Affitti e fiscalità. Vertono su questo complesso rapporto diverse delle lettere di chiarimento inviate dai contribuenti alla rubrica di “FiscoOggi”: l’organo ufficiale di informazione dell’Agenzia delle Entrate. Di seguito, tre quesiti e le relative risposte forniti dall’esperto, Gianfranco Mingione.
Locazione cointestata: chi può detrarla?
D. Il contratto di affitto dell’appartamento in cui vivo con il mio compagno è intestato a entrambi. La detrazione non trova capienza nella mia imposta lorda. Può beneficiarne lui?
R. Per i contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, stipulati o rinnovati a norma della legge 431/1998, all’inquilino spetta una detrazione di 300 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, ovvero di 150 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 ma non a 30.987,41 euro. Oltre tale ultimo importo, non spetta alcuna detrazione. Lo sconto di imposta deve essere rapportato ai giorni durante i quali l’unità locata è stata effettivamente destinata ad abitazione principale e va ripartito tra gli aventi diritto. In caso di incapienza, cioè qualora la detrazione spettante sia di ammontare superiore all’imposta lorda diminuita nell’ordine delle detrazioni previste dagli articoli 12 e 13 del Tuir, spetta un credito di ammontare pari alla quota di detrazione che non ha trovato capienza nella predetta imposta (articolo 16, comma 1-sexies, Tuir). Pertanto, in caso di contratto di locazione stipulato da due persone, una sola delle quali capiente, quest’ultima non può essere ammessa a beneficiare della detrazione per l’intero importo (circolare 34/2008, paragrafo 9.4).
Affitti e agevolazioni nei comuni alluvionati
D. Nel mio comune, colpito dall’alluvione del 2014, non sono stati stipulati accordi locali tra proprietari e inquilini per parametrare la locazione a canone concordato. Come applicare le agevolazioni del “Decreto casa”?
R. Il Dl 47/2014 (“Decreto casa”) ha esteso la cedolare secca, con aliquota ridotta al 10%, per gli anni 2014-17, anche ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali nei cinque anni precedenti il 27 maggio 2014, data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl. Qualora in tali comuni non siano stati definiti accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la determinazione del canone, è possibile fare riferimento, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, all’accordo vigente nel comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione (circolare 12/2016).
Locazione e mutuo: no alla doppia detrazione
D. Sono titolare di un contratto di locazione di un immobile nello stesso comune in cui ho acquistato la mia prima casa. Oltre alla detrazione Irpef sugli interessi del mutuo, posso detrarre anche la quota per canone di affitto?
R. La detrazione degli interessi passivi pagati relativamente a un mutuo stipulato per l’acquisto della casa è ammessa a condizione che l’unità immobiliare, entro un anno, sia adibita ad abitazione principale e che l’acquisto sia avvenuto nell’anno antecedente o successivo alla data di stipula del mutuo (articolo 15, comma 1, lettera b, del Tuir). Il diritto al beneficio si perde, a partire dal periodo d’imposta successivo all’evento, se l’immobile non è più utilizzato come abitazione principale. Anche la detrazione a favore dei titolari di contratti di locazione di unità immobiliari spetta a condizione che le stesse siano adibite ad abitazione principale (articolo 16 del Tuir). Conseguentemente, le due agevolazioni sono alternative.
[A cura di: avv. Gian Vincenzo Tortorici]
Una fonte delle obbligazioni, disciplinate nel libro quarto del codice civile, è il contratto che, come stabilito dall’art. 1321 cod. civ., è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale.
I requisiti del contratto per la sua validità, ai sensi del secondo comma dell’art. 1325 cod. civ., sono:
a) l’accordo delle parti;
b) la causa;
c) l’oggetto;
d) la forma, se prescritta dalla legge sotto pena di nullità (Cass. civ., Sez. I, 11 aprile 2016, n. 7068; Cass. civ., Sez. II, 19 aprile 2012, n. 6130).
L’accordo delle parti è rappresentato da una proposta di una parte e dall’accettazione dell’altra. La causa del contratto è definita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, in mancanza di una indicazione legislativa, lo scopo socio-economico che ha determinato le parti a concluderlo. L’oggetto del contratto si identifica nella prestazione che deve essere eseguita dalle parti e, conseguentemente, nelle obbligazioni da loro assunte. Il contratto ha natura sinallagmatica, per cui a fronte di una prestazione si deve effettuare una controprestazione, sempre valutabile economicamente.
Il legislatore ha previsto, altresì, che il contratto possa essere:
a) sottoposto a condizione sospensiva o risolutiva;
b) simulato.
In entrambe le fattispecie ha dettato una precisa normativa finalizzata a ridurre le possibili controversie che sarebbero insorte tra le parti, inerenti alla concreta esecuzione. Si è rilevato che il contratto è valido in presenza dei requisiti ut supra dedotti; l’invalidità del contratto è costituita dalla sua nullità o dalla sua annullabilità.
La nullità, che è imprescrittibile, può inerire all’intero contratto o a sue singole clausole. In questa seconda ipotesi, il contratto è nullo se risulti che le parti non lo abbiano concluso in assenza di queste; se, viceversa, la clausola nulla possa essere sostituita ex lege da una norma imperativa, il contratto è valido con questa sostituzione ex art. 1419 cod. civ. (Cass. civ., Sez. V, 22 aprile 2016, n. 8220; Cass. civ., Sez. III, 21 marzo 2011, n. 6364).
L’annullabilità del contratto, che è prescrittibile, è causata:
1) dall’incapacità di una parte;
2) da errore, violenza o dolo subiti da un contraente; in quest’ultima ipotesi, il legislatore stabilisce dettagliatamente quando questi vizi del consenso siano talmente rilevanti da determinare l’inefficacia del contratto.
Può accadere che un contratto valido non sia adempiuto per colpa di una parte; in questo caso può essere chiesta la sua risoluzione dalla parte adempiente o che sia pronta ad adempiere. La risoluzione per inadempimento può essere giudiziale ex artt. 1453 e 1455 cod. civ. (Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2016, n. 4314; Cass. civ., Sez. VI, 23 giugno 2011, n. 13887) e di diritto ex artt. 1454 (diffida ad adempiere [Cass. civ., Sez. II, 21 luglio 2016, n. 15070; Cass. civ., Sez. III, 18 agosto 2011, n. 17348]), art. 1456 (clausola risolutiva espressa [Cass. civ., Sez. VI, 11 marzo 2016, n. 4796]) e art. 1457 (termine essenziale [Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14426]) cod. civ..
La risoluzione del contratto può anche essere determinata dalla impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione o dalla sua eccessiva onerosità risultante per il verificarsi di fatti straordinari e imprevedibili.
Analoga disciplina normativa è prevista per gli atti unilaterali che provengono da una sola parte e che producono effetti giuridici nella sfera giuridico-economica del destinatario; gli atti de quibus producono effetti dal momento che pervengono a conoscenza dell’altra parte (Cass. civ., Sez. I, 6 maggio 2015, n. 9127).
FORMA DEL CONTRATTO
L’art. 1350 cod. civ., in combinato disposto con il n. 4) dell’art. 1325 cod. civ., stabilisce quali atti debbano essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di nullità. L’elencazione prevista nel suddetto articolo, non è tassativa poiché lo stesso legislatore, al n. 13), cita “gli altri atti specialmente indicati dalla legge”; da ultimo, si rammenta l’art. 1 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in tema di contratti di locazione per immobili urbani, destinati a uso abitativo.
Mancando la forma scritta il contratto è nullo e, dunque, inefficace con la conseguenza che può non essere eseguito e neppure è convalidabile ex art. 1423 cod. civ.. Inoltre, il legislatore ha stabilito che alcuni contratti debbano essere provati esclusivamente per iscritto quale, ad esempio, la transazione disciplinata dall’art. 1965 cod. civ. (Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14432; Cass. civ., Sez. II, 4 maggio 2016, n. 8917).
L’articolo 1350 cod. civ. costituisce una eccezione alla regola generale per cui un contratto normalmente è stipulato con forma libera, in forza dell’autonomia delle parti contraenti, ex art. 1322 cod. civ..
L’art. 1350 cod. civ. prevede, quale forma scritta, l’atto pubblico e la scrittura privata; questa può essere anche “autenticata”. La differenza tra atto pubblico e scrittura privata autenticata è che il primo fa piena prova in quanto redatto dal pubblico ufficiale che attesta la provenienza di quanto le parti dichiarano ex art. 2699 cod. civ., ma non la veridicità delle loro manifestazioni, mentre nella seconda il pubblico ufficiale si limita ad attestare che è avvenuta in sua presenza la sottoscrizione dell’atto ai sensi dell’art. 2701 cod. civ..
Ma, ut supra dedotto, il legislatore ha previsto sia la forma scritta ad substantiam, mancando la quale il contratto è nullo, sia la forma scritta ad probationem, in carenza della quale il contratto è sempre valido ed efficace, in quanto la forma incide esclusivamente ai fini della prova dell’esistenza del contratto stesso o di alcune sue singole clausole.
La dottrina ha ulteriormente individuato la forma ad regularitatem che non è essenziale per la validità del contratto, ma è necessaria per il conseguimento di altri scopi, soprattutto di pubblicità e/o di esigenze fiscali.
Le conseguenze di quanto sopra dedotto ineriscono alla prova di quanto asserito o contestato in giudizio nell’ipotesi di controversia inerente all’interpretazione o all’esecuzione del contratto stipulato. Nel caso un contratto sia stipulato con atto pubblico, questo fa piena prova, ex art. 2700 cod. civ., sino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale; per contro, la scrittura privata fa piena prova ex art. 2702 cod. civ. sino a quella della falsità delle dichiarazioni in essa contenute (Cass. civ., Sez. I, 27 maggio 2016, n. 11028).
È ammessa la prova per testi, indifferentemente allorché sia richiesta la forma scritta ad substantiam o quella ad probationem, esclusivamente allorché il contraente interessato abbia senza sua colpa perso il documento contrattuale, ex art. 1324 cod. civ. (Cass. civ., Sez. I, 7 luglio 2016, n. 13857).
[A cura di: avv. Andrea Marostica]
Oggetti della disciplina del condominio negli edifici sono le cose ed i servizi comuni alle parti in proprietà esclusiva. Il complesso delle disposizioni in materia ha come finalità la regolamentazione delle vicende giuridiche dei soggetti che con tali oggetti instaurano rapporti, che possono essere immediati – è il caso dei condòmini, in quanto proprietari delle parti esclusive e dunque comproprietari delle parti comuni, legati a queste ultime da obbligazioni propter rem – o mediati, ed è il caso dell’amministratore, che entra in rapporto con gli oggetti di cui sopra in virtù di una fonte contrattuale, ovvero nomina ed accettazione.
Le spese: classificazione
Tra le disposizioni in parola figurano quelle relative alle spese. Le locuzioni utilizzate dal legislatore in proposito sono quanto mai variegate: spese per la conservazione, per il godimento, per la manutenzione, per la riparazione, per la ricostruzione, per la fruizione, per l’esercizio.
Qui, dove il fine è individuare il perimetro del potere decisionale dell’amministratore nella disposizione di interventi relativi alle cose ed ai servizi comuni, viene adottata la seguente classificazione (peraltro suggerita dallo stesso codice civile):
a) spese di manutenzione ordinaria delle cose;
b) spese di esercizio dei servizi;
c) spese di manutenzione straordinaria delle cose, a loro volta distinte in: (c1) non urgenti ed (c2) urgenti;
d) spese relative ad innovazioni delle cose.
Le spese: tipologia.
Le spese di manutenzione ordinaria a) sono quelle necessarie a mantenere la cosa nella sua essenza e funzione, ad assicurarne dunque lo stato e la funzionalità che le sono propri, a fronte dell’inevitabile deperimento quotidiano. Ne sono esempi le riparazioni e le sostituzioni di lieve entità, la pulizia.
Le spese di esercizio dei servizi b) sono quelle necessarie a garantire la prestazione normale dei servizi in comune. Si pensi ai periodici controlli dell’ascensore.
Le spese di manutenzione straordinaria c) sono quelle necessarie al mantenimento dello stato di normalità della cosa, come quelle di manutenzione ordinaria, ma, a differenza di queste, presentano un carattere di eccezionalità (si veda Terzago, Il condominio, Trattato teorico-pratico, Giuffrè, 2010, pag. 460). Secondo alcuni, tale eccezionalità sta nella causa che rende necessario l’intervento: non il costante logorio della cosa, come nella manutenzione ordinaria, ma un evento imprevedibile. Secondo altri, eccezionale non è la causa dell’intervento, ma la sua entità e modalità: mentre nella manutenzione ordinaria l’entità è modesta e la modalità frequente, in quella straordinaria la prima è rilevante e la seconda infrequente.
Le spese di manutenzione straordinaria vengono distinte dal codice, sulla base della rapidità di intervento che la necessità esige, in non urgenti c1) ed urgenti c2): quali esempi, rispettivamente, la tinteggiatura della facciata e la sostituzione del vetro rotto del portoncino d’ingresso.
Le spese relative alle innovazioni d) sono quelle dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento della cosa. Il concetto di innovazione porta con sé quello di modifica della cosa, la quale diventa qualcosa di diverso da quello che era prima. Se la manutenzione è finalizzata alla conservazione dell’essenza della cosa, l’innovazione ha come presupposto l’individuazione di una nuova o comunque diversa essenza potenziale della cosa e come risultato la realizzazione di tale novità o diversità. Si pensi alla installazione di un ascensore nel vano scale.
Disciplina dei poteri decisionali
La disciplina del condominio ha cura di specificare, per ciascun tipo di spesa, a chi competa il potere decisionale circa il relativo intervento.
L’art. 1130, co. 1, lett. 3 include tra le attribuzioni dell’amministratore l’erogazione delle spese occorrenti alla manutenzione ordinaria delle cose e all’esercizio dei servizi comuni. Dunque, quanto alla manutenzione ordinaria a) ed all’esercizio dei servizi b), l’amministratore ha il potere ed il dovere di provvedere.
L’art. 1135, co. 1, lett. 4 assegna all’assemblea dei condòmini il compito di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria delle cose ed alle innovazioni. L’art. 1135, co. 2 vieta all’amministratore di ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che si tratti di interventi urgenti: in tal caso l’amministratore può disporre motu proprio l’opera, ma ne deve riferirne alla prima assemblea utile. Dunque, quanto alla manutenzione straordinaria c), se si tratta di interventi non urgenti c1) l’assemblea ha il potere di provvedere e l’amministratore ne ha il divieto; se si tratta di interventi urgenti c2) sia l’assemblea sia l’amministratore hanno il potere di provvedere. Quanto alle innovazioni d), l’assemblea ha il potere di provvedere e l’amministratore ne ha il divieto (il divieto è affermato esplicitamente solo per la manutenzione straordinaria, ma si ritiene implicitamente stabilito anche per le innovazioni).
Si noti, per inciso, come le previsioni in tema di manutenzione straordinaria valgano quali argomenti a contrario per ribadire quanto detto per quella ordinaria: se tra le attribuzioni dell’assemblea rientra (solo) la manutenzione straordinaria, significa che quella ordinaria non vi rientra, è infatti compito dell’amministratore; se l’amministratore ha il divieto di provvedere alla manutenzione straordinaria, non ha il divieto di provvedere a quella ordinaria, è anzi suo compito.
Riassumendo, rientrano nel perimetro decisionale dell’amministratore (qualora l’assemblea non lo invada, si veda infra): le spese di manutenzione ordinaria a), di esercizio dei servizi b), di manutenzione straordinaria urgente c2); ne fuoriescono le spese di manutenzione straordinaria non urgente c1) e le innovazioni d).
Assemblea e amministratore
In tale intreccio di poteri, doveri e divieti, un aspetto merita di essere ancora chiarito: si è visto che la manutenzione ordinaria e l’esercizio dei servizi rientrano tra i poteri-doveri dell’amministratore; si è visto che tra le attribuzioni dell’assemblea rientra (solo) la manutenzione straordinaria; è lecito dunque domandarsi se l’assemblea possa sottrarre all’amministratore il potere decisionale in merito alla manutenzione ordinaria ed all’esercizio dei servizi. Si ritiene di rispondere in senso affermativo, sulla base del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, essendo l’assemblea l’organo supremo del condominio, dotato dei maggiori poteri deliberativi, la volontà dei condòmini può prevalere su qualunque atto o disposizione dell’amministratore. Si veda, ad esempio, Cass. Civ., sez. II, 3 aprile 1998, n. 3424, in base alla quale, nell’ambito della regolazione dell’uso della cosa comune, pur demandata all’amministratore, i condòmini possono sostituirsi a questo in qualità di mandanti.
Del resto, l’art. 1130 c.c., che disciplina le attribuzioni dell’amministratore, non è norma considerata inderogabile dall’art. 1138 c.c.; è pertanto valida una delibera assembleare avente ad oggetto ambiti di competenza dell’amministratore – quale, per quanto qui interessa, la manutenzione ordinaria -, purché il depauperamento dei suoi poteri non si traduca in una revoca di fatto dello stesso, in violazione (almeno nei condomini con più di otto condòmini) dell’art. 1129, co. 1, questa sì norma inderogabile ex art. 1138 c.c. (si veda Celeste e Terzago, Il condominio, Percorsi giurisprudenziali, Giuffrè, 2008, pagg. 144-147).
[A cura di: Salvatore Servidio – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
Con sentenza 21176 del 19 ottobre 2016, mutando il precedente orientamento, la Corte di cassazione ha sostanzialmente stabilito che, in tema di accertamenti catastali, per assolvere l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, è sufficiente indicare il presupposto della rettifica, al fine di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella fase contenziosa.
Dati del processo
La vicenda riguarda una variazione di classamento di alcuni immobili di proprietà privata eseguita, su richiesta del Comune, dall’ex Agenzia del Territorio, ai sensi dell’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004, ubicati nelle microzone individuate nella planimetria allegata all’avviso di accertamento.
Nell’impugnare l’atto, gli interessati lamentavano carenza di motivazione della revisione del classamento e la necessità che, per una simile variazione, occorreva una stima con sopralluogo. I giudici di merito confermavano parzialmente la rettifica catastale, nei cui confronti i contribuenti ricorrevano in Cassazione, denunciando, tra l’altro, violazione delle norme e dei principi che regolano la motivazione degli atti in materia catastale, in relazione alla mancata spiegazione delle ragioni dell’attribuzione alle singole unità immobiliari da parte dell’Agenzia del Territorio di una classe superiore.
Revisione del classamento
Si premette che l’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004, riconosce ai Comuni – che rappresentano la “porzione” del territorio nazionale rilevante – la possibilità di richiedere all’Agenzia del Territorio (ora, delle Entrate) la revisione del classamento di quelle microzone dove il rapporto medio, tra valori di mercato e valori catastali, superi di almeno il 35% quello dell’insieme delle microzone.
Con tale disposizione – peraltro applicabile solo in presenza di comuni con almeno tre microzone – in attesa della revisione generale delle rendite catastali per allinearle, a parità di gettito, ai valori di mercato (come previsto dall’articolo 2, legge delega 23/2014), il legislatore si è premurato almeno di evitare le situazioni di palese ingiustizia all’interno dei singoli comuni, rideterminando le rendite (e i valori) catastali nel caso in cui il suddetto rapporto si discosti in una determinata microzona di una percentuale significativa rispetto alla media delle microzone del comune interessato.
Orientamento della giurisprudenza
Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (tra cui, cfr. Cassazione 9629/2012, 19820/2012, 16643/2013, 23247/2014 e 3156/2015), la motivazione dell’atto di revisione del classamento catastale non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’Agenzia del Territorio, ma deve specificare, a pena di nullità, sia le ragioni giuridiche sia i presupposti di fatto della modifica.
L’amministrazione finanziaria è tenuta, quindi, a precisare – dettagliatamente – se il mutamento è giustificato dal mancato aggiornamento catastale, dall’incongruenza del valore rispetto ai fabbricati similari (individuando detti edifici, il loro classamento e le caratteristiche che li rendono analoghi a quello in oggetto), dall’esecuzione di lavori particolari nell’immobile (da menzionare analiticamente) o, infine, da una risistemazione dei parametri della microzona di collocazione, da esplicitare in modo chiaro con l’indicazione del rapporto tra valore di mercato e valore catastale dell’area e delle altre comunali, così che emerga il significativo divario.
Il giudizio
La Corte suprema, respingendo il gravame, ha fornito un’interpretazione sulla motivazione degli atti che modifica, di fatto, l’orientamento sinora espresso, convalidando la sentenza del riesame perché provvista dei requisiti di congruità e sufficienza.
A tal fine, il Collegio, dopo aver dato atto delle incertezze giurisprudenziali in materia, oscillanti tra una più intensa e una minore rigidità delle scelte interpretative, ha affermato che il più equilibrato orientamento opzionato appare maggiormente idoneo a cogliere il senso della disciplina della revisione catastale prescritta dall’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004 (cfr. Cassazione, 21532/2013 e 17322/2014).
Nel merito della questione, la sezione tributaria ha precisato che, per assolvere l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, è sufficiente indicare il presupposto della rettifica, al fine di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella fase contenziosa.
Il classamento non è, infatti, un «atto di imposizione fiscale» e trova supporto motivazionale nell’articolo 1, comma 335, della legge 311/2004; bastano, perciò, per la propria validità, l’indicazione della norma di riferimento sul cui presupposto viene operata la revisione.
Peraltro, proprio per l’assenza di variazioni edilizie, l’atto di classamento non richiede il previo sopralluogo dell’ufficio né è condizionato ad alcun contraddittorio endoprocedimentale.
È evidente che, nella successiva fase giudiziale, il contribuente potrà provare – in contraddittorio con l’ufficio – le caratteristiche dell’immobile e l’eventuale inidoneità del nuovo classamento, in relazione non all’idoneità della motivazione dell’atto, ma al merito della controversia (così Cassazione, 22313/2010, 11698/2011 e 21923/2012).
Infine, il giudice di legittimità evidenzia che la richiesta del Comune all’Agenzia del Territorio è un atto interno, i cui eventuali vizi attinenti la sua legittima provenienza possono essere fatti valere non dal contribuente, ma esclusivamente dall’ente (cfr. Cassazione, 17378/2014).
[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – Avvocato in Pisa]
Considerato che la natura del condominio non è stata definita dal legislatore, questo è stato definito dalla giurisprudenza e dalla dottrina come un ente di gestione. E, in realtà, il condominio presenta alcune analogie rilevanti sia con la comunione sia con gli enti collettivi. Con la prima ha in comune il diritto di comproprietà dei beni condominiali, con i secondi ha in comune gli organi deliberativo, l’assemblea, ed esecutivo, l’amministratore.
La rappresentanza dell’amministratore
La giurisprudenza lo ha sempre definito un ente di gestione, definizione non condivisa dalla dottrina, ma, dopo la riforma intervenuta con la legge 11 dicembre 2012 n. 220, le Sezioni Unite della Cassazione gli hanno riconosciuto la soggettività giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 16 settembre 2014, n. 19663).
Il contratto che s’instaura tra l’amministratore e i condòmini è stato definito dal legislatore, solo con la citata legge n. 220/2012, un mandato, seppure, devo ritenere, ancora sui generis. Infatti, quest’ultimo contratto è fondato sulla fiducia che il mandante nutre nei confronti del mandatario, mentre l’amministratore di condominio agisce e opera anche a favore di coloro che non lo hanno votato, perché assenti all’assemblea di nomina o subentrati nella proprietà ad altro condomino nel corso della gestione annuale, e, addirittura, di coloro che hanno votato contro la sua nomina a tale carica.
Il legislatore, oltre a stabilire l’obbligatorietà della nomina dell’amministratore qualora il condominio sia composto da oltre quattro condòmini, ne dispone i poteri di gestione e fornisce all’amministratore la rappresentanza del condominio stesso. La rappresentanza dell’amministratore è sostanziale e processuale e, dunque, può sia sottoscrivere i contratti nell’interesse del condominio, ad esempio quelli per la fornitura del gas da riscaldamento o per l’appalto della pulizia delle parti comuni dello stabile, sia stare in giudizio nelle cause che vedono coinvolto il condominio.
La rappresentanza processuale è sia attiva – allorché sia il condominio a promuovere un procedimento giudiziario – sia passiva, allorché questo sia radicato nei confronti del condominio. Considerato che il condominio agisce giudizialmente per la difesa dei diritti inerenti ai beni comuni mediante il suo amministratore, sussiste in capo a ciascun condomino il potere di agire per la tutela dei beni de quibus; infatti, vi è una legittimazione concorrente dei singoli condòmini per agire a tutela dei diritti comuni (Cass. civ., Sez. II, 4 settembre 2014, n. 18687).
L’amministratore può agire in giudizio autonomamente, se l’azione è coerente con i poteri al medesimo concessi dalla legge, anche se è, pur sempre, opportuna una preventiva autorizzazione dell’assemblea, per esempio, per far cessare le attività, vietate da una clausola contrattuale del regolamento, attuate da un condomino; per contro, se tale azione ecceda i suoi poteri, necessita sempre dell’autorizzazione assembleare, per esempio, per proporre una domanda petitoria per rivendicare la proprietà di un’area occupata dal proprietario del fondo vicino.
La delibera in cui si autorizza l’amministratore a radicare un giudizio deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentanti almeno la metà del valore dell’edificio ai sensi dell’art. 1136, IV comma, codice civile. La facoltà dell’amministratore, di rappresentare processualmente il condominio, non può essere limitata da alcuna delibera condominiale e neppure da una clausola di un regolamento di condominio, considerato che l’art. 1131 codice civile è una norma inderogabile per espresso disposto dell’art. 1138 codice civile. Considerato che la rappresentanza processuale dell’amministratore è inderogabile, il concorrente potere di ogni singolo condomino di intervenire in giudizio costituisce un mero intervento ad adiuvandum. Salvo espressa disposizione contraria, l’autorizzazione concessa dall’assemblea all’amministratore di adire le vie giudiziarie è valida per tutti i gradi del giudizio e anche nell’eventuale fase esecutiva.
La rappresentanza passiva dell’amministratore è, invece, illimitata e ciò per favorire i terzi che intendano citare il condominio, potendo questi notificare l’atto di citazione solo all’amministratore e non a tutti i condòmini indistintamente. Nell’ipotesi il condominio sia privo di amministratore, l’azione del terzo deve invece essere notificata a tutti i condòmini.
Qualora l’atto di citazione inerisca ad una materia che travalica i suoi poteri, l’amministratore deve convocare l’assemblea per farsi autorizzare a stare in giudizio, potendo, in caso contrario, essere revocato dal mandato ex art. 1131, ultimo comma, codice civile. Per contro, l’amministratore difetta di legittimazione attiva allorché la controversia giudiziaria inerisca ai diritti reali dei singoli condòmini o i loro rapporti contrattuali, quale la contestazione di un diritto di proprietà o la modifica delle clausole contrattuali del regolamento di condominio (Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 2008, n. 12850).
In sostanza, l’amministratore ha la rappresentanza attiva per radicare autonomamente, senza delibera assembleare, tutte le azioni che rientrano nel concetto di atti conservativi dei diritti concernenti i beni comuni, purché ricompresi nel perimetro dell’immobile costituito in condominio, ivi comprese le azioni cautelari (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4503). Il potere autonomo dell’amministratore, però, è limitato alla tutela della conservazione, giuridica e materiale, delle cose condominiali, e non si estende alle obbligazioni che, per contro, riguardano direttamente i condòmini; quindi l’amministratore è legittimato a promuovere l’azione nei confronti del costruttore per contestare i gravi difetti delle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1669 codice civile, essendo il condominio avente causa dell’appaltatore (Cass. civ., Sez. II, 1 agosto 2006, n. 17484), mentre non può radicare alcuna azione per far valere la garanzia per i vizi della cosa venduta ai sensi dell’art. 1490 codice civile, pur concernenti le parti comuni dello stabile, essendo legittimati personalmente i singoli condòmini, quali unici contraenti, acquirenti, del contratto di compravendita delle parti comuni in esame. Né rientra, nel potere dell’amministratore, neppure l’agire per conseguire il risarcimento dei danni patiti dai condòmini.
Viceversa, la legittimazione passiva dell’amministratore è illimitata (Cass. civ., Sez. II, 20 settembre 2012, n. 15838), anche se circoscritta ai soli beni condominiali, in contrapposizione agli interessi particolari dei singoli condòmini. Da quanto dedotto deriva che la legittimazione passiva dell’amministratore inerisce alle cause che riguardano sia i diritti reali sia i rapporti obbligatori del condominio, inteso questo anche nel senso che una o più parti o qualche impianto dell’edificio appartengano esclusivamente ad alcuni condòmini e non a tutti (Cass. civ., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363).
Per tutti i motivi sopra esposti, la legittimazione passiva, come quella attiva, permane in tutti i gradi del giudizio, consentendo all’amministratore di impugnare le sentenze sfavorevoli al condominio. Qualora l’amministratore sia citato in giudizio per una causa che esorbiti dai suoi poteri ex lege, ugualmente ha la rappresentanza passiva del condominio, ma, ut supra dedotto, deve informarne subito l’assemblea, affinché questa, ove lo ritenga opportuno, possa integrare i poteri de quibus, ai fini della regolare costituzione in giudizio del condominio. In entrambe le fattispecie analizzate, l’amministratore deve conferire al legale del condominio, sia che venga incaricato direttamente dal medesimo, sia che venga indicato dall’assemblea, una rituale procura alle liti che consenta al magistrato di comprenderne esattamente la provenienza; l’amministratore, infatti, deve dimostrare tale sua carica.
Qualora poi lo stesso non sia confermato e venga nominato un altro soggetto, il giudizio non s’interrompe, in quanto l’art. 299 codice procedura civile inerisce alle sole ipotesi di rappresentanza legale, mentre il rapporto che si instaura tra condomini e amministratore è fondato su base volontaria (Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25251).
Le azioni possessorie
Tra le azioni per le quali l’amministratore può stare in giudizio anche senza autorizzazione del condominio, vi sono quelle a tutela del possesso che consistono in: a) azione di reintegra ex art. 1168 codice civile; b) azione di manutenzione ex art. 1170 codice civile (Cass. civ., Sez. II, 15 maggio 2002, n. 7063). Il possesso è costituito dal potere di fatto esplicato su una cosa che si manifesta in un’attività corrispondente a quella attuata per l’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 codice civile); nel caso di violazione di un siffatto potere, indipendentemente dall’aspetto psicologico, quindi, dell’autore dello spoglio, è sufficiente provare l’avvenuta turbativa del possesso.
Costituisce turbativa del possesso anche l’attività del compossessore che comporti un’innovazione della cosa comune, tale da modificarne sensibilmente le modalità d’uso (Cass. civ., Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10624). Infatti, in un giudizio possessorio devono essere fornite soltanto le prove del possesso e della intervenuta sua turbativa (Cass. civ., Sez. II, 11 gennaio 2016, n. 233). Trattasi, quindi, esclusivamente della prova del fatto storico dell’esistenza del precitato potere sulla cosa, oggetto dello spoglio (Cass. civ., Sez. II, 20 maggio 2008, n. 12751). Infatti, l’accertamento della situazione di fatto è del tutto indipendente dalla sussistenza di un diritto reale sul bene, dovendo il denunciante provare solo il suo esercizio dello jus possessionis.
La prova del possesso deve, ovviamente, essere fornita dall’attore che agisce con l’azione di spoglio o con quella di manutenzione e questi può radicare l’azione soltanto per recuperare il bene oggetto di spoglio ovvero anche per conseguire coattivamente il risarcimento dei danni patiti. L’azione possessoria può essere esercitata entro un anno dall’intervenuta turbativa o dall’avvenuto spoglio ex art. 1168 codice civile e anche per questa fattispecie, sia dall’amministratore del condominio sia da ciascun condomino; il dies a quo, nel caso di una pluralità di atti di turbativa, decorre dal compimento del primo atto lesivo del possesso (Cass. civ., Sez. II, 10 marzo 2008, n. 6305).
Possono costituire violazione del possesso, ad esempio:
L’occupazione del parcheggio da parte di terzi, costituisce certamente uno dei più frequenti spogli delle parti comuni del condominio che consentono all’amministratore di esercitare l’azione di reintegrazione nel possesso, anche se il parcheggio dei condòmini avviene su un’area di proprietà extra condominiale, destinata, però, ad uso del condominio con un vincolo urbanistico ad hoc (Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2007, n. 16631).
La batosta arriva per posta, sotto forma delle 60mila lettere inviate in questi giorni dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti persone fisiche che nell’anno 2012 hanno percepito e non dichiarato, o dichiarato parzialmente, redditi di fabbricati derivanti da contratti di locazione di immobili, compresi quelli per i quali è stato scelto il regime della cedolare secca.
Le nuove lettere contengono tutte le informazioni utili per permettere ai contribuenti di rimediare agli errori commessi per l’inesatta indicazione del reddito dei fabbricati nella dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2012.
Inoltre, per semplificare il calcolo delle sanzioni e degli interessi dovuti in presenza di cedolare secca, l’Agenzia ha aggiornato il “calcolatore” on line (denominato “Calcolatore sanzioni ed interessi infedele dichiarazione ravvedimento operoso anno d’imposta 2012”) presente sul proprio sito, che conteggerà al posto dei contribuenti le sanzioni ridotte del ravvedimento operoso per i redditi 2012, sia in caso di imposta sostitutiva della cedolare secca, sia in caso di imposte ordinarie per reddito da fabbricati. Infine, è possibile consultare il nuovo vademecum dell’Agenzia che spiega cosa fare quando si riceve la lettera delle Entrate e come rimediare agli errori commessi.
IN DETTAGLIO
Con questa tranche di comunicazioni l’Agenzia fornisce ai cittadini informazioni sul reddito di fabbricati derivante da canoni di locazione che, dai dati in possesso delle Entrate, risulterebbe non dichiarato, in tutto o in parte, nel modello Unico Pf o nel modello 730, presentati nel 2013 per i redditi 2012. Se il contribuente ammette l’errore, può correggerlo utilizzando il ravvedimento operoso, presentando una dichiarazione integrativa e versando le maggiori imposte dovute, i relativi interessi e le sanzioni correlate alla infedele dichiarazione in misura ridotta. Per effettuare il pagamento, occorrerà indicare nel modello F24 il codice atto riportato in alto a sinistra sulla lettera.
L’ASSISTENZA
Chi riceverà la lettera del Fisco potrà mettersi in contatto con l’Amministrazione finanziaria per chiarire subito la propria posizione, evitando che l’anomalia si traduca in futuro in un avviso di accertamento vero e proprio. Questo sia se dal confronto emergerà che il contribuente non ha commesso errori, sia nel caso in cui il cittadino voglia regolarizzare in maniera agevolata la propria posizione con le sanzioni ridotte previste dal nuovo ravvedimento operoso.
Nel caso in cui il contribuente ritenga che i dati originariamente riportati nella dichiarazione dei redditi siano corretti, sono invece a disposizione i numeri 848.800.444 (da telefono fisso) e 06/96668907 (da cellulare) dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17. In entrambi i casi occorre selezionare l’opzione servizi con operatore – comunicazione accertamento.
In alternativa, è possibile contattare uno degli Uffici Territoriali delle Direzioni Provinciali dell’Agenzia o utilizzare Civis, il canale di assistenza dedicato agli utenti dei servizi telematici.
IL RAVVEDIMENTO
Le lettere consentono ai contribuenti interessati di regolarizzare gli errori e le omissioni eventualmente commesse con le modalità previste dall’istituto del ravvedimento operoso, fruendo così della sanzione ridotta per infedele dichiarazione. Grazie al calcolatore disponibile sul sito dell’Agenzia, inoltre, i contribuenti potranno calcolare facilmente le sanzioni ridotte del ravvedimento sia per l’imposta sostitutiva della cedolare secca, sia -nel caso di tassazione ordinaria del reddito di fabbricati – per l’Irpef e le addizionali (nonché, se dovuto, per il contributo di solidarietà).
LE SANZIONI
Le Entrate ricordano che se il reddito di locazione è stato assoggettato ad Irpef, la sanzione ridotta è pari al 15% della maggiore imposta determinata (ossia un sesto della sanzione minima – 90%).
Invece, se è stato scelto il regime della “cedolare secca”, previsto per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, la sanzione sarà più elevata, ovvero pari al:
* 30% della maggiore imposta determinata (ossia 1/6 della sanzione minima – 180%), se i canoni sono stati dichiarati solo parzialmente;
* 40% della maggiore imposta determinata (ossia 1/6 della sanzione minima – 240%), nel caso in cui non siano stati dichiarati.
Lite in atto tra coniugi:
in manette spacciatore
La polizia ha arrestato un 36enne di Napoli, già noto alle forze dell’ordine, trovato in possesso, nel suo appartamento, di circa 28 involucri di hashish, nascosti sotto i mobili della cucina. Gli agenti erano intervenuti a seguito di una segnalazione per lite domestica in corso, ma si erano insospettiti quando avevano notato che la tv del salotto stava trasmettendo immagini dell’esterno della casa. L’uomo, infatti, aveva installato un sistema di videosorveglianza per controllare proprio l’arrivo della polizia. Da lì è scattata la perquisizione e il ritrovamento della droga.
Moto piomba in cortile:
centauro in ospedale
Sono ancora in corso di accertamento le cause dell’incidente che ha coinvolto un centauro di 20 anni in provincia di Udine. Il giovane, che stava percorrendo la statale che collega due paesini della zona, ha perso improvvisamente il controllo della moto, cadendo rovinosamente a terra e riportando numerose ferite. La motocicletta, invece, è finita dritta nel cortile di una casa, per fortuna senza colpire nessuno. Il 20enne è stato trasportato al vicino ospedale e, nonostante le ferite, non versa in pericolo di vita.
I topi d’appartamento
rubano pure salvadanaio
È stato un colpo studiato nei minimi dettagli quello messo a segno da un gruppo di topi d’appartamento, attivi nella provincia di Trento. A essere presa di mira, questa volta, la casa di un imprenditore, poco distante dal centro abitato. I ladri sono entrati in azione nel pomeriggio, forzando una finestra al piano terreno. Una volta dentro, hanno rivoltato la casa racimolando 1500 euro in contanti, collane, gioielli e i pochi euro contenuti nel salvadanaio del figlio del proprietario. I malviventi si sono dati alla fuga pochi istanti prima del rientro della moglie.
Lascia le chiavi in auto:
gli svaligiano casa
Che sia stata una distrazione o una normale abitudine, quelle chiavi lasciate in macchina sono costate davvero care a un pensionato residente a Genova. Per la precisione, 20mila euro in oro e preziosi. A tanto ammonta il bottino che i ladri sono riusciti a trafugare dalla sua abitazione, dopo avergli rubato il mazzo di chiavi lasciato nel vano porta oggetti dell’auto. Rientrato a casa e fatta l’amara scoperta, l’uomo non ha potuto fare altro che sporgere denuncia ai carabinieri.
Ladri acrobati svaligiano
alloggio in pieno giorno
Hanno scalato la parete di un condominio di La Spezia, arrampicandosi lungo le tubature, fino a raggiungere le finestre degli alloggi. Questa la rocambolesca azione messa a segno da alcuni ladri acrobati che si sono introdotti nell’abitazione di una coppia di coniugi, in pieno giorno, scassinando la finestra e portandosi via vari oggetti preziosi, tra i quali una fede nuziale. Al rientro, i due proprietari, usciti il tempo necessario per fare un po’ di spesa, hanno trovato la porta sbarrata dall’interno e la casa a soqquadro.
Finti ispettori dell’energia
rapinano anziana in casa
Una donna di 82 anni, che vive da sola in una casa della provincia dell’Aquila, è stata aggredita e derubata da una coppia di malviventi che hanno fatto perdere le proprie tracce. I due si sono presentati alla porta dell’anziana, spacciandosi per ispettori di una compagnia energetica. Una volta che la donna ha aperto, le si sono avventati contro, immobilizzandola e chiudendola a chiave in un’altra stanza. Poi, hanno rivoltato l’appartamento riuscendo a recuperare un centinaio di euro appena, prima di dileguarsi.
[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro studi Confedilizia]
In tema di revisione del classamento catastale di immobili urbani, la motivazione dell’atto relativo non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’Agenzia delle Entrate, bensì deve specificare, a pena di nullità, ai sensi della legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, a quale presupposto la modifica debba essere associata: se al non aggiornamento del classamento o, invece, alla palese incongruità rispetto a fabbricati similari e, in questa seconda ipotesi, l’atto impositivo dovrà indicare la specifica individuazione di tali fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all’unità immobiliare oggetto di riclassamento, consentendo in tal modo al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nella successiva fase contenziosa, conseguente alla richiesta di verifica dell’effettiva correttezza del riclassamento.
Così la Commissione tributaria regionale del Lazio (sentenza. n. 3557 del 6.6.2016), affermando principi ormai consolidati nella giurisprudenza della Cassazione ma applicandoli – e questo è l’elemento importante – in fase di appello nel contenzioso riguardante l’estesa attività di riclassamento operata a Roma, caratterizzata in molti casi da modifiche perlomeno “discutibili”.
[A cura di: Martino Verrengia – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
La cessione del diritto reale di godimento, sub specie diritto di abitazione ex articolo 1022 del codice civile, era stata – nel caso in commento – decisa da una madre in favore della figlia, quale controprestazione rispetto ai doveri di cura e assistenza richiesti dalla prima alla seconda, nell’ambito di un contratto sinallagmatico e innominato del tipo do ut facias.
La Ctp di Fiorenze, con la sentenza n. 1192 depositata il 9 settembre 2016, si è pronunciata nel senso della decadenza dal beneficio “prima casa” nell’ipotesi di cessione del diritto di abitazione sull’immobile oggetto di acquisto beneficiato, accogliendo l’interpretazione più rispettosa del tenore letterale della normativa di riferimento. In tale ipotesi, ad avviso dei giudici fiorentini, si verifica la perdita del beneficio fiscale, a nulla rilevando la causa in concreto dell’attribuzione. Ma analizziamo come si è svolta la vertenza.
I fatti di causa
La pronuncia prende avvio dal ricorso di una contribuente avverso l’avviso di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, finalizzato al recupero delle agevolazioni “prima casa”, fruite nell’ambito dell’acquisto di un immobile, sul quale veniva poi costituito un diritto di abitazione in favore della figlia della ricorrente.
Le posizioni delle parti
La contribuente eccepiva di non aver ceduto né trasferito alcun immobile, ma di aver semplicemente posto in essere un atto a carattere derivativo-costitutivo di un diritto reale di godimento, ossia del diritto di abitazione, che, secondo l’articolo 1022 cc, consente al titolare di “abitare una determinata casa, limitatamente ai bisogni suoi e della propria famiglia”.
L’ufficio delle Entrate si costituiva, in via preliminare, eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e, nel merito, contestando la fondatezza della prospettazione attorea.
Le motivazioni della sentenza
A parere della Commissione, il ricorso della contribuente – ancorché inammissibile – non sarebbe neanche meritevole di accoglimento nel merito. La Ctp premette, infatti, che “in tema di agevolazioni cd. prima casa, il comma 4 della nota 2 bis dell’art. 1 della Tariffa – Parte Prima del T.U. Registro dispone che si ha decadenza dall’agevolazione «nell’ipotesi di dichiarazione mendace o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto»”.
Ebbene, “l’indicazione «trasferimento degli immobili» non deve essere interpretata come necessaria cessione dell’intero diritto di proprietà, potendosi infatti verificare anche una cessione parziale di detto più ampio diritto, conseguendone una compressione dello stresso, ad esempio attraverso la costituzione di diritti reali quali l’usufrutto, l’uso o l’abitazione. Tale interpretazione appare del tutto logica se si considera che l’agevolazione prima casa spetta non solo in caso di acquisto del pieno diritto di proprietà dell’immobile, ma anche nell’ipotesi di acquisto di uno dei diritti reali sopra menzionati (tanto che la titolare del costituito diritto di abitazione, ha beneficiato dell’agevolazione prima casa sull’acquisto di tale diritto).
Il comma 1 della predetta nota dispone, infatti, che in presenza di specifiche condizioni, l’aliquota agevolata si applica agli «atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e gli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà dell’usufrutto dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse» ….”.
“Secondo l’interpretazione data dalla contribuente”, proseguono i giudici provinciali, “in caso di acquisto agevolato del diritto d’uso con successiva cessione dello stesso, non dovrebbe seguire la decadenza dal trattamento agevolato in quanto non si avrebbe alcun trasferimento degli immobili. La diversa interpretazione, fatta propria dall’ufficio, è anche logica conseguenza del fatto che al momento della richiesta dell’agevolazione il contribuente parte acquirente, per poter ottenere l’agevolazione, deve dichiarare di non essere titolare non solo del diritto di proprietà ma anche di usufrutto, uso abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso o dal coniuge con le agevolazioni di cui alla predetta nota II bis”.
L’avallo “indiretto” della Cassazione
Del resto, osserva la Commissione, una conferma della correttezza dell’operato dell’Amministrazione si rinviene – seppur indirettamente e a contrario – in un arresto di legittimità (cfr. Cassazione, 22244/2012), nel quale la Corte suprema ha escluso la decadenza dal beneficio prima casa nell’ipotesi di rinuncia a un diritto reale di godimento (nella specie, si trattava della rinuncia al diritto di usufrutto su immobile), proprio perché la rinuncia abdicativa è un atto puramente dismissivo del diritto, che estingue il diritto reale limitato producendo, al contempo, la riespansione del diritto del proprietario, in tutte le pertinenti facoltà.
Brevi osservazioni
La pronuncia in commento accede a un’interpretazione rigorosa – ma che pare corretta – dell’agevolazione “prima casa”, stabilendo la decadenza dal beneficio in caso di cessione, non solo della piena proprietà, ma anche dei diritti reali “minori” (uso, usufrutto, abitazione) nei cinque anni dall’acquisto.
Anche la prassi degli uffici finanziari (cfr. circolare 38/2005, confermata sul punto dalla circolare 2/2014), del resto, è chiara e conforme a quanto prospettato dall’ufficio fiorentino nel caso in questione. E non potrebbe essere altrimenti: si tenga sempre presente, infatti, che le disposizioni che prevedono benefici fiscali, come le agevolazioni “prima casa”, proprio per la loro natura, sono necessariamente norme di stretta interpretazione. Pertanto, un’operazione ermeneutica estensiva delle stesse porterebbe sicuri squilibri al sistema, difficilmente rimediabili, oltre a costituire un vulnus al principio di uguaglianza e al suo precipitato, in termini di ragionevolezza, sancito dall’articolo 3 della Carta costituzionale.
Sigarette nel cestino
fanno scoppiare un incendio
Tanto spavento e una lieve intossicazione. Per fortuna sono soltanto queste le conseguenze dell’incendio divampato nella cucina di una casa in provincia di Padova. Le fiamme sono state generate da alcune sigarette non perfettamente spente e buttate, distrattamente, nel cestino dei rifiuti. Ad accorgersi del fumo e dell’odore acre sono state le due donne che si trovavano in casa in quel momento. In loro aiuto, per spegnere l’incendio, sono arrivati anche alcuni vicini di casa.
Ecovandali in condominio
pizzicati dalle telecamere
Da due anni continuavano a gettare rifiuti in una sorta di discarica abusiva. Si tratta di ben sette persone, allergiche alla raccolta differenziata, tutte facenti parte del medesimo condominio di Treviso. A immortalarli con le mani nel sacco (è proprio il caso di dire) sono state le telecamere a circuito chiuso installate dalla società che si occupa della nettezza urbana. Agli ecovandali, che in due anni avevano creato una vera e propria montagna di rifiuti, sono state comminate multe per 150 euro ciascuno. In totale, però, il conto per le pulizie straordinarie ammonta a quasi 7 mila euro. Sotto accusa è finito anche l’amministratore di condominio, reo di aver permesso l’illecito.
Contatori in fiamme:
due persone intossicate
C’è un cortocircuito al vano contatori all’origine della colonna di fumo denso che ha letteralmente invaso i pianerottoli di un condominio in provincia di Massa Carrara. L’allarme è scattato subito dopo cena, quando i residenti della palazzina si trovavano ancora seduti a tavola. Una volta dato l’allarme, quasi tutti sono riusciti a lasciare le proprie case e mettersi in sicurezza, eccetto due persone che sono rimaste intrappolate e per le quali è stato necessario l’intervento dei mezzi dei vigili del fuoco. Trasportati in ospedale per intossicazione, sono stati dimessi dopo qualche ora.
Stalker lancia molotov
contro vicina di casa
Un uomo di 36 anni, residente in provincia di Roma, è stato arrestato dai carabinieri dopo aver minacciato di morte la vicina di casa, arrivando a gettarle contro una tanica contenente liquido infiammabile, “innescata” con uno stoppino. Quando i militari dell’Arma sono arrivati sul posto, hanno trovato la vittima in giardino, mentre tentava di spegnere le fiamme, aiutata da alcuni vicini. Illesa per miracolo la figlia di 3 anni, che in quel momento stava giocando in cortile. L’aggressore è stato rintracciato e arrestato a pochi isolati di distanza, a bordo della sua auto.
Vandali in alloggio:
rubano solo champagne
Un colpo quanto meno anomalo quello messo a segno in provincia di Frosinone da alcuni malviventi, che, approfittando dell’assenza del proprietario, si sono introdotti nel suo appartamento e l’hanno letteralmente devastato. Quando la vittima è rientrata a casa si è trovata di fronte una montagna di vestiti e suppellettili sparsi dappertutto, mobili danneggiati e armadi svuotati. Nonostante la presenza di oggetti di valore, sono però spariti soltanto 4 calici di vetro e una magnum di champagne. Gli inquirenti sono orientati a pensare si tratti di un’azione intimidatoria.