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DELIBERA NULLA SE SI LEDONO DIRITTI ESCLUSIVI DEI CONDÒMINI (A MENO DI UNANIMITÀ)

[A cura di: Fulvio Graziotto – Studio Graziotto, www.studiograziotto.com

La Cassazione, nell’affrontare una controversia remota, ritorna sulla rilevabilità d’ufficio delle deliberazioni assembleari nulle e su altre rilevanti questioni: nel condominio, la lesione dei diritti esclusivi dei singoli condòmini comporta la nullità della deliberazione assembleare se non c’è l’unanimità. 

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Corte di Cassazione

sez. II civile

sent. n. 4726/2016

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Il caso

Alcune comproprietarie di nove appartamenti agivano in giudizio contro il condominio chiedendo la sospensione dei lavori di realizzazione di un ascensore esterno, la demolizione della “gabbia” in costruzione e il risarcimento dei danni offerti per l’opera illegittimamente eseguita e lesiva della proprietà esclusiva. Il Tribunale, dopo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), condannava in solido amministratore e condominio, i quali proponevano appello, non accolto, e successivamente ricorrevano in Cassazione, che ha rigettato il ricorso.

La decisione

I ricorrenti in Cassazione lamentavano che la Corte d’Appello ha reputato nulla la delibera assembleare, “poiché è stato accertato dal C.T.U. che la gabbia in muratura lede il diritto di proprietà esclusiva dell’appellata”. 

Ma la Suprema Corte conferma l’operato del giudice di merito: «che la corte di merito abbia in dipendenza degli esiti della c.t.u. correttamente opinato per la nullità della delibera, rinviene riscontro nel consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità». 

La Corte richiama due precedenti pronunce: «in tema di condominio di edifici, i poteri dell’assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda (cfr. Cass. 27.8.1991, n. 9157, ove si soggiunge, che, pertanto, non è consentito alla maggioranza dei condòmini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell’impianto di riscaldamento in un locale di proprietà esclusiva, con pregiudizio di tale proprietà, senza il consenso del proprietario de/locale stesso; cfr., altresì, Cass. 14.12.2007, n. 26468, secondo cui, in tema di condominio, i poteri dell’assemblea condominiale possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, soltanto quando una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o in riferimento ai singoli atti o mediante approvazione del regolamento che la preveda, in quanto l’autonomia negoziale consente alle parti di stipulare o di accettare contrattualmente convenzioni e regole pregresse che, nell’interesse comune, pongano limitazioni ai diritti dei condòmini)»

E ricorda che «il rimedio dell’impugnazione offerto dall’art 1137 c.c. nei confronti delle deliberazioni assembleari condominiali – e la disciplina relativa, anche in ordine alla decadenza – riguarda unicamente le deliberazioni annullabili e non quelle nulle (cfr. Cass. 10.6.1981, n. 3775, ove si soggiunge che, pertanto, il provvedimento con cui l’amministratore del condominio, esorbitando dai suoi poteri, leda i diritti dei singoli condòmini sulle cose comuni, in quanto affetto da radicale nullità, – impugnabile davanti all’autorità giudiziaria, con azione non soggetta ai termini di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137, 30 co., c. c.)»

Quindi si esprime sulla rilevabilità d’ufficio: «il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale; ed, inoltre, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Cass. sez. un. 12.12.2014, n. 26242; si veda anche Cass. 15.3.1986, n. 1768, secondo cui il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un negozio giuridico non comporta il suo dovere di indagare circa tutte le possibili cause di nullità del negozio di cui si discuta nel processo, ma opera soltanto nei limiti in cui la nullità già emerga in modo certo dagli atti processuali)»

Nel decidere sul ricorso, la Suprema Corte evidenzia anche che «in ossequio al canone di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, del pari avrebbero dovuto i ricorrenti, onde consentire il riscontro, il vaglio dei propri assunti, riprodurre più o meno testualmente nel corpo del ricorso il testo della relazione di consulenza tecnica d’ufficio»

La pronuncia si chiude con il rigetto del ricorso e la condanna alle spese del giudizio. 

Osservazioni 

La decisione affronta tre aspetti importanti: 

1) l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in Cassazione solo per violazione dei criteri legali di interpretazione o per vizio di motivazione; 

2) il rimedio dell’impugnazione delle delibere assembleari condominiali (e i relativi termini di decadenza) riguarda solo le deliberazioni annullabili, mentre quelle nulle sono sempre rilevabili d’ufficio; 

3) le risultanze della CTU (consulenza tecnica d’ufficio) in contrasto con la decisione oggetto di ricorso in Cassazione devono essere riprodotte nel corpo del ricorso per Cassazione, in ossequio al canone di “autosufficienza” dello stesso.

Disposizioni rilevanti 

* REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 

* Codice civile vigente al: 30-4-2016 

Art. 1137 – Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea 

Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini. 

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. 

L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria. 

L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende nè interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l’esclusione dell’articolo 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile. 

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Incendio nel catanese

12enne salva i fratellini

Vicenda a lieto fine in una villetta in provincia di Catania, assalita dalle fiamme a seguito di un corto circuito. A mettere in salvo i due bimbi piccoli che si trovavano al piano superiore è stato il fratello maggiore di 12 anni. Nonostante il fumo stesse cominciando a propagarsi rapidamente, il ragazzino ha avuto il sangue freddo di chiamare i vigili del fuoco e, nell’attesa del loro arrivo, di portare i due fratelli minori, rimasti nella loro cameretta, in una zona sicura della casa. Poco dopo sono arrivati i carabinieri e il nonno, uscito per accompagnare la moglie a lavoro.

Li chiudono in bagno

e gli svaligiano casa

Li hanno malmenati, immobilizzati e chiusi in bagno. Così un gruppo di tre banditi ha rapinato due coniugi residenti in una casa isolata in provincia di Arezzo. I ladri sono entrati nell’abitazione poco dopo le 22, passando da una finestra e non preoccupandosi del fatto che in casa vi fossero i proprietari. Anzi, dopo essersi fatti dare indicazioni sull’ubicazione della cassaforte, hanno agito indisturbati portando via contanti e gioielli per svariate migliaia di euro. A far scattare l’allarme e a liberare le due vittime è stato il figlio, rientrato in casa soltanto la mattina seguente.

La badante infedele

deruba una 96enne

Una badante 41enne di origine filippine ha approfittato dell’età avanzata della sua assistita per portarle via da casa numerosi oggetti preziosi e alcuni pezzi di argenteria. Fortunatamente, poco dopo essersi allontanata dall’appartamento dell’anziana presso il quale prestava servizio, i carabinieri del nucleo operativo di Roma l’hanno intercettata, ancora in possesso della refurtiva. La badante “infedele”, già nota alle forze dell’ordine, è stata portata in caserma in attesa di essere sottoposta al rito per direttissima. L’intero bottino è stato restituito alla vittima di 96 anni.

Ruba corrente elettrica,

denunciato condomino

Un uomo di 37 anni, proprietario di un appartamento nel ternano, è stato colto in flagrante dall’amministratore di condominio mentre rubava corrente per alimentare il proprio appartamento. Il 37enne aveva divelto la scatola di derivazione dell’energia, posta sul pianerottolo, collegandovi un filo elettrico che conduceva direttamente alla sua casa. Proprio quel filo sospetto aveva spinto l’amministratore ad allertare la polizia. Scoperto lo stratagemma, il proprietario è stato denunciato dalla polizia per furto aggravato di energia elettrica

Coltiva erba in casa: 

in manette 32enne

Guai seri per un 32enne residente in un comune alle porte di Bassano dopo che le forze dell’ordine hanno scoperto, in un appartamento di sua proprietà, una coltivazione di marijuana e attrezzi per il confezionamento. I militari hanno atteso che il giovane uscisse dallo stabile per fermarlo e riportarlo nell’abitazione, all’interno della quale hanno scoperto la piantagione illecita. I carabinieri hanno arrestato l’uomo e proceduto al sequestro di ben 145 piantine, la metà di altezza tra gli 80 centimetri e i due metri, oltre a un chilo e mezzo di marijuana già essiccata, pronta per lo smercio al dettaglio.

PROPRIETÀ IMMOBILIARE E CONDOMINIO: LE SCADENZE FISCALI DI MAGGIO

È in linea, sul sito internet di Confedilizia, l’aggiornamento relativo allo “Scadenzario tributario del proprietario di casa e del condominio”, curato dall’Organizzazione della proprietà immobiliare. Nel documento sono specificati gli adempimenti relativi al mese di maggio, per i quali lo Scadenzario indica nel dettaglio soggetti obbligati, modalità dell’adempimento, codici tributo e ogni altra indicazione pratica utile agli interessati. Nel dettaglio, tali adempimenti sono i seguenti: 

* il versamento, da parte del condominio, delle ritenute alla fonte e delle addizionali regionale e comunale Irpef;

* la registrazione dei contratti di comodato, sia scritti sia verbali, ai fini delle agevolazioni Imu-Tasi; 

* la registrazione dei contratti di locazione e il versamento delle imposte relative alle singole annualità, con illustrazione delle diverse regole in caso di applicazione o meno della cedolare secca. Lo Scadenzario Confedilizia evidenzia, in particolare, che in caso di locazioni ad uso abitativo regolate dalla legge n. 431/’98, il locatore – entro 60 giorni dall’avvenuta registrazione – deve darne “documentata comunicazione” al conduttore ed all’amministratore del condominio. 

Sconto Imu per chi riduce il canone d’affitto: il caso di Torino

[A cura di: Vincenzo Perrotta] Aliquote più basse per i proprietari di alloggi e locali commerciali che decidono di rivedere al ribasso il contratto d’affitto in favore di inquilini ed esercenti; agevolazioni per chi concede l’immobile ad associazioni che si occupano di profughi e richiedenti asilo e per chi ospita luoghi dedicati alla cultura. Questa la ricetta anticrisi del Comune di Torino per agevolare il comparto della locazione e rendere meno oneroso il carico fiscale di chi affitta. Lo sconto sarà di un punto percentuale (dal 10,6 al 9,6 per mille) nel caso di una riduzione del canone annuo compresa tra il 10 e il 20 per cento, e di due punti percentuali (dal 10,6 all’8,6 per mille) se è la riduzione sarà superiore al 20. Le aliquote passeranno dal 10,6 all’8,6 per mille per le abitazioni concesse in locazione o comodato a soggetti affidatari di servizi di accoglienza per immigrati richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. E ancora, l’alleggerimento dell’imposta sui locali utilizzati come cinema sarà di un punto percentuale (dal 10,6 al 9,6 per mille), mentre per le unità immobiliari di proprietà o concesse in locazione a imprese e start up passerà dal 10,6 all’8,6 per i primi due anni di attività.
Sulle novità, attualmente al vaglio del Consiglio comunale, abbiamo sentito l’assessore locale al Bilancio del capoluogo subalpino, Gianguido Passoni. 

Assessore Passoni, che cosa vi ha spinto a introdurre riduzioni sulle aliquote Imu per i proprietari che decidono di ricontrattare il canone di locazione?
Siamo in una situazione in cui la proprietà immobiliare e l’inquilinato attraversano sulla propria pelle la crisi del mercato immobiliare, ma non soltanto: anche la crisi economica in generale. Le situazione di finita locazione, cioè di sfratto, sia sull’abitativo che sul commerciale, causate dall’impossibilità di pagare e dalla morosità sono in aumento. Pensiamo sia opportuno dare una seconda chance a proprietario e inquilino per poter concordare un canone che metta d’accordo le parti. Per fare questo, la città di Torino, usando una norma nazionale già approvata tempo fa, agevola con un abbassamento dell’Imu quelle situazioni per le quali la proprietà concede uno sconto del canone dal dieci al venti percento e oltre, rispetto al canone inizialmente pattuito. Quindi, un incentivo per le attività in affitto a rimanere nella locazione, e per le famiglie che affittano di poter ricontrattare il canone con il proprietario, dividendo con lui anche il beneficio fiscale. Una sorta di manovra sociale tramite l’Imu, che naturalmente ha anche la valenza di spingere un po’ il sostegno alla locazione abitativa, ma anche di fornire sostegno economico ad attività produttive e commerciali.

Tra i beneficiari delle agevolazioni, anche chi affitta il proprio immobile ad associazioni e altri soggetti che si occupano dell’accoglienza di migranti nell’ambito di progetti Sprar. Perché questa scelta?
Innanzitutto perché quello delle politiche di accoglienza è un tema moderno e riguarda la civiltà di una società e anche di una città come Torino. È stato possibile che un meccanismo di proprietà edilizia speculativa, magari cercando inquilini deboli, abbia anche potuto approfittare di queste situazioni. La ricerca, invece, di uno strumento trasparente e agevolato nella sua applicazione, che permetta di individuare organizzazioni che si occupano di accoglienza in modo ufficiale, che faccia sì che questa locazione tra un proprietario e queste organizzazioni sia agevolata dalla città di Torino e che quindi, indirettamente, le politiche di accoglienza ne traggano vantaggio, ci sembrava una scelta di civiltà. E tra l’altro, una scelta contro l’affitto in nero che tutela soprattutto l’utente finale, ma pureun corretto rapporto tra proprietà edilizia e inquilinato, anche nei settori sociali. 

Le agevolazioni Imu: riduzioni una tantum o pensate come misure strutturali?
Si tratta di dare respiro a una politica dell’abitare e delle occupazioni di carattere commerciale. Per esempio è stata introdotta anche un’agevolazione che riguarda le start up, che non è cosa da poco rispetto all’investimento sul futuro. Quindi sono operazioni che hanno una valenza permanente. Chi sceglie queste strade sa che la città garantirà il mantenimento di queste aliquote sul medio periodo, in modo da poter recuperare l’investimento e ripristinare il corretto rapporto di fiducia tra pubblica amministrazione e mondo dell’economia reale.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Crolla il cornicione,

multato amministratore

Dovrà pagare una multa di 422 euro l’amministratore dello stabile di Genova dal quale, in piena notte, si sono staccati circa 20 metri di cornicione, finendo sul suolo pubblico. Per fortuna, data l’ora, non ci sono state conseguenze per le persone. Dopo il cedimento i vigili del fuoco hanno transennato l’area e staccato i pezzi di cornicione rimasti pericolanti. Sul posto anche i tecnici comunali dell’ufficio di Pubblica Incolumità e gli uomini della polizia municipale, che hanno comminato la sanzione prevista dal codice della strada per omessa manutenzione del fabbricato.

Lite tra condòmini

finisce a mazzate

Una donna di 53 anni residente in un condominio del comune di Rimini è stata arrestata per resistenza a pubblico ufficiale, minaccia aggravata e danneggiamento dopo aver tentato di sfondare la porta d’ingresso dell’appartamento del vicino di casa con una mazza da baseball. Secondo la ricostruzione effettuata dai poliziotti, a causare l’ira della donna sarebbe stata la chiusura di un cancello per il passaggio pedonale. All’arrivo della polizia, la signora ha continuato a dare in escandescenza, aizzando contro gli agenti il proprio cane, un dogo argentino di grossa taglia.

Simula rapina in casa

ma finisce nei guai

Un giovane di 29 anni della provincia di Reggio Calabria è stato denunciato in stato di libertà dai carabinieri per simulazione di reato e procurato allarme. Schiacciato dai debiti di gioco, infatti, il 29enne aveva cercato di ripianare i debiti inscenando una rapina a mano armata a suo danno, in modo da ottenere il rimborso dall’assicurazione. Secondo la versione fornita ai militari, tre persone a volto coperto lo avrebbero immobilizzato e imbavagliato per poi derubarlo di numerose banconote e monili d’oro per un valore di 50mila euro. Sono bastati due giorni di indagini per smascherarlo. 

Incidente domestico:

muore tosando l’erba

Un uomo di 80 anni è morto mentre stava tagliando il prato della sua casa di campagna, dilaniato dalle lame del proprio tosaerba. Il tragico episodio è successo in provincia di Pesaro e Urbino. Dalle ricostruzioni degli inquirenti, l’anziano aveva impostato la retromarcia del macchinario, perdendo l’equilibrio a causa di un sobbalzo e finendo a terra. A quel punto era stato agganciato dalle lame senza riuscire a liberarsi. Straziante la scena che si sono trovati di fronte i soccorritori, che hanno dovuto richiedere l’intervento dei vigili del fuoco per liberare il cadavere dell’anziano.

Stalker del condominio

arrestato dalla polizia

Era diventato l’incubo dei residenti di un condominio di Roma, tormentando soprattutto le famiglie che vivevano negli appartamenti confinanti con il suo. Si tratta di un uomo di 57 anni, arrestato dalla polizia di Stato con l’accusa di attività persecutorie nei confronti degli inquilini del palazzo. Dalle minacce verbali e dalle lettere minatorie era passato alle aggressioni fisiche, brandendo armi contundenti nei confronti dei dirimpettai e finendo per aggredire gli stessi agenti di polizia, intervenuti dopo l’ennesimo episodio.

Adolescente uccisa dal portoncino condominiale: amministratore innocente

[A cura di: avv. Tania Rizzo – Appc] Con un cambio di rotta di notevole portata, il Tribunale di Torino, sezione prima penale, sentenza di merito del 30.09.2015, ha indicato nuove vie per motivare la decisione assolutoria in capo a due amministratori condominiali, imputati per il reato di omicidio colposo.
Il caso è quello della morte di un’adolescente, colpita da un frammento di vetro di un portoncino condominiale. La Procura di Torino aveva contestato ai due amministratori, quello in carica e il suo predecessore, sia la colpa generica per l’omicidio colposo ma anche la violazione specifica delle norme UNI 7679, perché i due imputati avevano l’obbligo di sostituire il vetro ricotto del portoncino e farne montare uno di sicurezza, e del T.U. in materia di sicurezza del lavoro, perché avevano l’obbligo connesso al contratto di appalto o d’opera o di somministrazione inerente l’attività dei lavoratori che avevano montato quel vetro.
Per quanto concerne il profilo della violazione delle Norme UNI 7679, Il Giudice di merito ha effettuato una disamina delle stesse, giungendo alla conclusione che non hanno natura obbligatoria, essendo non prescrizioni di legge, ma prescrizioni raccomandative senza forza cogente. Inoltre, riferendosi alla Direttiva 2011/95/CE del parlamento Europeo sulla sicurezza dei prodotti destinatati ai consumatori, il Giudice ha affermato che i destinatari sono i produttori e i distributori che fabbricano o commercializzano i prodotti, ma non certamente gli amministratori di condominio, chiamati ad altre posizioni di custodia e garanzia.
Per quanto riguarda, poi, le norme sulla sicurezza del lavoro, il Tribunale di Torino, riferendosi alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 9616 del 14.09.1995, ha evidenziato che i precetti indicati dal D. Lgs. 81/2008 devono trovare attuazione con riferimento a tutte le attività nelle quali siano addetti lavoratori subordinati o equiparati e, quindi, nel caso del condominio, tali precetti trovano applicazione solo nell’ipotesi in cui il condomino si avvale dell’opera di lavoratori subordinati o equiparati i quali, tuttavia, nel caso di specie, non esistevano.
Infine, in ordine alla previsione di colpa generica, il Tribunale di Torino giunge ad una assoluzione, ritenendo, i due amministratori, tenuti ad una posizione di protezione, diretta a preservare i diritti dei condòmini inerenti le parti comuni e l’integrità dell’edificio condominiale da tutti i pericoli che possono minacciarne l’integrità, e non, invece, tenuti a una posizione di controllo, diretta a neutralizzare le fonti di pericolo in modo da garantire l’integrità di tutti i beni giuridici che possono essere minacciati; quindi, scrive il Giudice di merito sul caso affrontato, i due amministratori non erano sottoposti all’obbligo di sostituire la lastra di vetro cotto che, fatalmente infranta, ha poi determinato la morte della ragazza.
Tale ragionamento giurisprudenziale, segna una novità rispetto la (quasi) costante indicazione della Suprema Corte, per la quale l’amministratore rivesta una posizione di garanzia a cui si applica la regola ex art. 40 c.p., comportante il dovere cautelare permanente di rimuovere ogni pericolo, anche preesistente, per i condomini e per tutti gli altri utenti del condominio e degli spazi adiacenti al fabbricato.
Proprio in tema di lesioni e omicidio colposo (artt. 589 e 590 c.p. ) il Giudice di legittimità, in relazione ai danni provocati a terzi o ai condòmini da violazione degli obblighi di garanzia e protezione, ha delineato, con pronunce successive ed ormai consolidate nel tempo, il contenuto e i limiti dei doveri dell’amministratore di condominio.
Ritiene la Suprema Corte che, ai sensi dell’ art. 40, comma 2, c.p., secondo cui: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”, gravi sull’amministratore il dovere di attivarsi per evitare danni ai terzi in quei casi tristemente tipici del distacco di cornicioni o intonaco o di “pericolosità” delle scale, degli impianti elettrici come delle cose comuni in genere. L’obbligo di attivarsi in capo all’amministratore, quindi, indicato da tale giurisprudenza di legittimità, può non essere subordinato alla preventiva deliberazione assembleare ma configurarsi anche con semplice segnalazione di pericolo tale da rendere opportuno, se non necessario, un intervento di urgenza, collegandosi all’art. 1130 c.c., che fa riferimento ad altro obbligo dell’amministratore di effettuare le opere di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza, salvo successiva informativa all’assemblea (Cass. 6 settembre 2012 n. 34147; conforme, tra le altre, Cass. Sez VI, n. 46385 del 23.11.2015).
L’intervento urgente dell’amministratore, inoltre, può avere una natura non solo ripristinatoria ma anche natura di “contenimento del pericolo”, attraverso la sua segnalazione con transennamento o speciale illuminazione o anche attraverso la rimozione di elementi immediatamente pericolosi per la salute pubblica, e non può trincerarsi dietro l’immobilismo dei condòmini.
In altro caso, pur datato nel tempo ma antesignano di questo modello decisorio costante nel tempo, un anziano signore aveva subito lesioni cadendo su un tombino condominiale posto all’ingresso di una farmacia ubicata in quello stabile. L’amministratore veniva condannato per il reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) e i Giudici di legittimità confermavano la condanna ritenendo che non può mettersi in discussione che l’amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, gravando l’obbligo ex art. 40 cpv. cod. pen. di attivarsi al fine dl rimuovere la situazione di pericolo anche per l’incolumità del terzi ( Cass. Sez. III n.4676/1975).
Di tutta evidenza, quindi, come l’assoluzione decisa nel merito dal Tribunale di Torino, pure essendo un giudicato non definitivo, tuttavia, sancisca l’abbandono di ogni automatismo fattuale e un maggiore garantismo nella verifica e nell’accertamento giurisprudenziale della reale e concreta condotta dell’amministratore condominiale e del suo rapporto normativo con l’assemblea condominiale, con i singoli condòmini, con eventuali lavoratori subordinati e, infine, con tutti i fruitori delle parti comuni del condominio stesso.

IMMOBILI CEDUTI AI PARENTI: DIMOSTRARE CHE È VENDITA PER EVITARE LE IMPOSTE

[A cura di: Filomena Scarano – Nuovo Fiscooggi, Agenzia delle Entrate]

In materia di trasferimenti immobiliari, la vendita di beni al coniuge o ai parenti, nell’esercizio dell’attività d’impresa, è assoggettabile a Iva solo se è dimostrato il pagamento di un corrispettivo. In caso contrario, opera la presunzione di cui all’articolo 26 del Dpr 131/1986, che legittima l’ufficio dell’Amministrazione finanziaria al recupero dell’imposta suppletiva di donazione, ipotecaria e catastale. Così si è espressa la Corte di cassazione, con la sentenza 6674 del 6 aprile 2016.

Vicenda processuale
Un imprenditore ha alienato, nell’esercizio della propria attività d’impresa, alcuni beni immobili al coniuge e alla figlia, assoggettando le operazioni a Iva. L’ufficio, facendo applicazione del combinato disposto dell’articolo 26 del Dpr 131/1986 e dell’articolo 1, comma 3, del Dlgs 346/1990, ha riqualificato gli atti come cessione a titolo di liberalità e quindi donazioni (in quanto le imposte di donazione risultavano superiori a quelle di trasferimento a titolo oneroso) e ha proceduto al recupero delle imposte di donazione e ipocatastali. Le contribuenti hanno impugnato gli avvisi di liquidazione davanti alla Commissione tributaria provinciale, unitamente all’avviso di accertamento di valore, con il quale l’ufficio aveva rettificato il valore dei cespiti dichiarato nell’atto dai contraenti. In seguito al decesso dell’imprenditore, le ricorrenti hanno chiesto all’ufficio di escludere dal patrimonio ereditario i beni immobili trasferiti al coniuge e alla figlia, ribadendo la natura onerosa di detti trasferimenti. Sia in primo sia in secondo grado i ricorsi sono stati accolti.

La decisione della Corte
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, lamentando, in sostanza, la non corretta applicazione del citato articolo 26, in merito alla qualificazione degli atti di cessione a titolo oneroso in assenza di prova contraria offerta dai contribuenti. In particolare, secondo quanto sostenuto dalle contribuenti, la presunzione di cui al Dpr 131/1986, articolo 26, non troverebbe applicazione nella fattispecie, in quanto gli atti di cessione in contestazione sono stati effettuati in regime d’impresa e, quindi, assoggettati al regime prevalente ed esclusivo dell’Iva, con la conseguenza che, alla luce del principio dell’alternatività dell’imposta di registro con l’Iva, gli atti sottoposti a quest’imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro, il che esclude il ricorso alla presunzione.
La Corte di cassazione non ha condiviso quanto sostenuto dai contribuenti e ha affermato che la compravendita di beni deve di regola essere sottoposta a imposta proporzionale di registro, secondo il valore accertabile ai sensi del Dpr 131/1986, articolo 51, comma 4, mentre l’assoggettabilità a Iva riguarda solo le cessioni di beni o servizi effettuate nell’esercizio di attività imprenditoriale.
Invero, nel caso in esame, la Corte, condividendo la posizione dell’Amministrazione finanziaria, ha statuito che deve applicarsi la presunzione stabilita dal Dpr 131/1986, articolo 26, comma 1, secondo cui, ai fini tributari, “i trasferimenti immobiliari posti in essere tra coniugi o tra parenti in linea retta si presumono donazioni se l’imposta dovuta per il trasferimento risulti inferiore a quella applicabile in caso di trasferimento a titolo gratuito” e tale presunzione può essere vinta solo attraverso la prova contraria, fornita con qualsiasi mezzo dal contribuente.
Nel caso esaminato, la prova contraria, consistente nell’effettivo pagamento del corrispettivo, non risulta essere stata allegata e, per tali motivi, l’atto si presume a titolo gratuito e, quindi, non assoggettabile a Iva, ma a imposta di registro. Secondo la Corte, infatti, la presunzione di cui all’articolo 26 si applica, a prescindere dall’alternatività Iva-Registro, a tutti gli atti che potenzialmente ricadono nel presupposto impositivo dell’imposta di registro, ovvero a tutti i trasferimenti immobiliari tra coniugi o tra parenti in linea retta.
In applicazione della presunzione dell’articolo 26 del Dpr 131/1986 – prosegue la Corte – in presenza di un trasferimento che soddisfi i parametri individuati nella presunzione (ovvero il trasferimento a favore del coniuge o di parenti in linea retta, l’ammontare dell’imposta di registro e di ogni altra tassa dovuta sul trasferimento inferiore all’imposta di donazione), il solo elemento che può vincere la presunzione è la prova contraria. Nel caso di specie, poiché i contribuenti non avevano fornito mai la prova del pagamento, la presunzione non poteva ritenersi vinta.

Osservazioni
La sentenza in commento offre spunti per l’analisi della disciplina dell’articolo 26 del Dpr 131/1986, norma antielusiva che sancisce una presunzione relativa di liberalità, in relazione ai trasferimenti immobiliari tra coniugi e tra parenti in linea retta, se l’ammontare complessivo dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta sul trasferimento risulta inferiore alle imposte applicabili per il trasferimento gratuito. Come correttamente operato dall’ufficio in sede di riqualificazione nel caso in esame, la norma va coordinata con le disposizioni introdotte dal Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (Dlgs 346/1990) e, innanzitutto, con l’articolo 1, comma 3, ai sensi del quale l’imposta sulle successioni e donazioni si applica anche “nei casi di donazione presunta di cui all’art. 26 del testo unico sull’imposta di registro”.
Con il citato articolo 26, il legislatore presume la simulazione relativa del contratto di trasferimento, ravvisandovi una liberalità ex articolo 809 del codice civile, ovvero una donazione simulata e, ove la presunzione operi, si configura un vero e proprio mutamento della natura giuridica dell’atto e del regime impositivo applicabile.
La presunzione relativa di liberalità ai fini dell’imposta di registro sugli atti di trasferimento tra coniugi o parenti in linea retta è applicabile anche per gli altri tributi, in tutte le controversie la cui soluzione dipende dalla qualificazione dell’atto come a titolo oneroso o a titolo gratuito.
La Corte di cassazione, in altra pronuncia, ha ritenuto che la presunzione in parola potesse essere utilizzata dal contribuente per contestare l’accertamento dell’ufficio finanziario, effettuato ex articolo 38, Dpr 600/1973, con cui si individuava un reddito di capitale conseguente l’acquisto di un immobile il cui dante causa era il genitore (cfr Cassazione, 22218/2008).
Altro aspetto rilevante, affrontato dai giudici di legittimità è quello dell’onere probatorio. La presunzione di liberalità era stata, originariamente, prevista come assoluta, ma la Corte costituzionale, con la sentenza 41/1999, ne ha dichiarato l’incostituzionalità nella parte in cui esclude la prova contraria diretta a superare la presunzione di liberalità. Il giudice delle leggi, infatti, ha stabilito che la norma in oggetto risultava lesiva dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva nella parte in cui non ammetteva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’effettività dell’atto di compravendita tra familiari. La incostituzionalità della norma è stata ravvisata nel divieto per le parti di provare l’effettiva natura onerosa del negozio giuridico effettivamente stipulato. In forza della citata sentenza, la presunzione in oggetto è stata riportata nei più corretti limiti di presunzione relativa, come tale suscettibile di prova contraria. Il contribuente pertanto, ha la possibilità di fornire elementi di prova atti a dimostrare l’effettività e la veridicità del trasferimento a titolo oneroso, ad esempio, quando posto in essere tra genitore e figli.

GODIMENTO PARZIALE DELL’IMMOBILE: NON È POSSIBILE L’AUTORIDUZIONE DELL’AFFITTO

[A cura di: avv. Rosalia Del Vecchio – Uppi Castel Maggiore]

Nel caso in esame (Corte Appello Bologna, sent. 17.07.2015, n. 1327/2015) il conduttore chiedeva la riduzione del canone di locazione in conseguenza del mancato godimento dell’immobile locato per il tempo necessario allo svolgimento di alcuni lavori di riparazione resisi necessari a causa della vetustà dell’immobile. Chiedeva inoltre il rimborso delle somme pagate per i lavori che, in quanto straordinari, sarebbero spettati alla proprietà. 

Le domande in questione venivano respinte in primo grado e così sottoposte al vaglio della Corte d’Appello. Anche la Corte d’Appello di Bologna ha respinto le domande svolte dal conduttore argomentando come segue.

La Corte ha affermato l’inammissibilità della domanda di riduzione del canone di locazione per il minore godimento del bene immobile locato in relazione a tutti gli episodi denunciati (lavori di sistemazione del bagno, riparazione della tubatura di conduzione dell’acqua calda) risultando assolutamente indeterminata la richiesta non avendo la appellante neppure specificato la entità (né il riferimento temporale) delle somme di cui pretende la restituzione e, comunque, dovendosi rilevare, in via assorbente (come peraltro già correttamente evidenziato dal primo giudice), la contrarietà a buona fede della pretesa azionata risultando provata e non contestata la unilaterale condotta più volte attuata dalla conduttrice di sospensione dal pagamento dei canoni di locazione.

Al riguardo, è stato richiamato il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui “il conduttore di un immobile non può astenersi dal versare il canone, ovvero ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, quand’anche tale evento sia ricollegabile a fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. 

Inoltre, secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum”, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede” (Sez. 6-3, Ordinanza n. 13887 del 23/06/2011)”.

Da ultimo, il collegio giudicante ha evidenziato che la domanda di riduzione del canone collegata al disagio (peraltro non provato) dipeso dai lavori di sistemazione del tetto dell’immobile non poteva essere comunque rivolta nei confronti della proprietaria trattandosi di opere deliberate dal condominio nell’interesse di tutti i condòmini.

LE DETRAZIONI FISCALI PER LE RISTRUTTURAZIONI DEGLI IMMOBILI DI INTERESSE STORICO

Le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni degli immobili di interesse storico. È un’altra delle materie oggetto della circolare numero 3/E emanata lo scorso 2 marzo dall’Agenzia delle Entrate per fornire informazioni e rispondere ai più frequenti quesiti e dubbi in materia fiscale. Di seguito, un quesito e la relativa risposta.

D. Si chiede se la detrazione delle spese per la manutenzione, protezione o restauro dei beni di interesse storico ed artistico prevista dall’art. 15, comma 1, lett. g) del TUIR sia cumulabile con la detrazione di cui all’art. 16-bis del medesimo TUIR. 
R. L’art. 15, comma 1, lett. g) del TUIR prevede la detrazione, di un importo pari al 19 per cento, delle “spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (…) nella misura effettivamente rimasta a carico”. Con la risoluzione n. 10/E del 2009 è stato precisato che il diritto alla detrazione previsto dalla disposizione sopra riportata spetta, in sostanza, ai “soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro” dei beni culturali di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 (già beni vincolati ai sensi della legge n. 1089 del 1939). Il riferimento normativo contenuto nell’art. 15 in questione risulta, pertanto, lo stesso previsto dal comma 6 dell’art 16-bis del TUIR secondo cui la detrazione delle spese per interventi di recupero è cumulabile con le agevolazioni già previste per gli immobili oggetto di vincolo ai sensi del D. lgs 22 gennaio 2004, n. 42, ridotte nella misura del 50 per cento. 
Sulla cumulabilità tra le due agevolazioni, l’Amministrazione finanziaria si è già espressa con la circolare n. 57 del 1998, quando le disposizioni agevolative prese in esame erano formulate con gli stessi riferimenti normativi (legge n. 1089 del 1939). In particolare, l’art. 1 della legge n. 449 del 1997 (istitutiva della detrazione in materia di interventi di recupero edilizio) stabiliva che “Gli effetti derivanti dalle disposizioni di cui al presente comma sono cumulabili con le agevolazioni già previste sugli immobili oggetto di vincolo ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, ridotte nella misura del 50 per cento” .
Invero con il documento di prassi sopra richiamato è stato chiarito che le altre agevolazioni cumulabili cui applicare la riduzione del 50 per cento sono contenute nell’art. 13-bis, comma 1, lett. g) del TUIR (corrispondente, nell’attuale numerazione del TUIR, all’art. 15, comma 1, lett. g).) 

QUEL PASTICCIO DELLA PROROGA DEL CONTRATTO D’AFFITTO A CANONE AGEVOLATO

[A cura di: avv. Manuela Marinelli – pres. prov. Uppi Trieste] 

L’Agenzia delle Entrate di Trieste mi ha recentemente riferito di non accettare le proroghe di ulteriori 3 anni, dopo il primo quinquennio, con riferimento ai contratti di locazione della durata di anni 3+2 (Legge 431/1998 art. 2, co. 3), ritenendo che dopo la prima proroga biennale, le successive proroghe non possono che essere biennali. Dal mio personale punto di vista, tale interpretazione non è corretta, sostenendo – per le ragioni che seguono – che le proroghe successive a quella biennale devono necessariamente essere triennali. La mia convinzione è basata sugli studi di insigni giuristi i quali, successivamente all’entrata in vigore della citata legge, hanno affrontato la problematica relativa alla durata della proroga del contratto di locazione stipulato ai sensi dell’art. 2, co. 3 della Legge 431/1998, dopo lo spirare dei primi cinque anni.
Il comma 5 della medesima disposizione, stabilisce che: “I contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 non possono avere durata inferiore ai tre anni, ad eccezione di quelli di cui all’art. 5. Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all’art. 3, ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo art. 3. Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.

Pertanto, la norma prevede:
* una prima scadenza dopo il primo triennio, allorché il locatore può intimare disdetta motivata;
* una seconda scadenza dopo il biennio, ovvero la c.d. “proroga di diritto”, in occasione della quale entrambe le parti posso inviare disdetta pura e semplice;
* l’eventuale mancanza di disdetta alla fine dell’intero periodo quinquennale, nel quale caso “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.
La domanda è dunque la seguente: qual è la durata ordinaria del contratto? Triennale o quinquennale? Naturalmente in dottrina vi sono state delle difformità di opinioni. Tuttavia, la tesi maggioritaria parte dal presupposto che il contratto di locazione a canone concordato ha durata triennale. In occasione della prima scadenza, le parti possono concordare sul rinnovo del contratto; infatti il 5° comma dell’art. 2 Legge 431/1998 espressamente pone la formula “ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo”. Le parti possono quindi concordare per la prosecuzione della locazione o anche per la stipula di un nuovo contratto, magari anche di tipologia diversa (ad es. anni 4+4). Solo se alla prima scadenza triennale nessuna delle parti intima disdetta o se le stesse non concordano sul rinnovo, il contratto è “prorogato di diritto per due anni”. Alla scadenza del biennio di proroga, le parti possono intimare disdetta pura e semplice. In mancanza di disdetta, “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”; per cui, secondo la dottrina dominante, cui mi sento di aderire, il rinnovo può essere esclusivamente per un triennio, ovvero per quello che è l’arco temporale di normale durata del contratto. Alla scadenza di questo triennio e in mancanza di disdetta da una delle parti, il contratto si rinnova per un ulteriore triennio e così avanti di triennio in triennio. In sostanza, la mancanza della disdetta determina la prosecuzione, cioè la proroga, del contratto originario. 

Si giunge così alla conclusione che la durata del contratto 3+2 è triennale e non quinquennale. La proroga biennale deve considerarsi di carattere eccezionale e vale soltanto per la prima durata contrattuale, ovvero dopo il primo triennio. 
Tuttavia, sembra che tale interpretazione non sia stata recepita da tutti gli uffici dell’Agenzia delle Entrate; l’autonomia svolta in sede locale risulta infatti dal sottostante elenco, frutto di un’indagine svolta in diverse città italiane. Tale diversità di interpretazione crea incertezza e difficoltà nei cittadini – locatori, i quali, al contrario, hanno necessità di chiarezza. Segue l’elenco delle città presso le cui Agenzie delle Entrate le sedi Uppi hanno svolto indagini e le conseguenti applicazioni del criterio di proroga contrattale, dopo il primo quinquennio. 
ASCOLI PICENO: pur non entrando nel merito della durata del rinnovo, applicano la proroga triennale dopo il biennio;
AVEZZANO: proroga di 3+2+3+2 e così via
BOLOGNA: proroga triennale dopo il biennio.
CAGLIARI: proroga biennale, considerando eccezionale la durata iniziale di 3 anni;
CREMONA: proroga triennale dopo il biennio;
FIRENZE: proroga triennale dopo il biennio;
GENOVA: proroga triennale dopo il biennio;
GORIZIA: proroga di 3+2+3+2 e così via;
GROSSETO: proroga triennale dopo il biennio;
ORISTANO: (vedi Cagliari);
MANTOVA: proroga triennale dopo il biennio;
MASSA CARRARA: proroga triennale dopo il biennio;
MESSINA: proroga triennale dopo il biennio, avendo inserito apposita clausola nel contratto di locazione;
PISTOIA: proroga biennale: 3+2+2+2 e così via;
RAVENNA: proroga triennale dopo il biennio;
REGGIO CALABRIA: proroga di 3+2+3+2 e così via. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate non ha mai contestato chi ha applicato solamente la proroga biennale (3+2+2+2) o quella triennale (3+2+3+3), purché nei vari modelli (Mod. 69 prima e RLI adesso) sia stata indicata la durata di proroga stessa, biennale o triennale che sia;
SAVONA: proroga biennale dopo il quinquennio; tuttavia la proroga triennale indicata nelle registrazioni telematiche non è contestata;
SPEZIA: proroga triennale dopo il biennio;
SPOLETO: proroga triennale dopo il biennio;
TORINO: proroga di 3+2+3+2 e così via;
TRIESTE: proroga biennale dopo il primo quinquennio;
UDINE: proroga triennale dopo il biennio;
VENEZIA1 e 2: proroga di 3+2+3+2 e così via;
VICENZA: proroga biennale dopo il primo quinquennio.
Sebbene, dunque, prevalga l’applicazione della proroga triennale allo spirare del primo quinquennio, salta evidente agli occhi la disomogeneità del trattamento all’interno dei diversi uffici dell’Agenzia delle Entrate, per cui urge attivarsi affinché l’Agenzia giunga prontamente a una unitaria applicazione e interpretazione della legge. È però anche doveroso riflettere sul comportamento tenuto da questi Uffici, i quali hanno il compito di registrare i contratti e incassare le imposte di registro e non quello di interpretare le norme; compito, detto ultimo, che spetta semmai alla magistratura. Tanto più se le interpretazioni sono svariate e, anziché aiutare il cittadino/contribuente a districarsi nella complessità delle leggi, creano in lui soltanto confusione e paura di sbagliare.