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TERRAZZE A LIVELLO DI PROPRIETÀ ESCLUSIVA: A CHI SPETTA LA MANUTENZIONE?

[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]

L’art. 1126 c.c. rappresenta una variante della fattispecie prevista nell’art. 1125 c.c., in quanto si riferisce, pur sempre, alle spese concernenti la riparazione di una soletta divisoria tra due proprietà esclusive, considerato che quella soprastante è una unità immobiliare scoperta; l’articolo de quo, infatti, prende in considerazione i lastrici solari e le terrazze a livello di proprietà o, anche, di uso esclusivo. 

Il lastrico solare è di proprietà condominiale, se da un titolo non risulti il contrario. In questo caso le relative spese di manutenzione sono da porsi a carico di tutti i condòmini ex art. 1123 c.c., in quanto lo stesso svolge una funzione di copertura del fabbricato condominiale al pari di un tetto. A differenza dei lastrici solari, aree poste al culmine del palazzo con funzione di copertura dell’intero stabile, la terrazza, è pur sempre una “superficie praticabile (come il lastrico solare), pavimentata stabilmente, all’aperto, ma con pavimentazione più livellata, con minori pendenze, tanto da renderla adatta a potervi collegare tavoli e sedie, e permettere, a chi ne ha l’acceso, di sostarvi comodamente anche per parecchio tempo” (Rizzi-Rizzi; Il condominio negli edifici, Ed. Zanichelli, 1983). 

L’articolo in esame stabilisce che i condòmini che hanno la proprietà o l’uso esclusivo di tali beni debbano corrispondere un terzo delle spese necessarie per la loro manutenzione, mentre i restanti due terzi sono a carico di tutti gli altri condòmini per i quali il lastrico solare funge da copertura. Si deve rilevare che il legislatore utilizza il termine “uso”, dando quindi maggiore importanza al godimento, quale diritto reale, che il singolo condomino ne può trarre, anziché alla funzione svolta dai lastrici e dalle terrazze di copertura di altre unità immobiliari. È per questo motivo che attribuisce ai condòmini aventi in uso esclusivo i lastrici solari o le terrazze a livello una considerevole quota spesa. 

Tuttavia la giurisprudenza, non dimenticando che i suddetti beni svolgono anche una funzione di copertura, totale o parziale, dello stabile condominiale, ha precisato che la ripartizione, di cui trattasi, si applica esclusivamente alla parte strutturale della terrazza a livello che costituisce una siffatta copertura, vale a dire al manto impermeabile che impedisce le infiltrazioni d’acqua nel sottostante appartamento. Sono escluse da questa suddivisione le spese relative ai parapetti e a ogni altra struttura che sia di uso esclusivo del condomino interessato, fatto salvo il caso di interventi posti anche a tutela del decoro architettonico dell’edificio (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3221).

Ovviamente, considerato che lo strato impermeabilizzante è sito sotto la pavimentazione, le spese, che devono essere ripartite ex art. 1126 c.c., riguardano anche tutti gli esborsi necessariamente conseguenti e strumentali alla sua manutenzione, dovendo essere considerate spese accessorie obbligatorie, quali quelle per la rimozione del pavimento e la susseguente sua posa in opera con materiale di pari valore o per il trasporto alla discarica dei materiali di risulta, e così via. Il principio sopra esposto non si applica nella ipotesi il proprietario della terrazza a livello provochi per sua colpa le infiltrazioni di acqua nell’appartamento sottostante, per esempio in quanto si guasti un impianto automatico di irrigazione delle fioriere in sua assenza. 

Ma la questione più spinosa, ancora oggi non risolta in modo definitivo, è rappresentata da chi debba corrispondere i due terzi delle spese concernenti la precitata manutenzione del lastrico solare. Malgrado la dicitura testuale dell’art. 1126 c.c., dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che obbligati a sostenere queste spese debbano essere soltanto i condòmini sottostanti il lastrico o la terrazza a livello per la quota delle loro proprietà immobiliari, in proiezione verticale al lastrico o alla terrazza medesimi e in funzione della utilità che essi ne traggono, vale a dire, in funzione della copertura che tali beni svolgono e non nel diritto di proprietà. E del resto, proprio in virtù di questa ultima funzione, il condominio è obbligato alla loro riparazione e manutenzione ai sensi dell’art. 2051 c.c.; pertanto è onere dell’assemblea, anche contro la volontà del proprietario, deliberare l’appalto necessario ad attuarle. 

Resta la questione di come possa avvenire la ripartizione di questa spesa. Nel silenzio di una precisa pronuncia di legittimità, ritengo che si possa provvedere, in assenza di una tabella millesimale, ad hoc elaborata, con una proporzione geometrica tra le diverse superfici coperte, espresse in metri quadrati rapportata a millesimi, sempre che questo criterio sia accettato all’unanimità dai condòmini interessati, con espressa manifestazione di volontà negoziale dispositiva dei loro diritti (Cass.23 marzo 2016 n 5814). E del resto, l’art. 68 disp. att. c.c. richiama l’art. 1126 c.c. per la determinazione dei valori proporzionali degli appartamenti tra i quali vanno suddivise in genere le spese per la manutenzione delle parti e dei servizi comuni; questo riferimento rende necessaria una apposita tabella per la tipologia di spese inerenti ai lastrici solari e alle terrazze a livello di proprietà esclusiva. Non solo, l’art. 68 disp. att. c.c. richiama anche l’art. 1124 c.c., che prevede anch’esso una caratura specifica per le spese inerenti alla manutenzione delle scale, ma non l’art. 1125 c.c., in tema di solai, rafforzando la tesi della obbligatorietà di una tabella ad hoc per le spese previste nell’art. 1126 c.c.. 

Nel caso, poi, sotto il terrazzo a livello sussistesse un’altra unità immobiliare del medesimo proprietario, anche questi deve partecipare pro quota ai due terzi della spesa manutentiva, oltre a corrispondere, da solo, il terzo della spesa stessa. Se, invece, sotto al lastrico solare sussistesse un bene condominiale (ad esempio l’andito di ingresso, un passo carrabile, la centrale termica, l’alloggio del portiere) tutti i condòmini devono partecipare pro quota millesimale rapportata alla superficie della cosa condominiale. Qualora invece il lastrico solare fungesse da copertura ad un solo piano, i proprietari di quest’ultimo debbono interamente corrispondere la quota dei due terzi della spesa de qua. Infine si deve rilevare che le spese per risarcire i danni provocati dalle infiltrazioni devono essere ripartite con lo stesso criterio dettato dall’art. 1126 c.c. e l’eventuale azione per il loro recupero coatto deve essere radicata contro il condominio in persona del suo amministratore pro tempore (Cass. 24 marzo 2016 n. 5814).

Questi principi sono stati recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza del 10 maggio 2016 n. 9449 che ha confermato la responsabilità per le infiltrazioni d’acqua sia del proprietario esclusivo sia del condominio, salva la rigorosa prova della riferibilità all’uno o all’altro.

VENDITE GIUDIZIARIE DI IMMOBILI E TRASFERIMENTO ENTRO I DUE ANNI

Decima puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato agli immobili oggetto di vendite giudiziarie e al termine dei due anni per il trasferimento con le imposte agevolate.

D. In caso di inottemperanza dell’obbligo di trasferimento entro due anni dalla stipula attualmente previsto dall’articolo 16, comma 1, del Dl 18/2016 sono applicabili le procedure per il ravvedimento indicate nelle risoluzioni n. 105/E del 2011 e 112/E del 2012? 

R. L’articolo 16 del Dl 14 febbraio 2016, n. 18, prevede che “Gli atti e i provvedimenti recanti il trasferimento della proprietà o di diritti reali su beni immobili emessi nell’ambito di una procedura giudiziaria di espropriazione immobiliare di cui al libro III, titolo II, capo IV, del codice di procedura civile, ovvero di una procedura di vendita di cui all’articolo 107 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna a condizione che l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro due anni”. Ai sensi del comma 2 del predetto articolo, ove non si realizzi la condizione del nuovo trasferimento entro il biennio, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, la sanzione amministrativa prevista nella misura del 30 per cento e gli interessi di mora. Dalla scadenza del biennio decorre il termine per il recupero delle imposte ordinarie da parte dell’amministrazione finanziaria. 

Anche nell’ipotesi oggetto di esame, la decadenza dall’agevolazione fruita, deriva, dunque, dal mancato rispetto dell’impegno assunto di procedere alla rivendita dell’immobile entro i due anni dall’acquisto. Analogamente a quanto previsto in materia di prima casa, anche in tale ipotesi, dunque, qualora il contribuente si trovi nella condizione di non poter o voler rispettare l’impegno assunto, può, in pendenza del termine previsto per procedere all’alienazione, rivolgere apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia delle entrate, secondo le procedure previste dalle risoluzioni 102/E e 115/E del 2012, al fine di ottenere la riliquidazione dell’imposta in misura ordinaria e dei relativi interessi. 

Diversamente, qualora lo stesso contribuente non si sia attivato nei modi descritti nel termine dei due anni predetti, si realizza la decadenza dall’agevolazione fruita; in tal caso, l’interessato che intende avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso, presenta apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia delle entrate, presso il quale è stato registrato l’atto, con la quale dichiarare l’intervenuta decadenza dall’agevolazione. Al riguardo, si precisa che i diversi termini a cui l’articolo 13 del D.lgs. n. 472 del 1997 ricollega differenti riduzioni delle sanzioni, decorrono dal giorno in cui si è verificata la decadenza dall’agevolazione (ossia dal giorno in cui maturano i due anni dalla stipula dell’atto).

PROPRIETARI DI CASE E AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO: SCADENZE FISCALI DI LUGLIO

È on line, sul sito Internet di Confedilizia, il numero di luglio dello “Scadenzario tributario del proprietario di casa e del condominio”, curato dall’organizzazione della proprietà immobiliare.

Gli adempimenti relativi al mese di luglio – per i quali lo Scadenzario Confedilizia indica nel dettaglio soggetti obbligati, modalità dell’adempimento, codici tributo e ogni altra indicazione pratica utile agli interessati – sono molteplici: presentazione del Modello 730, acconto e saldo cedolare secca (con la maggiorazione dello 0,40%); acconto e saldo Irpef (e relative addizionali); versamento di ritenute alla fonte e contributi.  

Si segnala che quest’anno, per la prima volta, gli amministratori di condominio che si avvalgono dell’assistenza fiscale possono utilizzare il Modello 730 (compilando il Quadro K) per inviare all’Anagrafe tributaria la comunicazione annuale dell’importo complessivo dei beni e dei servizi acquistati dal condominio nell’anno 2015, dei dati identificativi dei relativi fornitori nonché dei dati catastali degli immobili oggetto di interventi di recupero del patrimonio edilizio, realizzati sulle parti comuni condominiali.

In sintesi, si riportano di seguito le principali.

PROPRIETARI IMMOBILIARI

7 luglio: modello 730/2016 tramite sostituti d’imposta

18 luglio: cedolare secca

18 luglio: Irpef e addizionali

22 luglio: modello 730/2016 tramite Caf o professionisti abilitati a patto che entro il 7 luglio gli stessi Caf o professionisti abbiano presentato almeno l’80% delle medesime dichiarazioni

AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO

7 luglio: modello 730/2016 tramite sostituti d’imposta

18 luglio: ritenute alla fonte e contributi

18 luglio: addizionale regionale e comunale Irpef

22 luglio: modello 730/2016 tramite Caf o professionisti abilitati a patto che entro il 7 luglio gli stessi Caf o professionisti abbiano presentato almeno l’80% delle medesime dichiarazioni

DECADENZA DEL BONUS PRIMA CASA: COME EVITARE LE SANZIONI

Nona puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato alle ipotesi di decadenza del bonus prima casa e alle procedure fiscali da attivare per evitare le sanzioni.

D. In caso di inottemperanza dell’obbligo di alienazione dell’immobile preposseduto entro un anno dall’acquisto del nuovo immobile, previsto dal comma 4-bis dell’articolo 1, nota II-bis, della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986 (agevolazione “prima casa”) sono applicabili le procedure indicate nelle risoluzioni nn. 105/E/2011 e 112/E/2012? 

R. Si rammenta che con le richiamate risoluzioni, n. 105 del 2011 e n. 112 del 2012, sono state indicate le procedure che possono essere seguite dal contribuente che non intende o non può assolvere agli impegni assunti in sede di acquisto della prima casa di abitazione per comunicare tale circostanza all’Agenzia delle entrate ed evitare l’applicazione della sanzione amministrativa ovvero, corrisponderla in misura ridotta, beneficiando dell’istituto del ravvedimento operoso. 

In particolare, con la risoluzione n. 105/E del 2011, è stata esaminata l’ipotesi di mancato trasferimento della residenza, nel termine di 18 mesi, nel comune in cui è sito l’immobile acquistato. In tale sede, è stato chiarito che qualora risulti ancora pendente il termine di 18 mesi, l’acquirente può revocare la dichiarazione di intenti formulata nell’atto di acquisto, presentando apposita istanza all’Ufficio dove è stato registrato l’atto; in tal caso, sono dovute le imposte di trasferimento in misura ordinaria (al netto di quanto versato in sede di registrazione) e i relativi interessi, senza applicazione di sanzioni. Decorso il termine di 18 mesi, si verifica la decadenza dall’agevolazione; in tal caso, il contribuente sarà tenuto anche alla corresponsione delle sanzioni ma potrà avvalersi, ricorrendone le condizioni, dell’istituto del ravvedimento operoso, presentando apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, presso il quale è stato registrato l’atto, con la quale dichiarare l’intervenuta decadenza dall’agevolazione. Analoghe considerazioni sono state svolte con la successiva risoluzione n. 112/E del 2012, in relazione all’ipotesi di vendita dell’immobile acquistato con le agevolazioni entro il successivo quinquennio e mancato riacquisto entro l’anno. 

I principi affermati con le richiamate risoluzioni devono ritenersi applicabili anche con riferimento alla nuova previsione di cui al comma 4-bis della nota II-bis) posta in calce all’articolo 1, della Tariffa, parte I, allegata al TUR, che consente l’applicazione delle agevolazioni prima casa anche nell’ipotesi in cui il contribuente sia già in possesso di altro immobile acquistato con le agevolazioni prima casa a condizione, comunque, che quest’ultimo immobile sia alienato entro un anno dalla data dell’atto. In mancanza di detta alienazione si verifica la decadenza dall’agevolazione fruita per l’acquisto del nuovo immobile. 

Analogamente alle fattispecie esaminate con le richiamate risoluzioni, anche la nuova previsione collega il verificarsi della decadenza al mancato rispetto di un impegno da parte dell’interessato. Coerentemente con i principi già resi, il contribuente che si trovi nelle condizioni di non poter rispettare l’impegno assunto potrà, entro l’anno stabilito per la rivendita, proporre apposita istanza all’Ufficio dell’Agenzia presso il quale è stato registrato l’atto, con la quale revocare l’impegno assunto al trasferimento dell’immobile, e conseguentemente richiedere la riliquidazione dell’imposta dovuta, oltre che degli interessi. 

Nel diverso caso in cui sia decorso l’anno dal nuovo acquisto agevolato senza che si sia proceduto alla vendita dell’immobile preposseduto, si verifica la decadenza dall’agevolazione fruita in sede di acquisto e, pertanto, oltre all’imposta ed ai relativi interessi, trova applicazione anche la sanzione del 30 per cento. In presenza delle condizioni previste dall’articolo 13 del D.lgs. n. 472 del 1997, l’istante potrà accedere all’istituto del ravvedimento operoso ed ottenere la riduzione della sanzione, presentando apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia delle entrate con la quale dichiarare l’intervenuta decadenza dall’agevolazione. Al riguardo, si precisa che i diversi termini a cui l’articolo 13 del D.lgs. n. 472 del 1997 ricollega differenti riduzioni delle sanzioni, decorrono dal giorno in cui si è verificata la decadenza dall’agevolazione fruita per il nuovo acquisto (ossia dal giorno in cui matura l’anno dalla stipula dell’atto).

CONTRATTO DI LOCAZIONE: ANCHE LA PROROGA TACITA VA COMUNICATA ALLE ENTRATE

Ottava puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato alla proroga tacita dei contratti di locazione.

D. Quando la proroga di un contratto di locazione è tacita (cioè non formalizzata da atto scritto), cosa va comunicato all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni, in base dell’articolo 17, comma 1, del TUR e con quale modello? Inoltre, da quando parte il termine dei 30 giorni? 

R. Si rammenta che, in linea generale, la proroga, anche tacita, del contratto di locazione deve essere comunicata all’Agenzia delle entrate. 

L’articolo 17, comma 1, del TUR, come modificato dal D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, prevede che la comunicazione relativa alla proroga, anche tacita del contratto, deve essere presentata entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento, (termine che decorre dal giorno successivo alla scadenza del contratto oggetto di proroga tacita) previo pagamento della relativa imposta (sempreché dovuta), mediante il modello RLI. 

Tale modello potrà essere inviato: 

• utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia (software RLI o RLI-web); 

• oppure presentato presso l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso il 

quale è stato registrato il contratto di locazione. 

Si rammenta che nel caso di tardivo pagamento dell’imposta di registro, trova applicazione la sanzione amministrativa pari al 30 per cento dell’imposta di registro dovuta, eventualmente riducibile secondo le regole previste dall’articolo 13, comma 1, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. 

Ricorrendone le condizioni, il contribuente potrà, inoltre, accedere all’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e successive modificazioni.

REGISTRAZIONE TARDIVA DEL CONTRATTO D’AFFITTO: IL RAVVEDIMENTO OPEROSO

Settima puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato al ravvedimento operoso in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione.

D. Il nuovo articolo 13 della legge n. 431/98 ha ora un impatto sulla possibilità di ravvedimento operoso della tardiva od omessa registrazione di un contratto di locazione? 

R. Le modifiche normative introdotte con la legge di Stabilità 2016 non hanno innovato la disciplina prevista, ai fini fiscali, per la registrazione dei contratti di locazione e, dunque, non risulta innovata la disciplina sanzionatoria da applicare in caso di omessa/tardiva registrazione del contratto di locazione. 

Pertanto, le sanzioni previste dall’articolo 69 del TUR (dal 120 al 240 per cento dell’imposta dovuta o dal 60 al 120 per cento dell’imposta dovuta, con un minimo di 200 euro, se la richiesta di registrazione è effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni) trovano applicazione nei confronti dei soggetti obbligati alla registrazione, ai sensi dell’articolo 10 del TUR. Tali soggetti possono avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso, di cui all’articolo 13 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, qualora ne ricorrano le condizioni.

CONTRATTI DI LOCAZIONE: CHI DEVE PAGARE LE SPESE PER LA REGISTRAZIONE

Sesta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato al pagamento delle spese di registrazione dei contratti di locazione.

D. Come si concilia, anche a livello sanzionatorio, il nuovo testo dell’articolo 13, comma 1, della legge 431/98 (introdotto dal comma 59 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016) con l’articolo 57 del DPR 131/1986 che stabilisce la solidarietà tra conduttore e locatore per il versamento dell’imposta e la registrazione del contratto? 

R. L’articolo 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, come riformulato con l’articolo 1, comma 59, della legge di stabilità 2016 ha introdotto l’obbligo a carico del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione nel termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua stipula; di tale registrazione il locatore deve dare “documentata comunicazione”, nei successivi sessanta giorni, al conduttore nonché all’amministratore del condominio (ai fini dell’ottemperanza, da parte di quest’ultimo, degli obblighi di tenuta della c.d. “anagrafe condominiale” – articolo 1130, numero 6), cod. civ.). 

La modifica normativa, di natura civilistica, introdotta con la legge di Stabilità 2016 alla disciplina delle locazioni ad uso abitativo, di cui alla legge n. 431 del 1998 non ha, tuttavia, variato la disciplina fiscale prevista, ai fini dell’imposta di registro, dagli articoli 10 e 57 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR), per la registrazione dei contratti di locazione. 

Si rammenta che l’articolo 10 del TUR stabilisce al comma 1, lett. a), tra l’altro, l’obbligo di richiedere la registrazione a cura delle parti contraenti (e, dunque, sia il conduttore che il locatore) per i contratti di locazione redatti nella forma di scrittura privata non autenticata. Detto obbligo grava, altresì, in capo agli agenti di affari in mediazione, ai sensi della successiva lettera d-bis) dello stesso articolo 10 del TUR. 

Coerentemente l’articolo 57 del TUR stabilisce l’obbligo solidale di pagamento dell’imposta in capo alle parti contraenti e agli agenti immobiliari “per le scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività per la conclusione degli affari”. 

In definitiva, deve ritenersi, che la modifica operata con la legge di Stabilità 2016 non abbia innovato le regole di registrazione dei contratti di locazione, come disciplinati dall’imposta di registro e, dunque, restano obbligati all’adempimento della registrazione ed al pagamento della relativa imposta oltre che il locatore anche il conduttore dell’immobile ovvero l’agente immobiliare, qualora si tratti di contratti conclusi a seguito della loro attività.

PRIMA DI TRASFORMARE L’ALLOGGIO IN B&B È MEGLIO CHIEDERE IL PARERE ASSEMBLEARE

[A cura di: Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.it]

Nel caso di ristrutturazione che richiede anche il mutamento della destinazione d’uso di un’unità immobiliare (nel caso di specie un bed and breakfast), l’ordinaria diligenza impone di verificare la possibilità del mutamento. È quanto si evince dalla sentenza 6509/2016 della Cassazione, di cui si riportano i passaggi salienti e si commentano i principi.

IL CASO

Un condomino iniziava i lavori per trasformare un suo appartamento in un “bed and breakfast”. Successivamente chiedeva l’autorizzazione all’assemblea condominiale al cambio di destinazione d’uso, ma l’assemblea la negava, e quindi aveva dovuto sospendere i lavori. Impugnava quindi la delibera ma senza chiederne la sospensione. Proponeva poi domanda di risarcimento dei danni subiti per la sospensione dei lavori, ma sia il Tribunale che la Corte di Appello la rigettavano.

Il condomino propone quindi ricorso per la cassazione della sentenza, ma la Suprema Corte lo rigetta.

LA DECISIONE

Il condomino proponeva ricorso sulla base di due motivi: con il primo lamentava “che la Corte d’appello non abbia preso in considerazione il principio basilare di cui all’art. 1175 cod. civ., secondo cui il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”.

Con il secondo motivo “si deduce violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente deduce che se la Corte d’appello avesse preso in considerazione la perizia e le fotografie allegate, innanzitutto avrebbe rilevato che i lavori sono stati sospesi ad avvenuta demolizione totale di tutti gli impianti preesistenti, delle pareti divisorie, dei pavimenti e dei rivestimenti. Ancora si rileva che dalle fotografie risulterebbe che ci troviamo in un cantiere edilizio, per cui l’affermazione che comunque il B. avrebbe potuto trarre un vantaggio da tali lavori sarebbe un’affermazione fine a se stessa, illogica e non suffragata da alcun elemento concreto”.

La Suprema Corte ritiene entrambi i motivi inammissibili perché implicano accertamenti e valutazioni di fatto che, per quanto riguarda il primo motivo non risultano essere stati trattati nel grado di merito, mentre nel secondo motivo risultano essere stati compiuti dal giudice di merito con congruo e logico apprezzamento. Conseguentemente, il ricorso viene rigettato.

OSSERVAZIONI

Sulla base degli accertamenti effettuati dai giudici di merito, il condomino era stato indotto, pur colposamente, ad avviare e poi sospendere i lavori dal comportamento dell’amministratore del condominio (quindi riconducibile ai condòmini che rappresentava).

La Corte di Appello ha ritenuto che “l’ordinaria diligenza gli avrebbe dovuto imporre di verificare funditus la possibilità di mutamento della destinazione d’uso e della conseguente ristrutturazione, proprio per l’entità delle spese che andava ad affrontare. Risulta inoltre, sempre per le affermazioni dello stesso appellante, che nell’estate del 2005 egli sospese i lavori dopo la manifestazione delle prime perplessità da parte dell’amministratore e ben prima della delibera”.

DISPOSIZIONI 

* Codice civile – Art. 1175: Comportamento secondo correttezza

Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza. 

* Codice di procedura civile – Art. 360: Sentenze impugnabili e motivi di ricorso

Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:

1) per motivi attinenti alla giurisdizione;

2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;

3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;

4) per nullità della sentenza o del procedimento;

5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello; ma in tale caso l’impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3.

Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.

Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.

L’ACCORPAMENTO CATASTALE DI DUE DISTINTE UNITÀ IMMOBILIARI

Quinta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato all’accatastamento unico e all’unione di fatto ai fini fiscali.

D. È confermata l’impossibilità, in caso di due unità immobiliari contigue e autonomamente accatastate, di richiedere l’accatastamento unitario in presenza di distinta titolarità delle stesse (ad esempio, un’unità di proprietà del marito, l’altra di proprietà della moglie). Resterebbe pertanto l’unica possibilità di richiedere un’apposita annotazione negli atti catastali («porzione di u.i.u. unita di fatto ai fini fiscali»)? 

R. Occorre premettere che non è, di norma, ammissibile la fusione di unità immobiliari, anche se contigue, quando per ciascuna di esse sia riscontrata l’autonomia funzionale e reddituale, e ciò indipendentemente dalla titolarità di tali unità. Tuttavia, se a seguito di interventi edilizi vengono meno i menzionati requisiti di autonomia, pur essendo preclusa la possibilità di fondere in un’unica unità immobiliare i due originari cespiti in presenza di distinta titolarità, per dare evidenza negli archivi catastali dell’unione di fatto ai fini fiscali delle eventuali diverse porzioni autonomamente censite è necessario presentare, con le modalità di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701, due distinte dichiarazioni di variazione, relative a ciascuna delle menzionate porzioni. 

Tali dichiarazioni di variazione prevedono, in particolare: 

* l’utilizzo della causale di presentazione “Altre”, nel cui campo descrittivo deve essere riportata la dizione “DICHIARAZIONE DI PORZIONE DI U.I.”; 

* l’inserimento, nel riquadro “Note relative al documento”, della dizione “Porzione di u.i.u. unita di fatto con quella di Foglio xxx Part. yyy Sub. zzzz. Rendita attribuita alla porzione di u.i.u. ai fini fiscali”; 

* la rappresentazione, nelle planimetrie di ciascuna porzione, dell’intera unità immobiliare, con l’avvertenza di utilizzare il tratto continuo per la parte associata a ciascuna titolarità e quello tratteggiato per la parte rimanente. Un tratteggio a linea e punto è riportato nella planimetria per meglio distinguere e delimitare ciascuna delle parti da associare alla ditta avente diritto; 

* ai fini del classamento, l’attribuzione ai beni costituenti porzioni di unità immobiliare della categoria e classe più appropriata, considerando le caratteristiche proprie dell’unità immobiliare intesa nel suo complesso (cioè derivante dalla fusione di fatto delle porzioni), mentre la rendita di competenza viene associata a ciascuna di dette porzioni, in ragione della relativa consistenza. 

Non è pertanto sufficiente richiedere ai competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate solo l’inserimento di un’apposita annotazione negli atti catastali, senza che siano state presentate le dichiarazioni di variazione secondo le modalità sopra esposte. L’Ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate, immediatamente dopo la registrazione in banca dati catastale delle menzionate dichiarazioni di variazione, provvede ad inserire, negli atti relativi a ciascuna porzione immobiliare, la seguente annotazione “Porzione di u. i. u. unita di fatto con quella di Foglio xxx Part. yyy Sub. zzzz. Rendita attribuita alla porzione di u.i.u. ai fini fiscali”.

I CONTRATTI DI LOCAZIONE E LA DISCIPLINA DELLA RISOLUZIONE DI DIRITTO

[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]

I rapporti che si instaurano tra persone, siano esse fisiche siano esse giuridiche, sono fonte di obbligazione tra le quali in principalità i contratti. Questi sono costituiti dall’accordo di due o più contraenti per costituire regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale; principio prevalente inerente ai contratti è costituito dall’autonomia delle parti nel determinare il contenuto delle clausole contrattuali nel rispetto, comunque, della correttezza e della buona fede. 

I contratti si distinguono in contratti tipici e contratti atipici; i primi sono disciplinati da leggi, in primis il codice civile, e gli altri sono pattuiti tra le parti stesse purché il loro contenuto non sia contrario a norme imperative e al buon costume, inteso questo come corretta gestioni degli affari economici e finanziari. 

CONTRATTO DI LOCAZIONE

Il contratto di locazione di un bene immobile viene definito dalla dottrina quale diritto personale di godimento di detto bene nel quale a fronte del godimento di quella determinata cosa, il contraente che ne benefici effettua la propria controprestazione pagando un corrispettivo, comprensivo o meno del rimborso delle spese condominiali e di quelle delle utenze tra cui, principalmente, la tassa dei rifiuti solidi urbani. Si tratta pur sempre di un contratto che soggiace alle regole generali che disciplinano tutti i contratti e soprattutto si tratta di un contratto tipico, vale a dire le regole del quale sono dettate sia dal codice civile sia da altre leggi così dette speciali. Ad esso si applicano i principi generali relativi ai suoi elementi essenziali, alla simulazione, alla nullità, alla prescrizione e alla prova di un contratto soprattutto delle sue clausole pattizie. 

CODICE E LEGGI

La disciplina dei contratti di locazione di beni immobili è specificatamente stabilita dal codice civile, che è integrato da leggi successive dettate da esigenze contingenti, in particolare di natura sociale. Così vengono disciplinati gli obblighi reciproci del locatore e del conduttore, detto anche locatario o inquilino, tra i quali il pagamento del canone, la durata del contratto, il diniego di rinnovazione e la disdetta e altri peculiari istituti quali, ad esempio, l’avviamento commerciale e la prelazione stabiliti a favore del conduttore di un fondo frequentato dal pubblico degli utenti e dei consumatori. 

Il quadro normativo, codicistico e non, è imperativo e le parti possono gestire esattamente il loro rapporto contrattuale comportandosi con buona fede e adempiendo con scrupolosità a tutte le disposizioni di leggi. Qualora una parte non adempia la propria prestazione, trattandosi di un contratto sinallagmatico, la parte adempiente può da una parte chiedere la risoluzione del contratto, che può avvenire per inadempimento e la risoluzione può essere a sua volta giudiziale o di diritto. 

RISOLUZIONE E SFRATTO

Nella prima ipotesi il giudice con una sentenza dichiara la risoluzione del contratto dopo aver constatato che l’inadempimento della parte sia grave rispetto all’interesse economico dell’altro contraente. La risoluzione di diritto si verifica nel caso sia di una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., sia della scadenza di un termine essenziale prevista dall’art. 1457 c.c. e in particolare dal verificarsi di un fatto che le parti stesse all’origine della stipulazione del contratto hanno ritenuto talmente grave da determinare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c.. 

Una delle obbligazioni principali del conduttore è quella di corrispondere il canone in valuta legale alle scadenze convenzionalmente previste. Nel caso si verifichi una mora del conduttore, il locatore ha diritto di agire in sede giudiziaria con un’intimazione di sfratto per morosità; alla prima udienza il conduttore ha il diritto ex art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 di chiedere un termine per poter sanare la morosità e il magistrato deve concedere questo termine che deve avere una durata non superiore a 90 giorni, estendibile a 120 giorni qualora il conduttore versi in particolare esigenze finanziarie familiari insorte dopo la stipulazione del contratto. 

La problematica che sempre è sorta inerisce alla possibilità, per il locatore, di avvalersi della clausola risolutiva espressa sopra indicata di cui l’art. 1456 c.c.; ebbene la giurisprudenza ha riconosciuto la validità di una clausola risolutiva espressa pattuita in contratto, a condizione che il locatore si avvalga di questa introducendo un’azione ex art. 447 bis c.p.c invocando l’applicabilità della predetta clausola. Qualora viceversa il locatore introduca un giudizio con sfratto per morosità e a fronte dell’opposizione del conduttore, mutato il rito, chieda che il magistrato si pronunci in relazione alla invocata clausola risolutiva espressa, non si ha una modifica della domanda bensì una propria e vera mutatio con la conseguenza che la stessa è inammissibile. Considerato che, dopo il mutamento del rito, si riconosce all’intimante una propria difesa solo rispetto alle eccezioni della controparte, non deve mutare la domanda originaria, ma adeguarla alle tesi adversae ed eventualmente aggiungendo ulteriori pretese che, non siano sostitutive di quelle adottate nell’atto introduttivo, ma siano riconducibili nell’ambito di una domanda riconvenzionale. 

Del resto la domanda introdotta ex art. 1456 c.c. è radicalmente diversa dalla domanda prevista dall’art. 657 c.p.c. quanto al petitum, considerato che la prima domanda presuppone una sentenza dichiarativa, mentre la seconda una sentenza costitutiva. Questo principio è stato stabilito recentemente dalla Cassazione civile, Sez.  III, con sentenza del 9 giugno 2015, n. 11864 e ribadito sempre dalla Cassazione civile, Sez. III, con sentenza del 24 maggio 2016, n. 10691.