[A cura di: Paola Pullella Lucano – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] Occhio alla dichiarazione e mano alla calcolatrice: non più tardi di mercoledì 30 novembre andrà chiuso il capitolo degli acconti d’imposta per il 2016; il sipario calerà poi definitivamente a giugno 2017, con il saldo.
Tra le scadenze fiscali, questa di fine mese è tra le più affollate, riguardando più imposte e quasi tutte le categorie di contribuenti. Naturalmente, a seconda del tributo e del tipo di contribuente, cambierà la misura dell’anticipo che, a differenza del primo, rateizzabile, dovrà essere versato in un’unica soluzione utilizzando il modello F24. Non si tratta di un adempimento “scontato”, tocca infatti solo a chi risulta debitore di una certa somma.
Di seguito, le misure che riguardano in senso stretto il comparto della casa.
IVIE
La scadenza del 30 novembre attrae, tra gli altri tributi, anche l’Ivie: “imposta sul valore degli immobili situati all’estero” (il cui quuantm è rintracciabile in RW7)
CEDOLARE SECCA
RB12 è lo spazio di Unico Pf riservato all’anticipo della cedolare secca: l’imposta sui canoni derivanti dalla locazione di immobili a uso abitativo che sostituisce l’Irpef e sue addizionali, nonché l’imposta di registro e di bollo sui contratti di locazione. Per stabilire se l’acconto è dovuto, bisogna leggere la cifra riportata al rigo RB11, colonna 3: quando il debito risulta superiore a 52 euro, l’acconto va versato ed è pari al 95% dell’importo complessivo. La percentuale cambia, rispetto all’Irpef, ma modalità e termini di pagamento rimangono gli stessi.
I CODICI TRIBUTO
L’eventuale versamento della seconda rata (o dell’acconto in unica soluzione) va effettuato tramite modello F24. Questi i codici tributo inerenti il comparto immobiliare:
4045: Ivie
1841: cedolare secca locazioni
Via libera alla detrazione delle spese per box auto anche nel caso di acquisto senza bonifico bancario o postale. Con la circolare n. 43/E, le Entrate hanno fornito le indicazioni da seguire per accedere all’agevolazione prevista per l’acquisto di autorimesse e posti auto di pertinenza a immobili residenziali, anche se il pagamento delle spese non è stato disposto mediante bonifico, o se invece il bonifico è stato effettuato in modo non corretto.
L’AMBITO
La detrazione, prevista dall’art. 16-bis del Tuir per le spese relative a interventi di recupero del patrimonio edilizio, è ammessa anche per gli interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali a immobili residenziali, anche a proprietà comune, nonché, per l’acquisto di autorimesse e posti auto pertinenziali, limitatamente ai costi di realizzo comprovati dall’attestazione rilasciata dal costruttore. In base al provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 30 giugno 2010, la ritenuta alla fonte dell’8% prevista dal Dl n. 98/2011 va applicata tra le altre alle spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio. Nella circolare, però, le Entrate chiariscono che non si perde automaticamente il diritto al beneficio nei casi in cui viene soddisfatta la finalità della norma agevolativa, che punta alla corretta tassazione del reddito derivante dalla esecuzione delle opere di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica.
I DOCUMENTI
Nel documento di prassi, pertanto, l’Agenzia chiarisce che, nel caso di pagamento che non risulti da un bonifico, il ricevimento delle somme da parte dell’impresa deve risultare attestato dall’atto notarile. Inoltre, il contribuente deve farsi rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio che attesti che i corrispettivi accreditati a suo favore sono stati inclusi nella contabilità dell’impresa ai fini della loro concorrenza alla corretta determinazione del reddito del percipiente. Anche in caso di bonifico bancario compilato in modo tale da non consentire alle banche e a Poste italiane di effettuare la ritenuta d’acconto dell’8%, il contribuente può continuare ad aver diritto all’agevolazione. Basterà farsi rilasciare una dichiarazione sostitutiva in cui il venditore afferma di aver ricevuto le somme e di averle incluse nella contabilità dell’impresa.
I LIMITI
Il meccanismo ordinario dell’agevolazione prevista per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio consiste nella detrazione del 36% delle spese sostenute dai contribuenti che possiedono o detengono l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi, per un importo massimo di 48 mila euro per unità immobiliare. Le spese devono essere e rimanere a loro carico. Le Entrate ricordano che anche per le spese effettate nel corso del 2016 la percentuale di detrazione sarà del 50%, su un importo massimo di spesa di 96mila euro.
Finto tecnico “beccato”
dal vero poliziotto
Truffa finita male per un malvivente di 51 anni, che aveva tentato di introdursi in casa di un’anziana, residente in un condominio di Catania. L’uomo, che sosteneva di essere un tecnico elettricista mandato dall’amministratore per riparare i citofoni, era riuscito a farsi aprire la porta, ma non aveva fatto i conti con la presenza, in casa, del figlio della proprietaria, agente della Digos. Questi, insospettito dalla conversazione, si era recato all’ingresso per verificare quanto stesse accadendo. Il tempo necessario per registrare il volto del truffatore prima che si dileguasse. Scattato l’allarme, il 51enne è stato fermato da una volante della polizia e denunciato in stato di libertà.
Coppia di giovani ladri
arrestati grazie alla vicina
Due giovani ladri d’appartamento, di 18 e 20 anni, sono stati arrestati mentre tentavano di introdursi in un alloggio di un condominio di Ferrara, grazie alla segnalazione di un’inquilina. L’attenta vicina, vedendo i due armeggiare davanti alla porta della dirimpettaia, aveva deciso di chiamare la polizia, raccontando in diretta quanto stava accadendo. All’arrivo degli agenti, i ladri si sono rifugiati sul terrazzo del condominio, fingendo di trovarsi lì per fumare. I poliziotti però non hanno creduto al racconto e li hanno condotti in Questura per poi arrestarli con l’accusa di tentato furto.
Droga e armi in casa
Arrestato spacciatore
Pericoloso spacciatore individuato e arrestato nell’alloggio di un condominio di Brescia, adibito a “ufficio”. A fare la soffiata alle forze dell’ordine una telefonata anonima, probabilmente di un residente del condominio, che aveva notato movimenti sospetti in quell’appartamento. Gli agenti sono entrati in azione qualche minuto dopo la segnalazione, presentandosi in borghese alla porta dello spacciatore. Una volta entrati, hanno rinvenuto nella casa del 31enne, oltre a 850 euro e 4 chili di droga, circa 600 proiettili, due revolver e una Beretta scacciacani, appoggiata sul comodino.
Finta vendita immobiliare:
nei guai pure l’acquirente
Senza dubbio una truffa molto ben congeniata. È quella messa a segno da un uomo che, usando atti e sigilli notarili falsificati, è riuscito a farsi dare la procura di una casa in provincia di Treviso, che ha poi venduto a terzi, all’insaputa dei due imprenditori proprietari. Per il momento, dalle indagini è emerso che le firme apportate sulla procura sono del tutto false e che erano stati usati i sigilli di un notaio insospettabile della zona. Da chiarire, infine, la posizione di un uomo di Pordenone, acquirente della casa.
Finto tecnico “beccato”
dal vero poliziotto
Truffa finita male per un malvivente di 51 anni, che aveva tentato di introdursi in casa di un’anziana, residente in un condominio di Catania. L’uomo, che sosteneva di essere un tecnico elettricista mandato dall’amministratore per riparare i citofoni, era riuscito a farsi aprire la porta, ma non aveva fatto i conti con la presenza, in casa, del figlio della proprietaria, agente della Digos. Questi, insospettito dalla conversazione, si era recato all’ingresso per verificare quanto stesse accadendo. Il tempo necessario per registrare il volto del truffatore prima che si dileguasse. Scattato l’allarme, il 51enne è stato fermato da una volante della polizia e denunciato in stato di libertà.
Coppia di giovani ladri
arrestati grazie alla vicina
Due giovani ladri d’appartamento, di 18 e 20 anni, sono stati arrestati mentre tentavano di introdursi in un alloggio di un condominio di Ferrara, grazie alla segnalazione di un’inquilina. L’attenta vicina, vedendo i due armeggiare davanti alla porta della dirimpettaia, aveva deciso di chiamare la polizia, raccontando in diretta quanto stava accadendo. All’arrivo degli agenti, i ladri si sono rifugiati sul terrazzo del condominio, fingendo di trovarsi lì per fumare. I poliziotti però non hanno creduto al racconto e li hanno condotti in Questura per poi arrestarli con l’accusa di tentato furto.
Droga e armi in casa
Arrestato spacciatore
Pericoloso spacciatore individuato e arrestato nell’alloggio di un condominio di Brescia, adibito a “ufficio”. A fare la soffiata alle forze dell’ordine una telefonata anonima, probabilmente di un residente del condominio, che aveva notato movimenti sospetti in quell’appartamento. Gli agenti sono entrati in azione qualche minuto dopo la segnalazione, presentandosi in borghese alla porta dello spacciatore. Una volta entrati, hanno rinvenuto nella casa del 31enne, oltre a 850 euro e 4 chili di droga, circa 600 proiettili, due revolver e una Beretta scacciacani, appoggiata sul comodino.
Finta vendita immobiliare:
nei guai pure l’acquirente
Senza dubbio una truffa molto ben congeniata. È quella messa a segno da un uomo che, usando atti e sigilli notarili falsificati, è riuscito a farsi dare la procura di una casa in provincia di Treviso, che ha poi venduto a terzi, all’insaputa dei due imprenditori proprietari. Per il momento, dalle indagini è emerso che le firme apportate sulla procura sono del tutto false e che erano stati usati i sigilli di un notaio insospettabile della zona. Da chiarire, infine, la posizione di un uomo di Pordenone, acquirente della casa.
Possono partire i rimborsi ai contribuenti delle quote Imu che, erroneamente, hanno preso la direzione sbagliata, confluendo nelle casse dello Stato anziché in quelle dei Comuni. Il decreto 26 ottobre 2016 del ministero dell’Economia e delle Finanze, ora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ne definisce la procedura di restituzione ai cittadini, valida per tutti i tributi locali.
I rimborsi arrivano una volta conclusa l’apposita istruttoria con cui l’amministrazione locale ha verificato la sussistenza del diritto alla restituzione delle somme. Il Dipartimento delle finanze dispone i mandati sulla base delle liste predisposte con procedura automatizzata dai Comuni, nelle quali sono indicati, per ogni singolo beneficiario, generalità, importo spettante e Iban del conto corrente bancario o postale. In particolare, il Dipartimento emette ordini di pagamento collettivi e, contestualmente, invia alla Banca d’Italia gli estremi per versare le somme sui conti dei singoli destinatari. Nel caso in cui non siano state segnalate le coordinate bancarie o postali per l’accreditamento dei rimborsi, saranno emessi mandati di pagamento individuali e il rimborso avverrà:
* per importi non superiori a mille euro, in contanti presso gli uffici postali, entro il secondo mese successivo a quello di esigibilità;
* per importi superiori a mille euro, con vaglia cambiario non trasferibile della Banca d’Italia.
Le somme relative a bonifici e vaglia non andati a buon fine o non riscosse entro il secondo mese successivo a quello di esigibilità dovranno essere riversate sull’apposito conto corrente aperto presso la Tesoreria centrale, per la riemissione del pagamento a favore del contribuente creditore.
Casa, carissima casa. A fare il punto sulla fiscalità immobiliare e sulle maggiori urgenze del settore è stata, nelle scorse settimane, Confedilizia, che ha stimato in 50,8 miliardi di euro, per il 2016, il gettito dei tributi gravanti sul comparto immobiliare. Un patrimonio ingente, così suddiviso: 9,2 miliardi di tributi reddituali (Irpef, Ires, cedolare secca); 22 miliardi di tributi patrimoniali (Imu, Tasi); 9 miliardi di tributi indiretti sui trasferimenti (Iva, imposta di registro, imposta di bollo, imposte ipotecarie e catastali, imposta sulle successioni e donazioni); 1 miliardo di tributi indiretti sulle locazioni (imposta di registro, imposta di bollo); 9,6 miliardi di altri tributi (Tari, tributo provinciale per l’ambiente, contributi ai Consorzi di bonifica).
Spicca, tra queste cifre, la tassazione patrimoniale che – con Imu e Tasi, nonostante l’eliminazione dell’imposizione sulla “prima casa” – rappresenta un carico di quasi il 150 per cento più alto di quello che era dato dall’Ici, in vigore fino al 2011. In questo quadro e in vista della legge di bilancio, Confedilizia – pur ribadendo che ciò che occorrerebbe, per ragioni di equità e per esigenze di sviluppo, è una riduzione della pressione fiscale sugli immobili dell’ordine di diversi miliardi di euro – ha indicato alcuni interventi specifici mirati ad attenuare le conseguenze più gravi prodotte da questo eccesso di imposizione. Interventi che, qualora messi in atto, avrebbero un onere per l’Erario di circa 700 milioni di euro, corrispondenti a poco più dell’1 per cento del gettito totale dei tributi gravanti sul settore immobiliare.
Le misure proposte sono le seguenti:
1. Introduzione di una cedolare secca per le locazioni commerciali, con avvio sperimentale per nuove attività aperte in locali sfitti o per i “negozi di vicinato”;
2. Equiparazione del trattamento fiscale dei canoni di locazione abitativi e non abitativi non percepiti;
3. Previsione di un limite del 4 per mille alla somma delle aliquote Imu-Tasi per i contratti di locazione a canone calmierato (“concordati” e per studenti universitari);
4. Proroga per un quadriennio della cedolare secca al 10 per cento per i contratti di locazione a canone calmierato;
5. Ripristino della deduzione Irpef del 15 per cento per i redditi da locazione;
6. Soppressione dell’Irpef sugli immobili non locati.
“Il settore immobiliare – ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa – è gravato da un macigno fiscale, soprattutto di tipo patrimoniale, che colpisce tutte le tipologie di immobili: quelli locati (abitazioni, negozi, uffici, tanto che gli inquilini paghino quanto che siano morosi), quelli che non si riescono neppure ad affittare, le case di villeggiatura, quelle ereditate e lasciate deperire per mancanza di risorse. È un macigno che continua a determinare conseguenze disastrose per l’economia: impoverendo le famiglie, comprimendo i consumi, deprimendo il Pil, condizionando l’occupazione, strozzando il commercio, impedendo l’accesso all’abitazione da parte dei soggetti più deboli. La proprietà diffusa svolge in Italia una funzione economica e sociale che non ha eguali: con l’attività di locazione di abitazioni e locali commerciali, così come con la cura quotidiana di un patrimonio che è interesse di tutti mantenere vivo, sicuro, decoroso. Si tratta di famiglie che investono nel nostro Paese e che sono ricambiate con una tassazione punitiva. Al Parlamento e al Governo chiediamo di impiegare, nell’ambito di una manovra da 27 miliardi, 700 milioni in un settore, quello immobiliare, vitale per la crescita e per lo sviluppo”.
[A cura di: Confappi]
Il prestito vitalizio è uno speciale finanziamento bancario e delle finanziarie dedicato a chi ha più di 60 anni, con possibilità di ricevere il prestito a tranche mensili e rimborso integrale in unica soluzione alla morte del soggetto debitore, oppure anche prima del decesso se la casa viene venduta o ipotecata o se il valore dell’immobile subisce una riduzione significativa.
La restituzione in unica soluzione non è l’unica opzione. La legge prevede rimborsi rateali. Le banche sono comunque garantite da ipoteca di primo grado. Se entro un anno il finanziamento non è restituito dagli eredi o dal debitore, la casa viene venduta al prezzo di mercato e il ricavato viene usato per il rimborso del credito. La Legge 44/2015 ha rinviato la disciplina di dettaglio al DM 226/2015. Ora gli ulteriori chiarimenti.
Il contratto di prestito vitalizio deve essere firmato anche dal compagno dell’unione civile, che può prendere la residenza nella casa senza far estinguere il prestito. La banca, per recuperare il credito, dopo la morte del beneficiario, può vendere la casa senza necessità di autorizzazione degli eredi. Alle unioni civili si applicano tutte le previsioni della legge e del decreto ministeriale applicabili ai coniugi. Quindi non è possibile per la banca chiedere il rimborso quando, dopo la stipula del finanziamento, prenda la residenza nell’immobile il compagno dell’unione civile, il quale stipulerà il contratto di finanziamento. In caso di separazione, il rapporto coniugale non è ancora cessato. Pertanto il soggetto finanziato, anche se legalmente separato, risulta ancora coniugato fino all’intervenuto divorzio. Ai fini dell’obbligo di cointestazione del finanziamento rileva sia il rapporto di coniugio che il fatto che nell’immobile risiedano entrambi i coniugi.
[A cura di: Assonime]
Come noto, il regime Iva delle cessioni immobiliari è diversamente disciplinato a seconda che si tratti di fabbricati abitativi o strumentali (distinzione che deve essere operata facendo riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati, a prescindere dal loro effettivo utilizzo – circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 27/2006) ovvero di terreni.
Con specifico riferimento alle cessioni di fabbricati abitativi (vale a dire le unità immobiliari urbane classificate o classificabili nelle categorie del gruppo A, eccetto gli A/10), l’articolo 10, comma 1, n. 8-bis del Dpr 633/1972 (nel dato testuale attualmente vigente) prevede che le medesime sono, in linea di principio, esenti da imposta, fatta eccezione per le seguenti ipotesi:
* cessioni di fabbricati abitativi operate dall’impresa costruttrice o ristrutturatrice, quando i lavori di costruzione o ristrutturazione sono ultimati non oltre cinque anni prima della data di cessione;
* cessioni di fabbricati abitativi operate dall’impresa di costruzione o ristrutturazione oltre cinque anni dopo la conclusione dell’intervento o della costruzione, in presenza di opzione per l’imponibilità espressamente manifestata in atto dal cedente;
* cessioni di alloggi sociali, da chiunque effettuate, in presenza di opzione per l’imponibilità espressamente manifestata in atto dal cedente.
La fattispecie esaminata dalla suprema Corte con la sentenza 15620/2016 ha a oggetto la cessione di un fabbricato abitativo non di lusso (non qualificabile come un alloggio sociale), posta in essere da un soggetto diverso dall’impresa di costruzione o ristrutturazione.
Detta operazione (che oggi sconterebbe un regime Iva di esenzione), in base alla disciplina normativa applicabile ai fatti di causa (articolo 10, comma 8-bis, Dpr n. 633/1972 nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’articolo 35, comma 8, lettera a), del Dl 223/2006) rientrava fra le operazioni imponibili e, pertanto, comportava la necessità di individuare l’aliquota d’imposta applicabile, tenuto conto del fatto che le cessioni immobiliari Iva imponibili scontano l’imposta attraverso tre diverse aliquote: il 4%, se oggetto di cessione è un’abitazione “prima casa” (n. 21 della tabella A, parte II, allegata al Dpr n. 633/1972); il 10%, se oggetto di cessione è un’abitazione non di lusso diversa dalla “prima casa” (n. 127-undecies della tabella A, parte III, allegata al Dpr n. 633/1972); l’aliquota ordinaria in tutte le altre ipotesi.
Con la sentenza citata, la Corte di cassazione è dunque chiamata a delineare l’esatto ambito di applicazione dell’aliquota agevolata del 10%, operante in relazione alle cessioni di fabbricati abitativi non di lusso, privi dei requisiti per essere considerati “prima casa”. In proposito, la suprema Corte ha evidenziato che l’aliquota ridotta del 10% si applica sia alla vendita di una o, contestualmente, di due o più case di abitazione non di lusso da parte di qualsiasi soggetto Iva, sia alla vendita da parte del costruttore di fabbricati o di loro porzioni (comprensivi, oltre che di unità abitative non di lusso, anche di locali commerciali, quali negozi o uffici).
In entrambe le ipotesi, tuttavia, affinché operi la cennata agevolazione, è necessario che sia provato, dopo la vendita, l’effettivo e concreto impiego abitativo dell’unità immobiliare compravenduta, elemento che non può dirsi integrato dal mero dato catastale dell’immobile compravenduto.
Secondo la Corte, infatti, il n. 127-undecies della tabella A, parte III, allegata al Dpr n. 633/1972, si deve interpretare conformemente alla sua “ratio legis”, che è quella di favorire l’acquisto della proprietà del cespite da destinare a esigenze abitative e, indirettamente, di incentivare lo sviluppo dell’edilizia abitativa.
Ne consegue che, in mancanza di detta prova da parte dell’acquirente, è legittimo il recupero a tassazione operato dall’Amministrazione finanziaria, mediante applicazione dell’aliquota Iva ordinaria (in senso conforme: Cassazione n. 11169/2014).
Affitti e fiscalità. Vertono su questo complesso rapporto diverse delle lettere di chiarimento inviate dai contribuenti alla rubrica di “FiscoOggi”: l’organo ufficiale di informazione dell’Agenzia delle Entrate. Di seguito, tre quesiti e le relative risposte forniti dall’esperto, Gianfranco Mingione.
Locazione cointestata: chi può detrarla?
D. Il contratto di affitto dell’appartamento in cui vivo con il mio compagno è intestato a entrambi. La detrazione non trova capienza nella mia imposta lorda. Può beneficiarne lui?
R. Per i contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, stipulati o rinnovati a norma della legge 431/1998, all’inquilino spetta una detrazione di 300 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, ovvero di 150 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 ma non a 30.987,41 euro. Oltre tale ultimo importo, non spetta alcuna detrazione. Lo sconto di imposta deve essere rapportato ai giorni durante i quali l’unità locata è stata effettivamente destinata ad abitazione principale e va ripartito tra gli aventi diritto. In caso di incapienza, cioè qualora la detrazione spettante sia di ammontare superiore all’imposta lorda diminuita nell’ordine delle detrazioni previste dagli articoli 12 e 13 del Tuir, spetta un credito di ammontare pari alla quota di detrazione che non ha trovato capienza nella predetta imposta (articolo 16, comma 1-sexies, Tuir). Pertanto, in caso di contratto di locazione stipulato da due persone, una sola delle quali capiente, quest’ultima non può essere ammessa a beneficiare della detrazione per l’intero importo (circolare 34/2008, paragrafo 9.4).
Affitti e agevolazioni nei comuni alluvionati
D. Nel mio comune, colpito dall’alluvione del 2014, non sono stati stipulati accordi locali tra proprietari e inquilini per parametrare la locazione a canone concordato. Come applicare le agevolazioni del “Decreto casa”?
R. Il Dl 47/2014 (“Decreto casa”) ha esteso la cedolare secca, con aliquota ridotta al 10%, per gli anni 2014-17, anche ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali nei cinque anni precedenti il 27 maggio 2014, data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl. Qualora in tali comuni non siano stati definiti accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la determinazione del canone, è possibile fare riferimento, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, all’accordo vigente nel comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione (circolare 12/2016).
Locazione e mutuo: no alla doppia detrazione
D. Sono titolare di un contratto di locazione di un immobile nello stesso comune in cui ho acquistato la mia prima casa. Oltre alla detrazione Irpef sugli interessi del mutuo, posso detrarre anche la quota per canone di affitto?
R. La detrazione degli interessi passivi pagati relativamente a un mutuo stipulato per l’acquisto della casa è ammessa a condizione che l’unità immobiliare, entro un anno, sia adibita ad abitazione principale e che l’acquisto sia avvenuto nell’anno antecedente o successivo alla data di stipula del mutuo (articolo 15, comma 1, lettera b, del Tuir). Il diritto al beneficio si perde, a partire dal periodo d’imposta successivo all’evento, se l’immobile non è più utilizzato come abitazione principale. Anche la detrazione a favore dei titolari di contratti di locazione di unità immobiliari spetta a condizione che le stesse siano adibite ad abitazione principale (articolo 16 del Tuir). Conseguentemente, le due agevolazioni sono alternative.
[A cura di: avv. Gian Vincenzo Tortorici]
Una fonte delle obbligazioni, disciplinate nel libro quarto del codice civile, è il contratto che, come stabilito dall’art. 1321 cod. civ., è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale.
I requisiti del contratto per la sua validità, ai sensi del secondo comma dell’art. 1325 cod. civ., sono:
a) l’accordo delle parti;
b) la causa;
c) l’oggetto;
d) la forma, se prescritta dalla legge sotto pena di nullità (Cass. civ., Sez. I, 11 aprile 2016, n. 7068; Cass. civ., Sez. II, 19 aprile 2012, n. 6130).
L’accordo delle parti è rappresentato da una proposta di una parte e dall’accettazione dell’altra. La causa del contratto è definita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, in mancanza di una indicazione legislativa, lo scopo socio-economico che ha determinato le parti a concluderlo. L’oggetto del contratto si identifica nella prestazione che deve essere eseguita dalle parti e, conseguentemente, nelle obbligazioni da loro assunte. Il contratto ha natura sinallagmatica, per cui a fronte di una prestazione si deve effettuare una controprestazione, sempre valutabile economicamente.
Il legislatore ha previsto, altresì, che il contratto possa essere:
a) sottoposto a condizione sospensiva o risolutiva;
b) simulato.
In entrambe le fattispecie ha dettato una precisa normativa finalizzata a ridurre le possibili controversie che sarebbero insorte tra le parti, inerenti alla concreta esecuzione. Si è rilevato che il contratto è valido in presenza dei requisiti ut supra dedotti; l’invalidità del contratto è costituita dalla sua nullità o dalla sua annullabilità.
La nullità, che è imprescrittibile, può inerire all’intero contratto o a sue singole clausole. In questa seconda ipotesi, il contratto è nullo se risulti che le parti non lo abbiano concluso in assenza di queste; se, viceversa, la clausola nulla possa essere sostituita ex lege da una norma imperativa, il contratto è valido con questa sostituzione ex art. 1419 cod. civ. (Cass. civ., Sez. V, 22 aprile 2016, n. 8220; Cass. civ., Sez. III, 21 marzo 2011, n. 6364).
L’annullabilità del contratto, che è prescrittibile, è causata:
1) dall’incapacità di una parte;
2) da errore, violenza o dolo subiti da un contraente; in quest’ultima ipotesi, il legislatore stabilisce dettagliatamente quando questi vizi del consenso siano talmente rilevanti da determinare l’inefficacia del contratto.
Può accadere che un contratto valido non sia adempiuto per colpa di una parte; in questo caso può essere chiesta la sua risoluzione dalla parte adempiente o che sia pronta ad adempiere. La risoluzione per inadempimento può essere giudiziale ex artt. 1453 e 1455 cod. civ. (Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2016, n. 4314; Cass. civ., Sez. VI, 23 giugno 2011, n. 13887) e di diritto ex artt. 1454 (diffida ad adempiere [Cass. civ., Sez. II, 21 luglio 2016, n. 15070; Cass. civ., Sez. III, 18 agosto 2011, n. 17348]), art. 1456 (clausola risolutiva espressa [Cass. civ., Sez. VI, 11 marzo 2016, n. 4796]) e art. 1457 (termine essenziale [Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14426]) cod. civ..
La risoluzione del contratto può anche essere determinata dalla impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione o dalla sua eccessiva onerosità risultante per il verificarsi di fatti straordinari e imprevedibili.
Analoga disciplina normativa è prevista per gli atti unilaterali che provengono da una sola parte e che producono effetti giuridici nella sfera giuridico-economica del destinatario; gli atti de quibus producono effetti dal momento che pervengono a conoscenza dell’altra parte (Cass. civ., Sez. I, 6 maggio 2015, n. 9127).
FORMA DEL CONTRATTO
L’art. 1350 cod. civ., in combinato disposto con il n. 4) dell’art. 1325 cod. civ., stabilisce quali atti debbano essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di nullità. L’elencazione prevista nel suddetto articolo, non è tassativa poiché lo stesso legislatore, al n. 13), cita “gli altri atti specialmente indicati dalla legge”; da ultimo, si rammenta l’art. 1 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in tema di contratti di locazione per immobili urbani, destinati a uso abitativo.
Mancando la forma scritta il contratto è nullo e, dunque, inefficace con la conseguenza che può non essere eseguito e neppure è convalidabile ex art. 1423 cod. civ.. Inoltre, il legislatore ha stabilito che alcuni contratti debbano essere provati esclusivamente per iscritto quale, ad esempio, la transazione disciplinata dall’art. 1965 cod. civ. (Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14432; Cass. civ., Sez. II, 4 maggio 2016, n. 8917).
L’articolo 1350 cod. civ. costituisce una eccezione alla regola generale per cui un contratto normalmente è stipulato con forma libera, in forza dell’autonomia delle parti contraenti, ex art. 1322 cod. civ..
L’art. 1350 cod. civ. prevede, quale forma scritta, l’atto pubblico e la scrittura privata; questa può essere anche “autenticata”. La differenza tra atto pubblico e scrittura privata autenticata è che il primo fa piena prova in quanto redatto dal pubblico ufficiale che attesta la provenienza di quanto le parti dichiarano ex art. 2699 cod. civ., ma non la veridicità delle loro manifestazioni, mentre nella seconda il pubblico ufficiale si limita ad attestare che è avvenuta in sua presenza la sottoscrizione dell’atto ai sensi dell’art. 2701 cod. civ..
Ma, ut supra dedotto, il legislatore ha previsto sia la forma scritta ad substantiam, mancando la quale il contratto è nullo, sia la forma scritta ad probationem, in carenza della quale il contratto è sempre valido ed efficace, in quanto la forma incide esclusivamente ai fini della prova dell’esistenza del contratto stesso o di alcune sue singole clausole.
La dottrina ha ulteriormente individuato la forma ad regularitatem che non è essenziale per la validità del contratto, ma è necessaria per il conseguimento di altri scopi, soprattutto di pubblicità e/o di esigenze fiscali.
Le conseguenze di quanto sopra dedotto ineriscono alla prova di quanto asserito o contestato in giudizio nell’ipotesi di controversia inerente all’interpretazione o all’esecuzione del contratto stipulato. Nel caso un contratto sia stipulato con atto pubblico, questo fa piena prova, ex art. 2700 cod. civ., sino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale; per contro, la scrittura privata fa piena prova ex art. 2702 cod. civ. sino a quella della falsità delle dichiarazioni in essa contenute (Cass. civ., Sez. I, 27 maggio 2016, n. 11028).
È ammessa la prova per testi, indifferentemente allorché sia richiesta la forma scritta ad substantiam o quella ad probationem, esclusivamente allorché il contraente interessato abbia senza sua colpa perso il documento contrattuale, ex art. 1324 cod. civ. (Cass. civ., Sez. I, 7 luglio 2016, n. 13857).