguito del terremoto, la famiglia anagrafica non detenga più alcun apparecchio televisivo, il canone non è dovuto per l’intero secondo semestre 2016 e per tutto il 2017.

Altri adempimenti tributari. Gli adempimenti tributari, diversi dai versamenti, non eseguiti per effetto della sospensione stabilita dal Dm 1° settembre 2016, devono essere effettuati entro il mese di dicembre 2017.

Esenzione imposta di bollo e di registro. Nel corso del passaggio parlamentare, è stata inserita la norma secondo cui le persone fisiche residenti (o domiciliate) e le persone giuridiche aventi sede legale nei comuni colpiti dal sisma, oltre a quella dall’imposta di bollo, beneficiano anche dell’esenzione dall’imposta di registro per le istanze, i contratti e i documenti presentanti alla pubblica amministrazione fino al 31 dicembre 2017 in esecuzione di quanto stabilito dalle ordinanze del Commissario straordinario del governo. Viene altresì specificato che il deposito delle istanze, dei contratti e dei documenti, effettuato presso gli uffici speciali per la ricostruzione, produce gli stessi effetti della registrazione eseguita secondo le disposizioni del Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 131/1986). Anche in questo caso, viene stabilito che non si procede al rimborso dell’imposta di registro già versata prima dell’entrata in vigore della nuova disposizione agevolativa.

Agevolazioni per i redditi di fabbricati. Altra novità è la proroga dal 28 febbraio 2017 al 30 giugno 2017 del termine per l’emanazione delle ordinanze sindacali di sgombero funzionali all’individuazione degli immobili inagibili destinatari dei benefici previsti dall’articolo 48, comma 16, Dl 189/2016. Quest’ultima disposizione prevede una serie di agevolazioni fiscali (esclusione dalla base imponibile Irpef e Ires dei redditi dei fabbricati, esenzione Imu e Tasi fino alla ricostruzione) per i fabbricati ubicati nelle zone colpite dal sisma, se distrutti od oggetto delle predette ordinanze. Conseguentemente, viene posticipato al 30 giugno 2017 il termine entro cui il contribuente può dichiarare, ai medesimi fini, la distruzione o l’inagibilità totale o parziale del fabbricato all’autorità comunale.

Sospensione dei termini per la riscossione. In sede di conversione, è stata confermata la sospensione dal 1° gennaio al 30 novembre 2017 dei termini per la notifica delle cartelle di pagamento e per la riscossione delle somme risultanti dagli avvisi di accertamento esecutivi e dagli avvisi di addebito esecutivi (relativi al recupero delle somme a qualunque titolo dovute all’Inps), nonché delle attività esecutive da parte degli agenti della riscossione e dei termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli enti creditori (compresi quelli degli enti locali).

Definizione agevolata. Importanti novità arrivano per la rottamazione delle cartelle. Infatti, viene stabilita la proroga dal 31 marzo al 21 aprile 2017 del termine per la presentazione della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2016. Conseguentemente, è posticipato dal 31 maggio al 15 giugno 2017 il termine entro il quale Equitalia comunica, ai debitori che hanno chiesto la rottamazione, l’ammontare complessivo delle somme dovute e quello delle singole rate, nonché il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse. Inoltre, con norma di interpretazione autentica, viene chiarito che, ai fini dell’accesso alla rottamazione, non sono dovute le sanzioni irrogate per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi, anche nel caso in cui il debitore sia lo stesso ente previdenziale.

Le novità riguardano non solo i contribuenti che vivono nelle zone colpite dal terremoto, ma la generalità dei soggetti interessati. Per i primi, comunque, resta ferma la proroga di un anno dei termini e delle scadenze previsti dalla disciplina della definizione agevolata (commi 1, 2, 3, 3-ter e 12, dell’articolo 6, Dl 193/2016).