.

PRESTITO IPOTECARIO VITALIZIO, CHE COSA SAPERE PRIMA DI RICHIEDERLO

Per garantire una corretta applicazione della disciplina del Prestito Ipotecario Vitalizio, il Ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato una serie di domande e risposte, condivise con l’Associazione Bancaria Italiana e le associazioni di consumatori e utenti.

Il prestito ipotecario vitalizio è un particolare tipo di finanziamento riservato a chi ha più di 60 anni, garantito da ipoteca su un immobile residenziale la cui durata, in generale, coincide con la vita del sottoscrittore. Questo strumento di finanziamento, diffuso all’estero da parecchi anni, rappresenta una valida alternativa alla vendita della nuda proprietà poiché consente a chi lo sottoscrive di continuare ad abitare nell’immobile senza perderne la proprietà. Viene infatti lasciata agli eredi la facoltà di decidere come rimborsare il prestito e di conseguenza cosa fare dell’immobile dato in garanzia. Il finanziamento può essere erogato solo dopo valutazione da parte della banca e in funzione della propria politica di credito.

D. È possibile erogare il PIV nella forma di finanziamento “a tranche”? 

R. La Legge e il successivo Decreto attuativo stabiliscono che il prestito ipotecario vitalizio ha per oggetto la concessione di finanziamenti a medio e lungo termine, senza porre limitazioni alla forma tecnica di tali finanziamenti. Pertanto, è possibile erogare il PIV anche nella forma tecnica del finanziamento con erogazioni progressive (“a tranche”). Nell’informativa resa al mutuatario sul finanziamento dovrà essere fatto esplicito riferimento alle caratteristiche della forma tecnica utilizzata. Con riferimento alla modalità di effettuare la Simulazione del Piano di Ammortamento di cui all’art. 2, comma 1, del DM 22 dicembre 2015, n. 226, per quanto riguarda le erogazioni progressive, si deve illustrare lo sviluppo del finanziamento come previsto al momento della stipula per la forma tecnica prescelta, indicando tutte le erogazioni previste nel contratto e la relativa progressione di capitale e interessi. La durata minima del prospetto quindi non potrà essere inferiore al valore massimo tra la durata indicata al sopracitato articolo e la durata delle erogazioni contrattualmente previste.

In caso di erogazione “a tranche” dove gli ammontari e i tempi di richiesta di ciascuna tranche sono lasciati alla discrezionalità del mutuatario, si deve ipotizzare che il mutuatario abbia ottenuto sin dalla stipulazione del contratto, l’intera somma messa a disposizione dal finanziatore.

D. Fino a quale momento decorrono gli interessi corrispettivi? Quando possono applicarsi gli interessi di mora? 

R. Come in ogni altro prestito, gli interessi corrispettivi si producono per tutta la durata del finanziamento comprensivo del periodo concesso dal finanziatore per il rimborso del prestito. 

Gli interessi di mora si possono applicare qualora si verifichi un inadempimento (es. mancato pagamento di una rata nel caso di rimborso graduale della quota interessi e spese di cui all’articolo 11 quaterdecies, comma 12 bis, del DL 30 settembre 2005 n. 203, convertito con modificazioni dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248, ovvero a seguito del periodo concesso dal finanziatore per il rimborso del prestito successivo alla scadenza del finanziamento, di cui al comma 12.

D. Il finanziatore ha necessità di farsi conferire il mandato a vendere dagli eredi ai sensi del comma 12 quater dell’art.11 quaterdecies del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248, così come modificato dalla legge 2 aprile 2015, n. 44? Se sì, occorre un mandato con o senza rappresentanza? 

R. Il comma 12 quater recita: “(…) Qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro 12 mesi dal verificarsi degli eventi di cui al citato comma 12, il finanziatore vende l’immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita del finanziamento stesso (…). Dal tenore letterario emerge che la banca ex lege può vendere l’immobile trascorsi 12 mesi dal verificarsi dell’evento di scadenza del finanziamento. Pertanto non occorre nessun tipo di mandato da parte degli eredi. Diversamente, si ritiene che, anche in fase di stipula del contratto di finanziamento, il finanziatore, sulla base del dettato legislativo, possa richiedere ai proprietari dell’immobile il menzionato mandato a vendere.

D. Possono sottoscrivere il prestito ipotecario vitalizio i titolari della nuda proprietà del bene oggetto della garanzia? 

R. I titolari della nuda proprietà possono sottoscrivere il prestito ipotecario vitalizio, gravando da ipoteca la nuda proprietà dell’immobile, qualora la banca offra il prodotto prevedendo tale possibilità.

D. Chi può richiedere il Prestito Ipotecario Vitalizio? 

R. I requisiti per richiedere il Prestito Ipotecario Vitalizio sono disciplinati dalla Legge 2 aprile 2015, n. 44 e dal successivo Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 22 dicembre 2015, n. 226; pertanto possono richiedere il Prestito Ipotecario Vitalizio tutte le persone fisiche che abbiano compiuto 60 anni di età ed abbiano un immobile destinato a civile abitazione. Se tali persone fisiche sono coniugate o conviventi more uxorio da almeno 5 anni nel suddetto immobile, il relativo contratto di finanziamento deve essere sottoscritto da entrambi, anche se l’immobile è di uno solo, a condizione, però, che anche l’altro partner abbia compiuto 60 anni di età. Resta inteso che la sussistenza dei requisiti previsti dalla Legge e dal Decreto citato non costituiscono un diritto all’erogazione del PIV. Come in qualsiasi altro prestito, infatti, il creditore valuterà autonomamente se erogare il finanziamento.

D. In merito alla definizione di “immobile” di cui all’art.1 del Decreto, posto a garanzia del PIV, si chiede se devono essere considerati i soli immobili nei quali il mutuatario abbia stabilito la residenza. 

R. L’articolo 1, lettera c), del Decreto, stabilisce che l’immobile da ipotecare debba essere “residenziale”, lasciando intendere che oggetto dell’iscrizione ipotecaria possano essere solo gli immobili aventi destinazione urbanistica di civile abitazione. Non viene tuttavia specificato se l’immobile oggetto di garanzia debba essere soltanto quello nel quale il mutuatario ha stabilito la residenza e dimori abitualmente. 

In analogia a quanto previsto dalla Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n. 1820 del 23/07/1960, e da quanto previsto dal Regolamento UE 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali delle banche (art. 4, comma 1, numero 75), si deve intendere che l’immobile possa essere utilizzato come abitazione civile (senza necessariamente prevedere che la stessa rappresenti l’immobile nel quale il mutuatario dimori abitualmente ed ha pertanto stabilito la residenza). Al riguardo devono tuttavia essere rispettati i requisiti/comportamenti previsti all’art. 3, comma 1, del Decreto al fine di evitare che si verifichino fatti tali da comportare il rimborso anticipato del finanziamento.

D. Quando devono essere consegnati al mutuatario i prospetti esemplificativi denominati “Simulazione del piano di ammortamento”? 

R. I prospetti esemplificativi denominati “Simulazione del piano di ammortamento”devono essere presentati al più tardi al momento della presentazione della documentazione di cui all’art. 2, comma 4 del Decreto. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del Decreto stesso, devono essere altresì presenti nel contratto ovvero allegati allo stesso.

D. Come devono essere valorizzate o inserite le informazioni inerenti al finanziamento, segnatamente connesse agli oneri notarili e ai costi della polizza assicurativa, nel prospetto informativo – da consegnare gratuitamente al richiedente il prestito almeno 15 giorni prima dall’eventuale stipula del contratto – ai sensi dell’art. 2, comma 4, lettera b), del Decreto? 

R. Va anzitutto rammentato che si tratta di informazioni indicate come minimali nella disposizione in parola, per cui il finanziatore può inserire nel prospetto informativo ogni altra informazione utile al riguardo. 

In base a detta previsione, il prospetto informativo è volto a rendere facilmente comprensibile al richiedente il PIV non solo l’importo finanziato, cioè la somma nominale che costituisce il capitale oggetto del finanziamento, ma anche la somma che sarà effettivamente erogata a tale soggetto, dedotti tutti i costi legati al finanziamento e che costituirà l’importo concretamente disponibile dal richiedente medesimo. 

Occorre peraltro tenere presente che alcuni degli oneri indicati nella predetta disposizione potrebbero non essere noti al finanziatore: è il caso del costo della polizza assicurativa, qualora essa sia stipulata direttamente e senza il concorso del finanziatore, nonché degli oneri notarili, nel caso in cui, come spesso avviene, essi sono regolati in una fase diversa rispetto a quella che prende a riferimento la disposizione in parola (e cioè entro 15 giorni anteriori alla stipula del finanziamento stesso). 

La finalità perseguita dalla disposizione in commento è quella di rendere noto alla parte finanziata l’importo che quest’ultima effettivamente percepirà (ad esempio, mediante accredito in conto corrente) dedotti quindi solo quegli oneri che, nell’accordo tra le parti, si è convenuto siano trattenuti dal finanziatore in occasione dell’erogazione del finanziamento. 

Pertanto andranno indicati solo quei costi/oneri che verranno finanziati dalla banca/intermediario finanziario mutuante.

D. Quali previsioni del Decreto si applicano alle Unioni Civili di cui alla Legge n. 76 del 2016? 

R. Ai fini della disciplina del Prestito Ipotecario Vitalizio, alle Unioni civili si applicano tutte le previsioni del Decreto applicabili ai coniugi.

D. Nella definizione di coniugi di cui all’art. 2, comma 7 del Decreto, possono rientrare anche i coniugi legalmente separati? 

R. Si. Infatti, in caso di separazione, il rapporto di coniugio non è ancora cessato. Ne consegue che il soggetto finanziato – anche se legalmente separato – risulta ancora coniugato fino all’intervenuto divorzio. Si rammenta inoltre che ai fini dell’obbligo di cointestazione del finanziamento rileva sia il rapporto di coniugio che il fatto che nell’immobile risiedano entrambi i coniugi.

D. Quale deve essere la polizza assicurativa obbligatoria sull’immobile prevista all’art. 2, comma 5 del Decreto? 

R. L’art. 2, comma 5, del Decreto prevede l’obbligatorietà di una polizza assicurativa sull’immobile. Si conferma che, al fine di tutelare il bene immobile oggetto di garanzia, la polizza in oggetto sia quella relativa allo scoppio e all’incendio, in linea con quanto previsto ai fini di vigilanza prudenziale per i mutui ipotecari.

CASE POPOLARI: AGEVOLAZIONI FISCALI ANCHE IN CASO DI COMPRAVENDITA

[A cura di: Marcello Maiorino – Fisco Oggi, Agenzia delle Entrate]

La risoluzione 87/E del 4 ottobre 2016 fornisce chiarimenti sull’applicabilità delle agevolazioni previste dall’articolo 32 del Dpr 601/1973 (imposta di registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale) nel caso di trasferimento di aree da destinare a edilizia economica e popolare, laddove le superfici edificabili non siano state acquistate dal Comune previa apposita procedura di espropriazione, ma con un atto di compravendita. La fattispecie consta di due atti tramite i quali, in primo luogo, i terreni vengono ceduti in favore di un Comune a fronte del pagamento di un corrispettivo e, successivamente, al soggetto attuatore, a cui sarà affidata la realizzazione del complesso abitativo.

L’articolo 32 del Dpr 601/1973, di cui si invoca l’applicazione, prevede l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale, tra l’altro, per gli atti di trasferimento delle aree di cui al titolo III della legge 865/1971, nel cui ambito rientrano i piani delle aree da destinare a edilizia economica e popolare (piani Peep). Si tratta di terreni acquistati dai Comuni per l’attuazione di detti piani, che possono essere concessi in diritto di superficie per l’edificazione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali, ovvero possono essere ceduti in proprietà a determinati soggetti in base alle previsioni di cui all’articolo 35 della legge 865/1971.

Gli atti di trasferimento delle aree saranno posti in essere tramite la stipula di una convenzione edilizia finalizzata alla realizzazione, da parte del Comune, del Piano per l’edilizia economica e popolare. La risoluzione chiarisce che non risulta preclusiva, ai fini della fruibilità del regime di favore, la circostanza che il Comune non proceda all’esproprio delle aree comprese nel Peep, come previsto dall’articolo 35, comma 2, legge 865/1971, ma acquisti dagli attuali proprietari, tramite una compravendita, le aree che saranno trasferite a favore del soggetto attuatore.

Difatti, un recente intervento interpretativo (articolo 1, comma 58, 208/2015), ha chiarito che “…l’articolo 32, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, si interpreta nel senso che l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali si applicano agli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al Titolo III della legge 22 ottobre 1971, n. 865, indipendentemente dal titolo di acquisizione della proprietà da parte degli enti locali”.

Nella fattispecie trattata, pertanto, sia il trasferimento delle aree a favore del Comune sia la cessione delle medesime a favore del soggetto attuatore, previsti dalla convenzione da stipulare con l’amministrazione locale, sono finalizzati alla realizzazione di immobili di edilizia economica e popolare. Pertanto, possono beneficiare del regime agevolativo previsto dall’articolo 32 del Dpr 601/1973, con applicazione dell’imposta di registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipocatastali.

IMMOBILI COMMERCIALI IN CRISI? “ESTENDERE LA CEDOLARE SECCA AI NEGOZI”

Girando per le strade delle nostre città è sempre più facile imbattersi in cartelli “affittasi” o “vendesi” su saracinesche abbassate. A denunciare la moria di negozi (e le conseguenti ripercussioni anche sul segmento immobiliare commerciale) è Confabitare, secondo cui “Si sta assistendo ad una desertificazione figlia della crisi, che colpisce in particolare i piccoli esercizi, con un crollo del mercato delle locazioni e ben 600.000 locali rimasti sfitti nel 2015 in tutt’Italia. E il primo semestre  2016 conferma l’andamento negativo”.

L’associazione ha analizzato l’incremento percentuale delle chiusure con riferimento al periodo tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2016, rispetto allo stesso periodo dell’anno 2015. E i dati che ne sono emersi sono allarmanti: +23,5% a Bologna, +23,2% a Milano; percentuali superiori al 22% a Torino, Genova, Napoli. 

Che fare per invertire la tendenza. La ricetta di Confabitare è semplice: estendere la cedolare secca agli affitti commerciali. “La nostra proposta – spiega il presidente nazionale Alberto Zanni – è quella di applicare anche ai locali commerciali l’aliquota fissa del 21% (o del 10% nei Comuni ad alta tensione abitativa), consentendo quindi ai proprietari di pagare un’imposta minore di quella ordinaria in cambio di un canone calmierato, inferiore rispetto a quello di mercato. Certo, lo Stato avrebbe un mancato introito, ma a trarne vantaggio sarebbe tutto il tessuto sociale. Avere negozi aperti significa posti di lavoro, più servizi e consumi, meno degrado. Con la nostra proposta della cedolare secca, che presenteremo a Governo e Parlamento in previsione della Legge di Stabilità 2017, vogliamo porre un freno alla moria dei negozi e alla desertificazione dei nostri centri urbani”.

DEMOLIZIONI NEGLI SPAZI COMUNI: IN GIUDIZIO TUTTI I COMPROPRIETARI

[A cura di: Ance Salerno]

L’ordine di demolizione di un muro realizzato in uno spazio comune del condominio è illegittimo se nel contenzioso non sono stati coinvolti tutti i proprietari. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 21359/2015.

Nel caso preso in esame, un condomino aveva citato in giudizio il vicino accusandolo di aver realizzato un muro nel sottoscala comune. Secondo il condomino, con la creazione del muro il vicino si era appropriato di una parte del sottoscala. Sulla base di questi motivi, il Tribunale aveva disposto la demolizione del muro. La sentenza è stata però considerata nulla perché non aveva considerato alcuni aspetti.

La Cassazione ha fatto notare che il condomino che aveva realizzato il muro era comproprietario, insieme alla moglie, dell’appartamento e della parte del sottoscala comune ad esso collegata. Quando aveva acquistato casa aveva infatti dichiarato di essere in regime di comunione legale con la moglie, che era quindi diventata comproprietaria dell’appartamento.

I giudici hanno spiegato che con l’acquisto i coniugi erano diventati proprietari non solo dell’appartamento, ma anche di una porzione delle parti comuni del condominio. Ciò significa che erano comproprietari di una parte del sottoscala e che nel contenzioso dovevano essere interpellati tutti e due perché la responsabilità della realizzazione del muro andava addebitata ad entrambi. Al contrario, ha sottolineato la Cassazione, era stato citato in giudizio solo uno dei comproprietari. L’altro non aveva ricevuto nessuna notifica e poteva quindi essere all’oscuro dell’accaduto.

La Cassazione ha quindi concluso affermando che bisogna sempre annullare le sentenze emesse quando dagli atti emerge che non sono stati citati tutti i comproprietari del bene su cui è stato realizzato il manufatto per il quale è stata chiesta la demolizione.

La presenza di questo vizio di forma ha reso necessaria la ripetizione delle procedure, con la notifica dell’atto di citazione a tutti i comproprietari e responsabili dell’abuso.

FACCIATA CONDOMINIALE REALIZZATA MALE: RISPONDE ANCHE IL DIRETTORE DEI LAVORI

[A cura di: Confappi – Fna]

In caso di cattiva esecuzione di lavori condominiali, l’impresa appaltatrice e il direttore dei lavori rispondono in solido dei danni arrecati ai condòmini. A stabilirlo è la sentenza della Corte di Cassazione Civile n.18521 del 21 settembre 2016, che si esprime in merito alla responsabilità da cattiva esecuzione dei lavori e respinge il ricorso di un professionista, chiarendo che il direttore dei lavori risponde, in solido con progettista e appaltatore, anche nel caso i vizi derivino da carenze progettuali, e che è sufficiente che le azioni abbiano concorso a produrre l’evento, anche se frutto di differenti illeciti, o della violazione di norme differenti.

Il caso da cui discende la sentenza è quello di un condominio che aveva citato in giudizio sia l’impresa cui aveva commissionato opere di manutenzione del tetto e della facciata condominiale, sia il direttore dei lavori, al fine di ottenere il risarcimento danni derivanti dalla cattiva esecuzione delle opere. In secondo grado, la Corte territoriale (confermando nella sostanza quanto già deciso in primo grado) aveva rilevato la responsabilità dei convenuti in misura del 70% a carico dell’impresa e del 30% a carico del direttore dei lavori. 

Contro tale pronuncia, tuttavia, il direttore dei lavori aveva proposto ricorso per cassazione. «In tema di contratto di appalto – recitano i giudici – il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore ed il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 cod. civ., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale».

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Cane addestrato

allaga il condominio

Voleva soltanto dissetarsi e, invece, ha finito per allagare un intero condominio, a cominciare dalla casa dei suoi padroni. Protagonista, un cane che vive con una famiglia in uno stabile di Forlì. Un cane capace di ruotare la manopola del rubinetto del bidet, in assenza di esseri umani ai quali “chiedere” dell’acqua. Evidentemente, però, non ha ancora imparato a compiere il movimento opposto in caso qualcuno abbia lasciato il tappo inserito. Il tempestivo arrivo dei vigili del fuoco, allertati dall’amministratore e dai vicini di casa, ha permesso di evitare maggiori danni. 

Crollano i balconi: 

evacuato il condominio

Inizialmente si era pensato a uno scoppio, causato da una fuga di gas. Invece sono ancora da accertare le cause del crollo dei balconi di un condominio di Novara, per fortuna senza conseguenze per i residenti. L’incidente è avvenuto in mattinata, innescato dal cedimento del balcone posto all’ultimo piano di un cortile interno che ha trascinato con sé i ballatoi sottostanti. Il crollo ha provocato anche la rottura dei tubi del gas, rendendo necessaria l’evacuazione dell’intero stabile da parte dei vigili del fuoco.

Inquilino malato

terrorizza il vicinato

È finita direttamente al Municipio di Mantova la diatriba che ha per protagonisti, da un lato i condòmini di una edificio popolare, e dall’altro un inquilino con problemi psichici. Un uomo particolarmente rumoroso e, a detta dei residenti, offensivo. Tanto da generare negli altri 35 inquilini una sensazione, addirittura, di paura nell’uscire di casa. In particolare, a turbare il difficile equilibrio del condominio sarebbero le urla continue, gli insulti a seguito di tentativi di aiuto e alcuni episodi di nudismo verificatisi nell’androne. Preso atto delle lamentele, l’amministrazione cittadina è intervenuta garantendo il monitoraggio del caso, per altro, già noto agli uffici comunali.

Auto sfonda una casa

91enne perde la vita

Tragico incidente in provincia di Pistoia, dove un’auto che stava percorrendo la strada statale, per cause ancora da accertare, si è schiantata frontalmente contro una casa di un comune della zona. Nell’impatto ha perso la vita un uomo di 91 anni che si trovava sul sedile posteriore della vettura. Quando sono arrivati i soccorritori, ormai non c’era più nulla da fare. Gli altri due occupanti del veicolo se la sono cavata con qualche graffio, mentre non si registrano feriti tra i residenti dell’abitazione, il cui muro che dà sulla strada è stato letteralmente sfondato dal muso della vettura. 

Tenta di rientrare in casa

dal balcone: muore 

Un uomo di 68 anni è precipitato dal secondo piano di una palazzina del centro di Otranto, nel rocambolesco tentativo di rientrare nel suo appartamento, situato al primo piano. Il 68enne, che si trovava lì in vacanza, aveva dimenticato le chiavi dentro casa ed era rimasto chiuso fuori. Voleva calarsi dal terrazzo del piano di sopra e si era premurato di acquistare una corda con la quale aveva intenzione di assicurarsi al balcone. A farlo cadere potrebbe essere stato un passo falso, oppure la corda non abbastanza resistente.

LE MAGGIORANZE E I CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE CONDOMINIALI

[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci] 

Il legislatore del 1942, introducendo, con l’art. 1117 codice civile, la materia del condominio, non ne specifica la natura, né vi ha provveduto il legislatore del 2012 con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, mentre la giurisprudenza lo ha ritenuto un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica, seppure recentemente gli sia stata riconosciuta una soggettività giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663).

Il precitato articolo 1117 indica soltanto i beni condominiali che, si presumono, comuni a tutti i partecipanti al condominio, ben potendo una parte, però, essere di proprietà esclusiva di un singolo (per esempio, una chiostra interna al condominio). In ogni caso si tratta di una rilevante specificazione che costituisce la base di valutazione dei beni, strutturali e tecnologici, e dei servizi sia da parte degli stessi condòmini sia da parte dell’amministratore del condominio, per stabilirne la condominialità o meno. Su tale presupposto, infatti, si fondano le disposizioni di tutti i successivi articoli dello stesso codice civile, compresi quelli delle sue disposizioni di attuazione, e di tutte le leggi speciali in materia.

L’art. 1117 codice civile, dunque, si limita a elencare i beni che si presumono di proprietà comune in relazione alla loro oggettiva funzione e al loro concreto collegamento strutturale con le unità immobiliari di proprietà esclusiva, anche se tale elenco non abbia natura tassativa ma solo ricognitiva (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501).

Nel condominio vi possono essere parti e impianti che servono esclusivamente alcuni condòmini e non altri, come le scale e i cortili installati in edifici a plurima composizione; in questi casi, i beni si presumono comuni ai soli condòmini che ne godono e che li utilizzano (Cass. civ., Sez. II, 5 maggio 2016, n. 9035). 

Considerato che tutti i beni comuni sono collegati strutturalmente e funzionalmente alle unità di proprietà esclusiva e sono a queste strumentali, ne consegue che tutti i condòmini devono provvedere alla loro conservazione e, se del caso, al loro miglioramento, con particolare riferimento all’uso e al godimento dei medesimi. La relativa contribuzione è fondata sulla contitolarità della proprietà dei beni condominiali e l’obbligazione che ne deriva è una obbligatio proter rem, alla quale nessuno può sottrarsi ai sensi dell’art. 1118 codice civile.

RIPARTIZIONE DELLE SPESE

Le spese, e il correlato riparto tra i condòmini in forza del valore della quota millesimale di ciascuno, sono disciplinate dall’art. 1123 codice civile. Va, innanzitutto, ribadito che quest’ultimo articolo è un articolo derogabile e pertanto il criterio indicato può essere sostituito con un altro, purché deliberato e accettato dall’intera compagine condominiale.

Se, viceversa, una clausola contrattuale del regolamento allegato ai contratti di compravendita o approvato in assemblea da tutti i partecipanti al condominio e dagli stessi sottoscritto, non prospetta un criterio derogativo di quello stabilito dall’art. 1123 codice civile, i condòmini e l’amministratore devono attenersi a questo.

Con il primo comma di questo articolo, il legislatore ha determinato le modalità di ripartizione delle spese che ineriscono alla conservazione delle parti comuni e alla prestazione dei servizi a favore dei condòmini. Le spese che riguardano la conservazione dei beni condominiali sono relative al loro ripristino al fine di garantirne l’uso costante e la funzione strutturale permanente.

LE MAGGIORANZE

L’approvazione delle spese e del relativo riparto, sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire in assemblea con una delibera assunta dalla maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio condominiale, seppure per le sole spese concernenti la manutenzione ordinaria dei beni comuni e l’esercizio dei servizi condominiali; per le spese inerenti alla manutenzione straordinaria di notevole entità delle cose comuni, la delibera deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentante almeno la metà del valore millesimale dello stabile condominiale, eccettuate specifiche fattispecie inerenti, tra l’altro, alla normativa concernente il risparmio energetico. Tuttavia, in caso di vendita di una unità immobiliare, se nel condominio siano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento dell’adozione della delibera assembleare, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2013, n. 8782). 

Viceversa, per quanto attiene alle spese di manutenzione ordinaria, queste hanno il loro momento costitutivo nell’esecuzione degli interventi programmati o resisi necessari nelle more della gestione, mentre le spese straordinarie nella data della delibera che li ha approvati.

La manutenzione straordinaria inerisce, tra l’altro, alle opere necessarie per rinnovare, sostituire e integrare parti degli impianti tecnologici (Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).

SOLIDARIETÀ

Come è noto, l’art. 63 disp. att. codice civile, inerisce alla responsabilità solidale tra acquirente e alienante sino a che non sia inviata copia autentica del contratto di compravendita all’amministratore. La necessità della trasmissione è incomprensibile, considerato che sarebbe stato sufficiente una dichiarazione ad hoc del notaio rogante.

Si deve, altresì, osservare come la suddetta solidarietà inerisca, esclusivamente, alla gestione in corso al momento dell’atto di compravendita e a quella immediatamente precedente; nulla rileva la circostanza che l’amministratore abbia indicato nel riparto consuntivo anche il debito delle gestioni precedenti, che rimane ad esclusivo carico dell’alienante. Inoltre tale norma vale solo per la successione di proprietà inter vivos, in quanto la successione mortis causa determina l’addebito dell’intera somma dovuta dal de cuius a tutti i suoi eredi poiché questi subentrano, a titolo universale, nella identica posizione giuridica ed economica del loro dante causa, sempre che non abbiano rinunciato all’eredità o l’abbiano accettata con beneficio d’inventario. 

I soggetti obbligati al pagamento sono gli effettivi titolari dei diritti reali delle singole unità immobiliari, costituenti il condominio; i nudi proprietari devono pagare le spese per la manutenzione straordinaria delle parti e degli impianti comuni, mentre gli usufruttuari, così come i titolari dei diritti di uso e di abitazione, ai quali si applica la normativa inerente all’usufrutto ex art. 1026 codice civile, devono pagare le spese della gestione amministrativa ordinaria; la ripartizione tra costoro deve essere specificata nel riparto preventivo e consuntivo allegati al rendiconto annuale. Il nudo proprietario è solidamente responsabile con l’usufruttuario per l’eventuale morosità di questi e viceversa in forza dell’ultimo comma del novellato art. 67 disp. att. codice civile.

Il secondo e il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, apparentemente sembrano stabilire il medesimo principio. Viceversa, il legislatore ha voluto individuare due differenti fattispecie.

IL GODIMENTO

Con il secondo comma il legislatore ha disciplinato il godimento, da parte di ciascun condomino, dei beni comuni, affinché la spesa relativa, addebitabile a questi, sia proporzionata all’uso che del bene il singolo effettua. Le ipotesi più frequenti sono rappresentate dall’uso dell’ascensore per chi abita i piani alti dello stabile o dall’uso dell’impianto di riscaldamento dovuto all’inserimento negli appartamenti, ad esempio, siti all’ultimo piano dello stabile, di un maggior numero di elementi radianti.

Considerato che alcuni condòmini effettuano un più intenso uso di una parte o di un impianto, logorano la struttura e/o determinano un più frequente servizio manutentivo, sono chiamati a pagare una quota di spesa superiore agli altri. Il concetto di uso del bene si riferisce a un suo uso potenziale e astratto e non al suo godimento effettivo, che il singolo, per sua scelta, può trarne (App. Ancona 29 marzo 2016, in Leggi d’Italia).

Per questo motivo è opportuno che in ogni condominio unitamente alla tabella dei millesimi di proprietà, sussistano le tabelle di gestione relative, ad esempio, al servizio di portierato, alla manutenzione del giardino, al consumo dell’acqua, all’uso dell’ascensore, all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento.

CONDOMINIO PARZIALE

Il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, introduce il concetto del così detto condominio parziale basato sulla delimitazione dell’appartenenza di un determinato bene soltanto a un gruppo di condòmini con esclusione degli altri; si pensi, ad esempio, a una chiostra che fornisca aria e luce soltanto ad alcuni appartamenti, ma non a tutti quelli che costituiscono l’edificio condominiale.

Indipendentemente dalla qualificazione “comune” di un bene, fornita dal regolamento condominiale, è necessario verificarne la concreta destinazione d’uso, in quanto se finalizzata all’utilità esclusiva di una porzione dello stabile, soltanto i proprietari di questa devono sopportarne le spese manutentive (Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).

L’art. 1123 codice civile costituisce il principio generale inerente ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali; tuttavia, lo stesso legislatore ha voluto disciplinare, direttamente, alcune fattispecie, quali le scale e gli ascensori (art. 1124 codice civile), i solai (art. 1125 codice civile), i lastrici solari e le terrazze a livello (art. 1126 codice civile). Questi articoli non sono altro che i corollari dei principi previsti nell’art. 1123 codice civile e si rammenta che sono tutti derogabili, per cui una convenzione, assunta da tutti, indistintamente, i condomini, può stabilire un differente criterio.

Così, la clausola contrattuale del regolamento può esonerare dal pagamento delle spese i proprietari delle sole autorimesse con accesso diretto dalla strada e che non costituiscono pertinenze degli appartamenti dello stabile. Non è, viceversa, idonea, poiché nulla, una delibera assembleare che modifichi, a maggioranza, la originaria tabella millesimale, considerato che incide sui diritti soggettivi dei singoli condòmini e una, siffatta, limitazione deve essere espressamente accettata da ogni aderente.

Infine, si rammenta che tutti i condòmini sono obbligati a corrispondere le spese che l’amministratore ha sostenuto ai sensi del secondo comma dell’art. 1135 codice civile, limitatamente, però, a quelli inerenti all’eliminazione dei pericoli che abbia potuto causare e non anche alla sua manutenzione e/o al suo risanamento, per esempio, devono essere pagate le spese di rimozione delle parti pericolanti di un cornicione ammalorato, ma non il suo ripristino.

ANIMALI IN CONDOMINIO: LA GIURISPRUDENZA E LE INCONGRUENZE DELLA RIFORMA

[A cura di: avv. Giuliana Bartiromo Centro studi nazionale Appc] 

Recentemente il Tribunale ordinario di Cagliari con l’ordinanza del 22 luglio 2016 ha riproposto uno dei temi più accesi in condominio, quello della detenzione di animali e la distinzione tra regolamento assembleare e contrattuale.

In particolare, un condomino proponeva ricorso ex art. 702 cpc per sentire dichiarata la nullità di un articolo del regolamento di condominio che vietava di tenere animali domestici. Tale ricorso veniva fondato sulla disposizione contenuta nell’art. 1138 c.c. ultimo comma, modificata a seguito della L. 220/2012 di riforma del condominio, in base alla quale le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.

Il condominio costituitosi sosteneva ovviamente la natura contrattuale del regolamento condominiale, predisposto dall’originario unico costruttore, accettato da tutti i proprietari e richiamato in ogni atto di acquisto dai singoli acquirenti eccependo, pertanto, che l’art. 1138 c.c., modificato dall’innovazione introdotta dalla legge di riforma, riguardasse esclusivamente i regolamenti assembleari, ossia quelli assunti a maggioranza.

Ebbene, il tribunale di Cagliari ha accolto il ricorso del condomino, ritenendo che la clausola del regolamento sia affetta da nullità sopravvenuta, conseguente all’introduzione della L. 220/2012 che ha modificato, tra le altre disposizioni, anche l’art. 1138 c.c. a mente del quale “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”

Il tribunale specifica che la norma contenuta nel regolamento condominiale risulta contraria ai principi di ordine pubblico e del diritto europeo che tende invece a valorizzare il rapporto uomo-animale. Si fa riferimento nell’ordinanza al diritto di visita in carcere al cane del detenuto, in quanto membro della famiglia o al diritto di visita in ospedale al cane del paziente ricoverato, atteso che il rapporto uomo-animale realizza l’intera personalità umana.

L’ordinanza fa espresso richiamo anche alla legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione al randagismo, ossia la L. 281/1991 (la stessa che fu utilizzata dal Tribunale di Milano nel 2009 che aveva respinto il ricorso di un gruppo di proprietari verso una condomina amante dei gatti che dava cibo ai gatti randagi ed aveva creato per di più dei rifugi per gli stessi nelle parti comuni del condominio).

A livello europeo viene richiamata la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia firmata a Strasburgo il 13.11.1987 e ratificata ed eseguita in Italia con la Legge 201/2010 nella quale viene sancito l’obbligo morale dell’uomo di rispettare tutte le creature viventi compresa l’importanza degli animali da compagnia ed il loro valore per la società e per l’uomo ed il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ratificato con legge 130/2008, nonché il nuovo Codice della Strada che ha disposto l’obbligo di fermarsi a soccorrere l’animale ferito in caso di incidente.

L’ordinanza del Tribunale di Cagliari, in pratica, estende la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. a tutti i regolamenti assembleari e contrattuali, stabilendo che è pur vero che l’art. 1138 c.c. detta le norme per l’adozione dei regolamenti c.d. assembleari, tuttavia nella norma non v’è alcuna indicazione alla natura del regolamento e pertanto è valevole per qualsiasi regolamento, indipendentemente dalla fonte.

Pertanto, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato la nullità della clausola che vietava la detenzione di animali nel regolamento condominiale contrattuale ed ha condannato il condominio alle spese di giudizio. 

I REGOLAMENTI

Questa pronuncia si configura di certo come una novità rispetto alla scolastica e consolidata differenza tra regolamento assembleare approvato a maggioranza dai condòmini, modificabile a maggioranza e che non può limitare, ma si limita a regolare e che non può privare nessun condomino dei diritti che la legge gli riconosce rispetto al regolamento di natura contrattuale, predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio e trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale, vincolando tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l’uso di godimento di servizi delle parti comuni, ma anche per quelle che limitano il potere e le facoltà dei singoli condòmini sulle loro proprietà esclusive.

Il regolamento contrattuale, essendo un contratto tra le parti, ha un contenuto “libero” salvo che le pattuizioni riguardino diritti liberamente disponibili e siano meritevoli di tutela e può limitare, pregiudicare o ridurre i diritti e le facoltà spettanti ai singoli, ai quali possono essere imposti anche obblighi non spettanti dalla legge.

QUALE NOVITÀ

Questa pronuncia destabilizza di certo tutte le convinzioni e le differenze tra regolamenti assembleari e contrattuali, tant’è che a proposito dell’introduzione della legge di riforma, all’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. non era risultata una novità, in quanto l’assemblea condominiale non può, con voto a maggioranza, imporre ad un condomino di astenersi dal tenere cani nel proprio appartamento e, quindi, né prima né ora alcun regolamento condominiale approvato a maggioranza può vietare di detenere animali.

Solo un regolamento di natura contrattuale invece, può limitare e vietare la detenzione di animali. Tant’è che sia la giurisprudenza di legittimità che di merito negli anni hanno sempre stabilito che se il divieto di tenere animali è espresso nel regolamento contrattuale, si ritiene pienamente legittimo e quindi vigente l’obbligo-divieto di tenere animali in condominio da parte dei condòmini che a tanto si sono obbligati in virtù del regolamento contrattuale.

Faccio riferimento ad esempio alla Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 febbraio 2011 n. 3705, che appunto stabiliva che “Il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali”.

La corte di Cassazione con tale sentenza ha sancito che le clausole del regolamento condominiale contrattuale, che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condòmini sulle parti di loro esclusiva proprietà, possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari. Pertanto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti “assembleari” importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva.

LE INCONGRUENZE

Sembra quasi che le incongruenze, i vuoti della riforma, stiano pian piano venendo al pettine. Insomma, già nella prima versione dell’art. 1138 c.c. si parlava di animali da compagnia; poi per evitare delle discriminazioni e problematiche tra le associazioni animaliste si è scelto di usare l’espressione “animali domestici”. Sebbene questa espressione, ricomprenda, non solo gatti e cani, ma anche cavalli, conigli, maialini ecc. Certo è che la norma che vieta la detenzione di animali domestici è stata inserita nell’art. 1138 c.c. che disciplina i regolamenti assembleari, perché si è voluto statuire concretamente e per iscritto un principio assodato in giurisprudenza. Diverso, a mio avviso, è il caso del regolamento contrattuale predisposto dall’originario costruttore, richiamato negli atti di acquisto ed accettato dagli acquirenti, che, a mio parere, può contenere divieti sui quali la riforma non può agire.

Inoltre, la commissione Giustizia del Senato, in sede di approvazione della norma, aveva chiarito che il divieto non riguardava i regolamenti di natura contrattuale in coerenza con i principi dell’autonomia contrattuale (articolo 1322 del Codice civile) consentendo ai condòmini di deliberare limitazioni ai diritti dominicali loro spettanti. Infatti, proprio l’articolo 1138, al quarto comma, prevede che le disposizioni contenute nel regolamento assembleare “non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni” (intendendosi come tali i regolamenti di natura contrattuale). Peraltro, la previsione contenuta al comma quinto dell’articolo 1138, che impedisce di vietare la detenzione di animali domestici, non è altro che il risultato di un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cassazione, sentenze 3705/2011, 13164/2001 e 12028/1993) che, nel corso di questi anni, ha negato validità al divieto di detenere o possedere animali domestici contenuti nei regolamenti di natura assembleare.

Per quanto riguarda la questione della irretroattività della legge, atteso che i più rivoluzionari stabiliscono che la disposizione dell’art. 1138 c.c. renda nulli tutti i regolamenti, anche quelli preesistenti alla legge di riforma, è bene ricordare che la legge non dispone che per l’avvenire: quindi i regolamenti assembleari deliberati prima del 18 giugno 2013, anche se contengono divieti alla detenzione di animali, restano validi sino a eventuale modifica in assemblea.

BONUS MOBILI: I DUBBI DEI CONTRIBUENTI E GLI ULTIMI CHIARIMENTI DELLE ENTRATE

Il bonus mobili “tradizionale” e quello per le giovani coppie. Quattro quesiti pervenuti alla sua rubrica di posta fiscale, curata dall’esperto Gianfranco Mingione, hanno fatto sì che l’Agenzia delle Entrate, tramite il suo organo ufficiale d’informazione, “Fisco Oggi”, dedicasse una sorta di focus alle detrazioni fiscali attualmente spettanti per l’acquisto del mobilio. Riportiamo, di seguito, le domande dei contribuenti e i chiarimenti delle Entrate.

BONUS GIOVANI COPPIE: A CHI SPETTA

D. Il bonus per l’acquisto di mobili da parte di giovani coppie che comprano l’abitazione principale spetta anche a chi compra casa da solo e ha meno di 35anni?

R. L’agevolazione è riservata alle giovani coppie costituenti un nucleo familiare composto da coniugi o da conviventi more uxorio da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni, acquirenti di un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale della coppia (articolo 1, comma 75, legge 208/2015). Il requisito della convivenza deve risultare nell’anno 2016 e deve essere attestato dall’iscrizione dei due componenti nello stesso stato di famiglia oppure attraverso autocertificazione. L’acquisto dell’unità immobiliare può essere effettuato da entrambi i coniugi o conviventi more uxorio o da uno solo di essi; in quest’ultimo caso, a comprare deve essere il componente che non ha superato il 35° anno d’età (circolare 7/E del 2016).

BONUS GIOVANI COPPIE: IL PAGAMENTO

D. Per fruire del bonus mobili giovani coppie, quali mezzi di pagamento è possibile utilizzare? Se si opta per il bonifico, deve avere requisiti particolari?

R. Il pagamento delle spese sostenute per l’acquisto dei mobili destinati ad arredare l’abitazione principale della giovane coppia può essere effettuato, alternativamente, con bonifico bancario o postale o con carta di debito o credito. Qualora il pagamento sia disposto con bonifico, non occorre utilizzare quello – soggetto a ritenuta – appositamente predisposto da banche e Poste italiane Spa per le spese di ristrutturazione edilizia. Non è in ogni caso consentito l’impiego di assegni bancari, contanti o altri mezzi di pagamento (paragrafo 2.4 della circolare 7/E del 2016).

BONUS MOBILI E DESTINAZIONE IMMOBILE

D. A ottobre comprerò casa assieme alla mia compagna, con la quale convivo da più di tre anni. L’appartamento potrà essere destinato a nostra abitazione principale solo a gennaio 2017. Ci spetta il bonus mobili per giovani coppie?

R. L’agevolazione cui si riferisce il lettore è stata introdotta dall’ultima legge di stabilità e spetta per le spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 per l’acquisto di mobili destinati all’arredo dell’abitazione principale della giovane coppia (almeno uno dei due non deve aver superato i 35 anni di età). L’acquisto dell’unità immobiliare deve avvenire nel 2015 o nel 2016, mentre la destinazione della stessa ad abitazione principale di entrambi i componenti della coppia, per gli immobili acquistati nel 2016, può avvenire anche più in là, comunque entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi per quell’annualità, quindi entro il termine di presentazione del modello Unico Pf 2017 (circolare 7/2016).

BONUS MOBILI E DOCUMENTAZIONE DI SPESA

D. Lo scorso anno ho effettuato dei lavori di ristrutturazione nel mio appartamento. Contestualmente ho comprato degli elettrodomestici, pagando con bancomat. È sufficiente lo scontrino fiscale ai fini della detrazione?

R. Si ha diritto al “bonus mobili” anche in caso di pagamento effettuato tramite moneta elettronica (carta di credito o bancomat). In tale ipotesi, se il rivenditore non emette fattura, è necessario che nello scontrino siano indicati il codice fiscale dell’acquirente e la natura, qualità e quantità dei beni acquistati. In caso di mancata indicazione del codice fiscale dell’acquirente, lo scontrino può comunque consentire la fruizione del beneficio, se riporta natura, quantità e qualità dei beni acquistati ed è riconducibile al contribuente titolare della carta in base alla corrispondenza con i dati del pagamento (esercente, importo, data e ora). Per i pagamenti effettuati con carte di debito o di credito, va conservata anche la ricevuta di avvenuta transazione.

DOMOTICA: IL VADEMECUM DELL’ENEA PER ACCEDERE AGLI INCENTIVI FISCALI

È disponibile sul sito dell’ENEA un vademecum realizzato dagli esperti dell’Unità tecnica efficienza energetica con le indicazioni per accedere agli ecoincentivi per la building automation: vale a dire i dispositivi multimediali che consentono il controllo intelligente degli impianti termici da remoto

(efficienzaenergetica.acs.enea.it/tecno/buildingautomation.pdf). 

Secondo quanto previsto dalla Finanziaria 2016, sono ammesse alla detrazione del 65% le spese per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi elettronici, elettrici e meccanici che consentano la gestione automatica personalizzata a distanza di impianti di riscaldamento, di climatizzazione estiva e per produrre acqua calda sanitaria. La documentazione per usufruire della detrazione delle spese sostenute va inviata sul sito finanziaria2016.enea.it.

Per poter usufruire dell’ecobonus, il vademecum chiarisce quali sono le opere di domotica incentivate, le caratteristiche tecniche dell’intervento e i requisiti dell’immobile dove viene effettuato. In particolare, alla data della richiesta di detrazione, l’immobile deve essere accatastato o con richiesta di accatastamento in corso; inoltre deve essere dotato di impianto di riscaldamento e risultare in regola con il pagamento di eventuali tributi. L’intervento deve configurarsi come fornitura e messa in opera, nelle unità abitative, di dispositivi che consentano la gestione automatica personalizzata degli impianti di riscaldamento o produzione di acqua calda sanitaria o di climatizzazione estiva, compreso il loro controllo da remoto attraverso canali multimediali, eseguiti indipendentemente dalle installazioni e sostituzioni di impianti di climatizzazione invernale.

Sono ammesse anche la fornitura e posa in opera di tutte le apparecchiature elettriche, elettroniche e meccaniche nonché delle opere elettriche e murarie necessarie per l’installazione e la messa in funzione a regola d’arte, all’interno degli edifici, di sistemi di building automation degli impianti termici degli edifici. Non si può invece usufruire dell’ecobonus per l’acquisto di dispositivi che servono per interagire da remoto, come ad esempio telefoni cellulari, tablet o personal computer.

Gli interventi di building automation potranno essere realizzati sia indipendentemente che in abbinamento con interventi di riqualificazione degli impianti per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria previsti dai decreti sugli ecobonus.

Per tutte le indicazioni tecniche e procedurali rimane attivo l’apposito servizio di consulenza online alla pagina www.acs.enea.it/contatti/.